POGGIO NATIVO: Convento di S. Paolo. Cenacolo del Refettorio. Un’analisi al particolare del pregevole affresco.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi.
Claudio Galeno (129 d.C-216 d.C.), padre della moderna Farmacopea:“L’olio della Sabina il migliore del mondo”.
Nei territori della Sabina, tra Roma e Rieti, si produce l’olio Sabina Dop, antichissimo olio extravergine di oliva ottenuto dalle varieta’ di olive Carboncella, Leccino, Raja, Frantoio, Olivastrone, Moraiolo, Olivago, Salviana e Rosciola. L‘olio Sabina Dop ha un colore giallo oro dai riflessi verdi, il suo sapore e’ aromatico e l’acidità massima è pari allo 0,60%.
Il Borgo di Frasso Sabino ha origini molto antiche, appartenendo all’abbazia di Farfa fin dalla fine del X secolo. La prima apparizione è infatti del 955 sul “Regestum Farfense”, dove viene registrato che Sindari e Gauderisio donano all’abbazia terre “locus ubi dicitur ad Frassum-La sua fondazione risale con molta probabilità alla fine del X secolo, epoca in cui appare più volte citata nelle cronache e nei documenti della vicina abbazia di Farfa; c’è da dire, però, che la diffusa presenza di sepolcri e di resti di costruzioni romane testimonia la presenza dell’uomo in epoche ben più remote. Per lungo tempo appartenne all’abbazia di Farfa e quando l’astro di questo centro di potere monastico cominciò a declinare (XII secolo) divenne proprietà della nobile famiglia dei Brancaleone. Nel 1441 passò ai Cesarini, che per un lungo periodo dovettero difenderla dalle mire espansionistiche dei Savelli; la contesa terminò nel 1573 con un atto di concordia, con il quale veniva confermato ai Cesarini il pieno possesso del feudo. Nel 1673, in seguito al matrimonio tra Livia Cesarini e Federico Sforza, passò alla casata Sforza-Cesarini che ne fu l’ultima proprietaria. Il toponimo, di chiara origine fitonimica, deriva dal latino FRAXINUS, ‘frassino’, e con tutta probabilità testimonia la massiccia presenza, in passato, di questa specie vegetale; la specificazione geografica è stata aggiunta nel 1863. Agli Sforza-Cesarini si deve la trasformazione di un preesistente castello, del quale rimane un possente torrione cilindrico, nell’attuale rocca. Il patrimonio storico-architettonico locale annovera inoltre la parrocchiale della Natività e la semplice ed elegante chiesa romanica di San Pietro in Vincoli, risalente al Trecento. Tra i cospicui resti romani sparsi sul territorio comunale spicca, in località Osteria Nuova, la cosiddetta grotta dei Massacci, un sepolcro di epoca incerta (età repubblicana oppure I-II secolo d.C.), edificato con enormi blocchi di pietra. Fonte -Italiapedia
Castelnuovo di Farfa-Piccole Storie dal Campo Profughi GRANICA-
Ricerca a cura di Franco Leggeri
BOLZANO-12/08/1950-Eleonora Stalldam, la profuga greca fuggita dal campo di Farfa Sabina, trovata morta. L’assassino è un ex-militare tedesco.
Bolzano -12/08/1950 –Nelle vicinanze del confine italo-austriaco, sui monti di Bressanone, è stato oggi arrestato dopo una caccia movimentata che si prolungava da oltre un mese, il pericoloso bandito” Guido Zingerle di 48 anni, nato a Ciardes (Bolzano) ex-militare tedesco, attivamente ricercato dalla polizia italiana e da quella austriaca quale autore del brutale assassinio di tre giovani donne e del tentato omicidio di un’altra giovinetta altoatesina. Sul suo capo erano state poste due taglie per un importo di mezzo milione di lire. L’unica sfuggita al sadico criminale, tale Barbara Kaiser, lo aveva riconosciuto in una fotografia mostrata dalla polizia. Essa era stata aggredita quattro anni fa mentre percorreva un sentiero montano nella Valle Isarco, pochi giorni dopo che il cadavere straziato di un’altra giovane donna, la maestrina Gertrude Kutin, era stato rinvenuto nascosto sotto un cumulo di sassi e di terriccio in un anfratto roccioso del monte Guncina presso Bolzano. La poveretta era stata afferrata dal bandito che, brandendo un grosso coltello, le aveva intimato: “ Vieni con me o ti ammazzo “. La ragazza, in preda a folle terrore, non riuscì ad aprire bocca e seguì passivamente il criminale nel folto della boscaglia. Durante la notte il bruto abusò della poveretta e poiché all’alba essa era quasi svenuta, la trascinò in una grotta e con una cinghia le legò mani e piedi e, quindi, dopo averla ricoperta di terra e di sassi, così come aveva fatto per la maestrina, la lasciò al suo destino. La poveretta sarebbe indubbiamente morta se fortunatamente la corda che le immobilizza le mani non si fosse allentata . La donna uscì così dalla tremenda posizione in cui si trovava e, abbattute le pietre che il suo seviziatore aveva posto all’ingresso della grotta, fuggi recandosi dai carabinieri. L’ultimo delitto, che ha fatto cadere nella rete il bandito, è stato l’assassinio ,sui monti del Tirolo, della villeggiante inglese Siena Munro, da lui sorpresa mentre stava effettuando una escursione alpina. Il cadavere della poveretta era stato scoperto in una caverna. La vittima aveva le mani legate, la bocca imbavagliata e il viso straziato da innumerevoli piccole ferite. Lo Zingerle, interrogato dai carabinieri, si è confessato ora autore di questo delitto, ammettendo anche la sua responsabilità nei precedenti assassini, ai quali si aggiungerebbe anche la brutale soppressione, avvenuti nei boschi di Vipiteno, della suddita greca Eleonora Stalldam, fuggita dal campo di concentramento di Farfa Sabina e trovata semisepolta in un anfratto roccioso quasi al confine italo-austriaco.E’ risultato che il mostro, un allogeno altoatesino trasferitosi in Austria prima dello scoppio della guerra, aveva fatto parte dell’esercito tedesco.
Ricerca Storica Campi profughi in Sabina a cura di Franco Leggeri
Bibliografia- Ricerca Archivi e Biblioteche varie.
L’ordine pp. 88-89,225-L’Italia Libera del 25 settembre 1943.D.Sensi, “pagine partigiane”, in Corriere Sabino del 15 aprile del 1945. G.Allara, “ Dopo Anziao: la battaglia del Monte Tancia”, in Aa.Vv., La guerra partigiana in Italia, Edizioni Civitas, Roma 1984, pp.66 e 67. Musu-Polito, Roma ribelle, pp. 114-115. Bentivegna-De Simone, Operazione via Rasella pp. 89-90., Roma e Lazio 1930-1950 pp.542,545. Piscitelli, Storia della Resistenza pp.325,326,327.Giuseppe Mogavero- La resistenza a Roma-1943-1945-Massari Editore.
Mompeo in Sabina (Rieti)- 2 giugno 2022 doppia festa: per la Repubblica e per i Piccoli Comuni
Maria Angela Falà Vicesindaca e Assessora alla Cultura:” Mompeo, giovedì 2 giugno 2022, si celebra, accanto alla Festa della Repubblica, la Festa Nazionale dei Piccoli Comuni. La vita ricomincia, almeno speriamo. A Mompeo l’Amministrazione prova a far ripartire la vita delle persone con attività culturali e artistiche. Si inizierà alle 18 con l’apertura della Mostra Mompeo in Fiore, ritratti di piante” della pittrice botanica Maria Antonietta Brancati, preludio dell’inaugurazione alle 18.30 del Giardino storico del Castello Orsini Naro, completamente rinnovato “all’italiana”, grazie al finanziamento della regione Lazio.
Un angolo suggestivo del paese rinasce a nuova vita con fiori, aiuole e panchine accanto all’antica Mola Naro Patrizia aperta per l’occasione.
Il 4 giugno si prosegue con la “Merenda nell’Uliveta”, manifestazione nazionale di Città dell’Olio, ospitata dall’Azienda Agricola Laura Petrocchi in vocabolo Aquilano, tra ulivi e un panorama che spazia sull’intera Sabina. Dopo la visita guidata al Castello, una merenda con l’Olio Evo di Mompeo e il famoso pane locale. Si potrà partecipare ad un corso per imparare a fare il “sapone” con l’antica ricetta di Gabriella e conoscere le piante di ulivo e le loro caratteristiche. Al tramonto il monaco zen Pino Donden Palumbo guiderà a San Carlo, balcone sul Tevere e sul Soratte, una meditazione serale per concludere la giornata in armonia con la natura ed il paesaggio”.
Addio alla scrittrice e dantista Bianca Garavelli.Morta dopo lunga malattia, aveva 63 anni: firma di Avvenire, era nota per la sua attività letteraria e per gli importanti contributi nello studio del Poeta-Articolo di Roberto Carnero- Fonte Avvenire-
Roberto Carnero mercoledì 29 dicembre 2021 -La scomparsa di Bianca Garavelli, avvenuta nelle primissime ore della mattinata di oggi, segna un grave lutto nel mondo delle lettere e della cultura italiana. Ad agosto le era stato diagnosticato il male che non le ha dato scampo. I lettori di “Avvenire” la conoscevano bene, e ne hanno apprezzato nei lunghi anni in cui ha collaborato alla nostra testata (per la quale ha scritto ininterrottamente dal 1989) la voce limpida, chiara, equilibrata, il piglio preciso e insieme vivace con cui accostava libri, autori, temi letterari nei suoi articoli e nelle sue recensioni. Un lavoro prezioso, coltivato in una militanza assidua, in cui si percepiva sottotraccia il radicamento nella serietà della sua formazione filologica. E sostenuto sempre da una precisa idea di letteratura, nella quale la coerenza del percorso critico si coglie nell’attenzione – oltre che ai valori estetici – alla dimensione etica e ai più ampi riflessi (storici e culturali) del fare letterario.
Gli amici che le sono stati vicini hanno ammirato in questi mesi la tenacia con cui, nonostante la sofferenza fisica, ha provato in tutti i modi a reagire, senza mai lasciarsi prendere dallo sconforto, affrontando con ottimismo le cure e continuando a lavorare attorno al “suo” Dante, anche con incontri e conferenze per gli istituti italiani di cultura all’estero nell’anno del settimo centenario della morte del Sommo Poeta.
Bianca Garavelli era infatti una delle voci più importanti della critica dantesca. Nata a Vigevano nel 1958, allieva di Maria Corti all’Università di Pavia, aveva curato con lei un fortunato commento alle tre cantiche della Commedia, pubblicato in varie edizioni (prima da Bompiani e poi da Rizzoli). Era notevole la sua capacità di avvicinare a Dante i lettori più vari: dagli studenti – ha insegnato a lungo nelle scuole superiori – al pubblico più ampio. L’ultima sua fatica in tal senso è il volume Dante. Così lontano, così vicino, pubblicato a settembre da Giunti. Tra i molti libri (forse troppi) usciti in occasione dell’anno dantesco, questo ha qualcosa di speciale: perché in esso l’autrice ha saputo coniugare due cose che non sempre vanno a braccetto, vale a dire la profonda competenza scientifica e una comunicazione piacevole e affabile. Vi viene tratteggiato il profilo di un uomo capace di andare oltre il proprio tempo (per esempio con una particolare valorizzazione della femminilità, tema a cui Bianca Garavelli era molto attenta), per giungere sino a noi e aiutarci a comprendere il nostro stesso presente. Di questo Bianca era convinta: del valore esistenziale, e dunque sempre attualissimo, della Divina Commedia.
Ricordo, nel 2005, la sua presenza in Egitto, al Cairo, per la Settimana della lingua italiana nel mondo, quando aveva tenuto una conferenza dal titolo “Dante superstar”, che presentava con queste parole: «Un Dante che trionfa come personaggio “ambiguo e misterioso” nel cinema e nella narrativa internazionale, specialmente americana. È il suo valore letterario a renderlo così interessante, la sua fama di genio, ma anche la sua biografia straordinaria e soprattutto piena di zone d’ombra». La sua capacità di divulgazione era straordinaria, ma era divulgazione nel senso più alto e più nobile del termine.
In un suo libro del 2012, ripubblicato quest’anno da Rizzoli, Le terzine perdute di Dante, ipotizzava che Dante fosse stato depositario di un’importante profezia da trasmettere alle generazione successive, per salvarle da una minaccia cosmica. Ma è un thriller, che si svolge su un intrigante piano fantastico (l’ho scritto e lo ripeto: molto meglio di Dan Brown!). Veniamo così al terzo “tavolo” di Bianca Garavelli, dopo quelli della critica militante (esercitata anche attraverso la sua presenza in diverse giurie di premi letterari, come il Metauro, che dal 1994 ha animato su invito del suo fondatore, il poeta Umberto Piersanti) e degli studi danteschi: il tavolo della produzione creativa, della letteratura “praticata” in prima persona. Qui l’esordio data al 1988 con un libro di poesie dal titolo L’insonnia beata, uscito per le modenesi Edizioni del Laboratorio con una prefazione di Antonio Porta. Alla poesia, però, Bianca Garavelli non tornerà più, per dedicarsi invece alla narrativa. Era questa un’attività a cui teneva tantissimo, e per la quale ha speso negli anni molte delle sue energie.
Dopo aver pubblicato nel 1999 un racconto per ragazzi, Il mistero di Gatta Bianca (Laterza), nel 2002 dà alle stampe il primo romanzo, Beatrice (Moretti&Vitali), la cui protagonista riprende sì il nome della donna amata da Dante, ma è una ragazza dei nostri giorni, alle prese con un vissuto problematico, con una storia familiare intricata, con diversi amori tra cui stenta a trovare una direzione certa. Con Il passo della dea (Passigli 2005) Garavelli tenta la strada del “thriller teologico”, con un misterioso serial-killer che semina il panico tra le ballerine della Scala di Milano: le indagini portano a delineare una verità inquietante, dai complicati risvolti esoterici. Ma forse il suo romanzo più bello è Amore a Cape Town (Avagliano 2006), il racconto dolceamaro delle vicissitudini sentimentali di una quarantenne delusa dalla prevedibilità della controparte maschile. Quando, tra il serio e il faceto, le avevo chiesto se ci fosse qualcosa di autobiografico, Bianca si era schermita dietro a un enigmatico sorriso…
L’ultimo romanzo è stato pubblicato l’anno scorso da Giuliano Ladolfi Editore (che aveva già stampato, nel 2013, la raccolta di racconti L’oscurità degli angeli). Si intitola Il dono della tigre ed è un romanzo che, a partire dalla vicenda della crisi personale di un giornalista, parla dell’importanza, per ciascuno di noi, di accogliere e indagare le nostre emozioni più profonde: un’idea di cui Bianca era intimamente convinta, e che ha messo costantemente in atto nel lavoro creativo.
Nella sua prestigiosa carriera letteraria, Bianca Garavelli ha delineato un proprio originale timbro di narratrice, caratterizzato da un particolare tipo di visionarietà. La sua prosa è tersa, elegante, quasi classica, tramata però di tutte le inquietudini della contemporaneità, affrontate con intelligenza e sensibilità, oltre che con una grande piacevolezza di racconto. I suoi libri sono spesso dotati di ritmi incalzanti e di suspense, ma sono sempre capaci di evitare la superficialità e la convenzionalità che sono i rischi di certa letteratura di genere. Perché se c’era una qualità che a Bianca Garavelli non mancava era lo stile. Nella letteratura come nella vita. Di questo stile, chi l’ha conosciuta e le ha voluto bene sente ora la dolorosa mancanza. Rimpiange la sua bontà, la sua generosità, la sua dolcezza, il suo sorriso, la sua ironia divertita eppure sempre rispettosa degli altri. Ma tutto il mondo della letteratura ha perso una delle sue voci più belle, più fini, più delicate.
Articolo di Roberto Carnero- Fonte Avvenire-
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