TRAMA-E se un giorno un politico cominciasse a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Il politico in questione si chiama Michele Spagnolo, un nome forte, di quelli che comandano, ed ha tre figli: Riccardo, medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna, attrice di fiction senza alcun talento; Valerio, un buonannulla in carriera che deve tutto al padre. In oltre trent’anni di onorata carriera Michele ha sempre anteposto i suoi interessi personali a quelli della collettività ed è passato indenne attraverso i mille scandali che hanno flagellato il nostro paese. L’ultima cosa al mondo che dovrebbe succedere ad un uomo del genere è dire la verità…Eppure, dopo una notte trascorsa con una “promettente” soubrette televisiva, Michele viene colto da un malore, si salva, ma non senza conseguenze. L’apoplessia ha colpito proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori ed ora il politico dice tutto ciò che gli passa per la testa, fa tutto quello che gli va e non ha la minima cognizione della gravità delle sue azioni.
• ANNO: 2012
• REGIA: Massimiliano Bruno
• SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
• ATTORI: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassmann, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Rolando Ravello, Imma Piro, Camilla Filippi, Barbara Folchitto, Nicola Pistoia, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Stefano Fresi, Sergio Fiorentini, Remo Remotti
• • FOTOGRAFIA: Alessandro Pesci
• MONTAGGIO: Patrizio Marone
• MUSICHE: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
• PRODUZIONE: Italian International Film
Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
Il Castello di Boccea sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria. – articolo e foto di FRANCO LEGGERI
Il costume è quello del giorno della festa. Il corpetto bianco con le maniche a sbuffo, la lunga gonna a pieghe ricamata di fiori e il velo, a incorniciare un viso fiero. La sarda Ninetta Bartoli, prima sindaca d’Italia, si fa ritrarre così, nell’abito della tradizione, da solenne investitura.Una mano appoggiata sul fianco e occhi che guardano lontano, a quella scelta che nessuna prima di lei aveva fatto: governare il suo piccolo paese. Alle elezioni dell’Aprile 1946, si presenta come candidata sindaco. Con l’89% delle preferenze, conquistando 332 voti su 371, sbaraglia gli uomini avversari e viene eletta. È votata a furor di popolo, un vero e proprio plebiscito: diventa la prima sindaca della storia dell’Italia repubblicana.
È mater familias che sulla sua carrozza gira tra Borutta e Sassari per conoscere sempre meglio il territorio che amministra e capire come intervenire per migliorare le cose. Fa costruire l’acquedotto, il sistema fognario e porta l’energia elettrica in paese: una rivoluzione che cambia per sempre Borutta, trasformandola da un povero paese fossilizzato nel passato a un moderno centro civilizzato. Grazie a lei si edificarono case popolari e la scuola. Anche i ruderi della chiesa e del Monastero di San Pietro di Sorres ritornarono all’antico splendore. E se le casse comunali non consentivano di coprire le spese, lei stessa non esitava ad attingere al suo patrimonio pur di realizzare le opere che aveva in mente.Governò Borutta per 12 anni fino al 1958.
Non era visibile da oltre 40 anni, nascosto da uno strato di terra che ne impediva la fruizione. Ora, dopo un restauro iniziato alla fine del 2015 e durato tra i sei e i sette mesi, torna al suo antico splendore il mosaico policromo della palestra occidentale delle Terme di Caracalla. Un intervento, realizzato dalla soprintendenza speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, reso possibile da una donazione di Bulgari che ha finanziato il recupero dell’opera investendovi 50mila euro. Un primo passo che, però, non resterà il solo.
L’amministratore delegato di Bulgari, Jean-Christophe Babin, infatti, ha annunciato che sarà finanziato il restauro anche dell’altra parte del mosaico. “L’arte e il bello a Roma – ha spiegato Babin nel corso della presentazione alla stampa del restauro – sono sempre stati al centro dell’attenzione di Bulgari”. L’intervento sulla prima porzione del mosaico, “non è il solo contributo di Bulgari. Oggi vediamo una prima parte del restauro, ma finanzieremo anche la seconda parte del restauro di questi mosaici”.
Per Bulgari, ha sottolineato Babin, si tratta di “una missione”, ovvero “rendere alla Città Eterna un po’ di ciò che la Città Eterna ha dato ai nostri creativi e ai nostri artigiani”. Un’arte, quella di Bulgari, “molto ispirata ai 2.700 anni di arte e cultura romana”. In particolare, ha spiegato l’Amministratore Delegato di Bulgari, “questi mosaici hanno dato l’idea per la collezione di gioielli ‘Divas’ Dream’, un successo mondiale”. Una linea che “non è altro che specchio di questi mosaici colorati a sagoma di ventaglio”.
Il restauro del mosaico di circa 25 metri quadri, che nella sua interezza supera gli 80 metri quadri, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare, si è preceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti. Ciò ha permesso il recupero di numerose tessere interrate. La pulitura definitiva è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.
“Il mosaico – ha spiegato Borzomati – era interrato, sono state realizzate diverse fasi di pulitura per rimuovere la terra. La presenza di vecchie stuccature di cemento, presenti nell’intervento precedente degli anni ’40, aveva creato dei difetti di degrado, soprattutto nella parte superiore, dove ci si è concentrati con una pulitura più specifica. Le mancanze sono state integrate con le tessere originarie, recuperate con la setacciatura della terra”.
I lavori di recupero, ha spiegato Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo e l’Area archeologica Centrale di Roma, permettono di tornare su un tema, cioè “la collaborazione con Bulgari, che già era intervenuta in passato alle Terme di Caracalla, ma che in questa occasione vediamo in una luce nuova, quella dell’applicazione dell’Art Bonus. Un meccanismo che incentiva in maniera finalmente efficace il rapporto tra le aziende, i privati, e la pubblica amministrazione”.
“Fino a qualche anno fa – ha detto Prosperetti – il restauro delle opere d’arte era una prerogativa assoluta del pubblico. Investire nella bellezza non è solo un dovere della nostra amministrazione, ma si sta rivelando un elemento importante per le aziende private che, come Bulgari, sulla bellezza lavorano da più di un secolo”.
La direttrice delle Terme di Caracalla, Marina Piranomonte ha infine ricordato che “i marmi che venivano usati per i mosaici arrivavano dai quattro angoli dell’Impero. Dobbiamo guardare questi mosaici come un capolavoro frutto dell’opera dell’uomo e di una grande capacità costruttiva”.
La via Aurelia aveva origine dal ponte Emilio (l’attuale Ponte Rotto), e, dopo aver attraversato il quartiere Trastevere, risaliva il Gianicolo per puntare direttamente sui territori etruschi. Probabilmente, ripercorreva, unificandoli, vecchi tracciati lungo la costa tirrenica con funzione di collegamento tra le città poste sul mare.
Strutturata forse da C. Aurelio Cotta, censore nel 241 a.C., la strada si inoltrava nel territorio della vicina Cerveteri, diventando fin da subito l’asse portante del sistema coloniale (Forum Aurelii e Cosa) e della presenza romana fino a Vulci. Nel territorio settentrionale vennero stabilite le praefecturae di Saturnia, divenuta colonia nel 183 a.C., di Statonia e forse la colonia di Heba. Il suo tracciato da Cosa fu prolungato a Luni e, nel 109 a.C., fino a Genova: da qui manteneva il suo nome fino ad Arles in Francia.
La via Aurelia, nel primo tratto subito dopo il ponte Emilio, a causa della depressione del terreno e dei rischi di impaludamento per il vicino fiume, correva sopraelevata su un viadotto realizzato con arcate in opera quadrata di tufo, alto almeno cinque metri ed esplorato, durante moderni scavi nell’area di piazza Sonnino, per almeno una settantina di metri. Subito dopo, il tracciato antico sembra coincidesse con via della Lungaretta e, in direzione del Gianicolo, con via di Porta S. Pancrazio.
All’altezza di S. Maria in Trastevere una diversa arteria si staccava dall’Aurelia per dirigersi, con un percorso oggi ricalcato da via della Lungara, verso l’ager Vaticanus.
La Porta Aurelia (oggi Porta S. Pancrazio) del circuito della mura di Aureliano fu distrutta, assieme al tracciato della mura stesse, da papa Urbano VIII (1628-1644) che decise di rinforzare le difese della città su questo lato, facendo costruire una nuova e diversa cinta muraria, che, partendo al fiume (presso l’attuale Porta Portese) racchiudesse tutta la zona destra del Tevere fino a congiungersi con le mura già esistenti del Vaticano. La porta di età romana, a unico fornice con due torri quadrate ai lati, è rappresentata in piante di Roma nell’epoca antecedente i lavori di papa Urbano VIII. Oltre la Porta S. Pancrazio il percorso della via antica coincide con l’attuale e in punti diversi sono stati rinvenuti resti del suo lastricato.
Nei vecchi itinerari sui cimiteri cristiani posti lungo la via Aurelia, sono elencate almeno cinque località in cui si trovavano altrettanti santuari dedicati ai martiri: il cimitero di S. Pancrazio, di Calepodio, di Processo e Martiniano, dei due Felici e di Basilide. Con l’esclusione di quest’ultimo, posto al XII miglio dell’Aurelia, in località Castel di Guido, gli altri siti sono da ricercare nel primo tratto extraurbano della via. Un ipogeo, visibile in via S. Pancrazio 15, nei pressi del ristorante Scarpone, noto fin dal 1880, è costituito da una galleria centrale, sei cubicoli e due nicchioni laterali. Nato probabilmente come ipogeo privato a carattere familiare, sembra che si sia trovato inserito in una struttura cimiteriale più vasta con modifiche strutturali assai vistose. Sono ancora parzialmente visibili tracce della decorazione pittorica a carattere floreale dell’ipogeo di età più antica.
Il cimitero di Processo e Martiniano, legato secondo la tradizione alle figure dei due presunti carcerieri pentiti di Pietro, è da collocare nell’area di Villa Abamelek, presso l’ingresso della quale è stato visto anche un ipogeo composto da due gallerie e un cubicolo. La notizia della sepoltura di papa Felice I in un cimitero al II miglio della via Aurelia è riportata nel Liber pontificalis ma è in aperto contrasto con altre fonti. Sembra probabile che almeno Felice II, antipapa, fosse stato sepolto dai suoi seguaci, ad latus forma Traiana, in un complesso cimiteriale oggi individuato con una struttura esistente nell’area della ex vigna Pellegrini o piuttosto sulla sinistra della via Aurelia nell’area della ex vigna Farsetti. Di altri gruppi cimiteriali più piccoli abbiamo traccia nell’area compresa tra l’ingresso della Villa Doria Pamphilj e Villa Vecchia ma non possiamo attribuirli con certezza a un preciso complesso. Poco dopo l’Arco di Tiradiavoli, che segna il passaggio dell’acquedotto Paolo, sulla sinistra, si estende la vasta necropoli di Villa Doria Pamphilj. Nel tratto extraurbano il passaggio della via antica, parzialmente rettificata dal tracciato moderno, è segnato dalla presenza di aree di frammenti fittili relativi a insediamenti sia di carattere agricolo sia residenziale. Il percorso antico si diversifica in particolare dall’attuale in località Castel di Guido dove sembra doversi posizionare il praedium imperiale di Lorium.
Nel 1976, al km 18 della moderna Aurelia, che rappresenta la variante rispetto alla direzione di Castel di Guido, in località Colonnacce, è stata scoperta, ed è attualmente in fase di valorizzazione, una sontuosa villa di età imperiale. Nei pressi del casale la Bottaccia si trovano importanti resti di opere idrauliche: cisterne a cunicoli e conserve per la raccolta dell’acqua piovana, di cui una a pianta circolare con un diametro di m 7,40 posta a 500 m circa a sud-est del casale. Nella stessa località è stato scoperto nel 1987 un mitreo databile al II secolo d.C.
A Castel di Guido, sotto la chiesa di S. Spirito, di cui ne costituisce le fondamenta, si trova un mausoleo in laterizio databile al IV secolo d.C., la cui cella, a pianta circolare, è articolata con grandi nicchie, coperte da volte a botte. Nel 1993, al km 19 furono individuate strutture forse pertinenti all’impianto di una villa rustica o alla mansio di Lorium, ricordata negli itinerari antichi al XII miglio della via antica.
Fiorenzo Catalli
dal libro “ROMA ARCHEOLOGICA” II ed., ADN Kronos libri – Roma 2005
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