Fotoreport di Franco Leggeri- Fotocamera OLYMPUS OM-D
Breve storia del Borgo di Testa di Lepre-Ad ovest di Boccea, a circa 2500 m di distanza dal Castello di Boccea è conservato il Casale di Testa di Lepre di sopra. Nel secolo XII il Casale apparteneva alla Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, proprietà confermata da Papa Celestino III nel 1192. Il Casale entrò in seguito a far parte dei beni del Patrimonio della Basilica di San Pietro. Vi subentrarono, alla metà del XV secolo, gli Orsini e nel 1453 Francesco Orsini vendette “Testa di Lepre”, insieme ad un “Castrum dirutum” (Castello di Boccea?) a Pandolfo Anquillara. Il Casale di Testa di Lepre di sopra ( il Casale di Testa di Lepre di sotto circa 4 Km a Sud,–Pamphilj dal 1649- è invece completamente moderno), anche se notevolmente rimaneggiato , mostra ancora la caratteristica forma di Casale Torre con alta Torretta , centrale, incorporata. A Testa di Lepre, territorio, doveva esistere nel sito ove ora sorge il Casale di Malvicino, circa 2 Km a Nord di Testa di Lepre. L’esistenza della Torre di Malvicino è indicata in un disegno del Catasto Alessandrino (Papa Alessandro VII) in cui è disegnata una costruzione a tre piani munita di merlatura. Testa di Lepre e Malvicino dovevano costituire due importantissimi posti di vedetta per il controllo della via di Tragliata che univa il Castello di Boccea (sito sopra i Laghetti dei Salici) e il Castello (ora Borgo) di Tragliata.
Castel di Guido- 19 giugno 2016-Un bilancio provvisorio. Continua il lavoro di ricerca “archeologia di biblioteca”. Ho iniziato questa ricerca, come ho sempre detto, per curiosità e per attività di “conoscenza”, ma quando ci si trova “sul campo”, con i faldoni e cartelle a portata di mano, la realtà ti prende e ti porta alla “storia successiva”. Quando sei tra gli scaffali di una biblioteca o in un archivio ,non sai mai cosa riserva il faldone polveroso che stai per aprire. Come descrivere la sensazione che si prova quando vai con un’antica carta topografica nella zona, descritta in documento, a verificare “le pietre” o “trovare tracce” di fatti avvenuti secoli addietro.
Delusioni? Tantissime, ma anche piacevoli “scoperte” con “riscontri” di ciò che il manoscritto(fotocopia) che stai leggendo narra. La documentazione archivistica che sto esaminando, con ricerche in varie biblioteche e archivi di Roma e non solo, è molto vasta e si presenta, in molteplici forme, come singoli o gruppi di documenti o da archivi ,più o meno, poderosi con documenti connessi da reciproche relazioni. Sono rimasto colpito nello scoprire la grande varietà degli “ATTI” ,prodotti nei secoli passati, relativi alla Campagna Romana . Ho rivisitato e mi sono soffermato sul significato della definizione di “ARCHIVIO” che molti storici così ne hanno illustrato il significato:” L’archivio rappresenta lo specchio della società che riflette, in realtà, da un archivio concepito e inteso esclusivamente come tesoro del principe si arriva pian piano all’archivio recepito come prodotto dell’attività di un Ente o persona che raccoglie e conserva nel suo archivio i documenti per le proprie finalità pratiche e per la certificazione di diritti o, con il passare del tempo, per la ricerca storica.”
Concludo augurandomi che in futuro prossimo , a breve, un sempre maggior numero di persone possa avvicinarsi e contribuire allo sviluppo della storia locale di Castel di Guido, poiché la storia non è stata scritta solo dai “vincitori”, ma spesso da persone umili che nel corso dei secoli hanno cercato di costruire un futuro migliore.
Bilioteca DEA SABINA -Associazione CORNELIA ANTIQUA
Gli Indiana Jones di CORNELIA ANTIQUA alla ricerca del :
“ RACCONTO DELLE PIETRE”
La Mission di Cornelia Antiqua:”Il fascino di ascoltare il “racconto delle pietre” , l’emozione di entrare in luoghi abbandonati da secoli dagli uomini. Gli Indiana Jones di Cornelia Antiqua sono sempre in azione per trovare i pezzi mancanti del grande mosaico della Storia che è sepolta nella Campagna Romana. Manufatti in pietra, frammenti di pietre scheggiate, elementi di frecce e piccoli reperti in selce. Trovare le “connessioni” tra le Valli di Galeria e dell’Arrone. Cercare e scoprire il segreto che costudisce questo gioiello naturalistico racchiuso nei territori dei Municipi XIII e XIV di Roma Capitale dove ,tra vasti prati, piccole alture, caverne sepolte sotto la vegetazione dei boschi , sono nascoste ancora tante risposte alle domande degli Archeologi , Paleontologi , Storici e i tantissimi appassionati e amanti della Campagna Romana. Sì è questa la Mission di Cornelia Antiqua“.
Dal “libretto di Campagna “ del 12 luglio 2022
Roma -Municipio XIV -Borgo Santa Maria di Galeria– Ingresso ed esplorazione dei sotterranei del Santuario di Santa Maria in Celsano che si trova nel Borgo agricolo medioevale di Santa Maria di Galeria. Si chiarisce che il sopralluogo nei sotterranei è stato autorizzato e supervisionato da Don Roberto Leone , Parroco del Santuario , Cancelliere della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Fondatore del Museo del Santuario di Galeria, Autore di varie pubblicazioni tra le quali LE CATACOMBE di SAN MARIO site sulla via Boccea. Hanno partecipato alla ricognizione :Tatiana Concas, Cristian Nicoletta, Danilo Cairani, Riccardo Paolucci e David Monti operatore videomaker.
N.B.Pubblichiamo in anteprima alcune foto relative ai sotterranei del Santuario di Santa Maria in Celsano, mentre per la Relazione tecnica e le conclusioni, dovremo aspettare ancora qualche giorno.
P.S. Il libretto di Campagna relativo alle uscite del Gruppo Operativo di CORNELIA ANTIQUA diventerà una rubrica permanente.
Biblioteca DEA SABINA-Sante RUFINA e SECONDA Martiri di SELVA CANDIDA-Diocesi di Porto e Santa Rufina–(Breve Storia)–
Sante RUFINA e SECONDA-Sono due celebri martiri romane ricordate in tutti i più antichi elenchi e in molti documenti storici. La loro morte avvenne durante la persecuzione di Valeriano e Gallieno, attorno al 260. Nel racconto del loro martirio sono presentate come sorelle, fidanzate con due giovani cristiani che per timore della morte avevano rinnegato la fede. A causa del rifiuto del matrimonio esse furono denunciate ed imprigionate mentre fuggivano da Roma. In seguito al loro diniego di sacrificare agli idoli le due giovani furono condotte in un bosco sulla via Cornelia, a dieci miglia da Roma in un terreno detto “Buxo”, dove vennero uccise e lasciate insepolte. Plautilla, matrona romana, che le aveva viste in sogno, provvide alla loro sepoltura in quello stesso luogo dove, già nel sec. IV, fu eretta una basilica, iniziata da Giulio 1 (336) e completata da papa Damaso, rinnovata con l’aggiunta del battistero da Adriano 1 (772-95) ed arricchita di doni da Leone IV (847–55). A questa chiesa si fa riferimento nei diplomi pontifici anche oltre l’ XI secolo, essendo divenuta Cattedrale della diocesi di Lorium, che presumibilmente ebbe un suo Vescovo proprio per provvedere alla quotidiana celebrazione dei sacri misteri nei tre santuari del territorio (sante Rufina e Seconda, san Mario e compagni e san Basilide) e per il decoro della vicina residenza imperiale. Il primo vescovo del quale si ha certezza storica è Pietro nell’anno 487. Attorno a quel luogo di culto, divenuto celebre meta di pellegrinaggio assieme alle catacombe di san Mario, era sorta gradualmente una città, che fu saccheggiata e distrutta dai Saraceni nell’847 e poi nell’870. Sergio III, nel 904, provvide alla riparazione della Chiesa, ma il centro abitato era oramai quasi del tutto abbandonato a causa dei pericoli delle incursioni barbariche e dello squallore del luogo. Papa Anastasio IV, nel 1153, fece trasportare il corpo delle due Sante nel dove venne loro dedicata una cappella che fu posta Sotto la giurisdizione del vescovo di Porto e Santa Rufina, come è provato dalla bolla di Gregorio IX del 1236. A Trastevere, in via della Lungaretta, esiste ancora un antico monastero loro intitolato e che si dice edificato nel luogo dove era la loro casa natale. Della chiesa adiacente, ornata con un campanile del XIII sec., si hanno notizie fin dal 1123, dato che in una bolla di Callisto Il è annoverata fra le filiali di santa Maria in Trastevere. I resti archeologici sulla via Boccea (loc. Porcareccina), gi–á individuati e descritti da Antonio Bosio (1632), furono di nuovo studiati nel nostro secolo.
Festa delle Sante Rufina e Seconda, patrone della Diocesi –
Preghiera di S.E.. Monsignor GINO REALI in onore della Sante Patrone della nostra Diocesi
Padre di misericordia, che hai chiamato alla gloria del martirio le sante sorelle Rufina e Seconda, congiunte in vita e in morte dall’amore per l’unico Sposo, e le hai donate alla nostra Chiesa come modello di fede e di fortezza, concedi a noi, per il loro esempio e la loro intercessione, di seguire il Signore Gesù con fede viva, speranza ferma e carità ardente. Questa terra, bagnata dal sangue dei Martiri, germogli ancora il frutto della santità e dell’amore. Per la loro comune intercessione, dona alle nostre famiglie unità e pace; per il loro esempio rafforza i nostri giovani nella lotta per la virtù ed il bene, e dona loro limpidezza di cuore e generosità d’impegno; per i loro meriti, sostieni i nostri passi nel cammino verso la patria eterna. A te, o Padre, affidiamo la nostra vita: liberaci da ogni pericolo dell’anima e del corpo, e donaci la grazia che ti chiediamo … Tu che vivi e regni, con Cristo tuo Figlio e lo Spirito Santo, nei secoli glorioso. Amen.
Monsignor Gino Reali Vescovo di Porto – Santa Rufina 7 giugno 2007
L’organizzatrice dell’Evento GRAZIA AMICI mi ha accolto con queste parole :” Questa mostra fotografica è stata realizzata per raccontare 60 anni della Storia del Borgo.”
L’esposizione inaugurata il 29 giugno , nell’Aula Magna della scuola elementare di Testa di Lepre, resterà aperta sino al 30 luglio 2017.
TESTA di LEPRE- 25 luglio 2017-Un viaggio fotografico per raccontare 60 anni della Storia del Borgo. La mostra nasce da un’idea di Grazia Amici, che già aveva realizzato, nel 2010, un calendario con 50 foto d’Epoca dal titolo “RICORDI”. La mostra è stata allestita dai Volontari all’interno della scuola elementare di Testa di Lepre. “L’esposizione ”, ci spiega Grazia Amici ,” è un percorso fotografico che racconta i 60 anni di Storia dell’Ente Maremma laziale. Ho cercato di selezionare le foto in modo di raccontare la quotidianità della vita nella Campagna Romana degli anni ‘50-60 del secolo scorso. La mostra evidenzia le necessità e le speranze di una vita migliore dell’intera Comunità di Testa di Lepre. Le foto sono state scattate dagli stessi protagonisti. Ho raccolto le foto con la formula classica “ FUORI LE FOTO DAI CASSETTI” e per questo ringrazio tutti gli abitanti “storici” del Borgo.” Chiosa Grazia Amici: ”Ringrazio le Autorità che ci hanno onorato con la loro presenza , il Sindaco Montino e la Direzione dell’Ente Maremma che ci ha fornito foto e assistenza storica. Un ringraziamento particolare ,debbo sottolinearlo , lo rivolgo alla Signora GIOVANNA ONORATI che ci rappresenta nel Consiglio comunale di Fiumicino e per le belle parole scritte da lei sul Registro dei visitatori e che voglio citare:“La Storia siamo noi, con i nostri ricordi, con ciò che hanno fatto i nostri nonni. Bellissima mostra e complimenti al Comitato che sempre si adopera per migliorare , rallegrare e far vivere la nostra Comunità , piccola, ma con un GRANDE CUORE-.”
Sicuramente sarà editato un libro sulla Storia del Borgo. Posso anticipare la notizia che la Signora Grazia Amici ha in progetto , ci sta lavorando in sinergia con altre persone, la realizzazione di una grande iniziativa Culturale relativa al Borgo di TESTA DI LEPRE , alla Campagna Romana e alle sue bellezze.
Franco Leggeri-Blog–WWW.ABCVOX.INFO– Voce della Campagna Romana
RomaCapitale- Municipio XIII-Il complesso antico attualmente disposto su via di Casalotti all’angolo con via Borgo Ticino venne alla luce già nei primi anni 30 in modo del tutto occasionale, durante l’esecuzione di alcuni lavori agricoli in area.In un primo momento, nel 1930 in seguito agli scavi intrapresi dalla Soprintendenza, furono rinvenuti resti parziali di un mosaico a soggetto marino raffigurante Tritoni e Nereidi afferente ad un ambiente termale piuttosto esteso; un deposito di dolia – i grandi contenitori di derrate alimentari in terracotta – disposti irregolarmente in un ambiente sorretto da pilastri in laterizio; alcune strutture murarie anch’esse in opera laterizia; scorie di fusione di una fornace per il vetro Già due anni più tardi vennero poi rinvenuti nella stessa area una necropoli e una cisterna con alcuni cunicoli sotterranei ad essa collegati ed un pozzo, che facevano pensare sempre più ad un abitato stratificatosi nel corso del tempo ma comunque stabile e ben organizzato. Si giunse così ad interpretare l’intero sito come quello di una villa romana abitata in varie epoche, con una prima fase verosimilmente di epoca repubblicana su cui si appoggiò l’attuale villa sicuramente da attribuirsi alla piena età imperiale, costituita da una pars rustica con pavimenti in coccio pesto e laterizio e da una pars privata a carattere residenziale probabilmente a due piani, con mosaici ed intonaci dipinti con annesso un edificio termale. E’ ipotizzabile che essa restò in uso fino almeno al V sec. d.C.
In seguito, negli anni 80, grazie all’ausilio sempre più efficace della fotografia aerea, il sito venne più chiaramente a delinearsi nella sua estensione, diviso e tagliato dalla strada moderna.
Nel 2000, grazie ai fondi per il Giubileo, la Soprintendenza potè continuare gli scavi, durante i quali si rinvennero altri edifici termali e tutta una nuova parte della villa con un settore riutilizzato con funzione artigianale in età tardoantica. Il rinvenimento di alcune fistulae plumbee recanti l’iscrizione Calpurnia Cacia M(arcellina) hanno verosimilmente individuato in questo nome la proprietaria del fondo. Resti di strada basolata nei pressi della villa in direzione di P.zza Ormea fanno pensare ad un diverticolo della via Cornelia ad uso esclusivo degli abitanti della villa.
Riaperto al pubblico nel 2012, il sito – curato dal Gruppo Archeologico Romano – è fruibile alla popolazione attraverso visite guidate gratuite da richiedersi al GAR ; www.gruppoarcheologico.it.
Franco Leggeri-Origini della Diocesi di Porto e Santa Rufina
La Diocesi di Porto con le altre di Ostia, Albano, Palestrina, Frascati e Sabina fa parte delle sedi suburbicarie. Fino al 1120, epoca in cui Callisto II unì alla diocesi di Porto quella delle Sante Rufina e Seconda, le diocesi suburbicarie furono sette. I vescovi suburbicari hanno grado di cardinali ed occupano il primo luogo nel sacro Collegio. La circoscrizione delle diocesi di Porto, dopo l’unione con quella delle Sante Rufina e Seconda, comprendeva i seguenti abitati e tenute: Porto-Maccarese-Palo-Santa Severa-Santa Marinella-Palidoro – Castel di Guido- Cerveteri-Ceri-Sasso- Giuliano- Santa Maria di Galera-Casaccia-Cesano- Isola Farnese-Storta-San Nicola-Olgiata-Vaccareccia-Riano-Primaporta-Bottaccio-Testa di Lepre-Leprignano-Castiglione Ricci-Tragliata-Magliana-Buccea-Porcareccia-Torrimpietra-Pisana-Castelnuovo di Porto. La Diocesi ebbe anche giurisdizione episcopale nel Rione Trastevere, e, dopo la ricordata unione con Santa Rufina, anche nella città Leonina. Sulle origini della sede Vescovile di Selva Candida e delle Ss.Rufina e Seconda il Moroni dà le seguenti notizie:” Nel martirologio di Adone, in Tillemont, T.4,p.5, ed in Bollando, T.3, Julii,p.28, si leggono gli Atti delle Sante Sorelle Rufina e Seconda vergini e martiri. Nate da Asterio ed Aurelia di stirpe romana, illustre e senatoria, furono fidanzate e promesse spose ad Armentario e Verino, i quali apostarono il cristianesimo nel 257 0 260 per la persecuzione di Valeriano e di Gallieno. Rufina e Seconda rigettarono con orrore la proposta che loro fu fatta di abiurare anch’esse la fede di Gesù Cristo. Volendosi rifugiare in una loro terra in Toscana, per delazione de’ due apostati furono inseguite da Archesilavo conte, e arrestate al 14° miglio della via Flaminia. Ricondotte in Roma dinanzi al prefetto Giunio Donato, questi, prima con le lusinghe , poi colle minacce di fieri tormenti, fece battere Rufina alla presenza della sorella per intimorirla, la quale invece si gravò perché a lei non fosse concesso tanto onore di patire per Gesù. Riportate in tetra prigione , ivi fu bruciato letame perché rimanessero , dal puzzo e dal fumo, soffocate, invece comparve splendida luce e si sentì in soave odore. Indispettito il prefetto le fece gettare in ardente bagno, dal quale uscite illese, ordinò che si precipitassero, con grosse pietre al collo, nel Tevere, ove un Angelo le prese , sciolse e condusse a riva. Allora Giunio le consegnò di nuovo ad Archesilavo perché o le facesse morire o le lasciasse libere a sua arbitrio. Ma il crudele conte le fece condurre in una selva folta ed oscura , perché appena vi penetrava il sole, chiamata Selva Nera, nel fondo di Busso o Buxo o Boccea nella via Aurelia o Cornelia, che conduceva a Porto e Civitavecchia, 10 miglia lontano da Roma (circa 8 delle moderne miglia). Ivi fece loro troncare le teste, lasciando i loro corpi insepolti esposti alle fiere. Comparse in visione a Plautilla matrona romana e signora del territorio, sebbene ancor gentile, l’esortarono a farsi cristiana ed a seppellirle. Tutto Plautilla eseguì, e trovati i cadaveri incorrotti diè loro sepoltura in onorevole monumento. Pel concorso de’ fedeli a venerarle , reso chiarissimo il luogo pel martirio più tardi patito anche dai SS.Marcellino e Pietro (V.Chiesa dei SS. Marcellino e Pietro) e pei miracoli da Dio operati, fu denominato Selva Candida, Sylva Candida. Vi fabbricò una magnifica basilica San Giulio I papa del 336, vi ripose i corpi delle dette Sante e Santi (secondo Piazza, che però nell’Emerologio di Roma dice che i corpi dei SS. Marcellino e Pietro furono sepolti nel Cimitero di Tiburzio in sontuoso mausoleo da Sant’Elena), ed in loro onore la dedicò prevalendo il nome delle Sante Rufina e Seconda, chiesa che San Damaso I nel 367 terminò. Frequentando la chiesa i cristiani, a poco a poco si fabbricarono abitazioni e si formò una popolata e nobile città, che meritò la Sede vescovile immediatamente soggetta alla Santa Sede, la seconda delle Suburbicarie dopo quella di Ostia. La città prese il nome delle Sante Rufina e Seconda e di Selva Candida, come vescovato.
Ricerca e trascrizione dal testo originario di Franco Leggeri
Bibbliografia
Papiri Diplomatici, Le origini delle Diocesi in Italia, Sedi Episcopali nell’antico ducato di Roma, Storia dell’Agro Romano.
Il costume è quello del giorno della festa. Il corpetto bianco con le maniche a sbuffo, la lunga gonna a pieghe ricamata di fiori e il velo, a incorniciare un viso fiero. La sarda Ninetta Bartoli, prima sindaca d’Italia, si fa ritrarre così, nell’abito della tradizione, da solenne investitura.Una mano appoggiata sul fianco e occhi che guardano lontano, a quella scelta che nessuna prima di lei aveva fatto: governare il suo piccolo paese. Alle elezioni dell’Aprile 1946, si presenta come candidata sindaco. Con l’89% delle preferenze, conquistando 332 voti su 371, sbaraglia gli uomini avversari e viene eletta. È votata a furor di popolo, un vero e proprio plebiscito: diventa la prima sindaca della storia dell’Italia repubblicana.
È mater familias che sulla sua carrozza gira tra Borutta e Sassari per conoscere sempre meglio il territorio che amministra e capire come intervenire per migliorare le cose. Fa costruire l’acquedotto, il sistema fognario e porta l’energia elettrica in paese: una rivoluzione che cambia per sempre Borutta, trasformandola da un povero paese fossilizzato nel passato a un moderno centro civilizzato. Grazie a lei si edificarono case popolari e la scuola. Anche i ruderi della chiesa e del Monastero di San Pietro di Sorres ritornarono all’antico splendore. E se le casse comunali non consentivano di coprire le spese, lei stessa non esitava ad attingere al suo patrimonio pur di realizzare le opere che aveva in mente.Governò Borutta per 12 anni fino al 1958.
Non era visibile da oltre 40 anni, nascosto da uno strato di terra che ne impediva la fruizione. Ora, dopo un restauro iniziato alla fine del 2015 e durato tra i sei e i sette mesi, torna al suo antico splendore il mosaico policromo della palestra occidentale delle Terme di Caracalla. Un intervento, realizzato dalla soprintendenza speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, reso possibile da una donazione di Bulgari che ha finanziato il recupero dell’opera investendovi 50mila euro. Un primo passo che, però, non resterà il solo.
L’amministratore delegato di Bulgari, Jean-Christophe Babin, infatti, ha annunciato che sarà finanziato il restauro anche dell’altra parte del mosaico. “L’arte e il bello a Roma – ha spiegato Babin nel corso della presentazione alla stampa del restauro – sono sempre stati al centro dell’attenzione di Bulgari”. L’intervento sulla prima porzione del mosaico, “non è il solo contributo di Bulgari. Oggi vediamo una prima parte del restauro, ma finanzieremo anche la seconda parte del restauro di questi mosaici”.
Per Bulgari, ha sottolineato Babin, si tratta di “una missione”, ovvero “rendere alla Città Eterna un po’ di ciò che la Città Eterna ha dato ai nostri creativi e ai nostri artigiani”. Un’arte, quella di Bulgari, “molto ispirata ai 2.700 anni di arte e cultura romana”. In particolare, ha spiegato l’Amministratore Delegato di Bulgari, “questi mosaici hanno dato l’idea per la collezione di gioielli ‘Divas’ Dream’, un successo mondiale”. Una linea che “non è altro che specchio di questi mosaici colorati a sagoma di ventaglio”.
Il restauro del mosaico di circa 25 metri quadri, che nella sua interezza supera gli 80 metri quadri, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare, si è preceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti. Ciò ha permesso il recupero di numerose tessere interrate. La pulitura definitiva è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.
“Il mosaico – ha spiegato Borzomati – era interrato, sono state realizzate diverse fasi di pulitura per rimuovere la terra. La presenza di vecchie stuccature di cemento, presenti nell’intervento precedente degli anni ’40, aveva creato dei difetti di degrado, soprattutto nella parte superiore, dove ci si è concentrati con una pulitura più specifica. Le mancanze sono state integrate con le tessere originarie, recuperate con la setacciatura della terra”.
I lavori di recupero, ha spiegato Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo e l’Area archeologica Centrale di Roma, permettono di tornare su un tema, cioè “la collaborazione con Bulgari, che già era intervenuta in passato alle Terme di Caracalla, ma che in questa occasione vediamo in una luce nuova, quella dell’applicazione dell’Art Bonus. Un meccanismo che incentiva in maniera finalmente efficace il rapporto tra le aziende, i privati, e la pubblica amministrazione”.
“Fino a qualche anno fa – ha detto Prosperetti – il restauro delle opere d’arte era una prerogativa assoluta del pubblico. Investire nella bellezza non è solo un dovere della nostra amministrazione, ma si sta rivelando un elemento importante per le aziende private che, come Bulgari, sulla bellezza lavorano da più di un secolo”.
La direttrice delle Terme di Caracalla, Marina Piranomonte ha infine ricordato che “i marmi che venivano usati per i mosaici arrivavano dai quattro angoli dell’Impero. Dobbiamo guardare questi mosaici come un capolavoro frutto dell’opera dell’uomo e di una grande capacità costruttiva”.
Fonte adnkronos
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