I Fontanili della Campagna Romana-Foto Reportage di Franco Leggeri
” L’acqua della fontana scivola, scorre, quasi muta la verdognola pietra.” ( A. Machado )
Giornata mondiale dell’acqua: Roma-Sono più di 660 milioni in tutto il mondo le persone che non hanno l’acqua potabile in casa e 2,4 miliardi quelle che non hanno accesso a servizi igienico-sanitari adeguati. L’acqua sta diventando un’emergenza a livello globale, la siccità aumenta e desertifica ogni anno vaste estensioni di terre, provocando carestie e abbandono dei territori…
Foto di Franco Leggeri-
I Fontanili della Campagna Romana-Tenuta di CecanibbioI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Borgo TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Castel di Guido-Fontanile di via Filippo Ferri Mancini-I Fontanili della Campagna Romana-Castel di Guido-Fontanile di via Filippo Ferri Mancini- in fase di restauroFontanile della Campagna Romana di via della Muratella -Torre in PietraFontanile della Campagna Romana di via della Muratella -Torre in PietraI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di via Testa di Lepre e i sui pesci rossiI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di via Testa di Lepre e i sui pesci rossiI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di via Testa di Lepre e i sui pesci rossiI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di via Testa di Lepre e i sui pesci rossiI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoCampagna Romana -Fontanile delle CATACOMBE DI BOCCEAI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile Tenuta di BocceaFontanile della Campagna Romana -Fontanile delle CATACOMBE DI BOCCEAI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di CASALOTTI-Foto presa da internet-I Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di CASALOTTI-Foto presa da internet-I Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile di Mezzaluna-Castel di GuidoI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile interno Castello di Torre in PietraI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile interno Castello di Torre in PietraI Fontanili della Campagna Romana-Fontana interno Castello di Torre in PietraI Fontanili della Campagna Romana-Fontana interno Castello di Torre in PietraI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile Castello di San Giorgio MACCARESEI Fontanili della Campagna Romana-Fontanile TORRETTA DEI MASSIMIFontanile della Campagna Romana -Fontanile TORRETTA dei MASSIMIFontanile della Campagna Romana -Fontanile TORRETTA dei MASSIMII Fontanili della Campagna Romana-Casale di via Aurelia 20155- Fontanile costruito nel 1948- Castel di Guido-Fontanile della Campagna Romana di via di TragliataI Fontanili della Campagna Romana-Casale di via Aurelia 20155- Fontanile costruito nel 1948- Castel di Guido-I Fontanili della Campagna Romana-Fontana la “BARCACCIA” di Santa Maria di GaleriaI Fontanili della Campagna Romana-Fontana la “BARCACCIA” di Santa Maria di GaleriaI Fontanili della Campagna Romana-Fontana la “BARCACCIA” di Santa Maria di GaleriaI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di via Santa Maria di Galeria Foto di Grazia AmiciI Fontanili della Campagna Romana- Piccolo fontanile sito su via di Castel di Guido-ex-Via Aurelia . Nelle vicinanze del Cimitero, lato sn- spalle Roma- Fontanile costruito nel 1931-Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Piccolo fontanile sito su via di Castel di Guido-ex-Via Aurelia . Nelle vicinanze del Cimitero, lato sn- spalle Roma- Fontanile costruito nel 1931-Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Piccolo fontanile sito su via di Castel di Guido-ex-Via Aurelia . Nelle vicinanze del Cimitero, lato sn- spalle Roma- Fontanile costruito nel 1931-Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Piccolo fontanile sito su via di Castel di Guido-ex-Via Aurelia . Nelle vicinanze del Cimitero, lato sn- spalle Roma- Fontanile costruito nel 1931-Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Piccolo fontanile sito su via di Castel di Guido-ex-Via Aurelia . 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Anfora panatenaica a figure nere. Produzione attica, Lydos, 560-540 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
olio extravergine di oliva del Lazio
L’olivo coltivato o domestico deriva dall’olivo selvatico o oleastro che cresce nei luoghi rupestri, isolato o in forma boschiva, e dai cui minuscoli frutti si trae un olio amaro il cui uso è, però, sempre stato limitato.I Greci conoscevano diverse varietà di olivi selvatici cui davano nomi diversi, agrielaìa, kòtinos, phulìa; i Romani invece, le riunivano tutte sotto la denominazione oleaster, che è poi quella passata nel vocabolario botanico moderno.La patria di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore: infatti, mentre in sanscrito non esiste la parola olivo e gli Assiri ed i Babilonesi, che evidentemente ignoravano questa pianta e i suoi frutti, usavano solo olio di sesamo, l’olivo era viceversa conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani.Non solo, anche nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati : basti pensare che la colomba dell’arca porta a Noè un ramo d’olivo colto sul monte Ararat, montagna dell’Armenia.La trasformazione dell’oleaster in olivo domestico pare sia stata opera di popolazioni della Siria. Molto presto l’uso di coltivare l’olivo passò dall’Asia minore alle isole dell’arcipelago, e quindi in Grecia: lo Schlieman riferisce di aver raccolto noccioli d’oliva sia negli scavi del palazzo di Tirino sia in quelli delle case e delle tombe di Micene e, nell’Odissea, troviamo scritto che Ulisse aveva intagliato il suo letto nuziale in un enorme tronco di olivo.
L’olio extravergine di oliva
olio extravergine di oliva del Lazio
In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche.L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focile. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo.Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano in primo luogo il territorio di Venafro, quindi la Sabina e il Piceno, mentre nell’Italia del nord erano famose le coste della Liguria.L’olivo esigeva molte cure, che potevano risultare anche costose, ma i proprietari degli oliveti erano ben ripagati dei loro disagi: non solo la cucina, ma anche i bagni, i giochi, i ginnasi e persino i funerali, esigevano l’impiego di grandi quantità di olio.Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi: ancora acerbe (olive albae o acerbae), non del tutto mature (olive variae o fuscae), mature (olive nigrae). Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani ad una ad una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi, venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili (in greco ractriai), sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. Alcuni aiutanti raccattavano e riunivano le olive battute che, solitamente venivano macinate il più presto possibile.In Grecia l’olio era generalmente prodotto dai proprietari stessi degli oliveti che spesso procedevano anche alla sua vendita; il mercante di olio si chiamava elaiopòles o elaiokàpelos.La vendita al dettaglio non si praticava solo in campagna o nelle botteghe; era ugualmente attiva nell’agorà, dove venivano trattate le merci più diverse. I mercanti erano installati in baracche, sotto umili tende o, più comunemente, all’aperto, ma questa situazione migliorò ben presto quando furono edificati i primi portici.Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici e documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure di olivi domestici. Sono comunque evidenze significative, soprattutto se inquadrate nel più generale panorama archeologico e vegetazionale della penisola italiana, che fanno ragionevolmente presumere un precoce riferimento all’olivo coltivato. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ciò nonostante, quanto esposto sembra sufficiente per sollevare almeno qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci; pur senza dimenticare che dal greco derivano sia la parola olivo (elaìa), sia il termine etrusco amurca che, nella sua forma greca amòrghe, indica quel liquido amaro ottenuto dalla prima spremitura delle olive, che veniva scartato ed utilizzato come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana.Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi.Per quanto riguarda l’età storica esistono anche evidenze paleobotaniche: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore estrusche piene di olive conservate e la cosiddetta “Tomba delle Olive” di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre ad un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive.Non è facile ricostruire il paesaggio agrario dell’Etruria antica: le trasformazioni subite nel corso del tempo, e soprattutto l’impoverimento e l’abbandono delle campagne, iniziato in età romana, impediscono di cogliere, in tutti i suoi dettagli, una situazione che doveva essere comunque piuttosto fiorente. Anche il panorama offerto dalle fonti antiche va letto con prudenza, tenendo conto del contesto storiografico di appartenenza in cui dominavano la memoria di un passato felice e i riscontri di un realtà contemporanea, quella della prima età imperiale, in cui i caratteri del paesaggio etrusco e i metodi di conduzione agricola erano senz’altro strutturati in modo diverso.Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite.Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare. E’ il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballoy e gli alabastra corinzi di importazione.Per quanto riguarda l’ambito alimentare l’olio è sempre stato uno dei prodotti principali dell’antichità classica. Nel mondo romano non si usava altro condimento per cucinare, e per condire le insalate si utilizzava l’olio migliore: particolarmente rinomati erano l’olio verde di Venafro, come attestano Marrone, Plinio, Orazio e Stradone, e quello della Liburnia in Istria; pessimo era considerato l’olio africano che veniva usato esclusivamente per l’illuminazione. Non mancavano allora, come oggi, le contraffazioni, se dobbiamo credere ad una ricetta di Apicio che insegnava a contraffare l’olio della Liburnia utilizzando un prodotto spagnolo.
olio extravergine di oliva del Lazio
Essendo poco raffinato e dato che non si adottavano trattamenti particolari atti a conservarlo, l’olio diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era dunque salarlo.
Per questo motivo si consigliava anche di conservare il più a lungo possibile le olive, in maniera da poter fare, sul momento, olio fresco da offrire nelle oliere ai convitati in ogni periodo dell’anno. Si rendeva quindi necessario cogliere le olive quando erano ancora verdi sull’albero e riporle sott’olio.
In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio che la fine del pasto, venivano cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere.
Solitamente erano conservate in salamoia, ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele. Le olive bianche venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte all’uso. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si facevano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico.Con le olive verdi si facevano le colymbadas (letteralmente “le affiorate”), così dette perché galleggiavano in un liquido fatto di una parte di salamoia satura e due parti di aceto. La preparazione consisteva nel praticare alle olive, dopo la salagione, due o tre incisioni con un pezzo di canna, e quindi tenerle immerse per tre giorni in aceto; poi le olive venivano scolate e sistemate con prezzemolo e ruta, in vasi da conserve che erano poi riempiti con salamoia e aceto facendo in modo che restassero ben coperte. Dopo venti giorni erano pronte per essere portate in tavola.
Vendita dell’olio. Pelike a figure nere. Produzione attica, 510-500 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
Un altro tipo di conserva era l’epityrum che si faceva sempre con le olive migliori, di solito le orcite e le pausiane: era una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena ad ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso lo ricopriva d’olio.Vi erano poi le conserve di olive nere, che si potevano fare sia con le pausiane mature che con le orcite ed in alcuni casi anche con le olive della qualità Nevia: la preparazione consisteva nel tenerle per 30-40 giorni sotto sale, poi, una volta scosso via tutto il sale, metterle sotto sapa defrutum.Altre volte, più semplicemente, si mettevano le olive sotto sale con bacche di lentisco e con semi di finocchio selvatico.Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittore latini di agricoltura più famosi hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio.E noto, ad esempio, che l’olio che si otteneva dalla torchiatura era piuttosto denso e che, per farlo diventare più fluido, occorreva riscaldare l’ambiente in cui veniva preparato per evitare che si rapprendesse: è per questo che l’olio aveva spesso odore di fumo. In qualche occasione, e naturalmente a seconda della temperatura esterna, era sufficiente che il locale dei torchi (torcular) fosse rivolto a sud ed esposto ai raggi del sole, anzi, gli esperti ritenevano che questa fosse la soluzione migliore per garantire la buona qualità del prodotto. E infatti, nella villa della Pisanella a Poggioreale, dove è venuto alla luce un interessante esemplare di torchio da olio, la cella olearia era intiepidita naturalmente, in virtù della sua esposizione al sole.Gli autori antichi descrivono minuziosamente le macchine impiegate dai Greci e dai Romani per la torchiatura delle olive; le scoperte archeologiche hanno poi permesso di controllare e di completare le loro testimonianze.La prima fase della preparazione dell’olio d’oliva consisteva nello schiacciamento dei frutti. La mola olearia assomigliava a quella granaria, essendo anch’essa costituita da due pietre cilindriche, una fissa, il bacino o sottomola, l’altra mobile, la mola verticale: l’operazione di schiacciamento era seguita in modo assai semplice, facendo rotolare una pietra cilindrica avanti e indietro sopra le olive poste in un contenitore.
Rappresentazione di pressa a vite. Bassorilievo, Aquileia.
Il “frantoio” romano, puntualmente descritto da Columella (I sec. d.C.) era di un tipo assai simile a quelli usati anche in età moderna.Sulla base dei dati disponibili è possibile proporne una ricostruzione più che plausibile. In dettaglio, gli elementi componenti la macchina dovevano essere i seguenti:
olio extravergine di oliva del Lazio
Base in muratura, superiormente concava, per meglio alloggiare la sottomola
Sottomola
Sostegno verticale in legno dove è infilata la stanga. L’inserzione di questa nel sostegno doveva prevedere la possibilità di regolare l’altezza della mola per non schiacciare i noccioli delle olive
Disco della mola, costituito da una pietra cilindrica che l’uso deforma leggermente in senso troncoconico. Il disco è inserito nella stanga in modo da poter girare sia intorno al sostegno centrale, sia attorno al proprio asse. Il disco della mola era mantenuto nella posizione corretta per mezzo di cunei in legno (clavi)
Stanga, la cui estremità è collegata ai finimenti che imbrigliano l’asino sottoposto alla mola.
L’olio extravergine di oliva
Quando il perno centrale veniva fatto ruotare, i rulli giravano rapidamente a una distanza regolabile sopra il recipiente che conteneva le olive era così possibile separare la polpa senza schiacciare i noccioliDopo la frangitura, le olive venivano pressate. Per questo secondo passaggio in antico venivano usate presse a trave, simili a quelle usate per il vino. Sembra che la pressa a trave abbia avuto origine e si sia sviluppata nella civiltà egea, dove la coltivazione delle olive era già diffusa agli inizi dell’età del bronzo, ma non si sa con certezza a quale epoca risalga.I resti più antichi conosciuti di una pressa e di un bacino per schiacciare le olive sono quelli rinvenuti a Creta che appartengono al periodo minoico (1880-1500 a.C. ca.): sono però insufficienti per una ricostruzione dettagliata dello strumento. Un’altra pressa a trave per olive, risalente al tardo periodo elladico (1600-1250 a.C. ca.) fu trovata in una delle isole Cicladi. Dopo il 1000 a.C. circa, le presse di questo tipo divennero più frequenti e ne esistono alcune rappresentazioni, in particolare su vasi attici a figure nere del VI sec. a.C.La pressa a trave applica il principio della leva: un’estremità della trave era appoggiata in un incavo del muro, o fra due pilastri di pietra, l’altra veniva tirata giù o spesso caricata con pesi (uomini e pietre). Le olive, sistemate in sacchi o tra tavole di legno, venivano schiacciate sotto la parte centrale della trave e il succo era raccolto in un recipiente sistemato sotto il piano della pressa.Plinio descrive con molta chiarezza quattro tipi di presse. La prima è la vecchia pressa trave di cui parla anche Catone (234-149 a.C.) il cui funzionamento è stato però nel frattempo alquanto meccanizzato. Un’estremità della trave, spesso lunga fino a 15 metri, era fissata sotto una sbarra trasversale posta tra due pali di legno. Le olive schiacciate erano ammucchiate sotto questa pesante trave e la pressione veniva esercitata facendo abbassare l’altra estremità della trave che era tirata in basso da una fune arrotolata intorno ad un tamburo del diametro di 40-50 centimetri. Un secondo miglioramento che permetteva una pressione regolare e prolungata, era attuato nella pressa descritta da Erone (I sec. d.C.), ma gia nota da molto tempo e probabilmente inventata in Grecia. Tale pressa era costituita da un peso di pietra, una trave e un tamburo girevole, Partendo dalla base, una corda passava sotto una puleggia collocata sul peso e sopra un’altra puleggia situata sulla trave, raggiungendo il tamburo. Quando la corda era avvolta al tamburo la trave riceveva l’intero peso della pietra.La massa da pressare era racchiusa in vari modi: dentro fiscoli di corda, giunchi intrecciati, o cesti. Oppure: “le olive venivano schiacciate dentro cesti di vimini o mettendo la pasta tra due asticelle” (Plinio).Le presse a trave erano particolarmente adatte per operazioni su larga scala, quando invece si trattava di quantità limitate, come anche nel caso di semi oleosi, si preferivano altri metodi come la pressa a vite. Di quest’ultima Plinio dice che sembra sia stata introdotta a Roma verso la fine del I secolo a.C., ma che era stata probabilmente inventata in Grecia nel II o I secolo a.C.In una versione perfezionata di questo tipo di pressa, descritta sia da Erone sia da Plinio, la vite solleva un peso di pietra. Questo tipo, chiamato anche “pressa greca”, era senz’altro in uso a Roma ai tempi di Vetruvio (I sec. a.C.).Quindi l’olio veniva messo a decantare in vasche che precedevano il lacus destinato alla raccolta finale del prodotto.
Prof.ssa G. Carlotta Cianferoni-Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana
Dolia interrati. Posti nella Villa Rustica in Loc.Villa Regina, I sec. d.C. Boscoreale, Napoli.
Disegno ricostruttivo di un frantoio. Dal testo: “Settefinestre. Una villa schiavistica nell’Etruria romana”.
Anfora panatenaica a figure nere. Produzione attica, Lydos, 560-540 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
Vendita dell’olio. Pelike a figure nere. Produzione attica, 510-500 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
Raccolta delle olive. Riproduzione grafica di un’immagine di un vaso attico a figure nere.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
Roma-Municipio XII-Quartiere Massimina–26 maggio 2017-Degrado e abbandono dell’area archeologica sita tra via Romano Guerra –via della Massimilla e il Centro Commerciale civico 14.
Nel 2004 , se ricordo bene nel mese di novembre, durante la fase di sbancamento per la costruzione del Centro Commerciale venne rinvenuta una Villa rustica , una cisterna e una necropoli databile IV-III sec. A.C.
Nel 2009 furono eseguiti gli scavi , vedi foto allegate, sull’area archeologica (residuo di aera) che ora si presenta nel più degrado assoluto.
Tutti noi cittadini ci auguriamo che i nuovi Amministratori sappiano, finalmente, valorizzare la Storia e i siti Archeologici del Quartiere Massimina.
Pubblicheremo, sul nostro Blog ABC VOX, tutto il materiale che riusciremo a recuperare relativo alla Storia e all’Archeologia di Massimina.
Nota di FRANCO LEGGERI
Report fotografico delle fasi di scavo del 2009 – foto di Franco Leggeri
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
ARCHEOLOGIA a MASSIMINA , tra Degrado e Abbandono.
-Bisogna fare una distinzione tra le donne di Atene e di Sparta. Le ateniesi non godevano di diritti propri come gli schiavi. Le fanciulle non potevano uscire dagli appartamenti loro riservati detti ginecei. Uscivano solo per le feste religiose. Il marito veniva scelto dal padre all’interno del gruppo parentale. Anche nel matrimonio le donne continuavano la loro vita da recluse e dovevano rimanere appartate nei banchetti. Paradossalmente quelle delle classi più umili, lavorando fuori casa, andando nei campi o nei mercati, godevano di più libertà di movimento. A Sparta una buona madre doveva essere sana, robusta e vigorosa, tutte le cose che avrebbe trasmesso poi ai nascituri. Per questo motivo venivano indirizzate all’ attività sportiva ed erano soggette ad un minor controllo sociale delle ateniesi. Solo quelle delle classi inferiori si dedicavano ai lavori domestici.
Donna Romana
ROMA
-La donna Romana era più libera della donna greca in quanto poteva partecipare ai banchetti, andare a teatro o al circo. Il suo ruolo era all’interno della casa, nella famiglia. Era considerata per tutta la vita allo stesso livello di un figlio minorenne. Non sempre il matrimonio coincideva con l’amore. Il motivo del matrimonio (termine che non a caso deriva da MATER = MADRE) andava invece ricercato nei figli. Ci si sposava innanzitutto per avere dei figli legittimi, cioè riconosciuti dalla legge. L’istruzione dei figli era compito della madre nei primi anni. Successivamente i maschi venivano affidati a un maestro. L’istruzione delle ragazze terminava a 12 anni.
Alessia De Lorenzis Direttrice OASI LIPU Castel di Guido
Il 23 aprile in tutto il Paese. L’Oasi Castel di Guido organizza una giornata di visite e giochi per bambini e adulti nella Natura della campagna romana. La partecipazione a visite guidate, giochi, animazioni per bambini e adulti è gratuita.
Per le persone che amano la Storia della nostra zona suggerisco di visitare il Blog- WWW.ABCVOX.INFO – VOX-Voce della Campagna Romana- zona AURELIA BOCCEA
Programma del mattino
10.30 Appuntamento in piazza Castel di Guido e trasferimento in Oasi
11.00 Visita guidata sul sentiero delle rondini
Visita guidata sul sentiero degli allocchi
12.30 Liberazione di un rapace curato al CRFS Lipu Roma
13.00 Pranzo al sacco (per chi si vuole fermare)
Programma del pomeriggio
15.00 “Voli senza Frontiere”, gioco di orientamento per bambini dai 6 a 99 anni (prenotazione obbligatoria)
Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
15.30 Visita Guidata alla Villa Romane delle Colonnacce organizzata dal GAR (Gruppo Archeologico Romano)
16.30 Saluti
Per informazioni e prenotazionitel. 3285569123
Per le persone che amano la Storia della nostra zona suggerisco di visitare il Blog- WWW.ABCVOX.INFO – VOX-Voce della Campagna Romana- zona AURELIA BOCCEA
Eventi della giornata in Oasi
– I #ventiBUONI
20 Arnie, 20 disegni, 20 Scienziati.
Buono racconta il progetto dell’associazione e presenta nel pomeriggio il portasciami di Lucamaleonte.
– Corso di Fotografia Macro
Durante la giornata, il fotografo naturalista Alessandro Zocchi, terrà un corso base di fotografia macro (fiori, insetti, piccoli animali) articolato come segue:
mattina – lezione di macro della durata di un’ora e mezza
pomeriggio – sessione pratica di fotografia all’interno dell’Oasi
Donazione minima per il corso: 10 euro
Per informazioni e prenotazione obbligatoriatel: 3669930239
Sito web della Campagna Romana-WWW.ABCVOX.INFO
Come arrivare in Oasi
L’Oasi si trova all’interno dell’Azienda Agricola Castel di Guido che ha sede nel borgo omonimo (via Gaetano Sodini). Il borgo è lungo la via Aurelia (km 20) a 5 km dall’uscita “Aurelia” del G.R.A. direzione Civitavecchia. Dall’uscita “Castel di Guido” percorrere via di Castel di Guido per 4,5 km fino all’omonima piazza, punto di incontro per gli eventi e le visite guidate. Da li, in occasione degli eventi organizzati, si prosegue in auto per la strada interpoderale fino al parcheggio dell’Oasi. In alternativa l’oasi si può raggiungere dal borgo a piedi o in bicicletta (circa 2,5 km). La piazza di Castel di Guido è raggiungibile con la linea Atac 246P (fermata: n° 78340 pza Castel di Guido) con partenze dal capolinea Cornelia (Metro A).
Per informazioni tel. 3285569123
Per le persone che amano la Storia della nostra zona suggerisco di visitare il Blog- WWW.ABCVOX.INFO – VOX-Voce della Campagna Romana- zona AURELIA BOCCEA
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Oasi LIPU di Castel di Guido
Oasi LIPU di Castel di Guido
Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Oasi LIPU di Castel di Guido
Visitatori OASI LIPU Castel di Guido
Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Oasi LIPU di Castel di Guido
Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Alessia De Lorenzis Direttrice OASI LIPU Castel di Guido-Lezioni all’aria aperta
Alessia De Lorenzis Direttrice OASI LIPU Castel di Guido
Oasi LIPU di Castel di Guido
Oasi LIPU di Castel di Guido
Oasi LIPU di Castel di Guido
CASTEL di GUIDO-PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.
OASI LIPU di Castel di Guido- Foto Archivio anno 2009
OASI LIPU di Castel di Guido-
Castel di Guido
Serbatoi idrici della Campagna Romana- Serbatoio della TORRE della RESIDENZA AURELIA di Castel di Guido
Serbatoi idrici della Campagna Romana- Serbatoio di Castel di Guido
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
Castel di Guido-chiesa Spirito Santo
Castel di Guido
AZIENDA AGRICOLA Castel di Guido
Castel di Guido-Azienda Agricola Comunale
Castel di Guido-Il Castello
Castel di Guido
Castel di Guido
Castel di Guido-Restaurata la scalinata della chiesa dello SPIRITO SANTO
Castel Di Guido Il mausoleo
REGNUM CHRISTI sito nella RESIDENZA AURELIA di Castel di Guido
REGNUM CHRISTI sito nella RESIDENZA AURELIA di Castel di Guido
CROCE di CASTEL DI GUIDO– LA CROCE DI LORENA – CROCE DEL SANTO SPIRITO
Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
I BUTTERI dell’Azienda agraria di Castel di Guido WWW.ABCVOX.INFO
I BUTTERI dell’Azienda agraria di Castel di Guido
CASTEL DI GUIDO – PRIMA DELLA STORIA- Una veduta dello scavo della terza campagna effettuata nel 1982
Lettera-antica-donna-romana -British Museum/Art resource, NY
Tempo fa è stato trovato e tradotto un invito di compleanno mandato da un’antica donna romana, moglie del comandante del forte di Vindolanda – Gran Bretagna – alla sorella.
La regione a quel tempo era ancora più fredda ed umida di oggi. Spesso chi veniva inviato qui, ai confini dell’impero, poteva aver la sensazione di essere isolato ed esiliato dalla lontana, potente e lussuosa Roma.
Ciò non impediva ai romani di sentirsi tali; un fatto dimostrato dal ritrovamento di numerose ville e strade costruite proprio da questo popolo. Anche lo stesso forte militare ci ha consegnato ampio materiale sulla vita di tutti i giorni dei romani.
A partire dal 1973, gli studiosi hanno cominciato a trovare frammenti di tavolette coperte di scrittura corsiva romana e sature d’acqua. Una volta conservate e decifrate, è stato possibile osservare rari dettagli della vita quotidiana e il funzionamento del forte; liste dei rifornimenti necessari, tra cui la pancetta, le ostriche, e il miele; la lettera di un soldato che scrive da casa e dice che ha inviato più calze, sandali, e biancheria oltre a descrivere i nativi britannici.
Tra le tavolette-i più antichi documenti scritti a mano in Gran Bretagna-sopravvive un invito dalla moglie del comandante del forte a sua sorella per una festa di compleanno, incredibile per la semplicità e la somiglianza oltre alla sua attualità nell’uso delle parole.
La lettera
“Claudia Severa alla sua Lepidina, saluti. Questo 11 settembre, sorella, per la celebrazione del mio compleanno, ti ho inviato un caldo invito per essere sicura che tu verrai, così da rendere la mia giornata migliore se tu sarai presente. Porgi i miei saluti al tuo Cerialis. Il mio Aelius (Elio) e mio figlio ti inviano i loro saluti. Ti aspetto sorella. Saluti, sorella, anima a me più cara, che spero prosperi e possa salutare. A Sulpicia Lepidina, moglie di Cerialis, da Severa.” La Moglie di Aelius, Claudia, fece probabilmente comporre da qualcun altro la lettera, elemento che sembra emergere dalla professionalità con cui è scritta la missiva. Sembra esserci però anche una parte del messaggio scritta direttamente da Claudia quando si legge: Ti aspetto sorella. Saluti, sorella, anima a me più cara, che spero prosperi e possa salutare”. Questo passaggio, seppur breve, rappresenta il primo testo conosciuto scritto da una donna romana in latino.
Castel di Guido- 12 aprile 2017-Distruggere un Borgo medievale, la Sua Storia millenaria, non è impresa da poco, solo “piccolissimi uomini dal prezzo facile” sono in grado di poterlo fare. Castel di Guido il Borgo medievale “violentato da cialtroni incapaci, uomini rozzi estranei al bello , nemici del sole e della luna”. Vivere Castel di Guido in un modo diverso, osservarlo con occhi “puliti”, essere un abitante del Borgo che non ha istinti da “PREDONE” , essere Cittadino di Castel di Guido VERO come si diceva una volta :”con il cuore e con l’anima”. I “signori” che hanno depredato e distrutto “il nostro” Castel di Guido sono ormai “altrove” a godersi i frutti dello scempio che ci hanno lasciato. I barbari che hanno “SPEZZATO L’EMOZIONE” sono “altrove a godersi il brutto frutto della loro anima arida”. C’è forse un pensiero che è pari. Per profondità e smarrimento. C’è forse un’emozione che è pari. Forse un dolore che è pari nel vedere un Borgo bello e forte crollare col cuore a pezzi in un deposito di meschini interessi . Piccoli interessi da “bottegaio” . Vi è un dolore, un’emozione che forse sono pari a quello che hanno dominato gli occhi e i cuori nel mondo nel vedere un Borgo bello e forte cadere ed avviato alla morte troppo presto, ma la partita non è finita. E sono il dolore, l’emozione che ci prende nel pensare che Castel di Guido, quel bel vigore che infondeva non abbiano avuto senso. Vedere, l’amato, Castel di Guido, così com’è ridotto, è un nodo alla gola. L’ingiustizia di un Borgo che cade nel pieno del suo splendore, è quasi pari all’ingiustizia di pensare che la vita, quella di tanti giovani, sia priva di senso. Sia come un bell’”arabesco” nel nulla. Sia come una cosa fantastica e breve, priva di reale significato, cioè priva di un destino buono. Perciò vedendo lo spaventoso spettacolo di Castel di Guido che crolla sotto “l’ignorante bastone di piccoli uomini privi di scrupolo ” .E a quel crollare fa eco, per così dire, quel sorgere e cantare la SPERANZA. E a quell’emozione che fa quasi perdere il senno, risponde, con l’”ultrasuono” di un’impalpabile ma ragionevole speranza, l’emozione di vedere questi vecchi e giovani che gridano e cantano perché la vita – duri cent’anni o venti o un mese – ce l’ha. Scene ed emozioni OPPOSTE al neutro e scialbo chiacchiericcio di prezzolati “capibastone” che per “ un misero piatto di lenticchie” vendono il futuro del Borgo ad avvoltoi e sciacalli. Resistere agli sciacalli e alla serpe che sputa il veleno dell’odio.
Guido da Spoleto vinse i Saraceni, riusciremo noi, oggi, a vincere la giostra della MezzaLuna? Vivere Castel di Guido, andare oltre e che il bagordo innalzi le membra degli avvoltoi come trofeo di vittoria.
-articolo di Franco Leggeri-
Ad ovest di Boccea, a circa 2500 m di distanza dal Castello di Boccea è conservato il Casale di Testa di Lepre di sopra. Nel secolo XII il Casale apparteneva alla Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, proprietà confermata da Papa Celestino III nel 1192. Il Casale entrò in seguito a far parte dei beni del Patrimonio della Basilica di San Pietro. Vi subentrarono, alla metà del XV secolo, gli Orsini e nel 1453 Francesco Orsini vendette “Testa di Lepre”, insieme ad un “Castrum dirutum” (Castello di Boccea?) a Pandolfo Anquillara. Il Casale di Testa di Lepre di sopra ( il Casale di Testa di Lepre di sotto circa 4 Km a Sud,–Pamphilj dal 1649- è invece completamente moderno), anche se notevolmente rimaneggiato , mostra ancora la caratteristica forma di Casale Torre con alta Torretta , centrale, incorporata. A Testa di Lepre, territorio, doveva esistere nel sito ove ora sorge il Casale di Malvicino, circa 2 Km a Nord di Testa di Lepre. L’esistenza della Torre di Malvicino è indicata in un disegno del Catasto Alessandrino (Papa Alessandro VII) in cui è disegnata una costruzione a tre piani munita di merlatura. Testa di Lepre e Malvicino dovevano costituire due importantissimi posti di vedetta per il controllo della via di Tragliata che univa il Castello di Boccea (sito sopra i Laghetti dei Salici) e il Castello (ora Borgo) di Tragliata.
Bibliografia -AA.VV. Giovanni Maria De Rossi- torri segnaletiche-Ricerche bibliografiche , Eufrosino della Volpaia 1547,catastali e foto originali sono di Franco Leggeri (Articoli per il sito WWW.ABCVOX.INFO- Torri della via Aurelia-Eufrosino della Volpaia 1547)
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Roma- 30 marzo 2017-Sabato 22 aprile dalle ore 9:00 alle ore 17:00-I Volontari del Gruppo Archeologico Romano saranno presenti a Castel di Guido, presso l’Azienda Agricola Comunale e OASI della LIPU, per condurre gli scavi nella Villa Romana delle Colonnacce.La Villa Romana è databile tra il III sec. a.C. e il III sec. d.C. ed è costituita da strutture sia di epoca repubblicana sia imperiale.
Foto di FRANCO LEGGERI per REDREPORT
Per ulteriori informazioni si prega di contattare la segreteria del GAR: Gruppo Archeologico Romano Via Contessa di Bertinoro 6, Roma Tel. 06/6385256 info@gruppoarcheologico.it
Descrizione della Villa Romana delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione della Dott.ssa Daniela Rossi- Archeologa .
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “.
N.B. Franco Leggeri:”La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel Borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .”
FOTO GALLERY -Villa Romana delle Colonnacce-Foto di Franco Leggeri
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
GAR-Gruppo Archeologico Romano
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE
VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Arch. VALERIA GASPARI Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
Visita Villa Romana delle Colonnacce
Visita Villa Romana delle Colonnacce
Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
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