Dal libro:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana
di Franco Leggeri.
Brano e foto dalla Monografia :”Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana”
di Franco Leggeri.
La bellezza, la poesia e la “bioarchitettura” del Viale dei pini nella Campagna Romana. V.le del sito Archeologico Torre della BOTTACCIA-Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
L’ecologia è un concetto che fa parte della coscienza universale, di cui dobbiamo essere ogni giorno sempre più consapevoli. Il grande scienziato della natura e poeta Goethe riassume tale consapevolezza con queste parole: “Nulla si impara a conoscere, se non ciò che si ama, e più forte è l’amore tanto maggiore sarà la conoscenza”. Imparare a “godere” dello spazio naturale che ci circonda è uno strumento di straordinario valore per diffondere e sedimentare nell’agire una vera e propria cultura della sostenibilità. In tal senso, probabilmente la più spontanea e potente istanza pedagogica è proprio il paesaggio, capace di impartire una sua prima e fondamentale educazione implicita: il paesaggio è infatti come scrive , molto bene, nel suo saggio ”Paesaggio Educatore” il Regni R. “ maestro di una cultura dell’ascolto dell’armonia dell’uomo e del cosmo, propria di un ambiente come realtà da condividere e non solo come qualcosa a cui badare”(Ed.Armando -2009). L’ammirazione per lo splendore della natura è il motore che genera e, conseguentemente, moltiplica in ognuno di noi , sin dalla più giovane età, i sentimenti di affezione , rispetto e curiosità verso il patrimonio ambientale che ci circonda. D’altra parte tale affezione e desiderio di cura tutela non può che scaturire dalla conoscenza e dalla relazione . Ci è istintivamente estraneo ciò che non conosciamo, con cui non possiamo dialogare per assenza di codici condivisi e a cui non siamo socializzati . L’estraneità si supera a mio avviso, solo attraverso un flusso comunicativo e relazionare che deve essere continuamente alimentato e che dà luogo ad una empatia prodromica a comportamenti di cura , tutela e di salvaguardia . Per recuperare i “codici” che ci consentono , nell’ascolto, di comprendere il linguaggio della natura bisogna , infatti, conoscere quest’ultima, perché solo coltivando una conoscenza profonda e radicata , ma anche istintiva, di qualcosa possiamo affezionarci ad essa, amarla e far crescere in noi il desiderio spontaneo di difenderla e preservarla.
Roma-Municipio XIII-19 luglio 2022-L’Associazione Cornelia Antiqua sta procedendo alla verifica dell’esistenza delle antiche Torri Segnaletiche ancora in essere così come furono disegnate nella ormai famosa mappa da Eufrosino della Volpaia nel 1547. Cornelia Antiqua procede anche alla verifica e confronto con le mappe del Catasto Alessandrino e con quelle più recenti edite dell’Istituto Geografico Militare(IGM).Dopo varie ricerche bibliografiche, noi dell’Associazione Cornelia Antiqua riteniamo di aver individuato quale potrebbe essere l’attuale posizione dell’antica Torre “La Selice”, rappresentata sulla carta topografica di Eufrosino della Volpaia. La Torre è situata a sinistra del Rio Galeria, da noi evidenziata con un cerchio rosso (Foto1).
In base alle nostre ricerche , sembrerebbe che la Torre sia quella che attualmente si trova nei pressi di via di Quarto S. Lucia (Roma-zona Casal Selce). La Torre , recentemente ristrutturata, si trova all’interno di una struttura religiosa , composta da vari edifici, di proprietà delle Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso. Noi dell’Associazione Cornelia Antiqua ,in data 17/luglio/22, abbiamo effettuato un sopralluogo. Attualmente la Torre, integra, è parte di un edificio realizzato successivamente. Le Suore, gentilmente, ci hanno ricevuto e scortato, sorprese e incuriosite, all’interno della Torre.
Si allegano le foto della Torre così come si presenta dopo il restauro con al suo fianco , com’era prima del restauro (Foto B/N)- La Torre, sembrerebbe non aver subito modifiche strutturali, ma avrebbe mantenuto le vecchie forme architettoniche così come si evince dal posizionamento immutato della finestra di forma rotonda(Oblò).Cornelia Antiqua vuole ringraziare per la collaborazione e l’accoglienza le Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso.
Articolo di Tatiana Concas- Associazione Cornelia Antiqua-
Roma -Torretta di Porta Pertusa-Fotoreportage di Franco Leggeri-
Torretta di Porta Pertusa
Nota -di questa Torre che si trova a Roma ,sulla via Aurelia vicino al Vaticano di fronte all’ingresso dell’Ospedale San Carlo di Nancy, esisteva una sola foto in B/N. risalente agli anni 1940.
La storia in beve-
Il Tomassetti parla di questa Torretta e la chiama “torretta nei pressi di Porta Pertusiam…(1)”. Il Tomassetti cita gli Atti Capitolini e citazioni della Camera Apostolica.
Questa Torretta è l’ultima delle torri di avvistamento della via Aurelia immediatamente a ridosso , linea d’aria (100/150 metri) dalle mura vaticane proprio di fronte a Porta Pertusa in posizione strategica sopra a Via Baldo degli Ubaldi in posizione dominante Valle Aurelia e Valle del Gelsomino-Via Gregorio VII. Dalla Torretta era possibile vedere Villa Carpegna e la Torre Rossa,oggi non più esistente ma ricordata dalla via omonima (poi è stato scoperto che Torre Rossa è in essere e pubblicherò foto e storia..).La Torretta ha una altezza di circa 7 m. La base di 3 m. circa.
La torretta si trova all’interno della Villa Pacelli in via Aurelia civ. 290 di fronte all’ospedale San Carlo . Nel 1947 Pio XII donò la villa Pacelli alla Congregazione Oblati di Maria Immacolata che ancora la possiedono , la villa è sede Generalizia della Congregazione.
Per le foto si ringrazia Monsignor Gilberto Pinon Gaytàn- Padre Generale della Congregazione Oblati di Maria Immacolata che mi ha ricevuto e mi ha permesso di scattare le foto . Per ultimo allego anche la foto in B/N del 1940-
(1)- Durante la Repubblica Romana del 1849 i francesi cercarono, ma invano, di aprirla per attaccare Garibaldi il quale aveva piazzato l’artiglieria repubblicana nei giardini vaticani.
ROMA Municipio XIII-Restauro della statua Vergine Lauretana –
Chiesa della Madonna di Loreto di via Boccea ,
il restauro della statua raffigurante la Vergine Lauretana
Articolo e foto di Tatiana Concas
ROMA- 16 ottobre 2023-Lungo la via Boccea, all’altezza del numero civico 1417, immersa nel paesaggio della campagna romana, si trova la chiesa della Madonna di Loreto.
Questa piccola accogliente chiesa, rappresenta un luogo di silenzio e di preghiera, un rifugio spirituale, per tutti coloro che sentono il bisogno di avvicinarsi a Dio, seguendo l’esempio di umiltà della Santissima Vergine Maria.
La chiesa di Santa Maria di Loreto, è stata recentemente trasformata da parrocchia a rettoria e il sacerdote al quale il Vescovo ha affidato la cura della rettoria è don Biagio Calasso.
Nella comunità della chiesa si percepisce un forte clima di unione e condivisione, incoraggiato anche dall’esempio di don Biagio, che esercita con grande ardore il suo ministero di preghiera, a sostegno di tutte le persone che stanno attraversando un periodo di sofferenza spirituale.
I fedeli partecipano con gioia, anche alla cura della Chiesa, mettendo a disposizione il loro tempo e le loro abilità.
Un esempio è fornito da una coppia di sposi che, chiedendo di restare anonimi, si sono offerti volontari, a titolo gratuito, per restaurare alcune opere scultoree presenti all’interno della rettoria.
Tra le opere da loro restaurate, merita particolare attenzione la statua della Madonna di Loreto, a cui sono stati restituiti luce e colore, riportandola allo splendore iniziale.
La statua raffigurante la Madonna di Loreto, si trova racchiusa in una nicchia dietro l’altare ed è rappresentata con il caratteristico manto ingioiellato detto Dalmatica.
Essa è ispirata alla Vergine Lauretana ed appare quindi, di colore nero, perché secondo le cronache dell’poca, la scultura della Vergine venerata nella Santa Casa, era scolpita in Ebano, un legno dal colore notoriamente scuro.
Il volto della Madonna però, a differenza della statua originale, è sorridente e con il braccio destro, nascosto sotto la dalmatica, sorregge Gesù Bambino.
Il braccio sinistro della Vergine Maria invece, fuoriesce dal mantello e tiene nella mano una sfera, simbolo del Mondo.
Il bambino infine, mostra tra le dita della mano destra, una pietra di colore chiaro, che rappresenta probabilmente, la pietra della casa di Nazaret.
La statua della Madonna di Loreto ci ricorda il mistero dell’incarnazione di Gesù, che si è fatto carne ed è venuto al mondo per salvare l’umanità.
Ringraziamo pertanto, la coppia di sposi anonimi, volontari, che guidati dalla fede, hanno restaurato con maestria questa bellissima statua raffigurante la Vergine Maria, nella cui maternità, come dice Papa Francesco, “vediamo la maternità della chiesa che riceve tutti, buoni e cattivi”.
-I colori e le bacche nell’autunno della Campagna Romana-
-Fotoreportage di Franco Leggeri-
Roma Municipio XIII-L’autunno è magico, le atmosfere diventano più rarefatte e i colori caldi ritornano a sorprenderci con mille sfumature di giallo. Dai cespugli ricoperti di bacche, scopriamo i colori tenui e la poesia di questa sinfonia di bellezza. Gli alberi , assieme agli arbusti, con le loro cortecce e le loro cromie, contribuiscono a creare quell’atmosfera fiabesca, romantica e sorprendente che delizia gli amanti dell’autunno.
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA MUNICIPIO XIII-Tenuta di ACQUAFREDDA-Tomba etrusca del VII sec. a.C.
All´interno della tenuta Acquafredda la presenza dell´uomo risale alla Preistoria. Molto probabilmente vi è stata la presenza degli Etruschi: si sta infatti studiando una grotta che, presumibilmente, è una tomba rupestre ipogea. La presunta tomba è scavata nel tufo ed è costituita da un camerone iniziale, sorretto da un grande pilastro di tufo, da cui parte un lungo corridoio, ai cui lati si aprono a coppia, in forma simmetrica, quattro cappelle laterali. I contadini l´hanno sempre chiamata la “grotta”, ma la struttura è quella di una tomba etrusca del VII secolo a.C.
Fonte e bibliografia-Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana Edizione DEA SABINA- Giuseppe e Francesco Tomassetti -LA CAMPAGNA ROMANA- sito web WWW.ABCVOX.INFO-Il Suburbio di Roma-GAR-XVIII Circoscrizione – Associazione SestoAcuto-TENUTA DELL’ACQUAFREDDA- MURA LEONINE- INVASIONI BARBARE- Thomas Ashby-Biblioteche private-Biblioteca Nazionale-Fonti e Memorie-dell’Agro Romano- Catasto di Pio VI-
Foto originali di Franco Leggeri per Associazione Cornelia Antiqua-
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA-
ROMA MUNICIPIO XIII-Associazione CORNELIA ANTIQUA-La TORRE di ACQUAFREDDA
Ricerca bibliografica e fotoreportage di Franco Leggeri
Pubblicazione per riassunto e parziale dalla Monografia di Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana – Edizione DEA SABINA-
Torre di Acquafredda si trova sulla VIA omonima al civ. 88/a all´interno del parco naturale dell’Acquafredda.
Il nome di Acquafredda (fundus Aque frigidule) si legge per la prima volta in una bolla del 1176 di Papa Alessandro III che conferisce questa tenuta ai monaci di San Pancrazio. Il nome deriva dal torrente Algidon, ora Acquafredda, che affluisce nel fiume Magliana. La Torre fu costruita nel XIII secolo sui resti di una villa romana. Nel secolo XVI, quando il possedimento era affittato a Giovanni Consolo da Rognano, la torre fu inglobata in un casale.
La Torre ha pianta rettangolare, i muri sono costruiti con pietre di selce miste a spezzoni di marmo. La parte superiore è stata modificata in epoca moderna, come si può desumere dal tetto inclinato. Nella tenuta di Acquafredda, come narra lo storico latino Procopio nel Bellum Gothicum, Totila, il re dei Goti, eresse qui nel 547 d.C. il suo accampamento, prima di sferrare l´attacco contro Roma.
All´interno della tenuta Acquafredda la presenza dell´uomo risale alla Preistoria. Molto probabilmente vi è stata la presenza degli Etruschi: si sta infatti studiando una grotta che, presumibilmente, è una tomba rupestre ipogea. E´ scavata nel tufo ed è costituita da un camerone iniziale, sorretto da un grande pilastro di tufo, da cui parte un lungo corridoio, ai cui lati si aprono a coppia, in forma simmetrica, quattro cappelle laterali. I contadini l´hanno sempre chiamata la “grotta”, ma la struttura è quella di una tomba etrusca del VII secolo a.C.
LA TESTIMONIANZA DI PROCOPIO Secondo una teoria abbastanza diffusa, nel 547 re Totila avrebbe stanziato le truppe gotiche nei pressi della zona oggi conosciuta come Acquafredda (non lontano dal km 10 dell’Aurelia), nel corso delle operazioni per togliere Roma ai bizantini. L’ipotesi è fondata sul brano della Guerra Gotica di Procopio di Cesarea (libro III, 22-23) in cui si narra di quando Totila minacciò di radere al suolo Roma come ritorsione per la sconfitta subita in Lucania. Com’è noto, per evitare questa sventura, il generale bizantino Belisario scrisse a Totila una famosa lettera (che riportiamo per intero nella sezione di Letteratura),che ebbe il felice esito di far demordere Totila dal suo proposito. A quel punto il re goto – o perché irretito dalle parole di Belisario o perché non aveva mai avuto la volontà reale di dare seguito alle minacce ventilate – decise non di attaccare direttamente Roma, bensì di limitarsi a impedire gli approvvigionamenti di viveri provenienti da Portus; per perseguire tale obiettivo, fece dunque accampare il proprio esercito in una località che Procopio chiama Algido (Αλγηδών), ovvero gelido. Giuseppe Tomassetti, sulla scorta di un suggerimento di Carlo Busiri, ritenne dunque che Algidon indicasse proprio (sotto forma di traduzione in greco) la tenuta d’Acquafredda, che trae il nome dal fosso omonimo che sgorga lì nei pressi a una temperatura piuttosto bassa.
LA TESTIMONIANZA DI GREGORIO MAGNO L’intuizione potrebbe in effetti essere giusta, se non fosse che Gregorio Magno (Dialogorum Libri IV, III, 11) scrisse che Totila pose il proprio accampamento ad locum qui ab octavo hujus urbis milliario Merulis dicitur. Noi sappiamo per certo che Campo Merlo (Campo Merule) in realtà non si trova lungo l’Aurelia, bensì sulla Portuense, subito dopo la tenuta della Muratella in direzione di Ponte Galeria, nei pressi del punto in cui il Tevere disegna un sinuoso meandro. Va sottolineato che il brano di Gregorio Magno è ignorato da chi pone l’accampamento nella Tenuta di Acquafredda, mentre è preso in considerazione dal Gregorovius, che però non cita il passo di Procopio (saltiamo a pie’ pari chi poi – anche di recente! – ha incautamente posto l’accampamento gotico sui Colli Albani). Vero è che Gregorio Magno scrive mezzo secolo dopo gli avvenimenti narrati e vero è che il tema trattato (un miracolo avvenuto nel campo gotico) non rassicura affatto sulla veridicità del racconto, però la citazione toponomastica è troppo ben circostanziata per non tenerne conto. Inoltre un aspetto che né il Tommasetti, né gli studiosi che hanno fatto propria la sua ipotesi sembrano aver considerato è che strategicamente non aveva molto senso posizionare le truppe sull’Aurelia per bloccare i rifornimenti da Portus, dato che da qui il modo più rapido e comodo per raggiungere Roma era o la Portuense (soprattutto nella sua diramazione bassa, corrispondente all’attuale via della Magliana) o la navigazione del fiume (magari risalendo la corrente con la tecnica dell’alaggio).
IL FOSSO DI ACQUAFREDDA In realtà non è detto che Gregorio e Procopio siano in contraddizione. È infatti possibile che lo storico palestinese non intendesse indicare con Algido una località specifica, bensì volesse semplicemente dire che le truppe gotiche si stanziarono in un punto – non meglio specificato – lambito dall’Algido inteso sic et simpliciter come corso d’acqua. In verità, quello che noi chiamiamo Fosso di Acquafredda è in realtà parte integrante di un complesso bacino idrico di circa 18 km che ha inizio con il nome di Fosso della Palmarola (dalla zona da cui sgorga, nei pressi della borgata Ottavia); dopo circa due chilometri riceve un affluente da sinistra (il Fosso della Polledrana) e a valle della confluenza assume il nome di Fosso della Maglianella; dopo circa 8 chilometri, riceve infine il Fosso dell’Acquafredda: a valle della confluenza il rivo assume il nome di Fosso della Magliana. Ora, va osservato che il Fosso della Magliana (oggi purtroppo noto per essere il fosso più inquinato del Comune di Roma) è affluente del Tevere e vi confluisce giusto nei pressi del Campo Merlo.
A questo punto non soltanto non è illegittimo identificare l’Algido procopiano con il fosso di Acquafredda e con la sua diretta continuazione (l’attuale Fosso della Magliana), ma anzi possiamo far concordare le testimonianze di Procopio e di Gregorio Magno individuando il luogo dell’accampamento gotico in un’area prossima alle foce del Fosso della Magliana, non lontano da dove oggi sorge il rinascimentale Castello della Magliana; come può facilmente desumersi osservando la Mappa della Campagna Romana di Eufrosino della Volpaia (1547), si tratta di una zona di grande valore dal punto di vista strategico, che ben si accordava all’obiettivo bellico che il re Totila si era prefisso.
Fonte e bibliografia-Franco Leggeri- Monografia TORRI SEGNALETICHE –TORRI SARACENE- della Campagna Romana Edizione DEA SABINA- Giuseppe e Francesco Tomassetti -LA CAMPAGNA ROMANA- sito web WWW.ABCVOX.INFO-Il Suburbio di Roma-GAR-XVIII Circoscrizione – Associazione SestoAcuto-TENUTA DELL’ACQUAFREDDA- MURA LEONINE- INVASIONI BARBARE- Thomas Ashby-Biblioteche private-Biblioteca Nazionale-Fonti e Memorie-dell’Agro Romano- Catasto di Pio VI-
Foto originali di Franco Leggeri per Associazione Cornelia Antiqua-
-L’Associazione Cornelia Antiqua sulle tracce del dio Mithra –
ROMA MUNICIPIO XIII-“Nel dicembre 1987, a circa 300 metri dal Casale della Bottaccia, in seguito a lavori agricoli che hanno provocato lo sprofondamento di una volta, si sono scoperti alcuni ambienti ipogei. L’ispezione, condotta da tale pertugio improvvisato da parte del dottor Sergio Mineo, evidenziava un complesso articolato “in tre ambienti distinti di forma quadrangolare, paralleli e di diversa lunghezza … la cui altezza media è di m. 2,30. I tre vani, dei quali non è stato individuato il piano di calpestio antico, sono coperti da una volta a botte e … raccordati tra loro da passaggi più stretti … L’ambiente C è il più interessante in quanto la sua parete di fondo presenta un bassorilievo scolpito nel tufo … raffigurante, a destra, un serpente, a sinistra un elemento di difficile interpretazione (un albero fortemente stilizzato?) e, in alto, al centro della composizione, una testa, raffigurante probabilmente il volto della divinità, i cui tratti sono del tutto abrasi” (Sergio Mineo, “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma”, vol. 93, 1989-1990).Il complesso cultuale è stato identificato, con buona probabilità, quale mitraico.
L’AssociazioneCornelia Antiqua ha rinnovato la spedizione nei sotterranei. La visita ha confermato i rilievi del 1987: con qualche novità.
In effetti il volto centrale del bassorilievo è assai poco riconoscibile e purtuttavia il serpente già indica un atmosfera mitraica; e ciò sembra confermata da una nostra umile e personale rilettura dell’elemento a sinistra: non già un albero, benché stilizzato, bensì la raffigurazione d’una pigna, simbolo d’eternità e immortalità, e oggetto ricorrente in sei figurazioni mitraiche (“pomme de pin”) riportate nella celebre compilazione di Franz Cumont Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, 2 voll. 1896 – oggetto, quindi, non casuale, ma caratterizzante tale divinità.
Altra conferma verrebbe da un gruppo in marmo bianco raffigurante, senza dubbio, proprio il dio nella sua versione tauroctona (ovvero Mithra nell’atto di uccidere il toro). Tale gruppo marmoreo sarebbe stato rinvenuto nel 1825 proprio nel nostro mitreo dagli allora proprietari, i nobili Pamphili, che la tolsero a un sonno millenario aggiungendola alla propria straordinaria collezione (oggi esso è visibile alla Galleria Doria-Pamphili di via del Corso).
Lo stesso Cumont ci informa di tale ritrovamento nel secondo volume dell’opera succitata: “26. Composizione in marmo bianco [lunghezza m. 0,29; altezza m. 0,43] trovato nel 1825 sulla via Aurelia attorno all’undicesimo miglio nella tenuta denominata il Bottaccio, là dov’era situato senza dubbio Lorium, la celebre villa degli Antonini. Oggi è visibile alla galleria Doria … Mithra tauroctono con il cane (in parte nascosto dietro il dadoforo a destra), il serpente, lo scorpione e i due tedofori, uno, a sinistra, con in mano la sua torcia alzata, l’altra, a destra, abbassata. Una cinghia o un’ampia cintura circonda il corpo del toro. Restauri: il mantello fluttuante (dove probabilmente era appollaiato il corvo imperiale) e parte del cappello Frigio di Mitra, la torcia e le due mani del dadoforo sinistro. Mediocre lavoro“.
Nella composizione marmorea rinveniamo tutti gli elementi consueti della drammaturgia mitraica: Mithra che pugnala il toro, il serpente e il cane a lambire la ferita, lo scorpione che si avventa sui testicoli dell’animale morente, i due portatori di fiaccola Cautes e Cautopates (il primo la innalza, il secondo la rivolge a terra) che formano col dio una trinità, il corvo, la fertilità del sangue.
Se davvero, come è altamente probabile, tale gruppo proviene dai nostri vani ipogei, e se è sostenibile l’identificazione dell’elemento del bassorilievo quale pigna, è possibile definire, con ottimo grado di approssimazione, l’ambiente quale mitraico.
Se poi verrà confermata la presenza di una nicchia quale ospite del gruppo marmoreo stesso (dovrebbero risultare compatibili le misure anzidette) allora l’approssimazione si tramuterà in certezza.
Articolo di Gianluca Chiovelli , Vice-Presidente Associazione “Cornelia Antiqua”
CHI SIAMO noi dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA–Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
-Fotoreportage-Castel di Guido :”Il Degrado del Sito Archeologico Casale della Bottaccia”-
Roma Municipio XIII- 19 giugno 2022-Fotoreportage dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
Roma Municipio XIII- 19 giugno 2022-Gli Indiana Jones dell’Associazione Cornelia Antiqua, nella foto, Tatiana CONCAS, Mirko ANTONUCCI e Damiano FILIPPONI capitanati dal Presidente CRISTIAN NICOLETTA sono, anche oggi , entrati all’interno dei ruderi del Casale della Bottaccia . A corredo di questo articolo pubblichiamo il loro Reportage Fotografico :”Cartoline dall’inferno-Castel di Guido- Il Degrado e abbandono del Sito Archeologico del Casale della Bottaccia.
In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per i Borghi dove sorgono,sono lasciati nel degrado e nella più completa rovina .Il Casale della Bottaccia di Castel di Guido non sono “pietre disperse” e senza storia , ma è sicuramente un edificio, porzione di edificio, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non gode dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti a Roma . Il Casale è forse condannato a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
Breve cronologia degli eventi degli ultimi anni- Storia-Ricerca Bibliografica-(Parziale e non esaustiva) cura di Franco Leggeri -le foto originali sono dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA .
-Il Casale della Bottaccia è, risulta, in stato di abbandono già dal 1964, come documentato da una foto in possesso della soprintendenza dei BB.CC.; in tale foto si vede anche la presenza di alcuni infissi e dei tetti oggi tutti crollati e del fienile, costruito nel 1700, di cui oggi rimane solo la parte basamentale..
Nel 1992 i tetti sono mancanti in alcune parti del fabbricato come si vede dalla foto in “Elisabetta Carnabuci, Antiche Strade – Lazio- Via Aurelia, I.P.Z.S., Roma 1992”; dalla quale si nota anche come a quel tempo le aperture non fossero ancora state murate e la tettoia all’ingresso fosse ancora in piedi. Nello stesso volume si afferma che la proprietà sembra essere ancora della famiglia Pamphilj.
Nel 2018 Dopo tantissimi appelli ,anche d’ITALIA NOSTRA, e tante promesse di politici in cerca di voti, il Sito Archeologico Casale della Bottaccia era ancora in stato di abbandono , di degrado e regno incontrastato della prostituzione.
Breve Storia-Ricerca Bibliografica-(Parziale e non esaustiva) cura di Franco Leggeri –
Intorno alla metà del 1600 ,per la grande opera di Carità dell’abate Ottavio Sacco da Reggio Calabria (morto nel 1660) e per la benevolenza del Principe Camillo Pamphilj, che aveva acquistato nel 1641 la tenuta dal Card. Alessandro Peretti detto anche Cardinal Montalto, fu edificata la cappella annessa al Casale della Bottaccia . La Cappella fu dedicata a Sant’ Antonio Abate, che , da subito, diventa anche un “piccolo ospedale” per il primo soccorso degli ammalati. Si racconta che nei pressi della Cappella di Sant’Antonio era sempre pronto un carro, con cavalli attaccati, per raccogliere gli ammalati nella Campagna Romana .Gli ammalati o infortunati più gravi venivano inviati nell’Ospedale Santo Spirito di Roma.Una Cappella simile a quella del Casale della Bottaccia fu edificata , ancora esistente e visibile, a fianco del Casale Panphilj sito nel Borgo di Testa di Lepre di Sotto in via dell’Arrone.
Nei primi del ‘700 fu realizzato, probabilmente nel corpo a sud con grandi saloni ai piani superiori, un piccolo ospedale per il primo soccorso: l’Eschinardi infatti scrive: “. . omissis . . e parte del Principe Panpfilj di rub. 281 con la seguente detta della Bottaccia di rub. 333 dove si trova sempre pronta una sua carrozza per condurre a Roma gl’ammalati della campagna.” ed anche il Metalli: “Il Principe Panfili vi istituì un piccolo ospedale ed un’ambulanza pel trasporto dei malati poveri a Roma.” . Tale notizia da quanto riportato sul sito del X Dipartimento sarebbe desunta anche dai registri parrocchiali di Castel di Guido: “ . . .omissis . , l’oste assumeva un ruolo delicato: nel contratto di affitto dei locali aveva anche l’obbligo di accogliere i malati e portarli al vicino ospedale. Il Casale della Bottaccia fungeva non solo per la zona di Castel di Guido ma per tutto l’Agro Romano da ospedale. E due volte a settimana i malati più gravi si trasferivano all’Ospedale di Roma.”; questo riferimento del XVIII secolo conferma anche l’utilizzo di parte del casale come osteria, ribadito anche nella “Rubrica delle tenute e dei casali della carta Cingolana”. Quest’ultima destinazione d’uso probabilmente rimane fino al secolo scorso poiché se ne trovano ancora le tracce nel Casale, e L’ipotesi è sostenuta anche da Luigi Cherubini:”Le vecchie osterie della Campagna si danno da fare: per non restare tristemente abbandonate e inutilizzate, anche se hanno una storia, com’è successo alla “Bottaccia” di Castel di Guido e al Casale dei Francesi di Ciampino…(Omissis) per non morire” (Catasto Alessandrino 433bis/19 19 Ottobre 1661 “Sviluppo della strada che da Porta S. Pancrazio passa per Pisana e arriva a Maccarese” agrimensore Legendre Domenico; Isa Belli Barsali e M. G. Branchetti, “Ville della Campagna Romana”, ed. SISAR, Milano 1975, pag. 249-250-
Articolo di Franco Leggeri
Fotoreportage dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
Roma Municipio XIII- 19 giugno 2022–-Castel di Guido :”Il Degrado del Sito Archeologico Casale della Bottaccia”-
ROMA -Municipio XIII-CASTEL di GUIDO -Prima della Storia, il Paleolitico –
Associazione Cornelia Antiqua
Riassunto –In questa Ottava Campagna di scavo sono stati scoperchiati 70 mq della superficie frequentata dall’Uomo durante il Paleolitico inferiore ed i risultati conseguiti sostanzialmente non modificano quanto era stato notato in precedenza.-(Atti Soc. Tosc. Sci.Nat.,Mem.,Seria A,95 (1988)-
Abstract – The eight excavation at the Palaeolithic site 01 Castel di Guido. This excavation brought to light 70 p/m of an area which was frequented by human beings during the Lower Palaeolithic. The results of such an excavation do not alter what was previously pointed aut.
Nel mese di settembre del 1988 ha avuto luogo l’ottava campagna di scavo nella stazione del paleolitico inferiore sita a Castel di Guido, a circa venti km da Roma sulla Via Aurelia. Hanno preso parte a questa campagna di scavo il tecnico del Dipartimento di Scienze Archeologiche Ivano Bigini, una decina di studenti dell’Università di Pisa e di Roma, alcuni membri dell’Archeo-Club pisano e il geologo Dott. Giovanni Boschian di Trieste.
Si è proceduto con gli operai ad asportare, su un’area di 70 mq, il deposito a tufite in direzione della presumibile testata della vallecola, tufite che copriva per circa un metro di spessore la superficie di calpestio dell’uomo del paleolitico inferiore. Questa tufite, nella campagna precedente non era stata asportata con i mezzi meccanici perché conteneva parte di almeno due carcasse di elefante antico, i cui resti erano disposti caoticamente, generalmente in posi-zione inclinata ; si rinvennero pure alcune zanne che con un’estremità arrivavano a contatto con la formazione a sabbia che costituisce, come noto, il piano di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore.Lungo la zona situata alla base della parete est del deposito era- no presenti numerosi grossi clasti di tufo a scorie nere, alcuni giacenti direttamente sulla sabbia, al di sopra di uno stradello di tufite e infine alcuni sovrapposti. Questo fatto lascia adito all’ipotesi che l’alto morfologico naturale non debba distare molto dalla superficie di scavo ed inoltre dopo la formazione della valle per sgretolamento in diversi momenti del tufo, si sia avuta la deposizione di detti clasti sino alla copertura del deposito con la tufite la quale avrebbe trascinato gli ultimi frammenti di tufo che troviamo sovrapposti. In questa parte dello scavo vi sono scarsi i reperti lasciati dall’uomo che, pur giacendo direttamente sopra la sabbia, erano contenuti in una formazione di circa cinque cm di spessore, costituita da sabbie più o meno “ferrettizzate” e da minuti clasti lacustri, condizione di giacitura questa, per la quale si potrebbero anche avanzare alcune ipotesi. Allo stato attuale della ricerca preferisco, però, attendere lo scoperchiamento completo dell’alto sul lato est, che certamente porterà dati utili per l’interpretazione di questa situazione caotica rispetto alla regolare sedimentazione che si nota nella parte centrale e comunque distante dai due alti morfo- logici che delimitano ad est e ad ovest la vallecola. La superficie a sabbia presenta una lieve inclinazione, che era già stata notata nella campagna precedente (MALLEGNI et alii, 1986), da sud verso nord- est dove si nota una faglia inversa che ha determinato uno scalino di circa venti cm nella formazione a sabbia.
I dati emersi da questa ottava campagna di scavo nulla aggiungono, di nuovo, a quanto era stato rilevato con gli scavi del 1985 in merito al meccanismo di deposizione dei resti lasciati dall’uomo e precisamente «l’aspetto del giacimento quale noi lo conosciamo è in realtà l’assetto finale risultato di una dinamica evolutiva dipendente da un processo erosivo differenziale continuato; questo ha mantenuto esiguo lo spessore del giacimento asportando i materiali più sottili, sabbiosi, distruggendone altri, e provocando magari a più riprese il disseppellimento degli oggetti più grossolani. Questo processo avrebbe avuto come risultato una sorta di «compressione» dello spessore del giacimento: oggetti cronologicamente differenti, anche se culturalmente omogenei, verrebbero oggi a trovarsi affiancati; si potrebbe così spiegare la grande variabilità nell’aspetto superficiale»(PITTI et alii, 1986). Infatti, come già si è detto nelle precedenti Comunicazioni, (LONGO et alii, 1981; FORNACIARI et alii, 1982; PITTI et ahi, 1983, 1984, 1986; RADMILLI, 1985), spesso si rinvengono nei frammenti ossei e negli strumenti ricavati da osso caratteri superficiali completamente diversi che vanno da una patina molto fresca ad una patina che denota un alto grado di alterazione chimica. È verisimile, però, che l’alterazione chimica sia soprattutto dovuta al “percolato”, nel tempo, delle acque che attraversarono la tufite che ricoprì la superficie frequentata dall’uomo, anziché al fattore tempo, perché anche se non siamo in grado di valutare quanto a lungo la valle sia stata un luogo, seppure stagionale, di sosta dei cacciatori paleolitici è, altresì ,probabile che questo sito non sia stato frequentato per millenni.
Le caratteristiche fisiche superficiali degli oggetti avevano fatto dubitare, inizialmente, della loro posizione in sito, quindi, si è avuto il modo di accertare, data la vasta area finora scavata, che i reperti, siano essi manufatti o frammenti ossei, sono depositati direttamente sulla formazione a sabbia, cioè sulla superficie di calpestio dei cacciatori del paleolitico inferiore, che hanno una posizione orizzontale, in alcuni casi le ossa sono in connessione anatomica. Inoltre è molto significativo il fatto che ,spesso, gli strumenti ed i ciottoli calcarei sono stati rinvenuti in un’area ristretta. L’assenza degli scarti di lavorazione viene a documentare, come già si è detto (RADMILLI, 1985),che siamo in presenza di una stazione usata dai cacciatori paleolitici come luogo per la macellazione degli animali e ciò, fra l’altro, si rileva da alcune ossa che presentano i caratteristici segni dovuti alla macellazione, oltre al fatto che, per la posizione che occupavano nell’animale vivente, le ossa finora rinvenute vengono a documentare una selezione, ad opera dell’uomo, di parti dell’animale abbattuto che, staccate dal corpo, venivano portate nell’«accampamento».
Questa situazione, si capisce, non esclude la possibilità che alcune delle ossa provengano dalla tufite soprastante che aveva trascinato quanto rinveniva nel suo movimento, ivi compresi i resti ossei ed i manufatti, culturalmente omogenei a quelli della nostra stazione, che erano presenti sulla superficie soprastante la nostra valle. Infatti, anche se con una percentuale minima (2%) (controllabile perché su di ogni reperto è stato posto un segno distintivo della sua giacitura) la posizione verticale o inclinata, la giacitura seppure su un sottile velo di tufite di alcune ossa e manufatti, la posizione di alcune zanne di elefante che furono trovate al di sopra di alcune ossa più piccole direttamente a contatto con la sabbia, sono tutte prove della provenienza di alcuni oggetti dalla tufite.
Ma da questa situazione al dire, com’è stato detto agli studenti da un mio amico geologo “Quaternarista”, che la tufite è paragonabile alla pasta di una torta nella quale i pinoli vanno sempre a fondo (non i pinoli, in realtà, ma l’uvetta) e pertanto non si tratta di una giacitura primaria dei reperti poggianti sulla formazione a sabbia, bensì della loro provenienza dalla tufite è se non altro azzardato, perché il nostro geologo «ghiottone» visitò lo scavo quando i reperti erano stati asportati e pertanto non ha avuto il modo di accertare le condizioni della loro giacitura, ché ,altrimenti, avrebbe certamente emesso un altro giudizio, non lasciando, così, nell’incertezza alcuni studenti e purtroppo anche alcuni dei miei collaboratori.
Lo scavo ha restituito cinquecento settantuno reperti tra frammenti ossei e manufatti e questi ultimi costituiscono il 10% sul totale degli oggetti rinvenuti. Le ossa appartengono in prevalenza ad un elefante antico, quindi, al bove primigenio, al cavallo ed a rari cervi, cioè a specie la cui presenza, con le stesse percentuali, era stata notata già nelle precedenti campagne di scavo. I reperti provenienti dalla tufite sono rappresentati, per la loro caratteristica deposizione, da due zanne di elefante, da un frammento di cranio e una mandibola ,sempre di elefante, da due frammenti ossei di Bos e da tre manufatti. Tutti gli altri oggetti sono in sito.
Nella categoria degli strumenti sono presenti manufatti su calcare selcioso, su selce, questi ultimi generalmente di piccole e piccolissime dimensioni quali un bifacciale di selce il cui asse maggiore è di 4,4 cm, e su osso. Per la lavorazione degli strumenti su osso venivano usati “scheggioni” staccati da ossa lunghe di elefante ed in due bifacciali il tallone laterale presenta le tipiche caratteristiche della tecnica del distacco di tipo clactoniano. Quest’anno sono stati rinvenuti cinque bifacciali, di cui quattro con patina fresca, ed il quinto con superficie alterata per azione chimica. Mentre nei bifacciali su osso, che erano stati rinvenuti nelle precedenti campagne di scavo, era sempre presente il tallone conservato, quest’anno, invece, due esemplari presentano il tallone asportato mediante distacco di schegge ed in tutte e cinque gli esemplari la lavorazione conferisce loro un profilo lievemente sinuoso (Fig. 3). Abbiamo così ancora una volta la prova che per avere una conoscenza quanto più vicina alla realtà sulle caratteristiche della tipologia e della tecnologia dei manufatti necessita scavare su un’area quanto più vasta possibile. I bifacciali finora rinvenuti a Castel di Guido, sia quelli su osso, che quelli su calcare selcioso rientrerebbero, per la tecnica di lavorazione, nell’acheuleano medio ma oggi noi sappiamo, soprattutto dopo lo studio dell’industria acheuleana di Torre in Pietra come per la distinzione in acheuleano antico, medio e superiore o evoluto non siano sufficienti le sole caratteristiche tecnologiche e tipologiche, perché proprio a Torre in Pietra sono stati trovati associati bifacciali che per la loro tecnica di lavorazione apparterrebbero sia all’acheuleano medio che a quello superiore.
Fra gli strumenti ossei sono presenti alcuni che hanno un ritocco molto scadente lungo uno dei margini e alcuni esemplari confermano il distacco delle schegge dalla diafisi mediante la tecnica clactoniana. Nell’industria litica, oltre ai consueti ciottoli non lavo- rati, alcuni di siltite, e quindi in cattivo stato di conservazione, sono stati trovati una ventina di strumenti ricavati da piccoli ciottoli, per la cui definizione tipologica mi sembra necessario sia opportuno ultimare lo scavo e avere così una visione completa di questa «micro industria» che sappiamo accompagnare i “macro strumenti” in alcune industrie del paleolitico inferiore. Sono stati, inoltre, rinvenuti alcuni ciottoli rotti a metà lungo l’asse minore, un chopper, un chop – ping tool, quattro ciottoli con ritocco lungo un margine ed un bifacciale su calcare selcioso. Un altro esemplare proviene dalla tufite soprastante . Anche quest’anno, come nelle campagne precedenti, alcuni brevi tratti della superficie di calpestio erano privi di reperti ed il significato di questa assenza probabilmente si potrà conoscere a scavo e studio ultimati.
BIBLIOGRAFIA
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(ms. preso il 15 dicembre 1988; ult. bozze il 31 dicembre 1988)
Ricerca in Biblioteca di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua
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