Pier Paolo Pasolini -“La terra di lavoro”-da: Le Ceneri di Gramsci-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Pier Paolo Pasolini -“La terra di lavoro”-da: Le Ceneri di Gramsci
Questo è l’ultimo degli undici poemetti che costituiscono “Le ceneri di Gramsci” di Pier Paolo Pasolini, considerato se non il suo capolavoro uno dei libri più letti per la virulenza dei versi che raggiungono nei testi portanti vertiginose altezze poetiche.
Colpisce il pathos, affiora l’immagine del quadro di Daumier “Il vagone di terza classe” ma gli sguardi di quegli emarginati che si vergognano della loro povertà, vissuta come una colpa, non sono un’immagine descrittiva fine a se stessa. Non sfugge a Pasolini la dolorosa scoperta dello schiacciamento delle masse popolari da parte del potere, vittime di una società che in quei primi anni ’50 si sta delineando nelle sue forme aberranti di privilegio e di esclusione
E questi versi di denuncia non sono altro che il suo bisogno di raccontare le deformazioni della realtà sottraendosi alla logica perversa di una società corrotta e servile.
[…]
Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo
autunnale vela il triste legno,
gli stracci bagnati: se fuori
è il paradiso, qui dentro è il regno
dei morti, passati da dolore
a dolore – senza averne sospetto.
Nelle panche, nei corridoi,
eccoli con il mento sul petto,
con le spalle contro lo schienale,
con la bocca sopra un pezzetto
di pane unto, masticando male,
miseri e scuri come cani
su un boccone rubato: e gli sale
se ne guardi gli occhi, le mani,
sugli zigomi un pietoso rossore,
in cui nemica gli si scopre l’anima.
Ma anche chi non mangia o le sue storie
non dice al vicino attento,
se lo guardi, ti guarda con il cuore
negli occhi, quasi, con spavento,
a dirti che non ha fatto nulla
di male, che è un innocente…
[…]
in una gioia ch’è forse conservata
– come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra – in fondo al cuore
di questi poveri viaggiatori:
vivi, soltanto vivi, nel calore
che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,
e anche la tua pietà gli è nemica.
Pasolini, “Le ceneri di Gramsci”: commento al testo
L’istinto e la passione interiori sembrano incarnati dalla figura del poeta Shelley (seppelito poco distante da Gramsci e a cui il poeta dedica diversi versi), simbolo della “carnale / gioia dell’avventura, estetica / e puerile” a confronto con la forza razionale, incarnata dal pensatore comunista. A questa passione dei sensi e per la vita Pasolini non può rinunciare, se ne sente partecipe, ma anche vittima, come esprime con questa domanda che rivolge a Gramsci: “Mi chiederai tu, morto disadorno, | d’abbandonare questa disperata | passione di essere nel mondo?”.
L’amore per il mondo proletario, destinato a scomparire, è evidente nella malinconica descrizione finale del quartiere operaio Testaccio: gli operai tornano nelle loro case, si accendono rari lumi, i giovani gridano nelle piazze “a godersi eccoli, miseri, la sera e “il buio ha resa serena la sera”. E Pasolini, osservatore di questo mondo e non partecipe delle gioie dei ragazzi, ne constata l’inevitabile declino: “Ma io, con il cuore cosciente | di chi soltanto nella storia ha vita, | potrò mai più con pura passione operare, | se so che la nostra storia è finita?”. La società dei consumi, imponendo nuovi valori e un nuovo linguaggio, è la causa della fine di questo mondo, dal momento che ha omologato i costumi degli italiani, eliminando i tratti più originali del mondo popolare.