Roma-Alla Gallerie Nazionali Barberini Corsini -Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma
Roma-Alla Gallerie Nazionali Barberini Corsini -Curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, e organizzata in collaborazione con le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma, l’esposizione testimonia l’estro pienamente moderno del giovane pittore attraverso una selezione di 56 dipinti. Prima del suo genere a Urbino, città che il giovane Cantarini frequentò, la mostra è anche l’occasione per celebrare l’ingresso, nelle collezioni di Palazzo Ducale, delle opere del Pesarese che, dopo il deposito della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e delle due grandi pale arrivate dalla Pinacoteca di Brera con il progetto 100 opere tornano a casa, si è arricchita di un ulteriore nucleo di opere, grazie all’accordo di comodato sottoscritto con Intesa Sanpaolo, comprendente anche cinque dipinti di Cantarini.
Simone Cantarini (1612-1648)
L’esposizione intende presentare al pubblico una selezione di opere del Pesarese, il cui corpus pittorico – accresciutosi notevolmente – sarà per l’occasione ulteriormente incrementato da opere inedite provenienti da collezioni pubbliche e private. Grazie a prestigiosi prestiti da musei italiani ed europei, importanti opere di Cantarini ospitate negli ambienti storici di Palazzo Ducale, recentemente riallestiti, saranno accostate per la prima volta a numerosi capolavori del pittore e di maestri a lui contemporanei, al fine di presentare al pubblico l’intera parabola artistica del pittore nel suo contesto.
Simone Cantarini (1612-1648)
Il progetto espositivo si pone l’obiettivo di approfondire aspetti ancora poco noti della produzione artistica di Cantarini: la sua prima attività nella terra d’origine, i rapporti con la famiglia Barberini e in particolare con il cardinal legato Antonio Barberini junior, il funzionamento della sua bottega e, in filigrana, il suo rapporto con Guido Reni a Bologna, segnato dal litigio a seguito della Trasfigurazione di nostro Signore commissionata dai Barberini nel 1637 per la chiesa del Forte Urbano a Castelfranco. Mentre il Montefeltro scompariva dall’orizzonte della storia sotto l’assalto dei Medici prima e di Urbano VIII Barberini dopo, il Pesarese metteva a punto un linguaggio straordinariamente innovativo, frutto della sua formazione marchigiana sotto il segno di Raffaello e Barocci, unita al modello reniano appreso a Bologna tra il 1630 circa e il 1639 e allo studio dell’antico al quale si era dedicato nel biennio romano inquadrato nell’equipe di casa Barberini (1640-1642). La sua originale sintesi di classicismo e naturalismo, riconducibile al suo ritorno a Bologna a seguito della morte di Guido nel 1642 e alla disfatta dei Barberini segnata dalla guerra di Castro del 1641 e dalla morte del papa nel 1644, chiudeva un’epoca gloriosa, all’insegna di nuovi orizzonti. Il soggiorno romano si presentava infatti come una sorta di ritorno al grande stile dei bolognesi e tornato a Bologna, Simone si dedicò molto all’invenzione e all’elaborazione del progetto. Il suo linguaggio, che diventò vera e propria maniera, non guardava infatti soltanto ai modelli aulici dei campioni urbinati, ma si apriva a ventaglio a stimoli più aggiornati, provenienti da Roma e Bologna.
Simone Cantarini (1612-1648)
L’esposizione ruota attorno ai seguenti nuclei tematici: il ritratto – per cui secondo Carlo Cesare Malvasia (1678) Cantarini era “provisto di una particolar dote” – (Autoritratto, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Galleria Corsini; Ritratto di Guido Reni, Bologna, Pinacoteca Nazionale; Ritratto di Eleonora Albani Tomasi, Pesaro, Collezione Banca Intesa Sanpaolo; Ritratto di Antonio Barberini junior, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini), i temi profani (Allegoria della pittura, Repubblica di San Marino, Collezione Cassa di Risparmio; Ercole e Iole, Roma, Collezione privata; Giudizio di Paride, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, in deposito presso Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) e il rapporto di Cantarini con gli altri maestri del suo tempo, a partire appunto da quello col Reni, che verrà mostrato nel percorso espositivo attraverso il confronto con alcune delle produzioni che Simone emulò come il San Girolamo (Parigi, Galerie Canesso), il Davide e Golia (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche – donazione Volponi), il San Giuseppe (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Galleria Corsini) e il San Giovanni Battista (Londra, Dulwich Picture Gallery).
Poggio Mirteto(RI)- ospita la Mostra “PLAUTILLA BRICCI-Architettrice a Roma nel Seicento”-
Poggio Mirteto (Rieti)-ospita la Mostra “Plautilla Bricci ” la prima donna architetto nella storia dell’arte. Valente disegnatrice, pittrice capace, musicista dilettante e persino scultrice, Plautilla Bricci fu anche un’esperta architetta. La sua fama nel campo dell’architettura si deve all’abate Elpidio Benedetti, che le commissionò il Casino del Vascello sul Gianicolo e un’intera cappella in una delle chiese più importanti di Roma: una circostanza così eccezionale da richiedere l’invenzione di un termine appropriato, “architettrice”, per sugellare il riconoscimento ufficiale della donna in un settore artistico al tempo riservato esclusivamente agli uomini. La mostra vuole presentare i progetti dell’architettrice Plautilla Bricci nel panorama della Roma seicentesca. Oltre alla Villa del Vascello e la cappella del Re Santo in San Luigi dei Francesi, anche i progetti per la scalinata di Trinità dei Monti e il reliquario in San Giovanni in Laterano.
Dal 31 Marzo al 31 Maggio 2025
“PLAUTILLA BRICCI-Architettrice a Roma nel Seicento”
Chi era Plautilla Bricci
Donna “libera” e signora romana, Plautilla Bricci (1616-1692) è l’unica artista universale donna nell’Europa di età moderna. Valente disegnatrice, pittrice capace, musicista dilettante e persino scultrice, Plautilla Bricci fu anche un’esperta architetta. La sua fama nel campo dell’architettura si deve all’abate Elpidio Benedetti (1610-1690), che le commissionò il Casino del Vascello sul Gianicolo e un’intera cappella in una delle chiese più importanti di Roma: una circostanza eccezionale anche da richiedere l’invenzione di un termine appropriato, “architettrice”, per sugellare il riconoscimento ufficiale della donna in un settore artistico al tempo riservato esclusivamente agli uomini.
La mostra vuole presentare i progetti dell’architettrice Plautilla Bricci nel panorama della Roma seicentesca. Oltre alla Villa del Vascello e la cappella del Re Santo in San Luigi dei Francesi, anche i progetti per la scalinata di Trinità dei Monti e il reliquario in San Giovanni in Laterano.
“… la terza maniera è il fabricar sempre in presenza dell’Architetto,, il quale se sarà buono e ideale farà mettere benissimo in essecutione le sue idee senza un minimo errore…”
(da ASCL, vol. FF xx, cc. 373-377 Lettera di Plautilla Bricci al Signor Antonio degli Effetti per il pagamento del reliquario di San Giovanni in Laterano)
“…li modelli sempre si devono pagare, e sempre si è costumato pagarli…”
(da ASCL, vol. FF xx, cc. 373-377 Lettera di Plautilla Bricci al Signor Antonio degli Effetti per il pagamento del reliquario di San Giovanni in Laterano)
“La volta del timpano è parimenti ornata di stucchi in varij ripartimenti con pitture della signora Plautilla Bricci, che trahono gl’applausi da ognuno e la stima da i più intendenti”
(Dal volume Villa Benedetta di Elpidio Benedetti, stampato a Roma 1677)
Plautilla Bricci, una donna emancipata al secolo del Re Sole
-Fonte Rivista ELLE– Plautilla Bricci è stata per molto tempo un personaggio della storia dell’arte poco noto e conosciuto e solo negli ultimi anni la sua figura è tornata in auge ed è stata indagata attraverso mostre e percorsi museali perché è stata la prima e unica architetta del suo tempo. Nel Seicento, infatti, per le donne era particolarmente difficile emergere in qualsiasi ambito dell’arte e della cultura data la società prettamente patriarcale, eppure Plautilla è riuscita nell’impresa che molte giovani del suo tempo hanno tentato invano. Incontriamo più da vicino questa complessa figura di donna e di professionista in un tempo in cui alle donne era permesso solo di essere madri e mogli.
È stato decisamente particolare il cammino intrapreso da Plautilla Bricci per affermarsi come prima donna architetto nell’Italia del Seicento: ha potuto godere di un’indipendenza e un’autonomia impensabili per una donna della sua epoca, considerato che non si sposò o prese mai i voti. Come le altre sue colleghe, anche lei era figlia d’arte: è stato proprio il padre Giovanni, infatti, ad avviarla nella sua bottega senza limitarsi a insegnarle i rudimenti del disegno e del colore ma introducendola anche alle basi dell’architettura.
Le sue prime opere PlautillaBricci le ha realizzate proprio per il padre. All’inizio si era dedicata a dipinti di teste e a busti di Madonne che le più importanti botteghe del tempo, però, non presero in considerazione. Solo tramite il padre riuscì a ottenere la sua prima commissione: il genitore, infatti, le offrì la sua rete di contatti e committenze e permise così alla figlia di mettersi in gioco.
Il percorso professionale di Plautilla Bricci
Era il 1640 quando Bricci si dedicò alla sua prima pala d’altare per la chiesa di Santa Maria in Montesanto: si trattava di quella “Madonna con Bambino” che cambierà completamente la vita dell’artista. Non era stato facile per la giovane dedicarsi alla pala dato che era abituata a lavorare su piccoli quadri: leggenda vuole che Plautilla, addormentatasi per la stanchezza e la difficoltà richieste dall’opera, al suo risveglio abbia trovato la pala già completata.
Questo ipotetico episodio miracoloso contribuì a rendere il suo nome noto nell’ambiente e le valse la conoscenza di suor Maria Eufrasia della Croce, sorella dell’abate Elpidio Benedetti, una delle figure più influenti di Roma, consigliere prima del famigerato cardinale Mazzarino e poi agente di re Luigi XIV, il Re Sole. Conoscere una personalità tanto influente nel gioco politico tra Roma e Parigi permise all’artista romana di cimentarsi e ricevere importanti commissioni, di essere impegnata nella progettazione di opere illustri nonché nell’ideazione di apparati decorativi tra i più importanti della città (suo il progetto per la scalinata di Trinità dei Monti). L’abate Benedetti, da cultore dell’arte, conosceva tutti gli artisti più famosi dell’epoca, dal Bernini a Pietro da Cortona, da Andrea Sacchi a Giovan Francesco Romanelli, e grazie a lui Plautilla Bricci riuscì a rendere reali le sue aspirazioni e le sue ambizioni affermandosi come architetta. Tale evento fu tanto più eccezionale da far nascere appositamente per lei un termine nuovo, quello di architettrice, per definire il suo ruolo in un settore che fino ad allora era stato, come molti, esclusivamente riservato agli uomini.
Proprio sull’inizio della sua professione di architetta, molti restano ancora i punti da chiarire: si ipotizza che l’influenza del Benedetti fosse stata ancora una volta imprescindibile per l’artista, cui forse l’abate affidò la ristrutturazione di una casa che aveva preso in affitto. Altri studiosi di Plautilla Bricci sono concordi nel supporre che la giovane abbia frequentato la scuola per architetti di Cassiano dal Pozzo e che abbia messo in pratica tali insegnamenti già nel cantiere dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, insieme al fratello Basilio, nel 1612. L’essere donna, inoltre, deve averla ostacolata non poco nel prendersi i propri meriti: sarà solo dopo i cantieri del Vascello e di San Luigi dei Francesi che la Bricci riuscirà a emanciparsi come artista indipendente.
Plautilla Bricci e Villa del Vascello, l’opera più rappresentativa
La sua opera più famosa è stata Villa Benedetta fuori Porta San Pancrazio, meglio nota come il Vascello, che è stata pesantemente danneggiata durante l’assedio dei francesi nel 1849. La villa sarebbe stata la nuova dimora del suo mecenate, l’abate Benedetti. I lavori partirono nel 1663 e vi presero parte anche artisti come Bernini, Cortona e Grimaldi, tutti diretti da Plautilla. Proprio perché era una donna al comando del cantiere, che l’inizio dei lavori non si dimostrò dei più rosei: il capocantiere, infatti, non intendeva prendere ordini da una donna e minacciò di mollare. L’abate intervenne e lo obbligò a firmare alla presenza di un notaio un atto in cui si impegnò formalmente a obbedire a Plautilla Bricci, definita nel contratto come l’architettrice.
In tale occasione, inoltre, la Bricci non ricoprì solo il ruolo di architetta ma anche di pittrice: si occupò, infatti, anche delle decorazioni interne dell’edificio realizzando numerosi affreschi oltre a un dipinto a olio per la cappella del palazzo, con soggetto l’assunzione della Vergine. Le volte delle tre gallerie che progettò per il piano nobile del palazzo, ornate da specchi e trofei con pavimenti in maiolica bianca e nera, vennero decorate dagli affreschi di Pietro da Cortona, Grimaldi e Allegrini. La struttura, nota anche come Villa Benedetti e in seguito Villa Giraud, dal nome di uno dei suoi proprietari, è passata alla storia come villa del Vascello per la sua forma desueta.
Le ultime opere di Plautilla Bricci
Tra il 1671 e il 1680 invece Plautilla Bricci si occupò interamente della progettazione della cappella di San Luigi presso la chiesa di San Luigi dei Francesi per l’abate Benedetti e per la quale realizza anche la pala d’altare raffigurando “San Luigi IX di Francia fra la Storia e la Fede”. Nel 1675 la Compagnia della Misericordia di Poggio Mirteto le commissionò uno stendardo per le processioni che rappresentava la nascita e il martirio di San Giovanni Battista; mentre dal 1683 al 1687 fu impegnata nella realizzazione della “Madonna del Rosario con i santi Domenico e Liborio” per la collegiata di Santa Maria Assunta di Poggio Mirteto. Quando nel 1690 l’abate Benedetti muore, le lasciò una casa a Trastevere di cui, però, la sua pupilla poté godere solo per poco tempo: quando anche il fratello Basilio la lascerà, deciderà di trasferirsi nel monastero di Santa Margherita in Trastevere dove resterà fino alla fine dei suoi giorni.
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