Poesie di Maarja KANGRO-Poetessa estone

Biblioteca DEA SABINA

MAARJA KANGRO
MAARJA KANGRO

Poesie di Maarja KANGRO-Poetessa estone

La notte di San Giovanni

Ma ci muovevamo in modi diversi
intorno al fuoco chiaro.
Facevamo dei versi, ballavamo,
barcollavamo appoggiandoci sugli altri.
Fu la nostra magia,
fu il sole stesso, una generosità
senza fine, una fine serena.
Fu, cazzo, la mimesi del nirvana.
Di quanto eravamo capaci.
Non di tanto, sembra, allora,
la sorte non ci credette:
la luce sparì
come dalle mani dei nostri antenati.
Bene, chiamiamo quel che successe: arte.

(Gattomerlino ed., 2011, trad. it: Maarja Kangro)

Maarja Kangro (Tallinn, 1973) da La farfalla dell’irreversibilità

LA FARFALLA DELL’IRREVERSIBILITÀ

“ancora” è una grande parola
lentamente e velocemente
ancora

ancora una volta gli uomini alla radio
si complimentano di essere sulla strada giusta
e discutono della ciclicità del tempo

la strada giusta gira intorno, anch’io
riconosco le pelli giovani sulla spiaggia
e l’altoparlante canta et si tu n’existais pas

gli uomini alla radio parlano di come tutto è
legato con tutto, uno dice con voce sonora: “l’effetto farfalla”
io dispiego le ali

il tempo ciclico favorisce il buon sonno
un sonno da cui crediamo di risvegliarci
e ancora

sbatto le ali
i brav’uomini alla radio iniziano a tossire
le sbatto più forte e si alza il vento

gli uomini tossiscono ansimando, l’etere si ribella
le navi e i bagnanti annegano, l’ultimo sogno
sarà grigio e tempestoso

pensiamo alla parola che non c’era prima
c’è stata ora
e adesso non c’è più

IL DONATORE

In una piccola libreria
di un centro commerciale
cercando un regalo
è tornato il vecchio vizio
di strappare con i denti le cuticole intorno alle unghie.
Ho preso l’antologia della poesia ungherese,
mentre il sangue cominciava ad uscirmi dal pollice destro.
Non aspettavo una tal pioggia,
ma sulla foto di Sandor Weöres
ho lasciato una grossa macchia rossa.
Spaventato/a, ho rimesso a posto il libro,
Ho preso l’antologia della poesia ungherese,
mentre il sangue cominciava ad uscirmi dal pollice destro.
Non aspettavo una tal pioggia,
ma sulla foto di Sandor Weöres
ho lasciato una grossa macchia rossa.
Spaventato/a, ho rimesso a posto il libro,
ne ho preso un altro Il grido invernale del falco
di Mikhail Lotman. Sul testo di Brodsky
ho lasciato una pozzanghera di gratitudine.
Avevo già a casa alcuni libri:
Bourdieu e Geertz,
Huizinga e Sartre.
Ma volevo lasciare a tutti un souvenir.
Nero, bianco e rosso. Rosso, bianco e nero.
Come una bandiera di qualche stato dell’Asia.
Poi ho pensato: perché non marcare anche i romanzi rosa?
Avevo tanto sangue e non sono avara.
Facce ispirate e sanguigne.
Ad un certo punto la commessa ha iniziato a tossire.
Mi sono ricordata/o del regalo
e sono uscita/o,
non chiedendo compenso per il sangue.
Poco sangue versato per la cultura.
Magari però ne avrei versato di più,
se me l’avessero chiesto.

IL VECCHIO AMANTE

Quando sotto i pantaloni neri
si vede una gamba bianca e pelosa,
la guardo, naturalmente.
Guardo la pancia sotto la giacca
che non è cresciuta molto.
Guardo le mani: tra le persone sul palcoscenico,
le sue sono le più sottili.
Gli occhi.
Non li dovrei guardare, ormai è tardi.
Inizia a parlare,
divento tesa,
e quando si frantuma una frase,
faccio scricchiolare la sedia.
Sono un genitore al concerto di scuola.

Poi ci offrono torte e uva.
Entro nell’altra sala, si sa,
solo per prendere da bere.
Guarda caso. Salve.
Esamino i suoi occhi, il collo
e l’inguine: caldi, un metro da me.

Mi chiedo se i colonizzatori
di una volta pensano cosi.
Una volta questa terra era nostra.
Come toccarla adesso?
Voi, come ce la fate adesso –
non troppo bene, vero?
Avete fame ed epidemie,
guerre e dittatori
che noi dobbiamo trattenere.
Sappiamo: baracche e auto al fuoco,
bambini con pance gonfie dalla fame.

I suoi denti non sono putrefatti,
le guance non appassite,
gli occhi non rossi.
Giudicando dall’alito,
non si è messo a bere.
La colonizzatrice lo esamina disturbata.
Dove sono allora le mie tracce,
il trauma dell’Altro, la mia giustificazione storica?

Mangiamo l’uva
e beviamo cognac,
adesso si che mangiamo l’uva
e beviamo cognac.

AMIANTO

Già da bambina?
Saltavi e
facevi scricchiolare la catasta di Eternit?
Le scarpe da ginnastica blu, il crisolito bianco.
Ho visto in un ingrandimento
la fibra di 10 micrometri
penetrare nell’apparato respiratorio.
Giocavate al pesce affumicato
con un pezzo di Eternit?
L’avete addentato
come il peccato originale?
Come l’albero della conoscenza del bene e del male:
in realtà non si sente niente,
non si capisce molto,
10μm, un operaio al cantiere coi pantaloni sporchi,
l’agonia di un uomo privo di conoscenza,
venti o quarant’anni, un’escrescenza alla pleura, il mesotelioma,
il tessuto connettivo che prolifera nei polmoni.
Sì, ogni anno fiorisce il lillà,
e ogni tanto una grande passione.
Le fibre calano lentissime
ed invisibili come il futuro.
Ehi, ma perché ti arrabbi?
Vedi, ecco il mio nuovo vino preferito.
Te lo compro, beviamo un sorso stasera.

MAARJA KANGRO
MAARJA KANGRO

Breve biografia di MAARJA KANGRO nata a Tallin, il 20-12-1973, è una scrittrice estone. Figlia del compositore Raimo Kangro e della scrittrice Leelo Tungal, si è laureata in lettere all’Università di Tartu nel 1999. Ha pubblicato tre volumi di poesia, una raccolta di racconti e un libro per bambini. Ha scritto libretti per opere liriche di Raimo Kangro, Tõnu Kõrvits, Tõnis Kaumann e Timo Steiner. Ha tradotto dall’italiano, inglese, tedesco e altre lingue (tra l’altro Andrea Zanzotto[, Valerio Magrelli[, Giacomo Leopardi, Umberto Eco, Giorgio Agamben, Hans Magnus Enzensberger). E’ ospite con Milo de Angelis del convegno Pordenonelegge 2011.