Poesie di Biancamaria Frabotta, Poetessa italiana-Biblioteca DEA SABINA
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Poesie di Biancamaria Frabotta, Poetessa italiana-
Poesie di Biancamaria Frabotta, Poetessa italiana-Pubblichiamo una scelta di poesie da Tutte le poesie 1971-2017 di Biancamaria Frabotta (“Lo Specchio”, Mondadori, 2018), con postfazione di Roberto Deidier e nota biobibliografica di Carmelo Princiotta. La poesie ripercorrono l’itinerario dell’opera di Biancamaria Frabotta. Poesie scelte da Maria Borio | Apr 3, 2018-Dalla Rivista Nuovi Argomenti
da Il rumore bianco (1982)
Sono questi i casi che le virgolette contano
“l’eterna indecisione dei gemelli”
il simile e il dissimile, Diotima la crespa
una maretta vispa, la luce e il moto le sono propri
l’altro è il quasi lago, il numero due, il coperchio del mondo.
Su altra pioggia cade la pioggia di ieri
ciò che sta sopra a ciò che sta sotto
chi scacciato torna dorme con noi
semina insieme panico e sonno.
*
ELOISA
E pensare che quello che ti chiedo è ben poco,
e per te facilissimo!
(Eloisa a Abelardo, Lettera 2)
I
Qui dimora l’intero e tu disperso
ci ragioni. Che io canti, più buia
sordidamente, ombra più pesante
del marmo che mi riposa non conta.
Una sola rondine non mi ti rende
la stagione perduta.
E io troppo tempo ho abitato in te
come la ragnatela in un tronco morto
al limite di una terra promessa
non cogliendomi (fu soltanto evocazione
addestramento allo stupro
il fantastico frutto dell’occidente)
mi hai nominata più bianca della luce
nido di un’idea intricata, torpida fantasia,
pupilla cieca del tuo occhio.
Si sfilava il sibilo dalla teoria lunga
delle stanze: davanti alla porta chiusa
sarò la sorella di quei meli che fuori
si spogliano lisciando a sangue i sensi
e solo la sera ne spegne il tocco.
Un triangolo è divino quando ogni punta è Dio
e ogni lato un’esca. Non c’è veglia più amara
per me che sono lontano dalla festa.
Le parole non ti costavano molto, ricordi?
scivolano via per filo e per segno
come canoe fluiscono sul filo della corrente.
Non c’era rapida che ne scuotesse il corso
scorresse anche fino al mare il discorso
del tuo sogno soltanto noi ne scontavamo il costo.
Ma subito potessi smemorarmi
annottassero ovunque le pupille degli uomini desti
in un mondo di dormienti
un bestiario delicatamente miniato dallo stilo di chi può
almeno fin quando arriverò
placida onda di lago a lambirti
i piedi di umide e molli zolle di prato
almeno fin là dove arriva l’essere
e il chierico si fa pierrot
la canaglia un’ariosa città
ogni passante un amico, un evento
allora
l’acqua coprirà il prato e ogni traccia di nome.
[…]
da La viandanza (1995)
La viandanza
E un’inezia in veste di gala terge
la risacca, un’inerzia, prodiga, mamma
vermiglia di vortici sei falsa calma
come l’onda lunga della riconoscenza.
Riconoscersi o congedo questa improvvida sosta
di sole che affoga? Latita
il senso lontano dalla terra ferma
e tu dormi sul filo di lana
come lo stranito starsene dei non umani
oltre le curve dove ci pedina il tempo
e sull’orlo del campo anonimi frulli di freddo
e panico che abbagli i divieti, i binari.
Così recalcitra la fame degli erbivori.
È lo spavento dei passeri poveri quello
lo sgomento delle nubi al macero. Fra poco
ci staranno addosso in tanti i polipi
della città fantasma
con tentacoli e raggiri e tu, ora lesta
a provocarli, col guizzo circasso
dell’occhio, a patirli, sordida
giovale, giovane Civitavecchia
sgarbata bilancia fra apocalisse e paese
smaniosa pazienza è la felicità che
incendia in lei troppe parole o nessuna.
Preda di insana genia, Eugenia
nata De Falchi, o insensatezza
di un nome rapace o insensatezza
di un nome ben nato
e se il volo non fosse un voto paterno
ma una nomade svendita di senno
e un’azzurra (che vegeto caos in questa
stazione) provvida grazia di rimozione?
O fu soltanto pigrizia la coincidenza mancata?
Il paranoico estro di disastri all’attesa
comparti e defence
custodi e silence
it’s forbidden, non leggi?
de stationner sur la passerelle
e à l’occurance
togliere il piombo
ruotare il vetro
premere il pulsante, ma bada
sarà severamente punito
l’abuso dei tuoi sontuosi capricci
futuri nutriti sui lidi di Caravani
di parche cartate di cozze
primizia del nuoto di secca
di granchi traversi la svogliata trafila
spiando tra le valve ora salse
di salmonella ricordi la misericordia dell’orto?
l’intemperanza della madreroccia
e nel grembo femmina il riccio
morte certa del mare (è la legge!)
brulicante di uova arancia, e limoni?
la misticanza invisa all’orgia pagana
di vergini lische, scorfani
e sparnocchie ancora in vita risenti
come torpida marciava alle narici l’alga
e la brama dell’altro, con inversa
ala d’ascesa, murata baldoria d’un istante
un istante
fu l’ardore di chi ti corresse
– Non si dice salisco, ma salgo
e tu che non soffri cavezza, coraggio fuggendo
oltre il Villaggio del Fanciullo
la Repubblica dei Ragazzi
e Marangone
fogna a cielo aperto
levata al cenno delle cento
macerie d’acqua in cui nacque
l’ultima cella foriera d’anfore e rancori
dove fanno il nido le murene
e luccicano le Orecchie di Venere
e intendono chi non dicendo
abbastanza ha già detto troppo
e con esorbitante assedio di giubilo smura
le labbra avare di racconti
e se nell’afa sfuma
la ciminiera più alta d’Europa
neppure tu le cerchi più le lapidi lambite
dal liquame della Fiumaretta
necropoli di vivi incrementi
al fabbisogno di Roma
e non avrebbe meritato l’indulto
la pena commutata nella guazza serena
di una tomba non inquinata
chi placò gli insulti della mia tosse convulsa
e divampa in cenere l’ombra
di una carrozzella in corsa
verso la rada di Sant’Agostino
dove montava la luna della buona pesca
ai polipi e spirava lo jodio sull’indomito
falò amico ai naviganti
che un vezzoso odio eclissò e ora lo smog
amico ai benestanti? E ora
nostra cocente storia convulsa
nostra avulsa radice le tombe
fra gli escrementi navigano
con la stessa indocile fretta
che sulla fusta leggera
ti induce al fasto saraceno
di crescerti la vita di un anno.
E che spasimo per un diffidente volatile
una sorte pellegrina nel padule! e che vandala
quando tu i sandali di pena scalzando
e di corda intrecciata nella mano sudata
stringevi la merendina di Santa Costanza
scorbutica novizia della Piazza Calamatta
fluivano scalze le pozzolane sulla Scaletta
con le prime notizie della paranza e senza
che sorpresa smarrirsi nei meandri
della Piazza Leandra dove
i morti restituiti
all’ebete gioco del tempo ma non tu
rapita al Pirgo di corsa e che affanno
sul tuo sandalino che fila
verso il Borgo Odescalchi
dove rabida nobiltà di veli, paglie e corde
si spegne nel vuoto delle cabine
Santa Fermìna al martirio
palma alla dritta, galera a sinistra
ti insidia ora un tenente
un serpente in piedi, la corona in testa
e nel petto smilzo timida alla sbarra
quella notte fosti tu la più bella
tra le svelte acque della Ficoncella
e le tronfie in lungo a libare
succo di viti tedesche, o vita
vita tua sottile
che il gerarca corrotto cinse di raro
vanto di provinciale grazia e ritroso
non per coscienza ma per innocenza di classe
millenovecentodiciassette
riarse un rigoglio cremisi sul fianco
il fiocco, le maniche a sbuffo
e perfetto ruotava sopra il ginocchio
il taffetà tagliato a teletti
a scorno delle ricche Guglielmi
Giovannelli
d’Ardìa Caracciolo
o Rodano Cinciari
oh come vagano semplici in mente
i nomi dei tuoi primi tormenti
oh come risalta nella prossima notte
la torcia del tuo eretico orgoglio!
Poi l’Ottimo Consiglio
del millenovecentoquaranta
non portò i suoi figli in salvo
sui monti della Tolfa, ma
canicola, canizie, canile
e stillicidio di polveri
croste, ghetti e l’inverno
che inferno affacciarsi
sulla mole del Lazzaretto Vecchio!
Là i vincitori (giurarono i vinti)
giocando a palla, venivano a galla
i teschi dei frati tra le bombe
miste alla pioggia e di salso prodigio
tutte le notti smontava la luna
della Buona Morte ai polipi e agli omeri mozzi.
Oh cimitero disperso fra le vasche
di sterile letame, annegato
nell’olio, nell’oblìo che
una petroliera dispensa dal largo
troppo fondo al porto lo scafo
troppo tagliente la chiglia
e che lago melmoso questo scavo
senza bisogni, questa vetrosa fronte
del treno che ci trascina
oltre le argille della Ripa Alba
e tutto è da imparare ormai
a danno, mamma, e se ne vanno
nella cavità dell’aria che grave
ora rimuove
i fumi di un’infanzia ormai appena visibile
come nei polmoni l’ombra di una trascurata influenza.
*
Gemina iuvant
Soltanto a sfiorarla – dicono
i miei due rivali emisferi
digrada a più lievi some
la femmina del mio cervello diviso
la sinistra ancella della nostra passione
che cola viscosi umori di nera bile
impuri fluidi di non storia
ma sa la visione e lo spirito del tempo
e se muore è d’etilismo
e sempre fuori tempo.
La sua parte è fissa.
È la parte per il tutto.
A destra invece legge
scrive e fa di conto colui che
prende di punta ogni ideuzza e la rintuzza
nella brocca rotta che risuona a vuoto
per maniera che non ne torni l’eco
tranne i costi i ricavi e
l’insana ragione mancina
ridurre alle sue minute ragioni.
Ogni punto è la testa pensante di una linea.
Ogni linea termina in un punto.
Così fingendosi amanti
i miei due rivali emisferi
entrambi mi tormentano
e non c’è ricciolo, né maliziosa frangia
a tenerne unito il gruzzolo
a ricomporre l’antica noce
della loro inimicizia.
*
Discosto dal ramo quel tanto che basta
l’ala raccolta a non dar mostra di te
mi insegni la rotta breve del Colombo
erbivoro che ama il paniere poco profondo
di vimini, la canna, il salice, il cardo.
Non il rostro delle navi che violano il porto
ma il lento sciabordio dei remi calmi come nevi.
Anche la lampada ardente dell’Inferno in cui credi
a causa tua si mitiga, il mostro si addomestica
rientra nell’uovo, rinasce pulcino
e si smorza perfino la cruda scorza
di chi a tutti i costi ti volle eterno e di te
più eguale a un altro non c’era e molteplice.
Ora di sé si scontenta e guaisce la pavida Nomade.
Piuttosto che signora vorrebbe esserti sorella.
*
per Antonio Porta
Fu nel covo del giorno
che il fuoco ti snidò
dalla tana stipata di versi
verbi, più che altro, a vedersi
a toccarsi, questi nostri anni
gettati a ingrassare le murene.
Ma i ricorsi non ripagano i ritardi.
Né i ritorni arsi dall’inerzia
che si fa febbre fredda ai polsi.
È pur sempre la ragione del morire
vivere. Sommessamente o rogo
la menzogna abbaglia la consegna.
***
da Controcanto al chiuso (1991)
[…]
Coro
Abbiate il cuore freddo madri mie.
Respingete i cattivi discorsi verso il mare.
Che un freddo penetrante entri nel villaggio.
E quando lo straniero verrà badate che sia
il portatore della buona pioggia
ricordo dell’uomo che scalpita alle porte
insetto del futuro che feconda le carte.
[…]
Seconda voce
Chi è chiuso merita violenza
e io non riesco a dimenticare la tua lingua
così inutile, assente, dolce come il miele
valere fino in fondo il mio tormento
spegnere fra le labbra e il palato, l’ugola
e le molli pareti della casa, l’unica
lieviti, viti, storia e cibi cotti
forzarti, farti violenza, aprirti
forzarmi, farmi violenza, aprirmi
segna nel caldo fiume dell’Avvento
il calendario l’Angelo
prima della donna. Inarginabile.
[…]
***
da Terra contigua (1999)
A Dario Bellezza
Arrogante garrivi alle stelle la tua dolce nenia
il fiore ancora in nuce nello scapo
e la felicità, l’ottusità d’una caccia svogliata
mai così rasente alle promesse dell’età sfacciata
ti annoiava e ti seguiva come una cagna fedele
nel subbuglio dei tuoi astratti furori.
E ti eludeva anche da quel suo astuto
gioco a tutti commestibile, ma non a te
che la morte segreta stornavi ad ogni giro
e t’era consorte l’incanto, l’incubo dei bari.
Tu non volevi altro se non l’impossibile
la tratta di favore, il pagamento del riscatto
minacciando altrimenti colpi di testa
colpi di teatro memorabili che l’indomani
bruciavi al nuovo giorno sotto dettatura.
Non tolleravi la dittatura del giorno.
E libertà t’erano gli scuri chiodati
il fresco osceno invito della notte.
*
A Toti Scialoja per i suoi ottanta anni
Non fidatevi della carta vincente
che non si nasconde nel folto del mazzo
né l’occulta la manica di un baro
né è moneta rovente che scivola
ignorata in un fiume senz’anima.
O che lenta s’incaglia sul fondo.
Stanotte non c’è anima viva sul fiume.
Né giunche, né barcaioli.
Ma gromme di dolore indocili alla gomma
lune d’oro, buchi neri
e l’ostinata balbuzie
delle cose che abbagliano un poeta.
*
TRADUZIONI
Ibn Hamdîs
Fin quando durerà il mio esilio
amici per malasorte non diversi
dai nemici che mi assetarono
dell’acqua che arrossa le labbra
e a goderne cancella ogni altra acqua
e le mie speranze delusero?
Ci sono droghe che più del male ammalano
e io sono troppo debole
e palesi le mie false ragioni.
Non è virtù della vergine placare un cuore ribelle?
Ecco, eccoti il mio occhio, tu che l’hai visto
dall’alba alla notte velato di lacrime
nella malia del tuo sguardo perduto
né fra le ombre ha più ombra il mio corpo
né pioggia che ne smorzi l’arsura.
Eppure ogni sterilità ha i suoi benefici umori…
Non vedi? Ardo di fedeltà
come il calor bianco del carbone.
E tu traditrice, vuoi spegnere la mia luce
e ti escludi dal saggio raggio del proverbio:
teme l’assenza, essenza del deserto
solo chi vi si è già smarrito.
Come sperare piacere dalla tua ripulsa?
Dalle tue vane lusinghe e promesse senza frutto?
Può forse nascere pace dalla guerra?
E un miraggio estinguere la sete nel deserto?
Volubile fanciulla che denigri
l’onda inquieta della mia pazienza
tu sola, ago della mia bilancia
fattucchiera crudele che estirpi il male
tormentando l’ammalato, cessa le tue cure
poiché il farmaco cui anelo
è la saliva delle labbra scure
e chi dal male troppo è consumato
a colei che gli rende la visita pietosa
risponde con il cenno di preghiera
dell’uomo che il mare se lo sta inghiottendo
e chi supplicando una bellezza meno avara
col male il male cerca di annientare.
Tra le stelle nessuna brilla più del sole mattutino
e tra le sue compagne nessuna è più nobile di Asma’.
***
da La pianta del pane (2003)
L’ultimo verso
Dentro gli occhi chiusi
quando vi cadde il sole
si accese un puntolino nero.
E non per vizio voleva
tenerselo l’informe
e dentro trattenerlo
nel cieco addome
divenuto sua patria.
Per non lasciarlo morire davvero
e insepolto, quell’ultimo verso
lo adottò, quell’inutile eroe.
Aurea muffa dell’estinto mattino
aerea tigna, polverosa carcassa
nocciolina che sgusci tra le dita
e, se si è presi, fedele capsula.
*
Atta
Il n’y a pas de paradis…
Ha una parola sola il bardo del ’43.
Sbiaditi kamikaze in bianco e nero
strisciavano il cielo
d’un fioco bagliore
e subito si spegnevano
come zolfanelli difettosi.
Quasi fosse uno stuolo
entra senza ferite nella tomba
il provetto architetto di Allah.
Un milione di volte e nel medesimo giorno
una gomma di fuoco ha cancellato Babele.
Ma io ho ancora troppe parole.
E questo è ancora il mio tempo.
*
da Da mani mortali (2012)
Gli eterni lavori
Dalla valletta degli ulivi una neve marina
veste di bianco le bacche della piracanta.
Potessi poggiando la testa sul cuscino
udire il mormorìo dell’anima che dorme
quando sibila la sofferenza delle piante.
Potessi, ospite impensierita, dal pietrisco salvare la salvia
che perde al vento, talvolta, una fogliolina accartocciata
accorrere dove il ramerino implora una sponda
l’ibiscus un tepore che non è qui e un’arancia
s’affaccia fra il plumbago e le spine di Cristo.
Solo al tatto la riconosco quella pace truccata
che al mattino scuote la coperta dei sogni.
*
Le fasi della luna
Trapela, nella camera oscura
come l’intelligenza nel cuore.
Illecita, ingannevolmente stanziale.
Chinata sulla sua metà in ombra
sul fianco di una panca
la faccia girata a non guardarsi
in un confuso abbracciarsi di gambe
come fosse questa l’ultima notte
per dormire insieme
non il mio sonno senza sollievo
ma il nostro che non ha rimorso.
*
I nuovi climi
Nell’estate del duemila e tre
tutto si prosciugò silenziosamente.
Un meraviglioso azzurro puntato
su di noi come un’arma radiosa
premeva i piedi sul suolo, spruzzava
di calce le pareti, entrava, senza
nemmeno una goccia di pioggia
anche di notte
dentro i nostri occhi spalancati.
Dal tronco del melo colava pece nera
e a febbraio bisognò abbatterlo intero.
Il fico si salvò scrollandosi di dosso
la veste lieve delle foglie assetate
e a luglio cogliemmo fichi secchi
da terra, come fosse Natale.
La siccità portò via anche due peschi
che si erano avviticchiati l’uno all’altro
all’insaputa di tutti, in un solo albero da fuoco.
*
Per Emily Dickinson
E se covi nel tuo bozzolo un
Mercato di parole-ciottoli
I pay in satin cash – paghi
Lingua e Vita, ma solo in contante
Yes – ti diremo – noi mendicanti.
***
da La materia prima (2012-2017)
Una volta ci fu il tempo passato.
Ovunque vagante negli eterni
ultramondi il pensiero, lo stolto
come il giusto, irrigidito
nel tormentoso intrico del viso.
Ogni cosa vissuta era tenebra.
Ogni gesto compiuto vapore.
*
Una volta ci fu il tempo futuro.
Invocato a durare latente nel seno
di attesi compimenti e di altri mortali
complimenti, più o meno incompleto
di verità relative, di errori stanziali.
Non importava che ogni cosa amata
fosse così arbitrariamente sperata.
Articolo di Maria Borio-Caporedattrice Poesia della Rivista Nuovi Argomenti
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite (“XII Quaderno italiano di poesia contemporanea”, Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).
Per Biancamaria Frabotta di Marco Corsi
La poesia non è fatta per essere ricordata, ma per vivere di bocca in bocca, nelle letture silenziose, sulla pubblica piazza, con toni pacati oppure oscenamente, in allegria, nella tensione, nella più evidente indifferenza. Ecco, gli occhi di Biancamaria non potranno mai risultare indifferenti, neanche ai più indifferenti alla letteratura, perché in quegli occhi ha sempre vissuto l’intelligenza della poesia, con studio, rigore e passione. Ma soprattutto con una straordinaria e pungente umanità attraverso la quale, lei, Bianca, ha saputo farsi interprete partecipe del nostro tempo. Dal movimento femminista degli anni Settanta ai classici, trovando una strada naturale nell’esperienza dei giorni, la sua poesia si è fatta sempre più prossima alla vita, filosofica e a suo modo religiosa, eleggendo a proprio vessillo, negli ultimi anni, il “buen retiro” di Cupi. Quella casa a due passi dall’Uccellina divenuta un luogo di incontri e di amicizia, una spiaggia di poeti senza lido. Gli eterni lavori, I nuovi climi, e poi Da mani mortali sono libri di una maturità estrema e bucolica, profondamente coerente rispetto alla tensione degli esordi. I primi flutti di Affeminata e de Il rumore bianco erano già felicemente approdati nel porto de La vindanza, primo libro uscito nello Specchio Mondadori nel 1995, uniti da quella solida struttura gemellare che congiunge il poemetto Eloisa, che chiude la raccolta dell’82, a quello autobiografico, in senso pieno e compiuto, eponimo al libro uscito più di un decennio dopo. Un libro di assalti e rinunce, ruvidamente attaccato al polipaio della vita, alla sua profondità insondabile, araldica, turbolenta, come un anticiclone. Fu così che si rivelò in maniera forte la sua voce, che già risuonava da decenni sui banchi della Sapienza, a Roma, indicando ai suoi studenti più di una via d’accesso alla poesia, promuovendone lo studio, affidando tesi di laurea su qualcosa di vivo, niente a che fare con la filologia.
Le ragioni del fare poesia sono infaticabili, un «cantiere sempre aperto», manutenzione costante alla vita, quella «sedentaria», quella nomade, quella «ammaestrata» e accudita con prudenza, anche attraverso le parole. Non stupisce dunque il profondo legame della poesia di Bianca con le tante “terre contigue” che ha attraversato, trovando nella distanza un centro inesauribile. Così è stato anche ne La materia prima, raccolta inedita pubblicata nel complessivo Tutte le poesie del 2018, e così sarà ancora nel libro che tra poco vedrà la luce per consegnarci ancora, intera, la sua voce: Nessuno veda nessuno.
Sarà ancora occasione per trovarci annullati nel suo nome, tutti parte del coro umanissimo dell’esistenza.
*
da Il rumore bianco (1982)
per adelaide
Come deve farsi esile, minuta la vita
nel filo scabro di un rigo di poesia
non come una giovinetta tuffarsi
ma assottigliarsi fino a sparirsi
a tradirsi, non il collo maudit
di Ade che ride sotto il cappello
ma un’ode minore, minima, un soffio
eppure una gabbia per le tue movenze
di felino domestico, pulcino danzante, elegante
non chiedermi più, accontentati
la metamorfosi delle tue forme leggiadre
mima, perdonami: è mimesis anch’io.
da La viandanza (1995)
AUTORITRATTO IN TERZA PERSONA
Ieri vantava l’aderanza allo specchio
la sazietà dei piedi ben fatti, patti
in vista di ulteriori concessioni, tempi
più lunghi e magari il tiro
corretto al selvatico bilancio d’età.
Oggi nutre raminghe speranze di sparire
nelle sembianze di un gatto, un colpo di tosse
il lento vogare di un cappello a mezz’aria.
Domani non ci sarà più tempo
per l’uso pigramente italiano
del verbo, il sereno ottativo
del dovrei essere stato.
Ma divampando potesse essere lei una
combusta orma al fuoco dell’ellisse
temeraria, mite ombra e pur sostanza
di quel sole che non teme eclisse.
da Terra contigua (1999)
Arrogante garrivi alle stelle la tua dolce nenia
il fiore ancora in nuce nello scapo
e la felicità, l’ottusità d’una caccia svogliata
mai così rasente alle promesse dell’età sfacciata
ti annoiava e ti seguiva come una cagna fedele
nel subbuglio dei tuoi astratti furori.
E ti eludeva anche da quel suo astuto
gioco a tutti commestibile, ma non a te
che la morte segreta stornavi ad ogni giro
e t’era consorte l’incanto, l’incubo dei bari.
Tu non volevi altro se non l’impossibile
la tratta di favore, il pagamento del riscatto
minacciando altrimenti colpi di testa
colpi di teatro memorabili che l’indomani
bruciavi al nuovo giorno sotto dettatura.
Non tolleravi la dittatura del giorno.
E libertà t’erano gli scuri chiodati
il fresco osceno invito della notte.
da La pianta del pane (2003)
Quasi che il sonno, l’uno all’altra
li rapisse, nel buio intrecciano le dita
si sfiorano con la punta del piede
e pensano – gli estremi si toccano
nel cuore della notte.
Uno dei due già sogna anche per l’altro.
Incline più al contagio che al presagio
s’addormenta l’amore coniugale
mano nella mano, la vita cinta
come per una danza, mentre l’altra
vita preme ai cancelli del rimosso
e li piega. Entrambi sul fianco sinistro.
L’alba li sveglia un poco più fratelli.
da Da mani mortali (2012)
Oltre la soglia del letargo, una foglia
pende ancora a lato del legno, trema
si rimette al vento con l’astuzia dei deboli.
Ha conosciuto la pietra e l’agio delle erbe
la prima generazione dei biancospini.
Irti più del filo spinato che li regge
proclamano la resistenza all’inverno
mentre un riemerso brulichio di molti
silenziosamente li lavora nel tepore.
La pianta è un cantiere sempre aperto
a chi vi torna senza avere memoria.
Sappi che frenerò ogni desiderio
di spronarla, questa ottusa pazienza
di durare, per ora, senza dare ombra.
da La materia prima (2018)
Parlò per bocca tua e disse.
Non stai morendo Bianca.
E fu vero il mio nome.
E fu pace dalla prima linea
ai miei mozzati respiri
fu silenziato il silenzio.
Senza il tuo amore
il suo pensare secondo
l’agire, mio teste
di chiara visione
m’avrebbe rapito, quella
druda, col passo pesante
del suo fiato. Eccomi. Eccoti.
Chiama me, smunta e di poco
sangue. Non posso fermarmi.
Devo andare al confronto
al conforto sicuro
abbandonare la guida del giudizio.
Ma tu insistetti, mio maratoneta
sgomitando, maleducatamente.
Imparate maldestri innamorati.
Non ci si può limitare
a guardare quello che succede.
I testi sono tratti dal volume Tutte le poesie. 1971-2017, postfazione di Roberto Deidier, nota biobibliografica di Carmelo Princiotta, Mondadori, Milano 2018.
Biancamaria Frabotta
Roma 1946 – Roma 2022
DI Patrizia Caporossi
La mela mi insegni è doppiare la metà di sé 1
Di lei colpisce la sensibile determinazione di chi ha vissuto con limpidezza l’esistenza, nelle scelte e nelle circostanze con lo stupore della vita che il tempo spesso travalica malgrado noi. Perché certa nel cuore rimane la forte coscienza-di-sé, di un essere femminile che ha attraversato buona parte della storia del secondo Novecento con l’auto-determinazione dell’allora bambina, della futura ragazza, che non passa invano gli anni Sessanta e Settanta, fedele a se stessa fino all’odierna contemporaneità, dove si conferma per ciò che ha sempre sentito e nutrito: l’opera le coincide.
Ma
“poeta o poetessa? Non come te poeta io sono?/ io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno” 2.
D’altronde acuta, profonda e partecipata con la propria persona è la consapevolezza dell’identità di sé (sessuata).
“Sin dalla prima infanzia impariamo, senza discutere, a dare un sesso a tutto: persone, animali, cose e concetti.(…). Quasi serbassimo la remota memoria di quello che imparammo immersi nel liquido amniotico (…). Le parole cominciarono a fluire alle labbra più rapide dei concetti che si formavano nella mente e talvolta per qualche misteriosa ragione femminile fanno ressa nella gola occludendola con un ostinato silenzio. Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo. Affeminata 3, appunto, sfrontata distorsione di senso, provocazione, proterva venuta alla luce.” 4
Vive a Roma, dove è nata “insieme alla Repubblica” 5, nel giugno del 1946 da un padre comune ma con un’ammaliante e bella calligrafia inclinata verso destra e che regalava molti libri (che Biancamaria conserva come preziosi feticci) e da una madre di Civitavecchia che sapeva di mare con un grande gusto estetico e abilità manuale. Nessuno in famiglia le trasmette il senso esistenziale del segno politico, mentre dalle vicissitudini da sfollati dei nonni materni nasce il senso di viandanza, altro suo neologismo e una delle sue cifre.
Ègrave; la mediana di tre sorelle. Impara a leggere a 5 anni da quei libri paterni. E non ha mai smesso. A 14 anni aveva già letto Guerra e Pace. Pubblica la sua prima poesia a 16 anni dopo l’esito di un concorso della Banca d’Italia dove lavorava il padre. A 18 anni avrebbe voluto fare l’attrice anche perché con la (propria) bellezza ha sempre convissuto troppo nel bene e nel male. “Ero considerata troppo donna, troppo femminista, troppo intelligente, troppo viscerale, troppo accademica, troppo poco accademica, troppo bella, perfino troppo alta. Insomma ero «troppo» tutto, per essere «solo» poeta” 6.
L’incontro con un prete, durante il liceo, condurrà la sua gioventù verso “la rinuncia e il lavoro che precede l’opera” 7, attraverso letture consigliate come Marx, Buber, Rilke. Così s’incammina sulla strada di un certo rigore sessantottino e poi anche di un femminismo separatista. Si laurea in Lettere con una tesi su Carlo Cattaneo, pubblicata con la prefazione di Alessandro Galante Garrone e il Risorgimento rimarrà la passione di studio con la letteratura e Leopardi stesso, grazie alla generosità di Walter Binni che ne coglie la capacità sostenendola a partecipare all’antologia Ideologie politiche del Risorgimento italiano. Dal 1969 è assistente borsista alla Sapienza di Roma, dove era entrata con grande rispetto quasi di riscatto forse dei propri genitori.
Per vivere ha sempre insegnato all’Università coi giovani mantenendo però fede al suo Cattaneo come ne La pianta del pane mai insegnare (solo) per mangiare.
Due anni prima che si laureasse, esplode il ’68 da cui è fortemente attratta e spaventata, priva di esperienza militante trova però temi catturanti (come la critica al consumismo), attacco al cosiddetto mandarinato, col bisogno personale sempre di un proprio contrappeso come fu Cattaneo in quel si scrive bene quando si pensa bene: motto per tutta una vita. Anche al femminismo arriva per l’ansia di giustizia contro la discriminazione e sulla base di uno scatto personale: essere donna con una testa. Non era la carriera pari all’uomo ma la ricerca dell’identità.
Nel 1971 si sposa con il poeta scrittore impegnato Renzo Paris.
Non ha avuti figli. È separata da anni e oggi condivide la sua vita in compagnia di un fisico, Brunello Tirozzi, sposato nel 1993.
“Sono sempre vissuta in coppia e resto fedele a chi non mi opprime con la gelosa ossessività di un amore esclusivo, compresa la poesia cui chiedo la libertà di andare a zonzo per le strade complanari: un romanzo, una trilogia teatrale, radiodrammi lunatici, svariate prose, saggi critici, studi” 8.
La politica attiva nel Manifesto-PdUP la porta con Giuseppina Ciuffreda a coniugare l’ideologia con il femminismo, tanto da dar vita al Collettivo Femminista Comunista di via Pomponazzi, a Roma, pur nel grande combattimento interiore di cui la stagione della rivista «Effe» testimonia, aprendo una grande riflessione sull’autonomia del pensiero femminista.
La Viandanza, termine coniato da Manuela Fraire, nella postfazione al romanzo Velocità di fuga (1989) sta a indicare proprio l’animo femminile sospeso tra trasformazione e perdita nella rivisitazione del primario rapporto materno. Si tratta, infatti, di un poemetto nato in viaggio in treno con la madre dopo la morte del padre.
Il viaggio si affermerà comunque come metafora vivente, girando tutto il mondo più che l’Europa: anzi, i luoghi più lontani possibili. Per poi ritornare al senso della terra, come in Terra contigua (1999) nato lungo la strada in Maremma dove ha una sua casa, passando attraverso il parco dell’Uccellina: una lezione appresa nell’ascolto fra civiltà e natura.
Affeminata (1976) nasce anche grazie a Giulia Niccolai, perché una donna non è una femmina: come segno di una rivolta contro la misoginia dominante. Tanto che ne Il rumore bianco (1982), per metafora scientifica, la sua poesia diventa quel luogo per capire e capirsi. Non è un caso che sia dedicato al proprio psicoanalista perché le contraddizioni si sono aperte e la psicoanalisi col femminismo si è intrecciata e rivisitata continuamente. D’altronde il femminismo coinciderà con la (sua) vita. Solo più tardi con Gli appunti di volo(1985) inizia l’uscita dal carattere di parte per una poesia di scavo sì, ma aperta a tutto, fino ad arrivare o a ritornare con Controcanto al chiuso a un’immersione nella corporeità, anche rispetto alla generabilità e a quello che la maternità implica per una donna, come una sorta di “spossessamento” estraniante di fronte al senso del limite.
La riflessione si volge così fino a oggi sul senso della vita, come Da mani mortali (2012) dove raccoglie il dono della natura ca(r)pendone il limite mortale.
In questo è non solo una poetessa per quell’impossibilità di definirsi solo tale perché la poesia viene e si genera quando vuole come la vita: una sorta di chiamata.
E per una donna è una condizione da cui partire e non semplice vanto da esaltare:
“Post coitum test/ Perfino un voto e intorno a me il vuoto/ ma nulla valse a scalfirlo/ quello splendido utero senza costrutto/ quel cavo oscuro imbuto che così/ strenuamente tenne testa/ al capitombolo innamorato del tuo codino/ pavoneggiante./ Eiaculato limpido, viscosità normale./ Soltanto la reazione si dimostrò alcalina/ ma la vitalità spenta in quell’ora dura/ risorse e ancora dura…/ E dire: sarebbe nato un così bel bambino./ E invece: nemmeno fosse un serpente/ da addomesticare/ un sibilo lungo di vento confuse nei mari mossi/ del grembo il tuo biondo vanto di generare” (in Viandanza).
Nel 1976 pubblica la prima importante antologia femminile, Donne in poesia 9, con prefazione di Dacia Maraini. Le autrici antologizzate sono ventisei: alcune già note come Margherita Guidacci e Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese, mentre altre agli esordi, come Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Significativa la frequentazione con la scuola romana di poeti che poi scuola non era e neanche romana considerando la maggioranza di poeti non romani ma fortemente acquisiti: come primo fra tutti Pier Paolo Pasolini da lei letto fin dal 1959 quando al Liceo le chiedono di parlare di Una vita violenta: quasi la sua prima conferenza. Ma poi Alberto Moravia, Amelia Rosselli, Dario Bellezza che recensì, nel 1977, oltre a Elio Pecora, la sua antologia Donne in poesia.
Il 31 maggio 2016 tiene alla Sapienza l’ultima lezione universitaria con una certa obliqua sua malinconia 10.
Note
1 Il rumore bianco, prefazione di Antonio Porta, Feltrinelli, Milano 1982.
2 Quartetto per masse e voce sola, Donzelli Editore, Roma 2009, p.5.
3 Affeminata, nota critica di Antonio Porta, Geiger editore, Rivalba-Torino 1976.
4 La viandanza, 1995.
5 Quartetto per masse e voce sola, cit., p.6.
6 Ivi, p. 46.
7 p.12.
8 Quartetto per masse e voce sola, cit., p.13
9 Donne in poesia, antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra a oggi, a cura di Biancamaria Frabotta con una nota critica di Dacia Maraini, Savelli, Roma 1976.
10 poesia.blog.rainews.it/2016/05/bianca-maria-frabotta-lultima-lezione/di Luigia Sorrentino.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Biancamaria Frabotta
Poesia
Affeminata, (nota critica di Antonio Porta), Geiger editore, Rivalba-Torino 1976
Il rumore bianco, Feltrinelli, Milano 1982
Appunti di volo e altre poesie, La Cometa, Roma 1985
Controcanto al chiuso, Rossi & Spera Editori, Roma 1991
La viandanza, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995 (Premio Montale 1995)
High Tide, Dublin, Poetry Ireland LTD (versioni inglesi di poesie tratte da La viandanza)
Terra contigua, Empirìa, Roma 1999
La pianta del pane, Arnoldo Mondadori, Milano 2003
Gli eterni lavori, San Marco dei Giustiniani, Genova 2005
I nuovi climi, Stampa, Brunello 2007
Da mani mortali, Arnoldo Mondadori, Milano 2012
Narrativa
Velocità di fuga, Reverdito, Trento 1989 (Premio Tropea 1989)
Quartetto per masse e voce sola, Donzelli, Roma 2009
Teatro
Trittico dell’obbedienza, Sellerio, Palermo 1996
Arte
Controcanto al chiuso (monologo teatrale con due incisioni di Giulia Napoleone), Edizioni della Cometa, Roma 1994
Ne resta uno (sedici haiku con sei incisioni di Giulia Napoleone), Il Ponte, Firenze 1996
Sopravvivenza del bianco (cartella, con sei maniere nere di Giulia Napoleone), Scheiwiller, Milano 1997
Referenze iconografiche: Biancamaria Frabotta nel 2012. Foto di Giammei. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2016
Ultimo aggiornamento: 2023
La mela mi insegni è doppiare la metà di sé 1
Di lei colpisce la sensibile determinazione di chi ha vissuto con limpidezza l’esistenza, nelle scelte e nelle circostanze con lo stupore della vita che il tempo spesso travalica malgrado noi. Perché certa nel cuore rimane la forte coscienza-di-sé, di un essere femminile che ha attraversato buona parte della storia del secondo Novecento con l’auto-determinazione dell’allora bambina, della futura ragazza, che non passa invano gli anni Sessanta e Settanta, fedele a se stessa fino all’odierna contemporaneità, dove si conferma per ciò che ha sempre sentito e nutrito: l’opera le coincide.
Ma
“poeta o poetessa? Non come te poeta io sono?/ io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno” 2.
D’altronde acuta, profonda e partecipata con la propria persona è la consapevolezza dell’identità di sé (sessuata).
“Sin dalla prima infanzia impariamo, senza discutere, a dare un sesso a tutto: persone, animali, cose e concetti.(…). Quasi serbassimo la remota memoria di quello che imparammo immersi nel liquido amniotico (…). Le parole cominciarono a fluire alle labbra più rapide dei concetti che si formavano nella mente e talvolta per qualche misteriosa ragione femminile fanno ressa nella gola occludendola con un ostinato silenzio. Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo. Affeminata 3, appunto, sfrontata distorsione di senso, provocazione, proterva venuta alla luce.” 4
Vive a Roma, dove è nata “insieme alla Repubblica” 5, nel giugno del 1946 da un padre comune ma con un’ammaliante e bella calligrafia inclinata verso destra e che regalava molti libri (che Biancamaria conserva come preziosi feticci) e da una madre di Civitavecchia che sapeva di mare con un grande gusto estetico e abilità manuale. Nessuno in famiglia le trasmette il senso esistenziale del segno politico, mentre dalle vicissitudini da sfollati dei nonni materni nasce il senso di viandanza, altro suo neologismo e una delle sue cifre.
Ègrave; la mediana di tre sorelle. Impara a leggere a 5 anni da quei libri paterni. E non ha mai smesso. A 14 anni aveva già letto Guerra e Pace. Pubblica la sua prima poesia a 16 anni dopo l’esito di un concorso della Banca d’Italia dove lavorava il padre. A 18 anni avrebbe voluto fare l’attrice anche perché con la (propria) bellezza ha sempre convissuto troppo nel bene e nel male. “Ero considerata troppo donna, troppo femminista, troppo intelligente, troppo viscerale, troppo accademica, troppo poco accademica, troppo bella, perfino troppo alta. Insomma ero «troppo» tutto, per essere «solo» poeta” 6.
L’incontro con un prete, durante il liceo, condurrà la sua gioventù verso “la rinuncia e il lavoro che precede l’opera” 7, attraverso letture consigliate come Marx, Buber, Rilke. Così s’incammina sulla strada di un certo rigore sessantottino e poi anche di un femminismo separatista. Si laurea in Lettere con una tesi su Carlo Cattaneo, pubblicata con la prefazione di Alessandro Galante Garrone e il Risorgimento rimarrà la passione di studio con la letteratura e Leopardi stesso, grazie alla generosità di Walter Binni che ne coglie la capacità sostenendola a partecipare all’antologia Ideologie politiche del Risorgimento italiano. Dal 1969 è assistente borsista alla Sapienza di Roma, dove era entrata con grande rispetto quasi di riscatto forse dei propri genitori.
Per vivere ha sempre insegnato all’Università coi giovani mantenendo però fede al suo Cattaneo come ne La pianta del pane mai insegnare (solo) per mangiare.
Due anni prima che si laureasse, esplode il ’68 da cui è fortemente attratta e spaventata, priva di esperienza militante trova però temi catturanti (come la critica al consumismo), attacco al cosiddetto mandarinato, col bisogno personale sempre di un proprio contrappeso come fu Cattaneo in quel si scrive bene quando si pensa bene: motto per tutta una vita. Anche al femminismo arriva per l’ansia di giustizia contro la discriminazione e sulla base di uno scatto personale: essere donna con una testa. Non era la carriera pari all’uomo ma la ricerca dell’identità.
Nel 1971 si sposa con il poeta scrittore impegnato Renzo Paris.
Non ha avuti figli. È separata da anni e oggi condivide la sua vita in compagnia di un fisico, Brunello Tirozzi, sposato nel 1993.
“Sono sempre vissuta in coppia e resto fedele a chi non mi opprime con la gelosa ossessività di un amore esclusivo, compresa la poesia cui chiedo la libertà di andare a zonzo per le strade complanari: un romanzo, una trilogia teatrale, radiodrammi lunatici, svariate prose, saggi critici, studi” 8.
La politica attiva nel Manifesto-PdUP la porta con Giuseppina Ciuffreda a coniugare l’ideologia con il femminismo, tanto da dar vita al Collettivo Femminista Comunista di via Pomponazzi, a Roma, pur nel grande combattimento interiore di cui la stagione della rivista «Effe» testimonia, aprendo una grande riflessione sull’autonomia del pensiero femminista.
La Viandanza, termine coniato da Manuela Fraire, nella postfazione al romanzo Velocità di fuga (1989) sta a indicare proprio l’animo femminile sospeso tra trasformazione e perdita nella rivisitazione del primario rapporto materno. Si tratta, infatti, di un poemetto nato in viaggio in treno con la madre dopo la morte del padre.
Il viaggio si affermerà comunque come metafora vivente, girando tutto il mondo più che l’Europa: anzi, i luoghi più lontani possibili. Per poi ritornare al senso della terra, come in Terra contigua (1999) nato lungo la strada in Maremma dove ha una sua casa, passando attraverso il parco dell’Uccellina: una lezione appresa nell’ascolto fra civiltà e natura.
Affeminata (1976) nasce anche grazie a Giulia Niccolai, perché una donna non è una femmina: come segno di una rivolta contro la misoginia dominante. Tanto che ne Il rumore bianco (1982), per metafora scientifica, la sua poesia diventa quel luogo per capire e capirsi. Non è un caso che sia dedicato al proprio psicoanalista perché le contraddizioni si sono aperte e la psicoanalisi col femminismo si è intrecciata e rivisitata continuamente. D’altronde il femminismo coinciderà con la (sua) vita. Solo più tardi con Gli appunti di volo(1985) inizia l’uscita dal carattere di parte per una poesia di scavo sì, ma aperta a tutto, fino ad arrivare o a ritornare con Controcanto al chiuso a un’immersione nella corporeità, anche rispetto alla generabilità e a quello che la maternità implica per una donna, come una sorta di “spossessamento” estraniante di fronte al senso del limite.
La riflessione si volge così fino a oggi sul senso della vita, come Da mani mortali (2012) dove raccoglie il dono della natura ca(r)pendone il limite mortale.
In questo è non solo una poetessa per quell’impossibilità di definirsi solo tale perché la poesia viene e si genera quando vuole come la vita: una sorta di chiamata.
E per una donna è una condizione da cui partire e non semplice vanto da esaltare:
“Post coitum test/ Perfino un voto e intorno a me il vuoto/ ma nulla valse a scalfirlo/ quello splendido utero senza costrutto/ quel cavo oscuro imbuto che così/ strenuamente tenne testa/ al capitombolo innamorato del tuo codino/ pavoneggiante./ Eiaculato limpido, viscosità normale./ Soltanto la reazione si dimostrò alcalina/ ma la vitalità spenta in quell’ora dura/ risorse e ancora dura…/ E dire: sarebbe nato un così bel bambino./ E invece: nemmeno fosse un serpente/ da addomesticare/ un sibilo lungo di vento confuse nei mari mossi/ del grembo il tuo biondo vanto di generare” (in Viandanza).
Nel 1976 pubblica la prima importante antologia femminile, Donne in poesia 9, con prefazione di Dacia Maraini. Le autrici antologizzate sono ventisei: alcune già note come Margherita Guidacci e Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese, mentre altre agli esordi, come Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Significativa la frequentazione con la scuola romana di poeti che poi scuola non era e neanche romana considerando la maggioranza di poeti non romani ma fortemente acquisiti: come primo fra tutti Pier Paolo Pasolini da lei letto fin dal 1959 quando al Liceo le chiedono di parlare di Una vita violenta: quasi la sua prima conferenza. Ma poi Alberto Moravia, Amelia Rosselli, Dario Bellezza che recensì, nel 1977, oltre a Elio Pecora, la sua antologia Donne in poesia.
Il 31 maggio 2016 tiene alla Sapienza l’ultima lezione universitaria con una certa obliqua sua malinconia 10.
Note
1 Il rumore bianco, prefazione di Antonio Porta, Feltrinelli, Milano 1982.
2 Quartetto per masse e voce sola, Donzelli Editore, Roma 2009, p.5.
3 Affeminata, nota critica di Antonio Porta, Geiger editore, Rivalba-Torino 1976.
4 La viandanza, 1995.
5 Quartetto per masse e voce sola, cit., p.6.
6 Ivi, p. 46.
7 p.12.
8 Quartetto per masse e voce sola, cit., p.13
9 Donne in poesia, antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra a oggi, a cura di Biancamaria Frabotta con una nota critica di Dacia Maraini, Savelli, Roma 1976.
10 poesia.blog.rainews.it/2016/05/bianca-maria-frabotta-lultima-lezione/di Luigia Sorrentino.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Biancamaria Frabotta
Poesia
Affeminata, (nota critica di Antonio Porta), Geiger editore, Rivalba-Torino 1976
Il rumore bianco, Feltrinelli, Milano 1982
Appunti di volo e altre poesie, La Cometa, Roma 1985
Controcanto al chiuso, Rossi & Spera Editori, Roma 1991
La viandanza, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995 (Premio Montale 1995)
High Tide, Dublin, Poetry Ireland LTD (versioni inglesi di poesie tratte da La viandanza)
Terra contigua, Empirìa, Roma 1999
La pianta del pane, Arnoldo Mondadori, Milano 2003
Gli eterni lavori, San Marco dei Giustiniani, Genova 2005
I nuovi climi, Stampa, Brunello 2007
Da mani mortali, Arnoldo Mondadori, Milano 2012
Narrativa
Velocità di fuga, Reverdito, Trento 1989 (Premio Tropea 1989)
Quartetto per masse e voce sola, Donzelli, Roma 2009
Teatro
Trittico dell’obbedienza, Sellerio, Palermo 1996
Arte
Controcanto al chiuso (monologo teatrale con due incisioni di Giulia Napoleone), Edizioni della Cometa, Roma 1994
Ne resta uno (sedici haiku con sei incisioni di Giulia Napoleone), Il Ponte, Firenze 1996
Sopravvivenza del bianco (cartella, con sei maniere nere di Giulia Napoleone), Scheiwiller, Milano 1997
Referenze iconografiche: Biancamaria Frabotta nel 2012. Foto di Giammei. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2016
Ultimo aggiornamento: 2023
Biografia di Biancamaria Frabotta nacque nel 1946 a Roma, città dove crebbe e studiò, laureandosi in lettere alla Sapienza con una tesi su Carlo Cattaneo.[2]
Militò nel Movimento degli Studenti, durante e dopo il Sessantotto, e soprattutto nel Movimento delle Donne, a partire dal 1972, impegnandosi anche nella politica attiva con il Partito Socialista di Unità Proletaria.[3][4] Nel 1976 pubblicò Donne in poesia, che dà grande rilievo alla poesia di Amelia Rosselli e antologizza per la prima volta anche le giovanissime Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Il volume, che ha suscitato un vivace dibattito,[senza fonte] tratta il tema della specificità del linguaggio poetico femminile, ripreso e ampliato in Letteratura al femminile (1980), che indaga le tracce del femminile anche nella letteratura maschile.[2]
Gli interessi accademici della Frabotta si spostarono poi dall’Ottocento al Novecento: la prima monografia fu dedicata nel 1971 a Carlo Cattaneo, la seconda nel 1993 a Giorgio Caproni. Successivamente la Frabotta scrisse saggi e recensioni ad Amelia Rosselli, Franco Fortini, Toti Scialoja, Elsa Morante.[2]
Nel 1989 pubblicò il romanzo, Velocità di fuga, vincitore del Premio Tropea.
Fece parte degli Amici della Domenica per l’attribuzione del Premio Strega,[5] e scrisse per il teatro una serie di atti unici raccolti in Trittico dell’obbedienza (1996).[3] Come traduttrice, pubblicò con Bruno Mazzoni un’antologia della poetessa romena Ana Blandiana.
Collaborò, tra gli altri, con Il manifesto e con L’Orsaminore, rivista fondata insieme a Maria Luisa Boccia, Giuseppina Ciuffreda, Licia Conte, Anna Forcella, Manuela Fraire e Rossana Rossanda.
Nel 2013 fu nominata socia onoraria della Società Italiana delle Letterate.[6]
Ebbe incarichi di docenza alla Sapienza – Università di Roma, dove si era formata alla scuola di Walter Binni, fin dal 1969. Nel 2001 divenne professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea.
In molti suoi testi vi sono riferimenti al paesaggio rurale di Cupi, nella Maremma grossetana, luogo abituale di soggiorno.[7]
In occasione dell’uscita di Tutte le poesie 1971-2017, avvenuta il 20 marzo 2018, partecipò a eventi e trasmissioni come TGR Petrarca, il Salone Internazionale del Libro di Torino, Quante storie[8], il Festivaletteratura di Mantova[9], Poesia Festival, Pordenonelegge, InQuiete, il Caffè di Rai Uno, il Festival del giornalismo culturale, Più libri più liberi.
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