Descrizione-Gustav Mahler camminava con gli occhi fissi a terra, per non calpestare alcuna creatura vivente. Poteva darsi che in ogni infima creatura stesse imprigionata una grande anima. La sua idea del divenire nasceva da ciò che Johann Peter Eckermann, nelle Conversazioni con Goethe, fa dire al poeta che il Maestro venerò sopra ogni altro: “La convinzione della nostra immortalità nasce, per me, dal concetto dell’attività; poiché se io opero senza posa fino alla mia morte, la natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza quando questa mia attuale non può più continuare a contenere il mio spirito”. Di questo perenne operare, Mahler fu profeta e martire. Nacque ebreo, divenne cattolico, ma nel suo intimo rimase sempre un panteista devoto al culto della Natura, sorgente di quella spaventosa, demoniaca e insieme angelica, energia che egli si dannò per trattenere nella propria musica. Senza di essa, sarebbe stato solo un epigono dei Romantici, non un neo-pagano con le radici immerse in un esoterismo così primigenio da esserci, oggi, più che mai inquietante. Questo libro rivela le chiavi per accedere al mondo interiore del più contemporaneo tra i Classici.
Indice sommario:
Avvertenza per il lettore
Capitolo I – Il Wunderklavier del fanciullo
Capitolo II – A Vienna, dove l’antisemitismo si chiama censimento
L’incompiuto Quartetto per pianoforte e archi e i primi Lieder giovanili: un’analisi
Capitolo III – Il viandante e la sua ombra
Das klagende Lied: un’analisi
Capitolo IV – Chi ride tra le pagine di un diario?
I Lieder eines fahrenden Gesellen: un’analisi
I Lieder incunaboli dei Lieder eines fahrenden Gesellen: un’analisi
Il rifacimento dei Drei Pintos di Weber: un’analisi
La Sinfonia n. 1 in Re maggiore: un’analisi
Capitolo V – La musica del disertore
I Lieder da Des Knaben Wunderhorn: un’analisi
Capitolo VI – Della vita felice e di altre catastrofi
La Sinfonia n. 2 in do minore “Resurrezione”: un’analisi
La Sinfonia n. 3 in re minore: un’analisi
Capitolo VII – Wiener Blut
“Revelge”: un’analisi
La Sinfonia n. 4 in Sol maggiore: un’analisi
Capitolo VIII – Laddove suonano le belle trombe
“Der Tamboursg’sell”: un’analisi
I Rückert-Lieder: un’analisi
I Kindertotenlieder: un’analisi
La Sinfonia n. 5 in do diesis minore: un’analisi
Capitolo IX – Profilo di manichini su paesaggio montano
La Sinfonia n. 6 in la minore: un’analisi
La Sinfonia n. 7 in mi minore: un’analisi
La Sinfonia n. 8 in Mi bemolle maggiore: un’analisi
Capitolo X – L’amico Hein va a New York
Das Lied von der Erde: un’analisi
La Sinfonia n. 9 in Re maggiore: un’analisi
Capitolo XI – Vers la flamme
Il fantasma della Decima: una catabasi-
Bibliografia. Il Fahrende Geselle dei libri. Un’escursione tra i libri fondamentali dedicati a Mahler (con accenni anche a quelli senza fondamento)
DESCRIZIONE del libro di Piero Rattalino-Sergej Prokofiev–Se si scorre il catalogo delle opere di Prokofiev si capisce subito quanto vasti fossero i suoi interessi di creatore: opere, musiche di scena, sinfonie, concerti, lavori sinfonico-corali, da camera, solistici. Nessun grande compositore del Novecento, e nemmeno dell’Ottocento, presenta una così ampia sventagliata di generi trattati o, meglio, nessuno ha lasciato tracce profonde in ogni campo della musica. Per trovare un altro Prokofiev bisogna risalire al Settecento e imbattersi in Mozart. Sia Mozart sia Prokofiev sono innanzitutto drammaturghi e in ogni fase della loro attività compongono opere liriche. Ma, al contrario di un Verdi o di un Wagner, non concentrano nel teatro tutto il loro impegno creativo. I tempi di Prokofiev non sono in verità i tempi di Mozart. Il pubblico del Settecento “consuma” almeno al 90% musica contemporanea e chiede al compositore novità e novità, il pubblico del Novecento è soprattutto consumatore di musica stagionata e chiede all’interprete ciò che l’avido dente del tempo non ha potuto sgretolare. Perciò Prokofiev, peraltro fecondissimo creatore, compone molto meno di Mozart. Però è “mozartiano” di spirito e si misura anche in un campo, la musica da film, che per ragioni anagrafiche non compariva nel cosmo mozartiano. Possiamo d’altra parte dar per certo che, se fosse stato al servizio di un principe-arcivescovo, Prokofiev avrebbe scritto musica sacra in quantità. Musicisti, entrambi, intus et in cute. Entrambi, ben consci del loro genio, arroganti in quanto uomini. Tormentati entrambi in vita, entrambi indomabili, entrambi, in senso lato, libertini di spirito. Di Mozart sappiamo ormai tutto quel che era possibile sapere. Di Prokofiev non ancora. Ma è compito imprescindibile del XXI secolo studiarlo e capirlo.
Davide Ferella:”Il mandolino nel teatro musicale Settecentesco”
Zecchini Editore
Descrizione del libro di Davide Ferella Il Mandolino-È nel settecento in particolare, secolo tra i più ricchi e complessi della storia d’Europa, che questo legame, questo strano intreccio di vicende, raggiungerà il momento apicale, con sempre più opere colorite dal suono di questo piccolo strumento. Una scelta, quella di affidare al mandolino la conduzione di un’aria, spesso la più caratterizzata e ricca di pathos, mai casuale, bensì dettata da esigenze drammaturgiche finemente studiate da compositori e librettisti. Il suo pizzico, multiforme e cangiante, sarà in grado infatti di esaltare tanto l’aulico canto di Achille e Cleopatra quanto quello, ben più greve e profano, di Don Giovanni e Almaviva. Versatili e suggestive le sue corde guideranno l’ascoltatore attraverso le ambientazioni più disparate, tra le anguste vie di una qualche città campana, lungo immaginifici orizzonti mediorientali. Mozart, Vivaldi, Paisiello e Cimarosa sono alcuni dei musicisti che nel corso del secolo si lasceranno affascinare dal potere evocativo del suo suono, un suono che più d’ogni altro ci ha definiti e tutt’ora ci definisce italiani nel mondo. Conoscere queste vicende è conoscere dunque ancor un poco dell’iridescente universo musicale nostrano, in particolare quello teatrale, nonché apprezzare l’epopea di uno strumento, il mandolino, centrale nella cultura musicale europea del XVIII secolo.
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Pёtr Il’ič Čajkovskij LETTERE DA SANREMO (1877-1878)
A cura di Marina Moretti-Introduzione di Valerij Sokolov
Zecchini Editore Varese
Il soggiorno di Pёtr Il’ič Čajkovskij a Sanremo, dalla fine di dicembre 1877 alla metà di febbraio 1878, si colloca in un periodo cruciale della vita del compositore, che nella fitta corrispondenza indirizzata alle persone più vicine e legate a lui da rapporti di affetto e di lavoro rivela il complesso e a volte contraddittorio e tormentoso intreccio di sentimenti che agitavano il suo animo. Le lettere alla baronessa Nadežda von Meck, al fratello Anatolij, alla sorella Aleksandra Davydova e ad alcuni tra i più importanti esponenti del mondo musicale russo, qui presentate per la prima volta in traduzione italiana, tra le descrizioni dell’ambiente, della vita quotidiana e della sua “anima malata”, ruotano sempre intorno a ciò che per il compositore è centrale: la sua musica e la possibilità di dedicarsi ad essa con tutte le sue forze, per poter “lasciare di se stesso un ricordo duraturo”. E questo gli riuscì anche grazie al periodo sanremese, una tappa importante sulla strada del suo destino.
Pёtr Il’ič Čajkovskij LETTERE DA SANREMO
Biografia di Pёtr Il’ič ČajkovskijMusicista russo (Votkinsk 1840 – San Pietroburgo 1893). Compositore geniale e versatile, tra le sue opere più celebri spiccano Eugenio Oneghin (1879) e La Dama di picche (1890). Assai importante è la produzione che dedicò al balletto, di cui C̆. è considerato, sotto l’aspetto musicale, uno dei padri. I suoi capolavori (Il lago dei cigni, 1876; La bella addormentata nel bosco, 1890; Schiaccianoci, 1892), tengono presenti le esigenze coreografiche e ritmiche della rappresentazione, imponendo e suggerendo agli interpreti nuove e ardite soluzioni. Vita e opereStudiò con A. Rubinstein, e si diplomò a San Pietroburgo nel 1865. Fu professore al conservatorio di Mosca. Compì numerosi giri artistici, quale compositore e direttore, in Francia, Germania, Italia e in altri paesi. Tra le sue musiche emergono specialmente le opere Eugenio Oneghin (1879) e La Dama di picche (1890); i balletti Il lago dei cigni (1876), La bella addormentata nel bosco (1890), Schiaccianoci (1892); la musica per La fanciulla di neve (1873); la IV, la V e la VI (Patetica) tra le sei sinfonie; i concerti per violino op. 35 (1877) e per pianoforte (specie il III, op. 75; 1893). Fu musicista di schietta e generosa natura, non molto disciplinata spiritualmente e piuttosto incline a certa sentimentale eloquenza (soprattutto melodica), oltremodo comunicativa anche per la frequente amplificazione oratoria. Rispetto ai musicisti nazionalisti russi del Gruppo dei Cinque, egli fu il principale esponente della tendenza “occidentalizzante”, anche se i caratteri nazionali sono tutt’altro che assenti nella sua produzione. I suoi lavori sono tuttora popolarissimi: egli è l’autore russo più eseguito in patria, mentre la sua Sinfonia patetica ed anche le Sinfonie IV e V e i Concerti per violino e orchestra e per pianoforte e orchestra sono fra i brani del repertorio sinfonico più frequentemente eseguiti nelle sale da concerto d’Europa e d’America. I suoi balletti sono considerati come pezzi classici del genere e le sue opere teatrali sono state oLe lettere alla baronessa Nadežda von Meck, al fratello Anatolij, alla sorella Aleksandra Davydova e ad alcuni tra i più importanti esponenti del mondo musicale russo, qui presentate per la prima volta in traduzione italiana, tra le descrizioni dell’ambiente, della vita quotidiana e della sua “anima malata”,
Il 6 novembre 1893, a San Pietroburgo, muore Pёtr Il’ič Čajkovskij.Di Čajkovskij sono ben note le pagine strumentali ispirate al nostro Paese: e in questa raccolta inedita di lettere da Sanremo troviamo le ragioni più profonde dell’estetica del compositore più russo di tutti, e insieme più cosmopolita.
Luciano Feliciani-Aaron Copland- Pioniere della musica americana-
Zecchini Editore-Varese
DESCRIZIONE- Libro di Luciano Feliciani-Aaron Copland,Compositore poliedrico, intellettuale raffinato, pioniere della nuova musica classica americana, Aaron Copland ha percorso quasi interamente un secolo travagliato e ricco di cambiamenti come il Novecento. Il libro ripercorre la lunga e straordinaria vita del compositore statunitense, consacrata alla creazione di un nuovo linguaggio musicale che incarnasse lo spirito americano, mettendone in evidenza opere e pensiero estetico. L’influenza della musica di Copland sui compositori americani a lui successivi è indiscutibile, quanto palesi sono la sua originalità e il suo stile musicale unico e immediatamente riconoscibile. Divenuto ben presto leader e guida per la nuova generazione di musicisti americani, i suoi scritti e la sua attività di direttore d’orchestra e interprete hanno contribuito alla promozione ed alla diffusione della musica americana in tutto il mondo. Conclude il libro una trattazione ricca di esempi sulla sua musica, che offre al lettore un’utile traccia per comprendere il suo linguaggio compositivo e i periodi stilistici che caratterizzano la sua opera.
Copland nacque a New York nel 1900, quinto figlio di immigrati ebrei di origine lituana. Si avvicinò alla musica quando era già un adolescente, ascoltando la musica di Chopin, Debussy, Verdi e frequentando corsi di armonia e contrappunto, guidati tra gli altri da Robin Goldmark. Nel 1921 coronò il suo desiderio di studiare in Francia, diventando il primo allievo americano della famosa insegnante e organista Nadia Boulanger, grazie alla quale imparò ad apprezzare compositori antichi, come Monteverdi e Bach, e moderni, come Ravel. In occasione dei concerti della Boulanger negli Stati Uniti Copland scrisse uno dei suoi primi lavori, una sinfonia per organo e orchestra.
Nel 1924, tornò in America e cominciò una fase compositiva influenzata dal jazz. In questo periodo compose Music for the Theater e Concerto per Pianoforte. Nel 1925, insieme ad altri 14 artisti emergenti e meritevoli, ricevette il “Guggenheim Fellowship”. In questi anni compose musica in uno stile più astratto, per poi avere un drastico cambiamento alla metà degli anni Trenta, quando compose musica più accessibile a un grande pubblico.
Dal 1936 al 1946 compose una serie di brani che sono da annoverare tra le sue composizioni più famose: El Salon Mexico, An Outdoor Overture, Billy the Kid, Quiet City, Sonata per Pianoforte, Danzon Cubano, Rodeo, A Lincoln Portrait, Sonata per Violino, Appalachian Spring e la Terza Sinfonia. Questo periodo particolarmente prolifico verrà premiato nel 1945 con il “Premio Pulitzer” per la Musica.
Amico e spesso mentore di grandi figure della musica, come Leonard Bernstein, Lukas Foss e Seiji Ozawa, fu un grande sostenitore dei giovani compositori e dei loro lavori, anche come insegnante al Berkshire Music Festival di Tanglewood.
Nella sua lunga carriera fu insignito di oltre 30 lauree onorarie e di innumerovoli premi.
Copland morì nel 1990, a 90 anni, per le complicazioni della malattia di Alzheimer.
Vita privata
A differenza di molti uomini della sua generazione, Copland non fu mai tormentato dalla propria omosessualità.[1] Si accettò come omosessuale già da giovane e per tutta la vita ebbe rapporti abbastanza duraturi con altri uomini. Fu amante e allo stesso tempo mentore di Leonard Bernstein, ed ebbe relazioni anche con il ballerino Erik Johns, il fotografo Victor Kraft, il compositore John Brodbin Kennedy e il pittore Prentiss Taylor.[2][3]
Pierangela Palma -GIOCONDA DE VITO. La dea del violino-
Con una presentazione di Salvatore Accardo
Zecchini Editore-VARESE-
-GIOCONDA Anna Clelia DE VITO-(Martina Franca 26 luglio 1907- – Roma 1994)-Martina Franca ha dato i natali ad una delle più grandi violiniste del panorama internazionale del Novecento: Gioconda De Vito, donna del profondo sud che è riuscita ad arrivare ai vertici del concertismo internazionale in un’epoca in cui essere donne non era affatto semplice. Un’artista che ha saputo esprimere nel migliore dei modi i tratti distintivi della scuola italiana: profondità di lettura, scrupolosità nei dettagli, rigore ed inflessibilità. Furtwängler, Giulini, Karajan, Fischer e Aprea, sono solo alcuni dei nomi dei partner con cui ha collaborato nella sua luminosa carriera, interrotta bruscamente da un suo volontario ritiro.
Questo libro si propone di ripercorrere le tappe più significative della sua attività artistica, indagando sul suo prematuro ritiro dalle scene e le possibili motivazioni. È un testo ricco di fotografie, carteggi e documenti rari, contiene materiale inedito, proveniente in massima parte dall’Archivio “Gioconda De Vito” della Fondazione “Paolo Grassi” di Martina Franca.
Vi sono inoltre lettere di Kubelík, Menuhin, Furtwängler, Šostakovic nonché telegrammi di Benito Mussolini e varia altra documentazione che attesta la sua vita artistica nel corso del ventennio fascista.
Completano il volume interviste ed esempi musicali che riportano diteggiature ed arcate della De Vito.
GIOCONDA DE VITO
Gioconda de Vito (26 July 1907 – 14 October 1994) was an Italian-British classical violinist. (The dates 22 June 1907 and 24 October 1994 also appear in some sources.[1])
Life
De Vito was born, one of five children, in the town of Martina Franca in southern Italy, to a wine-making family. Initially she played the violin untaught, having received only music theory lessons from the local bandmaster. Her uncle, a professional violinist based in Germany, heard her attempting a concerto by Charles Auguste de Bériot when she was aged only eight, and decided to teach her himself. At age 11, she entered the Rossini Conservatory in Pesaro to study with Remy Principe. She graduated at age 13, commenced a career as a soloist, and at age 17 became Professor of Violin at the newly founded conservatory in Bari. In 1932, aged 25, she won the first International Violin Competition in Vienna. After she played the BachChaconne in D minor, Jan Kubelík came up to the stage and kissed her hand (she later appeared under the baton of Kubelik’s son Rafael Kubelík).
She then taught at Palermo and Rome, at the Accademia di Santa Cecilia. She had earlier been presented to Benito Mussolini, who greatly admired her playing, and he used his influence to get her the Rome post. World War II interrupted what would otherwise have been the most productive period of her burgeoning career. In 1944, she was given the unique honour of a lifetime professorship at the Academy.[2]
De Vito played under Wilhelm Furtwängler a number of times, and had a great affinity for his approach. In 1953[3] they also played a Brahms sonata at Castel Gandolfo for Pope Pius XII, the choice of Brahms being the Pope’s own request. In 1957 de Vito played the Mendelssohn concerto for the Pope. A member of the audience later sent her a letter saying that he was no longer an atheist, because her playing of the slow movement had made him realise there must be a God.
During that concert, de Vito realised she had reached the pinnacle of her career, and decided to retire in another three years. After informing the pope of her decision, Pius XII tried for an hour to dissuade her, saying she was far too young to retire so early, but to no avail. During the final years of her career, de Vito collaborated with Edwin Fischer, who was also nearing the end of his career. At their recording sessions for the Brahms sonatas Nos.1 and 3, he had required medical attention. The recording of Sonata No. 2 was assumed by Tito Aprea in 1956, after they successfully recorded Beethoven’s Kreutzer and Frank’s A major sonatas. Edwin Fischer died in 1960.
In 1961, at the age of 54, De Vito retired from concert appearances and from any violin playing at all. She also decided not to teach. Once while on holiday in Greece, she encountered Yehudi Menuhin on a beach and she agreed to play some duets with him at his villa. Unfortunately, when they arrived at the villa, Menuhin realised he did not have a spare violin with him, so the opportunity to resume playing did not materialize. However, she had recorded Viotti’s Duo in G with Menuhin in 1955 and they recorded Handel’s Trio Sonata in G minor with John Shinebourne, cello and Raymond Leppard, harpsichord. Both recordings are included Disc 41 of Menuhin – the Great EMI Recordings. Two years earlier Menuhin, de Vito and Shinebourne along with harpsichordist George Malcolm, recorded Handel’s Op.5/2 “Sonata for 2 Violins and Continuo in D” (Complete EMI Recordings, Korean issue from 2013). All of these works were recorded in EMI’s Abbey Road Studio No.3.
De Vito’s repertoire was small; it excluded most of the popular violin concertos written after the 19th century (for example, those by Elgar, Sibelius, Bartók, Berg, Bloch and Walton) – the sole exception being the Pizzetti concerto. Her particular favourites were “the three Bs” – Bach, Beethoven and Brahms. Her major recordings were issued in 1990 as The Art of Gioconda de Vito. They include the Bach Double Violin Concerto with Yehudi Menuhin, conducted by Anthony Bernard.
Private life
In 1949, de Vito married David Bicknell, an executive with EMI Records, and although she lived in Britain from 1951, her English was always rudimentary and she often required a translator. Bicknell died in 1988, and Gioconda de Vito died in 1994, aged 87.
Relazione di Daines Barrington alla Royal Society, 28 novembre 1769
Ricevuta il 28 novembre 1769
VIII. Relazione circa un notevolissimo giovane musicista. In una lettera dell’onorevole Daines Barrington F.R.S. a Mathew Maty, M.D. Segr. R.S.
Letta il 15 febbraio 1770
Signore,
Se vi inviassi una ben circostanziata relazione circa un ragazzo alto sette piedi all’età di neppure otto anni, essa potrebbe essere considerata non immeritevole dell’attenzione della Royal Society. Il caso, che ora desidero voi riferiate a codesta dotta istituzione, di una precoce manifestazione dei più straordinari talenti musicali, sembra forse richiamare allo stesso modo la sua attenzione.
Johannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart nacque a Salisburgo, in Baviera, il 17 gennaio 1756. Un musicista e compositore assai competente mi ha informato di averlo visto spesso a Vienna, quando aveva poco più di quattro anni.
A quell’epoca non soltanto era in grado di eseguire brani sul suo strumento preferito, il clavicembalo, ma ne componeva pure alcuni, semplici per stile e gusto, ma particolarmente apprezzati.
[…]
Gli portai un duetto manoscritto, composto da un gentiluomo inglese su alcune celebri parole tratte dall’opera Demofoonte di Metastasio.
L’intera partitura era in cinque parti, ossia l’accompagnamento di un primo e un secondo violino, le due parti vocali e un basso.
Devo inoltre menzionare che le parti della prima e della seconda voce erano scritte in quella che gli Italiani chiamano chiave di contralto; la ragione per prendere nota di questo particolare apparirà tra breve.
Portando con me questa composizione manoscritta, avevo intenzione di ottenere una prova inoppugnabile della sua abilità come esecutore a prima vista, essendo assolutamente impossibile che potesse aver mai visto quella musica in precedenza.
Non appena la partitura fu collocata sul suo leggio, cominciò a suonare la sinfonia nella maniera più magistrale, tanto nel tempo quanto nello stile, nel pieno rispetto delle intenzioni del compositore.
Faccio menzione di questa circostanza, perché i più grandi maestri spesso trascurano questi particolari alla prima prova.
La sinfonia terminò ed egli prese la parte superiore, lasciando a suo padre quella inferiore.
La sua voce, nel tono, era esile e infantile, ma nulla potrebbe superare la maniera magistrale in cui egli cantò.
Suo padre, che nel duetto eseguì la parte inferiore, sbagliò una o due volte, sebbene i passaggi non fossero più difficili di quelli nella parte superiore; in tali occasioni il figlio si voltò a guardarlo con una certa irritazione, mostrandogli gli errori e correggendolo.
[…]
La sua capacità di improvvisazione, della quale sono stato testimone, dimostra che il suo genio e la sua inventiva devono essere stati strabilianti. Però temo di diventare eccessivo nel tessere le sue lodi, per cui permettetemi di firmarmi, signore,
il vostro più fedele
umile servitore,
Daines Barrington-
Questo è l’estratto di una lunga, curiosa, e interessantissima relazione del 28 novembre 1769. Se volete leggerla integralmente (ne vale la pena!) ecco il link del cofanetto nel formato cartaceo:
Viaggio intorno ai personaggi nelle opere di Verdi, Donizetti, Puccini, Giordano e Leoncavallo
ZECCHINI Editore-Varese
Descrizione del libro Dalla Storia alla Musica-Le troppe finestre su regge e dimore consentono occhiate su segreti della grande Storia e altrettanto avviene pei modesti spiragli su stanzette e mansarde, pur sempre storia questa, al pari di quella, di un’umanità effettivamente vissuta: che sia stato presso le Corti di Spagna, di Francia o d’Inghilterra, o da uno Chénier poeta di sociali appelli o, non ultimi, da bohémien e guitti dell’umana commedia. È questo che abbiamo inteso fare narrando di un ulteriore gruppo di Reinventati dal Vero, questa volta in chiave anche maschile, condividendo col lettore tanti grandi e piccoli amori, onori e disonori, sollievi e cadute che Verdi, Donizetti, Puccini, Giordano e Leoncavallo hanno eternato per il tramite dell’amata Musica.
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A cura di Marina Moretti-Introduzione di Valerij Sokolov-Zecchini Editore
Pёtr Il’ič Čajkovskij viaggiò molto nell’Europa occidentale, alla ricerca di luoghi dove svolgere serenamente la sua attività di compositore, e l’Italia occupò un posto unico tra i paesi stranieri in cui egli visse.
Dal 1874 fino al 1890 furono numerosi i soggiorni a Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Sanremo, oltre a brevi soste a Milano, Genova, Pisa. Immergendosi in un’atmosfera di bellezza e di cultura, imparando a conoscere e ad amare i capolavori di cui è ricca l’Italia, il compositore cercava l’equilibrio interiore e la concentrazione che gli consentivano di creare la sua musica, in cui non di rado risuonavano le melodie ascoltate nelle strade o ispirate dalla natura e dalla cultura italiane. Dall’Italia Čajkovskij scrisse ai suoi numerosi corrispondenti moltissime lettere nelle quali raccontava ciò che vedeva, le sue impressioni, i suoi stati d’animo, il modo in cui si svolgevano la sua vita e il suo lavoro, i suoi progetti.
Ora tutte le lettere dall’Italia, finora accessibili soltanto in russo (e in piccola parte in inglese), sono per la prima volta tradotte e pubblicate in italiano. È un’occasione straordinaria e unica per penetrare nel mondo interiore di un grande musicista e seguirlo durante 16 anni di vita, in cui furono composte opere mirabili, entrate per sempre nel novero dei grandi capolavori mondiali.
Ed ecco la seconda novità di ottobre 2024.
Pёtr Il’ič Čajkovskij è stato definito “un genio sempre giovane la cui musica è piena di fuoco genuino e di ispirazione”. Ampliando il progetto realizzato con le “Lettere da Sanremo”, questa volta Marina Moretti traduce (per la prima volta) tutte le lettere scritte dall’Italia dal compositore: risalenti agli anni tra 1874 e 1890, offrono uno spaccato fondamentale dell’arte e della psicologia di Čajkovskij, e sono assolutamente imperdibili per ogni appassionato di musica.
Giuseppe Clericetti -CAMILLE SAINT-SAËNS- Il Re degli spiriti musicali-
Zecchini Editore Varese
Il 16 dicembre 1921, alle 22.30, dopo una giornata di lavoro e studio, Camille Saint-Saëns si spegne nel suo letto, ad Algeri.
Dal libro di Giuseppe Clericetti, “Camille Saint-Saëns. Il Re degli spiriti musicali”:
In una lettera del 1914 a Gabriel Renoud, Saint-Saëns ammette che il suo animo ha subito duri colpi: ma non gli hanno tolto la fede, «l’avevo già persa». Il Nostro si riferisce verosimilmente al momento della perdita dei suoi due figli, nel 1878. In un’altra lettera dell’epistolario con Gabriel Renoud, Saint-Saëns parla esplicitamente del suo credo:
«[…] È stata una crisi terribile, una lacerazione orribile; capisco bene che molti rifiutano questa lotta! Ci si accontenta di una religiosità vaga; si recita il Credo senza riflettervi, senza vedere le impossibilità che esso enuncia a ogni parola, ed è così che vivono i nove decimi dei cristiani, rimettendosi al prete per farsi spiegare i dogmi che egli non spiega, il dogma essendo per definizione incomprensibile all’intelligenza umana… Quando scrivo musica religiosa mi metto volontariamente in questo stato di religiosità vaga, nel quale vive la maggioranza dei fedeli, ciò mi permette di scriverla in tutta sincerità».
Ciononostante la chiesa si approprierà dell’immagine post mortem di Saint-Saëns: la fotografia ufficiale del compositore sul suo letto di morte lo mostra con un crocifisso in grembo.
La Società Astronomica di Francia commenta le esequie religiose solenni: «il suo animo non credente ne ha riso».
CAMILLE SAINT-SAËNS
Visionario, artigiano, sperimentatore.
VIII+292 – f.to cm. 17×24 – Illustrato – Euro 37,00
Su Camille Saint-Saëns possiamo scoprire (quasi) tutto grazie ai due volumi di Giuseppe Clericetti, tanto diversi quanto insostituibili su un compositore considerato uno dei massimi rappresentanti dell’arte musicale del XIX secolo.
“Il Re degli spiriti musicali” costituisce il primo studio pubblicato in Italia su Saint-Saëns ed è articolato in due parti: una prima sezione presenta la biografia del compositore e la seconda parte è dedicata ai suoi scritti; il libro è completato dall’elenco delle sue composizioni, la bibliografia, l’indice dei nomi e una serie di preziose fotografie e illustrazioni.
Il secondo volume, “Visionario, artigiano, sperimentatore”, investiga i suoi poemi sinfonici che inaugurano il genere su territorio francese, il prezioso corpus delle 127 mélodies, i numerosi nessi con la musica di Mozart, i curiosi autoimprestiti, la prima partitura d’autore dedicata all’accompagnamento musicale in àmbito cinematografico, per finire con un esercizio di confronti interpretativi sulle prime registrazioni di Samson et Dalila.
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