Vienna
Ilse Aicbhinger Poesie “Consiglio gratuito”
Biblioteca DEA SABINA
Ilse Aicbhinger Poesie “Consiglio gratuito” traduzione di Giusi Drago
I
Dein erstes Schachbuch,
Ibsens Briefe,
nimms hin,
wenn du kannst,
da, nimm schon
oder willst du lieber
die Blattkehrer
von deiner Wiese treiben
und Ibsens Ziegen
darauf,
gleich weiß, gleich glänzend?
Es gibt Ziegen und es gibt Ibsens Ziegen,
es gibt den Himmel und es gibt eine spanische
Eröffnung.
Hör gut hin, Kleiner,
es gibt Weißblech, sagen sie,
es gibt die Welt,
prüfe, ob sie nicht lügen.
I
Il tuo primo libro di scacchi,
le lettere di Ibsen,
accettalo
se puoi,
forza, prendilo
oppure preferisci
cacciar via dal tuo prato
gli spazzafogli
e insieme a loro
le capre di Ibsen,
altrettanto bianche, altrettanto splendide?
Ci sono le capre e ci sono le capre di Ibsen,
c’è il cielo e c’è un’apertura
spagnola.
Ascolta bene, piccolo,
ci sono gamelle bianche, dicono,
c’è il mondo,
verifica che non mentano.
II
Und frag sie,
was der fremde Thorax
im Garten soll,
schon versteinert,
der erste in diesem Frühling
zwischen den Brombeerhecken,
Mäusen
und der Mauer,
an die das Wasser
für uns schlägt,
was er dem Garten nützt.
Ob er ihn nötig hätte,
unseren Garten,
oder der Garten ihn.
II
E chiedilo a loro
che ci fa in giardino
quel torace estraneo
già pietrificato,
il primo in questa primavera,
fra le siepi di more
i topi
e il muro,
dove l’acqua
batte per noi,
chiedi se è utile al giardino.
Se è lui ad averne bisogno
del nostro giardino,
o il giardino di lui.
III
Und
daß uns etwas zugetragen wurde
von Laufzeiten.
Ob die mit Lauf, mit Läufen zu tun hätten,
mit Läuften, mit den Zeiten
oder mit nichts davon.
III
E
che ci venne riferito qualcosa
dei tempi di decorso.
Se abbiano a che fare con il correre, con le corse,
con i ricorsi, con i tempi
o con niente di tutto ciò.
Il libro Consiglio gratuito(qui si presenta la poesia che dà il titolo alla raccolta) è ritenuto fin dal suo apparire nel 1978 un punto culminante della poesia del dopoguerra in lingua tedesca. I consigli che l’autrice dispensa “gratuitamente” nei suoi versi sono moniti di natura etica e conoscitiva, atti di ribellione dettati da un’esigenza indomabile di superare la menzogna e insieme ad essa l’addormentamento delle coscienze. La sua lingua sembra a tratti quotidiana, concreta, composta di parole comuni (carbone legna neve monti erbe), a tratti estraniante, ispida, reticente, oscura, specie quando la Aichinger si confronta con l’esperienza della barbarie nazista o riflette – con sguardo quasi filosofico – sulla natura violenta e menzognera del linguaggio. Consiglio gratuito è l’unica raccolta poetica di Ilse Aichinger.
*
Consiglio gratuito, tradotto da Giusi Drago, è uscito nel mese di maggio con Ibis edizioni, FinisTerrae – nella collana Le Meteore diretta da Domenico Brancale e Anna Ruchat.
Breve Biografia
Ilse Aichinger, nata a Vienna nel 1921, è una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi
sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è
medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura
la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il premio del Gruppo 47 per il suo
racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter
Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore
a propria volta. Aichinger si spegne a Vienna nel 2016.
Ilse Aichinger ha scritto racconti, aforismi in forma di diario, riflessioni sulla scrittura e
radiodrammi. In italiano sono stati pubblicati solo La speranza più grande (Garzanti 1963,
Tartaruga edizioni 1999) e Kleist, il muschio, i fagiani (Tartaruga edizioni 1996). La poesia
di Ilse Aichinger era finora inedita in italiano.
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-Zecchini Editore
Biblioteca DEA SABINA
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Zecchini Editore
Martha Argerich puoi conoscerla attraverso la sua biografia scritta da Olivier Bellamy: un libro interessante, intrigante e ricco di aneddoti, corredato di cronologia, premi, galleria fotografica, repertorio, discografia e videografia, documentari, indici dei nomi, delle etichette, delle opere citate, dei musicisti, dei cantanti, dei cori, dei luoghi, delle orchestre e degli ensemble che hanno collaborato con la grande pianista argentina.
Olivier Bellamy
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Presentazione di Carlo Piccardi
pagine XII+356 – formato cm. 17×24 – illustrato
Collana “Personaggi della Musica”, 19 – euro 25,00
Genio del pianoforte”, “miracolo della natura”, “ciclone argentino”, o ancora “leonessa della tastiera”: non mancano certo le definizioni per evocare la dirompente personalità di Martha Argerich. Nata nel 1941, la leggendaria pianista argentina, applaudita sulle scene internazionali da decenni, affascina per la potenza delle sue esecuzioni e per il mistero della sua personalità. Il suo temperamento indomabile, il carattere libero e indipendente ne fanno un personaggio davvero atipico nel mondo della musica classica. In una narrazione costellata di aneddoti inediti e di sorprendenti rivelazioni, Olivier Bellamy dipana le fila di una vita ricca di eventi e di sviluppi imprevedibili: dall’infanzia in Argentina, quand’era bambina prodigio a Buenos Aires, passando per gli studi di perfezionamento dapprima a Vienna con Friedrich Gulda e quindi ad Arezzo e Moncalieri con Arturo Benedetti Michelangeli, per arrivare alle decisive affermazioni del Premio Busoni di Bolzano e del Concorso di Ginevra e all’apoteosi dello “Chopin” di Varsavia, fino agli anni più recenti, caratterizzati anche da momenti di profonda crisi, da rinunce ai concerti e ancora da trionfali ritorni… Di città in città (Buenos Aires, Vienna, Bolzano, Amburgo, New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Rio de Janeiro, Mosca…), attraverso i suoi colleghi musicisti, gli amori, le amicizie, il libro delinea il ritratto intimo di un’artista dalla profonda umanità.
Richiedete il libro nei migliori negozi o a questo link:
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Gustave Klimt-La dama con ventaglio
Biblioteca DEA SABINA
La dama con ventaglio di Gustave Klimt (1862-1918).
Fu l’ultimo quadro, al quale il grande pittore lavorò nel 1917 nel suo atelier nel sobborgo viennese di Hietzing. Esclusi pochi dettagli, il cofondatore della Secessione di Vienna riuscì a completare la Donna con ventaglio prima di morire. Il soggetto è uno dei temi prediletti di Klimt: una “bella donna viennese”. Questa volta, però, non si tratta di una delle dame dell’alta società che ricorrono come motivi frequenti nell’opera di Klimt. Presumibilmente la donna ritratta è una ballerina sconosciuta che con espressione sicura e tenendo un ventaglio in mano, guarda lontano davanti a sé. In ogni caso abbiamo qui un “Klimt puro”: l’opera infatti non è coperta da uno speciale strato protettivo (vernice) come avviene di solito con i dipinti a olio.
Gustav Klimt (Baumgarten, 14 luglio 1862 – Vienna, 6 febbraio 1918) è stato un pittore austriaco, uno dei più significativi artisti della secessione.
Poesie di Attila József- Poeta ungherese
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Attila József Poeta ungherese
All’uomo toccano
All’uomo toccano due fiori,
uno lo mette sul cappello
e l’altro invece lo dà via,
li fa appassire tutt’e due.
Perciò si attrista e vagabonda
sul ponte; l’acqua, ecco, lo chiama:
scendere, no, che non ti lascio –
perde qualcosa, se ne scorda.
E ride e batte i denti – è sera:
la schiuma piaga l’acque, l’uomo
si appoggia al braccio, si addormenta,
ma sempre più diventa buio.
Saluto a Thomas Mann
Come un bambino che giurò vendetta
e diede fuoco alla casa paterna
e ora è invaso dall’estraneità
come da nebbia, e solo sul petto
di lui, bersaglio della sua rivolta
potrebbe sfogarsi in lacrime, mostrare
sul volto buio un sorriso libero,
così mi sforzo senza speranza
di ritrovare le mie lacrime virtuose.
Ho incenerito il mondo nel cuore
e non vi è parola buona che mi redima,
rannicchiato non aspetto che il miracolo,
che venga qualcuno a perdonarmi
e mi sappia dire bene cosa
mi si deve perdonare
in questa tana di lupi.
Il dolore
Il dolore è un postino grigio, muto,
col viso scarno, gli occhi azzurro-chiari;
gli pende giù dalle fragili spalle
la borsa, scuro e logoro ha il vestito.
Dentro al suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timido egli sguscia
di strada in strada, si stringe alle mura
delle case, sparisce in un portone.
Poi bussa. Ed ha una lettera per te.
(Traduzione di Umberto Albini)
da “Attila József, Poesie”, Lerici editore, Milano, 1957
Solo legga…
Legga i miei versi solo
chi mi conosce e mi ama,
chi naviga nel nulla
e sa come un profeta l’avvenire.
Perché nei sogni gli è apparso
in forma d’uomo il silenzio,
e nel suo cuore talvolta dimorano
la tigre e il mite cerbiatto.
Con cuore puro
Non ho padre né madre,
non ho patria né Dio,
non ho culla o sepolcro,
non ho baci né amante.
Da tre giorni non mangio,
non tocco cibo alcuno:
vent’anni la mia forza,
i vent’anni li vendo.
Se nessuno li vuole,
se li prenda il demonio.
Rubo serenamente,
se occorre, ucciderò.
Che mi impicchino e coprano
di terra benedetta:
nascerà, dal superbo
mio cuore, erba di morte.
Cultura
Di profumare il fiore si è stancato
era pieno di noia:
perché diavolo metterlo in salotto?
Così cercava di gettare un’ombra
più grande che in giardino;
nessuno lo guardava e si è stancato.
Io me ne sono accorto.
da POESIE, traduzione di Umberto Albini,
introduzione di Miklos Szabolcsi, Lerici, Milano, 1962
UN CUORE PURO
Non ho padre né madre
né Dio né patria
né culla né sepolcro
né amante né baci.
È da tre giorni che non mangio
né troppo né poco,
sono potere i miei vent’anni.
Se nessuno li vuole
se li compri il diavolo,
con cuore puro scardino
servisse, uccido anche l’uomo.
Mi catturino e m’impicchino
con terra benedetta mi coprano
erba mortale cresca
sul mio bellissimo cuore.
Traduzione italiana di Edith Bruck, da “Attila József, Poesie, 1922 – 1937” (Oscar Mondadori, 2002). Trovata su Poetria – Movimento clandestino di resistenza– inviata da Bernart Bartleby
Vola
Un triste uccello si congela sul parabrezza del vicino.
Il corpo riempito di neve
il becco capace di raccogliere grandine
e artigli come falce
frantumano il vetro di sicurezza
in rifiuti non riciclabili.
Il vicino impreca
afferra la carcassa dalle ali di ghiaccio
la spacca in due
raccoglie i pezzi
e li lancia nell’aria invernale.
Vola! – urla
Vola! – inveisce con sangue freddo
alla scena dello schema
senza vedere
le due metà d’uccello animarsi
salire per cadere
con un’ala sola
incunearsi
nei suoi occhi arrossati.
Una meravigliosa fiammata
Bisognerebbe alzare un fuoco grandissimo,
perché la gente si riscaldi.
Buttarvi ogni cosa,antica e vecchia,
rotta e scheggiata,ed anche nuova e intatta…..
Ne canterebbe sino al cielo una fiamma ardente
e prenderebbe per la mano tutte le genti.
Bisognerebbe alzare un fuoco grandissimo……
Strapare le porte di fredde cantine
e caricare la fiamma perché dia molto calore.
Ahi,bisognerebbe preparare quel fuoco
perché si sciolgano tutti dal freddo!
Persisti
Calmati e attraversa senza badare al traffico
questa strada isolata dove dietro l’angolo
agenti designati stanno nell’ombra e nella nebbia
giudicando incongrui i tuoi movimenti
nella loro noia interiore
tu ignori gli zelanti impiegati statali
imbrogliandoli volando sopra le vie
con ali che allungano le nuvole
congedando le loro preoccupazioni
attraversi
atterrando nel centro di questo
vicinato di proprietà privata
facendo visita a nessuno in particolare.
Ninna Nanna
Chiude gli occhi il cielo,
Chiude gli occhi la casa,
sotto trapunta dorme il prato,
dormi piccolo Biagio.
Si abbassa la testa sulle zampe,
dorme l’insetto e l’ape,
con loro dorme il ronzio
dormi piccolo Biagio.
Dorme pure il tram
e mentre sonnecchia il rombo,
suona il campanello nel sogno,
dormi piccolo Biagio.
Sulla sedia dorme il cappotto,
si riposa anche lo strappo,
non si lacera più per oggi,
dormi piccolo Biagio.
Dormono la palla e il fischietto,
la gita e il bosco,
dorme pure il buon zucchero,
dormi piccolo Biagio.
Sarai gigante, e lo spazio,
come una biglia, in mano avrai;
basta chiudere l’occhio,
dormi piccolo Biagio.
Sarai pompiere o soldato,
pastore di bestie selvagge,
vedi si addormenta la mamma,
dormi piccolo Biagio.
Quello che nascondi nel cuore
Quello che nascondi nel cuore,
aprilo agli occhi,
quello che ti pare di vedere,
aspettalo nel tuo cuore.
Di amore si muore,
chi è vivo – dicono
ma la felicità ci vuole,
ci manca come un pezzo di pane.
Chi è vivo, rimane sempre un bambino,
e vuole tornare nel grembo materno
o si ama o si uccide,
campo di battaglia o letto nuziale.
Sarai tu l’ottantenne, che
ucciso dalla nuova generazione,
mentre muori
generi milioni col tuo sangue.
Tu la spina nel piede
non ce l’hai più,
e dal tuo cuore
scappa anche la morte.
Quello che ti pare di vedere,
con la mano devi prendere,
quello che nascondi nel cuore,
uccidilo o bacialo forte.
Ti lascerò come la bufera nel bosco
Devi gemere e stormire. Bada: è un combattimento.
Non spezzarti, perché le mie lacrime amare
non sgorghino sul tuo tronco mutilato.
Il desiderio prosciuga, come la calura il ruscello.
L’amore scaturisce sempre più dal profondo.
Non vorrei calare, perché le tue amare lacrime
non formino nel tuo grembo sfrenato un mare.
Mia madre
Una domenica verso sera
ha preso con due mani la tazza,
sorrise e stava là, seduta
nel crepuscolo, tranquilla.
Dai signori portava a casa
in un pentolino la nostra cena;
siamo andati a letto, e pensai
che loro mangiano assai.
Era mia madre, piccola, morì presto,
perchè le lavandaie muoiono presto,
i loro piedi tremano dalla fatica,
e la stiratura fa male alla testa.
Per montagna e nuvole
c’è il bucato e il vapore,
e per cambiare aria
puoi salire in soffitta!
Si ferma mentre stira,
la sua esile figura
venne infranta dal Capitale,
pensateci proletari!
Si è incurvata dal lavare,
non sapevo che fosse giovane;
nei sogni portava grembiule pulito
e la salutò il postino.
Talpa antica porta peste
Talpa antica porta peste
il pensiero non pensato,
ficca il muso nel mangiare
e da un uomo a un altro corre.
Per sua colpa non sa l’ubriaco,
mentre in vino strozza il tedio,
di sorbire la minestra
vuota, ai poveri atterriti.
E perché dalle nazioni
giusta linfa non spreme lo spirito,
una nuova infamia accampa
gli uni contro gli altri i popoli.
Gracchia a stormi l’oppressione, cala
come su carogne, ai cuori;
e sul globo la miseria
cola come a ebete bava.
Fitte all’ago del bisogno
le ali delle estati pendono.
Come insetti su chi dorme,
sulle anime le macchine
brulicano. In profondo,
gratitudine, fiducia
si nascondono, le lacrime
bruciano, lottano voglia
di vendetta e coscienza.
Come lo sciacallo vomita
alle stelle le sue urla,
al nostro cielo, dove gli strazi ardono,
guaísce inutile il poeta…
Oh voi, stelle! Rugginose, rozze
lame, quante volte
siete scese dentro l’anima!
(Si sa, qui, solo morire).
Eppure ho fede. Piangendo ti prego,
bel futuro, non esser cosí arido!
Ho fede, non ci impalano piú, oggi,
come i nostri avi, una volta.
Verrà la calma della libertà,
la sofferenza si affína…
E finalmente saremo dimenticati anche noi
nell’ombra quieta delle pergole.
Un cuore puro
Non ho padre né madre
né Dio né patria
né culla né sepolcro
né amante né baci.
E’ da tre giorni che non mangio
né troppo né poco,
sono potere i miei vent’anni.
Se nessuno li vuole
se li compri il diavolo,
con cuore puro scardino
servisse, uccido anche l’uomo.
Mi catturino e m’impicchino
con terra benedetta mi coprano
erba mortale cresca
sul mio bellissimo cuore.
Forse sparirò all’improvviso…
Forse sparirò d’improvviso,
come le impronte nel bosco.
Ho sperperato tutto ciò
di cui dovrei rendere conto.
Già il mio corpo da bimbo
fu arso dal fumo corrosivo.
Tristezza mi sbrana la mente
se penso al mio destino.
Il desiderio vagante in terre lontane
mi ha azzannato ben presto.
Ora mi invadono rimpianti vibranti:
dovevo attendere ancora dieci anni.
Per sfida non ascoltavo
il consiglio materno.
Poi rimasi solo, orfano,
e derisi il mio maestro.
La giungla verde della mia giovinezza
credevo libera ed eterna,
ed ora con lacrime negli occhi ascolto
tra i rami secchi il rumore del vento.
Come nel campo
Come nel campo il bambino
raggiunto dal temporale,
e non c’è casa o madre
dove potesse andare,
il cielo pesante e furioso romba,
sul campo svolazza la paglia,
e lui come animale mugola,
piangerebbe, ma ha paura,
sospirerebbe, ma d’improvviso
arriva un soffio gelido dal cielo,
e solo quando un brivido leggero
corre sul suo magro corpo e viso,
come un lampo improvviso
e la pioggia nera diluvia tutto
come se fosse suo pianto gigantesco,
che si accumula nei campi,
inonda l’erba, colma le fosse,
ne scava altre, ondeggia nel prato,
nel ruscello, anzi nel cielo,
e il bambino si avvia nel campo;
così mi sorprese il desiderio
selvaggio e improvviso
e cominciai a piangere,
sebbene fossi già uomo.
E su questa terra
bagnata di pianto
dove è difficile
alzare i piedi,
quando c’è fretta,
mi fermo ora.
Il suo desiderio
ignorerei se mi amasse.
MAMMA
Da una settimana penso solo alla mamma,
sempre di nuovo mi fermo a ricordarla.
Lei che saliva in soffitta,
con un cesto pesante in mano, lesta.
Io ero ancora un uomo sincero,
urlavo e scalpitavo
che lasciasse il bucato ad un altro,
che portasse me lassù, in alto.
Ma lei andava e stendeva
Non mi sgridava, non mi guardava,
E i panni lucidi, fruscianti
Spiccavano il volo in alto.
Non piangerei più adesso, ma è tardi,
Vedo solo ora quanto è grande,
I suoi capelli grigi si muovono nell’alto,
scioglie il turchinetto nell’acqua del cielo.
Biografia di Attila József Poeta ungherese, nato a Budapest l’11 aprile1905, morto a Szárszó nel 1937. Il padre, operaio, emigrò in America nel 1907 e la Lega per l’infanzia lo affidò a genitori adottivi finché (1912) la madre lo riprese con sé. Dopo aver fatto i più diversi mestieri, divenne contabile in una banca. Si iscrisse alla facoltà di filosofia dell’univ. di Szeged, indi a Vienna, poi, sovvenzionato da alcuni amici, alla Sorbona (1926). Rientrò a Budapest senza aver terminato gli studî. Per un certo tempo diresse la rivista letteraria Szép Szó, quindi si impiegò presso l’Istituto del Commercio Estero ma dovette lasciare il posto per una grave forma di neurastenia che lo condusse al suicidio. A Vienna aveva aderito al partito comunista clandestino, ma ne era stato espulso come deviazionista (1932).
Nel contenuto della poesia józsefiana prevalgono motivi sociali; tutta la sua poesia è permeata di tragicità, sia che inciti i proletari alla lotta di classe o che si ripieghi in se stesso e gravi su di lui l’ombra dello sconforto. Impressionanti sono la sua continua tensione emotiva, il vigore e l’immediatezza del suo realismo cui si affiancano, in una compenetrazione tipicamente ungherese, metafore e similitudini di grande efficacia.
Tra le molte edizioni delle sue poesie: J.A. összes versei (“Tutte le poesie di A. J. “, Budapest 1955), Külvárosi Éj, válogatott versek (“Notte di sobborgo”, poesie scelte, ivi 1958).
Fonte- Enciclopedia Italiana Treccani online-
Notte dei cristalli: Berlino 9-10 Novembre 1938
Biblioteca DEA SABINA
Notte dei cristalli: Berlino 9-10 Novembre 1938
Articolo di Roberto Cenati – Presidente Anpi Provinciale di Milano
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 i nazisti scatenarono violenti pogrom antisemiti in tutta la Germania, nell’annessa Austria e nella regione dei Sudeti della Cecoslovacchia, da poco occupata dalle truppe tedesche. I membri delle SA e della Gioventù hitleriana distrussero 267 sinagoghe e ne devastarono numerosissime. Molte sinagoghe bruciarono tutta la notte sotto lo sguardo della gente e dei vigili del fuoco, che avevano ricevuto disposizioni di intervenire solo per evitare che gli incendi si estendessero ai palazzi vicini. I membri delle SA e della Gioventù hitleriana frantumarono le vetrine di circa 7500 negozi che appartenevano a ebrei e ne saccheggiarono i magazzini. In molte regioni, i cimiteri ebraici furono presi di mira e profanati. I pogrom furono particolarmente feroci a Berlino e a Vienna, sedi delle due maggiori comunità ebraiche del Reich. Squadre di uomini delle SA vagavano per le strade, attaccando gli ebrei nelle loro case, obbligando quelli che incontravano a umiliarsi pubblicamente. Tra il 9 e 10 novembre, la Notte dei Cristalli (deve il suo nome alle schegge dei vetri frantumati che tappezzavano le strade tedesche all’indomani del pogrom e che provenivano dalle finestre delle sinagoghe, dalle case e dalle vetrine dei negozi saccheggiati e distrutti) costò la vita a centinaia di ebrei. I documenti dell’epoca indicano un elevato numero di stupri e di suicidi a seguito delle violenze.
Mentre dilagava il pogrom, le unità delle SS e della Gestapo arrestarono 30.000 ebrei e ne trasferirono la maggior parte dalle prigioni locali nei lager nazisti di Dachau, Buchenwald, Sachsenhausen. Nelle settimane successive il governo tedesco promulgò dozzine di leggi volte a privare gli ebrei delle loro proprietà e dei mezzi di sostentamento. Molte di queste leggi imponevano la cessione di imprese e proprietà di ebrei a proprietari “ariani”, normalmente per una frazione del loro valore reale. Successivi provvedimenti esclusero gli ebrei, che già non erano ammessi nel settore pubblico, dalla pratica di molte professioni in campo privato. La legislazione fece un passo ulteriore allontanando gli ebrei dalla vita pubblica. I provveditori agli studi espulsero i bambini ebrei che ancora frequentavano le scuole. Gli ebrei tedeschi persero il diritto di avere la patente o di possedere un’automobile. La legge limitò l’uso dei mezzi pubblici. Gli ebrei non potevano più entrare nei teatri, nei cinema o nelle sale da concerto “tedesche”.
Foto 10 novembre 1938 Berlino
Articolo di Roberto Cenati – Presidente Anpi Provinciale di Milano