DEA SABINA-Olio Extravergine di Oliva “Sabina Dop” è “il migliore del mondo”
Claudio Galeno (129 d.C-216 d.C.), padre della moderna Farmacopea:“L’olio della Sabina il migliore del mondo”.Nei territori della Sabina, tra Roma e Rieti, si produce l’olio Sabina Dop, antichissimo olio extravergine di oliva ottenuto dalle varieta’ di olive Carboncella, Leccino, Raja, Frantoio, Olivastrone, Moraiolo, Olivago, Salviana e Rosciola. L‘olio Sabina Dop ha un colore giallo oro dai riflessi verdi, il suo sapore e’ aromatico e l’acidità massima è pari allo 0,60%.
Olio Extravergine di Oliva Sabina DopClaudio Galeno (Κλαύδιος Γαληνός)
Claudio Galeno (Κλαύδιος Γαληνός) – è considerato, dopo Ippocrate, il medico più illustre dell’antichità.Nato a Pergamo nel 129 d. C., figlio dell’architetto Nicone che diresse i suoi studî, frequentò le scuole dei filosofi greci e s’approfondì ben presto nello studio della filosofia aristotelica. Studiò medicina nella sua città natale, poi a Smirne ove si dedicò particolarmente a ricerche anatomiche, si recò quindi in Alessandria, e nel 157 tornò a Pergamo dove divenne medico della scuola dei gladiatori acquistando una vasta conoscenza nel campo della chirurgia. Nel 162 si portò a Roma ove presto ebbe grande rinomanza; nel 166, essendo scoppiata una grave epidemia, abbandonò l’Italia e tornò a Pergamo, ma fu ben presto richiamato a Roma da Marco Aurelio (169). Medico dell’imperatore ne ebbe la piena fiducia, lo curò ripetutamente e nel 176 lo guarì da una malattia erroneamente dignosticata dagli altri medici. La sua attività scientifica fu particolarmente intensa negli anni fra il 169 e il 180, cioè fino alla morte di Marco Aurelio. Sotto gl’imperatori che succedettero G. continuò a essere il medico di fiducia di corte; morì nel 201, non è noto se a Roma o a Pergamo.
. L’attività scientifica di G. fu così vasta, profonda e molteplice, che egli ebbe a giusta ragione la fama d’essere stato, dopo Ippocrate, il più insigne medico dell’antichità classica. Non tutti i suoi scritti ci sono conservati; molti di essi bruciarono nell’incendio del tempio della Pace. Non meno di quattrocento sono gli scritti a lui attribuiti. L’autore stesso divide le sue opere in sette gruppi: anatomia, patologia, terapia, diagnostica e prognostica, commentarî degli scritti ippocratici, filosofia e grammatica. Centotto sono gli scritti medici che sono giunti fino a noi, alcuni di questi però soltanto attraverso la traduzione araba, altri in frammenti. Settantadue libri appartengono al gruppo dei commentari, non meno di 175 erano gli scritti filosofici.
Le opere sono tutte scritte in greco. Fra quelle che furono più studiate e citate e generalmente considerate come le più importanti vanno nominate in prima linea la Θεραπευτικὴ μέϑοδος (Methodus medendi), testo classico di terapia, noto sotto il nome di Megatechne, e la Τέχνη ἰατρική (Ars medica), generalmente indicato col nome di Microtechne, che contiene un riassunto di tutto il sistema galenico e costituì per molti secoli il testo fondamentale dell’insegnamento medico.
I libri anatomici di G. dimostrano come egli si sia occupato dell’anatomia degli animali, particolarmente del maiale e della capra, e abbia conosciuto la letteratura anatomica degli Alessandrini. Sembra di potersi rilevare che egli abbia avuto una tecnica esatta nelle preparazioni anatomiche; ripetutamente afferma d’aver esaminato e studiato le ossa delle scimmie, i visceri di varî animali, e da questi studî egli trasse direttamente e immediatamente conclusioni per l’anatomia umana. Questa anatomia di G., ricca di alcune preziose osservazioni, specialmente nel campo dell’osteologia, della miologia, e dell’anatomia del sistema nervoso (G. fu il primo a descrivere i nervi cerebrali e a distinguere i nervi motori dai sensorî), contiene anche grandi errori, fra i quali primissimo quello di aver affermato l’esistenza di una comunicazione fra il cuore destro e il cuore sinistro attraverso i fori del setto cardiaco.
Il motivo principale sul quale si fonda la fama di G. è da ricercarsi nella sua geniale intuizione dell’orientamento sperimentale e analitico della medicina, nelle sue doti eccellenti di osservatore e di critico e infine nell’aver egli saputo seguire l’ideologia monoteistica che s’andava formando. Galeno volle raccogliere sistematicamente tutto ciò che sino a lui si sapeva in fatto di medicina, riaffermando la necessità dell’analisi e l’opportunità di derivare la terapia dalla conoscenza della malattia e delle sue cause. Ippocratico nel seguire le massime fondamentali della scuola di Coo, egli si allontanò dall’antico maestro nella concezione della malattia, che egli non considerò più come una discrasia, cioè come un perturbamento nell’armonia, ma come un fatto locale, come un’alterazione dei singoli organi. Egli cercò di dimostrare col suo sistema che la struttura degli organi è conforme allo scopo preesistente al quale essi sono destinati, che ogni organismo è costruito secondo un piano logico prescritto da un Ente supremo. G. si stacca da Ippocrate in quanto non riconosce più in linea assoluta l’azione sanatrice della natura e non considera funzione del medico il lasciarsi guidare da essa, ma il combattere i sintomi.
Secondo la dottrina galenica, il pneuma che è l’essenza della vita è di tre qualità: il pneuma psychicón (spirito animale) ha sede nel cervello, centro delle sensazioni e dei movimenti; il pneuma zooticón (spirito vitale) risiede nel cuore, si manifesta nel polso; il pneuma physicón (spirito naturale) ha il suo centro nel fegato e nelle vene. La vita psichica, l’animale e la vegetativa hanno differenti funzioni e sono dirette da forze che hanno una propria sfera d’azione. Il corpo non è che uno strumento dell’anima. Il sistema galenico ebbe ben presto l’appoggio dei Padri della Chiesa, ciò che spiega come la dottrina galenica rimanga immutabile e inattaccabile fino al Rinascimento e G. assuma nel campo della medicina il medesimo posto che Aristotele tenne nel campo della filosofia.
Anatomico, fisiologo dotato d’uno spirito d’osservazione così acuto e d’una così profonda passione per l’esperimento da poter essere considerato come il creatore della fisiologia sperimentale, medico di grande esperienza, G. fu senza dubbio il fondatore della medicina sistematica. I suoi scritti furono studiati dai medici dei tempi posteriori come testi classici, ma l’autorità a lui conferita dagli studiosi in un’epoca di grave decadenza dello spirito scientifico, fece del sistema galenico un “noli me tangere” e diede a tutte le sue affermazioni il valore di altrettanti dogmi. Così il tesoro di esperienze e di idee feconde che si trova nelle opere di G. si cristallizzò e divenne sterile. Oltre ai libri citati, sono fra i più importanti degli scritti galenici i seguenti: 1. Scritti di commenti ad Ippocrate: Il Glossario di Ippocrate con 15 commentarî; 2. Anatomici e fisiologici: Dell’uso delle parti del corpo umano, l. XVII; Dei dogmi di Ippocrate e di Platone, l. IX; Delle amministrazioni anatomiche, l. XV. 3. Scritti di igiene: Della conservazione della salute, l. VI. 4. Scritti di dietetica: Della dieta dimagrante, Dei buoni e cattivi succhi degli alimenti; 5. Scritti di terapia: Dei temperamenti e delle facoltà dei medicamenti semplici, l. XII; Degli antidoti, l. II; Del metodo di curare, l. XIV. Molti altri scritti trattano di etiologia, di patologia e di diagnostica.
Ediz.: Delle antiche edizioni greche di G. la più importante è quella in cinque volumi, pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1525. L’edizione latina più antica è quella pubblicata a Venezia da Filippo Pinzio De Caneto il 27 agosto 1490 in due volumi. Delle edizioni moderne e complete, una delle migliori è l’ed. greca edita dal Kühn, Lipsia 1821-33, in 22 volumi con la traduzione latina a fronte. L’edizione pubblicata dal Daremberg (Parigi 1854-1856) contiene un’eccellente traduzione francese degli scritti anatomici e fisiologici. Una nuova ed. critica delle opere di G. è in corso di pubblicazione nel Corpus medicorum graecorum, per cura dell’Accademia prussiana delle scienze.
Bibl.: Fra i saggi completi di bibliografia galenica va citato in prima linea quello di L. Choulant, in Handbuch der Bücherkunde für die ältere Medizin, Lipsia 1841, rist. Monaco 1926. Intorno alla vita e alle opere di G. esiste una letteratura vastissima; infiniti sono i commentarî ai suoi scritti, dato che fra il 1400 e il 1700 quasi tutti gli autori di opere mediche usavano presentare i loro lavori sotto la veste di commentarî di uno o dell’altro dei libri di Ippocrate o di Galeno. Fra le più importanti opere moderne: J. G. Ackermann (Prefazione all’edizione del Kühn), Lipsia 1821; J. Mayer-Steineg, Ein Tag im Leben des Galen, Lipsia 1913; M. Meyerhof, Über echte und unechte Schriften Galens nach arabischen Quellen, in Ber. der Pr. Akad. der Wissenschaften, XXVIII, 1928; G. Bilancioni, G., Milano 1930. Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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L’olio d’oliva e la sua storia-Biblioteca DEA SABINA-L’olivo coltivato o domestico deriva dall’olivo selvatico o oleastro che cresce nei luoghi rupestri, isolato o in forma boschiva, e dai cui minuscoli frutti si trae un olio amaro il cui uso è, però, sempre stato limitato.
I Greci conoscevano diverse varietà di olivi selvatici cui davano nomi diversi, agrielaìa, kòtinos, phulìa; i Romani invece, le riunivano tutte sotto la denominazione oleaster, che è poi quella passata nel vocabolario botanico moderno.
La patria di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore: infatti, mentre in sanscrito non esiste la parola olivo e gli Assiri ed i Babilonesi, che evidentemente ignoravano questa pianta e i suoi frutti, usavano solo olio di sesamo, l’olivo era viceversa conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani.
L’OLIO D’OLIVA
Non solo, anche nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati : basti pensare che la colomba dell’arca porta a Noè un ramo d’olivo colto sul montagna dell’Armenia.
La trasformazione dell’oleaster in olivo domestico pare sia stata opera di popolazioni della Siria. Molto presto l’uso di coltivare l’olivo passò dall’Asia minore alle isole dell’arcipelago, e quindi in Grecia: lo Sichelieman riferisce di aver raccolto noccioli d’oliva sia negli scavi del palazzo di Tirino sia in quelli delle case e delle tombe di Micene e, nell’Odissea, troviamo scritto che Ulisse aveva intagliato il suo letto nuziale in un enorme tronco di olivo.
L’OLIO D’OLIVA
In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Poseidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche.
L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focile. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo.
L’OLIO D’OLIVA
Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano in primo luogo il territorio di Venafro, quindi la Sabina e il Piceno, mentre nell’Italia del nord erano famose le coste della Liguria.
L’olivo esigeva molte cure, che potevano risultare anche costose, ma i proprietari degli oliveti erano ben ripagati dei loro disagi: non solo la cucina, ma anche i bagni, i giochi, i ginnasi e persino i funerali, esigevano l’impiego di grandi quantità di olio.
Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi: ancora acerbe (olive albae o acerbae), non del tutto mature (olive variae o fuscae), mature (olive nigrae). Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani ad una ad una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi, venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili (in greco ractriai), sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. Alcuni aiutanti raccattavano e riunivano le olive battute che, solitamente venivano macinate il più presto possibile.
L’OLIO D’OLIVA
In Grecia l’olio era generalmente prodotto dai proprietari stessi degli oliveti che spesso procedevano anche alla sua vendita; il mercante di olio si chiamava elaiopòles o elaiokàpelos.
La vendita al dettaglio non si praticava solo in campagna o nelle botteghe; era ugualmente attiva nell’agorà, dove si vendevano le merci più diverse. I mercanti erano installati in baracche, sotto umili tende o, più comunemente, all’aperto, ma questa situazione migliorò ben presto quando furono edificati i primi portici.
Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici e documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure di olivi domestici. Sono comunque evidenze significative, soprattutto se inquadrate nel più generale panorama archeologico e vegetazionale della penisola italiana, che fanno ragionevolmente presumere un precoce riferimento all’olivo coltivato. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ciò nonostante, quanto esposto sembra sufficiente per sollevare almeno qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci; pur senza dimenticare che dal greco derivano sia la parola olivo (elaìa), sia il termine etrusco amurca che, nella sua forma greca amòrghe, indica quel liquido amaro ottenuto dalla prima spremitura delle olive, che veniva scartato ed utilizzato come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.
L’OLIO D’OLIVA
Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana.
Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi.
Per quanto riguarda l’età storica esistono anche evidenze paleobotaniche: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore estrusche piene di olive conservate e la cosiddetta “Tomba delle Olive” di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre ad un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive.
L’OLIO D’OLIVA
Non è facile ricostruire il paesaggio agrario dell’Etruria antica: le trasformazioni subite nel corso del tempo, e soprattutto l’impoverimento e l’abbandono delle campagne, iniziato in età romana, impediscono di cogliere, in tutti i suoi dettagli, una situazione che doveva essere comunque piuttosto fiorente. Anche il panorama offerto dalle fonti antiche va letto con prudenza, tenendo conto del contesto storiografico di appartenenza in cui dominavano la memoria di un passato felice e i riscontri di un realtà contemporanea, quella della prima età imperiale, in cui i caratteri del paesaggio etrusco e i metodi di conduzione agricola erano senz’altro strutturati in modo diverso.
Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite.
Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare. E’ il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballoy e gli alabastra corinzi di importazione.
Per quanto riguarda l’ambito alimentare l’olio è sempre stato uno dei prodotti principali dell’antichità classica. Nel mondo romano non si usava altro condimento per cucinare, e per condire le insalate si utilizzava l’olio migliore: particolarmente rinomati erano l’olio verde di Venafro, come attestano , e quello della Liburnia in Istria; pessimo era considerato l’olio africano che veniva usato esclusivamente per l’illuminazione. Non mancavano allora, come oggi, le contraffazioni, se dobbiamo credere ad una ricetta di Apicio che insegnava a contraffare l’olio della Liburnia utilizzando un prodotto spagnolo.
Essendo poco raffinato e dato che non si adottavano trattamenti particolari atti a conservarlo, l’olio diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era dunque salarlo.
L’OLIO D’OLIVA
Per questo motivo si consigliava anche di conservare il più a lungo possibile le olive, in maniera da poter fare, sul momento, olio fresco da offrire nelle oliere ai convitati in ogni periodo dell’anno. Si rendeva quindi necessario cogliere le olive quando erano ancora verdi sull’albero e riporle sott’olio.
In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio che la fine del pasto, venivano cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere.
Solitamente erano conservate in salamoia, ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele. Le olive bianche venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte all’uso. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si facevano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico.Con le olive verdi si facevano le colymbadas (letteralmente “le affiorate”), così dette perché galleggiavano in un liquido fatto di una parte di salamoia satura e due parti di aceto. La preparazione consisteva nel praticare alle olive, dopo la salagione, due o tre incisioni con un pezzo di canna, e quindi tenerle immerse per tre giorni in aceto; poi le olive venivano scolate e sistemate con prezzemolo e ruta, in vasi da conserve che erano poi riempiti con salamoia e aceto facendo in modo che restassero ben coperte. Dopo venti giorni erano pronte per essere portate in tavola.
L’OLIO D’OLIVA
Un altro tipo di conserva era l’epityrum che si faceva sempre con le olive migliori, di solito le orcite e le pausiane: era una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena ad ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso lo ricopriva d’olio.
Vi erano poi le conserve di olive nere, che si potevano fare sia con le pausiane mature che con le orcite ed in alcuni casi anche con le olive della qualità Nevia: la preparazione consisteva nel tenerle per 30-40 giorni sotto sale, poi, una volta scosso via tutto il sale, metterle sotto sapa defrutum.
Altre volte, più semplicemente, si mettevano le olive sotto sale con bacche di lentisco e con semi di finocchio selvatico.
Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittore latini di agricoltura più famosi hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio.
E noto, ad esempio, che l’olio che si otteneva dalla torchiatura era piuttosto denso e che, per farlo diventare più fluido, occorreva riscaldare l’ambiente in cui veniva preparato per evitare che si rapprendesse: è per questo che l’olio aveva spesso odore di fumo. In qualche occasione, e naturalmente a seconda della temperatura esterna, era sufficiente che il locale dei torchi (torcular) fosse rivolto a sud ed esposto ai raggi del sole, anzi, gli esperti ritenevano che questa fosse la soluzione migliore per garantire la buona qualità del prodotto. E infatti, nella villa della Pisanella a Poggioreale, dove è venuto alla luce un interessante esemplare di torchio da olio, la cella olearia era intiepidita naturalmente, in virtù della sua esposizione al sole.
Gli autori antichi descrivono minuziosamente le macchine impiegate dai Greci e dai Romani per la torchiatura delle olive; le scoperte archeologiche hanno poi permesso di controllare e di completare le loro testimonianze.
La prima fase della preparazione dell’olio d’oliva consisteva nello schiacciamento dei frutti. La mola olearia assomigliava a quella granaria, essendo anch’essa costituita da due pietre cilindriche, una fissa, il bacino o sottomola, l’altra mobile, la mola verticale: l’operazione di schiacciamento era seguita in modo assai semplice, facendo rotolare una pietra cilindrica avanti e indietro sopra le olive poste in un contenitore.
Il “frantoio” romano, puntualmente descritto da Columella (I sec. d.C.) era di un tipo assai simile a quelli usati anche in età moderna.
Sulla base dei dati disponibili è possibile proporne una ricostruzione più che plausibile. In dettaglio, gli elementi componenti la macchina dovevano essere i seguenti:
Base in muratura, superiormente concava, per meglio alloggiare la sottomola
Sottomola
Sostegno verticale in legno dove è infilata la stanga. L’inserzione di questa nel sostegno doveva prevedere la possibilità di regolare l’altezza della mola per non schiacciare i noccioli delle olive
Disco della mola, costituito da una pietra cilindrica che l’uso deforma leggermente in senso troncoconico. Il disco è inserito nella stanga in modo da poter girare sia intorno al sostegno centrale, sia attorno al proprio asse. Il disco della mola era mantenuto nella posizione corretta per mezzo di cunei in legno (clavi)
Stanga, la cui estremità è collegata ai finimenti che imbrigliano l’asino sottoposto alla mola.
L’OLIO D’OLIVA
Quando il perno centrale veniva fatto ruotare, i rulli giravano rapidamente a una distanza regolabile sopra il recipiente che conteneva le olive era così possibile separare la polpa senza schiacciare i noccioli
Dopo la frangitura, le olive venivano pressate. Per questo secondo passaggio in antico venivano usate presse a trave, simili a quelle usate per il vino. Sembra che la pressa a trave abbia avuto origine e si sia sviluppata nella civiltà egea, dove la coltivazione delle olive era già diffusa agli inizi dell’età del bronzo, ma non si sa con certezza a quale epoca risalga.
I resti più antichi conosciuti di una pressa e di un bacino per schiacciare le olive sono quelli rinvenuti a Creta che appartengono al periodo minoico (1880-1500 a.C. ca.): sono però insufficienti per una ricostruzione dettagliata dello strumento. Un’altra pressa a trave per olive, risalente al tardo periodo elladico (1600-1250 a.C. ca.) fu trovata in una delle isole Cicladi. Dopo il 1000 a.C. circa, le presse di questo tipo divennero più frequenti e ne esistono alcune rappresentazioni, in particolare su vasi attici a figure nere del VI sec. a.C.
L’OLIO D’OLIVA
La pressa a trave applica il principio della leva: un’estremità della trave era appoggiata in un incavo del muro, o fra due pilastri di pietra, l’altra veniva tirata giù o spesso caricata con pesi (uomini e pietre). Le olive, sistemate in sacchi o tra tavole di legno, venivano schiacciate sotto la parte centrale della trave e il succo era raccolto in un recipiente sistemato sotto il piano della pressa.
Plinio descrive con molta chiarezza quattro tipi di presse. La prima è la vecchia pressa trave di cui parla anche Catone (234-149 a.C.) il cui funzionamento è stato però nel frattempo alquanto meccanizzato. Un’estremità della trave, spesso lunga fino a 15 metri, era fissata sotto una sbarra trasversale posta tra due pali di legno. Le olive schiacciate erano ammucchiate sotto questa pesante trave e la pressione veniva esercitata facendo abbassare l’altra estremità della trave che era tirata in basso da una fune arrotolata intorno ad un tamburo del diametro di 40-50 centimetri. Un secondo miglioramento che permetteva una pressione regolare e prolungata, era attuato nella pressa descritta da Erone (I sec. d.C.), ma gia nota da molto tempo e probabilmente inventata in Grecia. Tale pressa era costituita da un peso di pietra, una trave e un tamburo girevole, Partendo dalla base, una corda passava sotto una puleggia collocata sul peso e sopra un’altra puleggia situata sulla trave, raggiungendo il tamburo. Quando la corda era avvolta al tamburo la trave riceveva l’intero peso della pietra.
La massa da pressare era racchiusa in vari modi: dentro fiscoli di corda, giunchi intrecciati, o cesti. Oppure: “le olive venivano schiacciate dentro cesti di vimini o mettendo la pasta tra due asticelle” (Plinio).
Le presse a trave erano particolarmente adatte per operazioni su larga scala, quando invece si trattava di quantità limitate, come anche nel caso di semi oleosi, si preferivano altri metodi come la pressa a vite. Di quest’ultima Plinio dice che sembra sia stata introdotta a Roma verso la fine del I secolo a.C., ma che era stata probabilmente inventata in Grecia nel II o I secolo a.C.
L’OLIO D’OLIVA
In una versione perfezionata di questo tipo di pressa, descritta sia da Erone sia da Plinio, la vite solleva un peso di pietra. Questo tipo, chiamato anche “pressa greca”, era senz’altro in uso a Roma ai tempi di Vetruvio (I sec. a.C.).
Quindi l’olio veniva messo a decantare in vasche che precedevano il lacus destinato alla raccolta finale del prodotto.
Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi-
L’Olio di Oliva nella Mitologia
L’Olio di Oliva nella Mitologia-Un mito greco attribuisce ad Atena la creazione del primo Olivo che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene.
La leggenda racconta che Poseidone ed Atena, disputandosi la sovranità dell’Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al Popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie ; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia , fece nascere dalla terra il primo albero di Olivo per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione.
Zeus scelse l’invenzione più pacifica ed Atena divenne Dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l’albero creato da Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Al British Museum di Londra si può ammirare una scultura del frontone occidentale del Partenone, dove l’artista Fidia ha rappresentato questo episodio mitologico. Secondo una leggenda riferita da Plinio e da Cicerone, sembrerebbe che sia stato Aristeno lo scopritore dell’Olivo e l’inventore del modo di estrarre l’olio all’Epoca fenicia. Lo stesso Plinio, invece, su altri suoi scritti, parlando dell’Italia, racconta che l’Olivo fu introdotto da Tarquinio Prisco quinto Re di Roma, questa ipotesi è la più verosimile visto che le più antiche tracce archeologiche finora raccolte sull’olivicoltura in Etruria risalirebbero al VII sec. a.C., descrivendo ben 15 metodi di coltivazione di questa pianta, che, ai suoi tempi, rappresentava già la base di importanti attività economiche e commerciali. L’olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero; l’Iliade e l’Odissea narrano spesso dell’Olivo e del suo Olio. A Roma l’Olivo era dedicato a Minerva e a Giove. I Romani, pur nella loro praticità di considerare l’Olio d’Oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i Cittadini illustri con corone di fronde di Olivo; così pure gli sposi il giorno delle nozze e della loro prima notte nunziale; ed infine i morti venivano inghirlandati per significare di essere dei vincitori nelle lotte della vita umana. Nell’area islamica molte leggende fanno riferimento all’Olivo e al suo prodotto; tra le tante storie si vuole ricordare quella di Alì Babà ed i suoi 40 ladroni nascosti negli otri che dovevano contenere Olio di Oliva.
Il quadro allegato rappresenta Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi- “… e Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore, quello dell’ulivo……”
ULIVOAtena la creazione del primo OlivoAtena la creazione del primo OlivoULIVOAtena la creazione del primo Olivo
Antico Frantoioolio extravergine di oliva olio extravergine di oliva L’olio extravergine di olivaolio extravergine di olivaolio extravergine di olivaAtena la creazione del primo Olivoolio extravergine di olivaolio extravergine di olivaolio extravergine di oliva
Castelnuovo di Farfa (RI)-Azienda Agricola Il Cervo RampanteCastelnuovo di Farfa (RI)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Castelnuovo di Farfa (Rieti)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Indirizzo: 02031 Castelnuovo di Farfa RI
Telefono: 329 891 8729
IL CONSIGLIO DEL “CERVO RAMPANTE “:
Pane e olio extravergine d’oliva della Sabina: la merenda più buona del mondo !
-Olio della SABINA-– Extravergine d’oliva 100% Italiano e 100 % Biologico –Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Castelnuovo di Farfa (Rieti)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Indirizzo: 02031 Castelnuovo di Farfa RI
Telefono: 329 891 8729
Castelnuovo di Farfa (RI)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
L’OLIO E LA SALUTE
E’ la stagione dell’olio, il mitico oro giallo. L’AZIENDA AGRICOLA “IL CERVO RAMPANTE ha chiesto alla dottoressa Angela Gurgo di illustrare le qualità terapeutiche dell’olio extravergine d’oliva.
La dottoressa Gurgo lavora come dirigente medico presso il reparto di Cardiologia del Policlinico universitario Sant’Andrea di Roma dove è anche docente nell’insegnamento di malattie cardiovascolari del corso di laurea di Medicina e Chirurgia. Ha pubblicato diversi lavori scientifici su riviste nazionali e internazionali.
OLIO D’OLIVA E CUORE
Gli effetti benefici sulla salute dell’olio d’oliva erano noti già agli antichi.
Nelle antiche civiltà del Mediterraneo infatti, l’olio extravergine d’oliva è stato sempre considerato una sostanza a metà fra l’alimento e il medicinale.
I Greci consideravano le olive frutti sacri e i Romani erano convinti che l’olio d’oliva garantisse longevità.
Omero, nell’Odissea, narra dell’offerta che la dea Atena fece ad Ulisse: una fiala di olio d’oliva, attraverso cui l’eroe riconquistò vigore e bellezza.
Anche Ippocrate, padre della medicina occidentale, ha tenuto in grande considerazione l’olio d’oliva e Plinio il vecchio annoverava, nella sua Historia Naturalis, ben 48 medicamenti a base di olio d’oliva
Le cose non cambiarono poi durante il Rinascimento quando, in tutte le farmacie, non mancava mai il vaso dell’Oleum; in quanto all’olio venivano riconosciute propietà come ipotensivo, antidiabetico, diuretico e come medicamento nella cura delle cardiopatie.
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Castelnuovo di Farfa (RI)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Ai giorni nostri quello che era stato compreso in maniera empirica dagli antichi, è stato dimostrato da numerosi studi scientifici epidemiologici e osservazionali condotti soprattutto in Italia, Portogallo, Spagna e Grecia, ossia in paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Questi studi hanno dimostrato che nei paesi dove si adotta la cosiddetta “dieta mediterranea”, nella quale l’elemento caratterizzante è costituito dal fatto che la maggior fonte di grassi e di energia è rappresentata dall’olio d’oliva, vi sia una maggior sopravvivenza globale e, in particolare, una incidenza e una mortalità per malattie cardiovascolari nettamente inferiori rispetto a quelle degli altri paesi europei e dell’America.
A tale proposito, le ricerche che inizialmente erano state condotte considerando la dieta mediterranea nella sua globalità, si sono ora concentrate sull’olio d’oliva evidenziandone una quantità sorprendente di effetti benefici che possono appunto spiegare la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nelle popolazioni che ne fanno un ampio consumo
COSA E’ LA MALATTIA CARDIOVASCO
Con il termine di malattia cardiovascolare si fa riferimento essenzialmente all’aterosclerosi dei vasi arteriosi e alle conseguenti patologie ad essa associate (ictus, infarto miocardico, insufficienza renale)
L’aterosclerosi, o placca aterosclerotica, è una sorta di “incrostazione” che si viene a formare negli anni all’interno della parete dei vasi arteriosi, più o meno precocemente a seconda dei fattori di rischio di ciascun individuo, un po’ come il calcare che si deposita nei tubi dell’acqua con calcare
. Placca aterosclerotica
Via via che l’incrostazione diventa spessa, si riduce la possibilità di passaggio dell’acqua nei tubi e del sangue nei vasi arteriosi riducendo, in questo modo, l’apporto di ossigeno e di sostanze nutritive ai tessuti irrorati (cervello, cuore, rene) che ne riportano una sofferenza (danno) ischemica
Inoltre, sulla superficie alterata della parete delle arterie in cui si è formata la placca aterosclerotica, è più facile che si possa generare un trombo che va ad occludere completamente il flusso di sangue provocando così infarto o ictus (cioè la morte di una parte più o meno estesa di tessuto cerebrale).
. Trombo che occlude un vaso arterioso
Esistono diversi fattori che facilitano la formazione della placca aterosclerotica e sono:
dislipidemia,
ipertensione,
diabete→iperglicemia,
obesità,
aggregazione piastrinica,
infiammazione
Tutti questi fattori vanno a danneggiare la parete delle arterie sulla quale inizia a depositarsi una sorta di “pappa” costituita da cellule infiammatorie, cellule muscolari lisce, piastrine, colesterolo che progressivamente si stratifica all’interno dei vasi andando a ridurne il calibro e l’elasticità.
Ebbene l’olio d’oliva è in grado di agire grazie alle sue diverse componenti prevenendo ciascuno di questi fattori di rischio.
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OLIO E DISLIPIDEMIA
Il colesterolo, come tutti i grassi, non è idrosolubile (non si scioglie in acqua), perciò ha bisogno, per essere trasportato nel sangue, di legarsi a delle sostanze che fanno da veicoli: le lipoproteine. Tra queste distinguiamo le lipoproteine HDL; “il colesterolo buono” che prelevano il colesterolo dalla parete dei vasi ostacolando così la formazione della placca aterosclerotica e le lipoproteine LDL; “il colesterolo cattivo” che, al contrario, depositano il colesterolo in eccesso sulla parete delle arterie. Particolarmente pericolose sono POI le LDL ossidate in quanto oltre a veicolare il colesterolo danneggiano la parete delle arterie esercitando un effetto tossico diretto.
Un altro tipo di grassi presente nel sangue è rappresentato dai trigliceridi, costituiti essenzialmente da acidi grassi, che vengono veicolati dalle lipoproteine VLDL. Anche l’eccesso di trigliceridi esercita un effetto pro-aterogeno.
E’ stato dimostrato che l’olio d’oliva assunto in abbondanza nella dieta mediterranea, ricco in acidi grassi monoinsaturi, è in grado di ridurre i livelli plasmatici di colesterolo LDL (colesterolo cattivo) e di aumentare quelli di HDL (colesterolo buono) e di ridurre i livelli di trigliceridi. Inoltre l’olio d’oliva è in grado di ridurre l’ossidazione delle LDL. Infatti alcuni costituenti dell’olio d’oliva, presenti in concentrazione ancora maggiore nell’olio extravergine, come l’acido oleico, la vitamina E e i componenti fenolici, hanno una spiccata azione antiossidante preservando l’organismo dai numerosi danni provocati dallo stress ossidativo indotto dai radicali liberi dell’ossigeno.
E’, a questo proposito, interessante sottolineare come l’olio extravergine d’oliva possieda la maggior quantità di componenti antiossidanti se confrontato con altri oli di origine vegetale.
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OLIO D’OLIVA E IPERTENSIONE ARTERIOSO
Un altro elemento da sottolineare, sempre nell’ambito della patologia cardiovascolare, è la ridotta incidenza di ipertensione arteriosa nelle popolazioni che utilizzano la dieta mediterranea nella quale, come abbiamo già detto, l’olio d’oliva rappresenta la maggior fonte di grassi.
Nel 2000 una importantissima rivista internazionale, “Archives of Internal Medicine”, pubblicava i risultati di una ricerca condotta all’Università Federico II di Napoli, che aveva messo a confronto due gruppi di pazienti affetti da ipertensione arteriosa e per questo in terapia con farmaci antipertensivi. Uno dei due gruppi era assegnato ad una dieta in cui si faceva ampio uso di olio di semi di girasole, l’altro seguiva invece una dieta mediterranea classica in cui il maggior apporto energetico veniva appunto fornito dall’olio extravergine d’oliva. Dopo 6 mesi di osservazione si notava che i pazienti che assumevano una dieta ricca di olio d’oliva potevano ridurre significativamente il dosaggio dei farmaci antipertensivi.
Ancora nel 2005 un gruppo di studiosi italiani ha dimostrato, in modelli animali, come la somministrazione endovenosa di estratti di olio d’oliva determinasse una riduzione dei valori pressori.
L’esatto meccanismo attraverso cui l’olio d’oliva agisca sulla regolazione della pressione arteriosa non è ancora ben noto ma sembra che l’effetto dei fenoli e dell’acido oleico sulle cellule endoteliali possa contribuire a ridurre il tono della parete vasale inoltre è stato dimostrato che, sempre i fenoli, sono in grado di stimolare la produzione di ossido nitrico, un potente vasodilatatore.
OLIO D’OLIVA, DIABETE E OBESITÀ
Tornando ai fattori di rischio nella formazione della placca aterosclerotica, abbiamo citato il ruolo cruciale del diabete. E anche su questo fattore è stato dimostrato che l’aderenza alla dieta mediterranea, ricca in apporto di olio d’oliva, svolga una significativa azione protettiva.
Proprio lo scorso Settembre, sono stati pubblicati su “Diabetes Care”, una delle più importanti riviste americane di diabetologia, i risultati di uno studio condotto su 340.000 persone che evidenziava come il seguire una dieta ricca in olio d’oliva comportasse una netta riduzione del rischio di sviluppare diabete mellito tipo 2. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che l’utilizzo di olio d’oliva nei pazienti diabetici migliora il controllo glicemico.
Infine è ancora interessante citare i dati di alcuni studi recenti che dimostrano che i grassi forniti dalla dieta mediterranea, la cui principale fonte è proprio l’olio d’oliva, non solo non promuovono l’insorgenza di obesità ma, al contrario, stimolano l’attività lipolitica (ossia di scioglimento dei grassi) nel tessuto adiposo.
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OLIO D’OLIVA E COAGULAZIONE
Abbiamo detto che la causa di molti infarti cardiaci o di ictus è la formazione di un trombo occlusivo nelle arterie (coronarie o cerebrali).
E’ stata dimostrata una relazione fra l’assunzione di pasti ricchi di grassi con una attivazione post-prandiale della coagulazione (in particolare del fattore VII) con conseguente aumento del rischio cardiovascolare.
Tradizionalmente i benefici della dieta mediterranea erano stati attribuiti essenzialmente al suo effetto sul metabolismo lipidico ma oggi si sta dimostrando che i vantaggi di una dieta ricca in olio d’oliva sono più globali comprendendo anche un effetto sulla coagulazione.
Alcuni studi clinici (tra questi ricordiamo uno studio pubblicato nel 2006 su Public Healt Nutrition) infatti hanno dimostrato che una dieta ricca in olio extravergine d’oliva riduce sensibilmente l’aggregazione piastrinica e l’attivazione post-prandiale del fattore VIII.
OLIO D’OLIVA E INFIAMMAZIONE
Ed anche su quest’ ultimo fattore considerato coinvolto nella formazione dell’aterosclerosi sembra che l’olio d’oliva possa giocare un suo ruolo.
Infatti alcuni studiosi hanno evidenziato che l’olio d’oliva grazie anche alla sua ricchezza in sostanze antiossidanti, riduce la risposta infiammatoria della parete dei vasi arteriosi, elemento che pure ha una importanza non trascurabile.
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CONCLUSIONI
Tutti questi vantaggi che derivano dall’utilizzo quotidiano nell’alimentazione dell’olio d’oliva, ci fanno comprendere quanto possa essere utile adottare una dieta mediterranea nella prevenzione del danno cardiovascolare. L’olio d’oliva si inserisce quindi a pieno titolo negli elementi dietetici di basilare importanza nell’ambito della medicina preventiva. Tanto nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari (ossia nell’evitare che queste si verifichino) quanto nella prevenzione secondaria (ossia nel fermare o rallentare la progressione di una malattia già instaurata).
E proprio ai giorni nostri l’importanza della medicina preventiva viene sempre più sottolineata. Infatti è ora ben chiaro che il vero successo del medico è quello di prevenire la malattia cioè evitare che il danno d’organo si realizzi.
La medicina curativa è un’altra cosa, con questa infatti si interviene a curare una patologia, cioè un danno che si è già verificato e, in quest’ambito, l’olio d’oliva non ha nessuno spazio.
Castelnuovo di Farfa (Rieti)-Azienda Agricola Il Cervo Rampante
Indirizzo: 02031 Castelnuovo di Farfa RI
Telefono: 329 891 8729
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Anfora panatenaica a figure nere. Produzione attica, Lydos, 560-540 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
olio extravergine di oliva del Lazio
L’olivo coltivato o domestico deriva dall’olivo selvatico o oleastro che cresce nei luoghi rupestri, isolato o in forma boschiva, e dai cui minuscoli frutti si trae un olio amaro il cui uso è, però, sempre stato limitato.I Greci conoscevano diverse varietà di olivi selvatici cui davano nomi diversi, agrielaìa, kòtinos, phulìa; i Romani invece, le riunivano tutte sotto la denominazione oleaster, che è poi quella passata nel vocabolario botanico moderno.La patria di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore: infatti, mentre in sanscrito non esiste la parola olivo e gli Assiri ed i Babilonesi, che evidentemente ignoravano questa pianta e i suoi frutti, usavano solo olio di sesamo, l’olivo era viceversa conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani.Non solo, anche nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati : basti pensare che la colomba dell’arca porta a Noè un ramo d’olivo colto sul monte Ararat, montagna dell’Armenia.La trasformazione dell’oleaster in olivo domestico pare sia stata opera di popolazioni della Siria. Molto presto l’uso di coltivare l’olivo passò dall’Asia minore alle isole dell’arcipelago, e quindi in Grecia: lo Schlieman riferisce di aver raccolto noccioli d’oliva sia negli scavi del palazzo di Tirino sia in quelli delle case e delle tombe di Micene e, nell’Odissea, troviamo scritto che Ulisse aveva intagliato il suo letto nuziale in un enorme tronco di olivo.
L’olio extravergine di olivaolio extravergine di oliva del Lazio
In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche.L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focile. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo.Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano in primo luogo il territorio di Venafro, quindi la Sabina e il Piceno, mentre nell’Italia del nord erano famose le coste della Liguria.L’olivo esigeva molte cure, che potevano risultare anche costose, ma i proprietari degli oliveti erano ben ripagati dei loro disagi: non solo la cucina, ma anche i bagni, i giochi, i ginnasi e persino i funerali, esigevano l’impiego di grandi quantità di olio.Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi: ancora acerbe (olive albae o acerbae), non del tutto mature (olive variae o fuscae), mature (olive nigrae). Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani ad una ad una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi, venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili (in greco ractriai), sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. Alcuni aiutanti raccattavano e riunivano le olive battute che, solitamente venivano macinate il più presto possibile.In Grecia l’olio era generalmente prodotto dai proprietari stessi degli oliveti che spesso procedevano anche alla sua vendita; il mercante di olio si chiamava elaiopòles o elaiokàpelos.La vendita al dettaglio non si praticava solo in campagna o nelle botteghe; era ugualmente attiva nell’agorà, dove venivano trattate le merci più diverse. I mercanti erano installati in baracche, sotto umili tende o, più comunemente, all’aperto, ma questa situazione migliorò ben presto quando furono edificati i primi portici.Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici e documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure di olivi domestici. Sono comunque evidenze significative, soprattutto se inquadrate nel più generale panorama archeologico e vegetazionale della penisola italiana, che fanno ragionevolmente presumere un precoce riferimento all’olivo coltivato. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ciò nonostante, quanto esposto sembra sufficiente per sollevare almeno qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci; pur senza dimenticare che dal greco derivano sia la parola olivo (elaìa), sia il termine etrusco amurca che, nella sua forma greca amòrghe, indica quel liquido amaro ottenuto dalla prima spremitura delle olive, che veniva scartato ed utilizzato come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana.Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi.Per quanto riguarda l’età storica esistono anche evidenze paleobotaniche: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore estrusche piene di olive conservate e la cosiddetta “Tomba delle Olive” di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre ad un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive.Non è facile ricostruire il paesaggio agrario dell’Etruria antica: le trasformazioni subite nel corso del tempo, e soprattutto l’impoverimento e l’abbandono delle campagne, iniziato in età romana, impediscono di cogliere, in tutti i suoi dettagli, una situazione che doveva essere comunque piuttosto fiorente. Anche il panorama offerto dalle fonti antiche va letto con prudenza, tenendo conto del contesto storiografico di appartenenza in cui dominavano la memoria di un passato felice e i riscontri di un realtà contemporanea, quella della prima età imperiale, in cui i caratteri del paesaggio etrusco e i metodi di conduzione agricola erano senz’altro strutturati in modo diverso.Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite.Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare. E’ il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballoy e gli alabastra corinzi di importazione.Per quanto riguarda l’ambito alimentare l’olio è sempre stato uno dei prodotti principali dell’antichità classica. Nel mondo romano non si usava altro condimento per cucinare, e per condire le insalate si utilizzava l’olio migliore: particolarmente rinomati erano l’olio verde di Venafro, come attestano Marrone, Plinio, Orazio e Stradone, e quello della Liburnia in Istria; pessimo era considerato l’olio africano che veniva usato esclusivamente per l’illuminazione. Non mancavano allora, come oggi, le contraffazioni, se dobbiamo credere ad una ricetta di Apicio che insegnava a contraffare l’olio della Liburnia utilizzando un prodotto spagnolo.
olio extravergine di oliva del Lazio
Essendo poco raffinato e dato che non si adottavano trattamenti particolari atti a conservarlo, l’olio diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era dunque salarlo.
Per questo motivo si consigliava anche di conservare il più a lungo possibile le olive, in maniera da poter fare, sul momento, olio fresco da offrire nelle oliere ai convitati in ogni periodo dell’anno. Si rendeva quindi necessario cogliere le olive quando erano ancora verdi sull’albero e riporle sott’olio.
In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio che la fine del pasto, venivano cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere.
Solitamente erano conservate in salamoia, ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele. Le olive bianche venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte all’uso. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si facevano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico.Con le olive verdi si facevano le colymbadas (letteralmente “le affiorate”), così dette perché galleggiavano in un liquido fatto di una parte di salamoia satura e due parti di aceto. La preparazione consisteva nel praticare alle olive, dopo la salagione, due o tre incisioni con un pezzo di canna, e quindi tenerle immerse per tre giorni in aceto; poi le olive venivano scolate e sistemate con prezzemolo e ruta, in vasi da conserve che erano poi riempiti con salamoia e aceto facendo in modo che restassero ben coperte. Dopo venti giorni erano pronte per essere portate in tavola.
Vendita dell’olio. Pelike a figure nere. Produzione attica, 510-500 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.
Un altro tipo di conserva era l’epityrum che si faceva sempre con le olive migliori, di solito le orcite e le pausiane: era una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena ad ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso lo ricopriva d’olio.Vi erano poi le conserve di olive nere, che si potevano fare sia con le pausiane mature che con le orcite ed in alcuni casi anche con le olive della qualità Nevia: la preparazione consisteva nel tenerle per 30-40 giorni sotto sale, poi, una volta scosso via tutto il sale, metterle sotto sapa defrutum.Altre volte, più semplicemente, si mettevano le olive sotto sale con bacche di lentisco e con semi di finocchio selvatico.Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittore latini di agricoltura più famosi hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio.E noto, ad esempio, che l’olio che si otteneva dalla torchiatura era piuttosto denso e che, per farlo diventare più fluido, occorreva riscaldare l’ambiente in cui veniva preparato per evitare che si rapprendesse: è per questo che l’olio aveva spesso odore di fumo. In qualche occasione, e naturalmente a seconda della temperatura esterna, era sufficiente che il locale dei torchi (torcular) fosse rivolto a sud ed esposto ai raggi del sole, anzi, gli esperti ritenevano che questa fosse la soluzione migliore per garantire la buona qualità del prodotto. E infatti, nella villa della Pisanella a Poggioreale, dove è venuto alla luce un interessante esemplare di torchio da olio, la cella olearia era intiepidita naturalmente, in virtù della sua esposizione al sole.Gli autori antichi descrivono minuziosamente le macchine impiegate dai Greci e dai Romani per la torchiatura delle olive; le scoperte archeologiche hanno poi permesso di controllare e di completare le loro testimonianze.La prima fase della preparazione dell’olio d’oliva consisteva nello schiacciamento dei frutti. La mola olearia assomigliava a quella granaria, essendo anch’essa costituita da due pietre cilindriche, una fissa, il bacino o sottomola, l’altra mobile, la mola verticale: l’operazione di schiacciamento era seguita in modo assai semplice, facendo rotolare una pietra cilindrica avanti e indietro sopra le olive poste in un contenitore.
Rappresentazione di pressa a vite. Bassorilievo, Aquileia.
Il “frantoio” romano, puntualmente descritto da Columella (I sec. d.C.) era di un tipo assai simile a quelli usati anche in età moderna.Sulla base dei dati disponibili è possibile proporne una ricostruzione più che plausibile. In dettaglio, gli elementi componenti la macchina dovevano essere i seguenti:
olio extravergine di oliva del Lazio
Base in muratura, superiormente concava, per meglio alloggiare la sottomola
Sottomola
Sostegno verticale in legno dove è infilata la stanga. L’inserzione di questa nel sostegno doveva prevedere la possibilità di regolare l’altezza della mola per non schiacciare i noccioli delle olive
Disco della mola, costituito da una pietra cilindrica che l’uso deforma leggermente in senso troncoconico. Il disco è inserito nella stanga in modo da poter girare sia intorno al sostegno centrale, sia attorno al proprio asse. Il disco della mola era mantenuto nella posizione corretta per mezzo di cunei in legno (clavi)
Stanga, la cui estremità è collegata ai finimenti che imbrigliano l’asino sottoposto alla mola.
L’olio extravergine di oliva
Quando il perno centrale veniva fatto ruotare, i rulli giravano rapidamente a una distanza regolabile sopra il recipiente che conteneva le olive era così possibile separare la polpa senza schiacciare i noccioliDopo la frangitura, le olive venivano pressate. Per questo secondo passaggio in antico venivano usate presse a trave, simili a quelle usate per il vino. Sembra che la pressa a trave abbia avuto origine e si sia sviluppata nella civiltà egea, dove la coltivazione delle olive era già diffusa agli inizi dell’età del bronzo, ma non si sa con certezza a quale epoca risalga.I resti più antichi conosciuti di una pressa e di un bacino per schiacciare le olive sono quelli rinvenuti a Creta che appartengono al periodo minoico (1880-1500 a.C. ca.): sono però insufficienti per una ricostruzione dettagliata dello strumento. Un’altra pressa a trave per olive, risalente al tardo periodo elladico (1600-1250 a.C. ca.) fu trovata in una delle isole Cicladi. Dopo il 1000 a.C. circa, le presse di questo tipo divennero più frequenti e ne esistono alcune rappresentazioni, in particolare su vasi attici a figure nere del VI sec. a.C.La pressa a trave applica il principio della leva: un’estremità della trave era appoggiata in un incavo del muro, o fra due pilastri di pietra, l’altra veniva tirata giù o spesso caricata con pesi (uomini e pietre). Le olive, sistemate in sacchi o tra tavole di legno, venivano schiacciate sotto la parte centrale della trave e il succo era raccolto in un recipiente sistemato sotto il piano della pressa.Plinio descrive con molta chiarezza quattro tipi di presse. La prima è la vecchia pressa trave di cui parla anche Catone (234-149 a.C.) il cui funzionamento è stato però nel frattempo alquanto meccanizzato. Un’estremità della trave, spesso lunga fino a 15 metri, era fissata sotto una sbarra trasversale posta tra due pali di legno. Le olive schiacciate erano ammucchiate sotto questa pesante trave e la pressione veniva esercitata facendo abbassare l’altra estremità della trave che era tirata in basso da una fune arrotolata intorno ad un tamburo del diametro di 40-50 centimetri. Un secondo miglioramento che permetteva una pressione regolare e prolungata, era attuato nella pressa descritta da Erone (I sec. d.C.), ma gia nota da molto tempo e probabilmente inventata in Grecia. Tale pressa era costituita da un peso di pietra, una trave e un tamburo girevole, Partendo dalla base, una corda passava sotto una puleggia collocata sul peso e sopra un’altra puleggia situata sulla trave, raggiungendo il tamburo. Quando la corda era avvolta al tamburo la trave riceveva l’intero peso della pietra.La massa da pressare era racchiusa in vari modi: dentro fiscoli di corda, giunchi intrecciati, o cesti. Oppure: “le olive venivano schiacciate dentro cesti di vimini o mettendo la pasta tra due asticelle” (Plinio).Le presse a trave erano particolarmente adatte per operazioni su larga scala, quando invece si trattava di quantità limitate, come anche nel caso di semi oleosi, si preferivano altri metodi come la pressa a vite. Di quest’ultima Plinio dice che sembra sia stata introdotta a Roma verso la fine del I secolo a.C., ma che era stata probabilmente inventata in Grecia nel II o I secolo a.C.In una versione perfezionata di questo tipo di pressa, descritta sia da Erone sia da Plinio, la vite solleva un peso di pietra. Questo tipo, chiamato anche “pressa greca”, era senz’altro in uso a Roma ai tempi di Vetruvio (I sec. a.C.).Quindi l’olio veniva messo a decantare in vasche che precedevano il lacus destinato alla raccolta finale del prodotto.
Prof.ssa G. Carlotta Cianferoni-Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana
Dolia interrati. Posti nella Villa Rustica in Loc.Villa Regina, I sec. d.C. Boscoreale, Napoli.Disegno ricostruttivo di un frantoio. Dal testo: “Settefinestre. Una villa schiavistica nell’Etruria romana”.Anfora panatenaica a figure nere. Produzione attica, Lydos, 560-540 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.Vendita dell’olio. Pelike a figure nere. Produzione attica, 510-500 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Firenze.Raccolta delle olive. Riproduzione grafica di un’immagine di un vaso attico a figure nere.olio extravergine di oliva del Lazioolio extravergine di oliva del Lazioolio extravergine di oliva del Lazio
Roma, 20 gen – “Top Italian Food & Beverage Experience” e “Vini d’Italia Experience”. Sono gli eventi di promozione internazionale organizzati dal Gambero Rosso a cui partecipano le aziende di Cia-Agricoltori Italiani. A dare il via al programma per il 2017 l’appuntamento di oggi, venerdì 20 gennaio, a Copenaghen. Los Angeles e Miami le prossime tappe.
olio extravergine di oliva del Lazio
Una vetrina importante nella capitale danese, all’interno del Moltkes Palae, che ha visto protagonisti il Cno-Consorzio Nazionale Olivicoltori, con degustazioni e prove di assaggio di cinque etichette selezionate all’interno dell’”Oil Bar” e sei imprese d’eccellenza della Cia.
Da nord a sud, tutte realtà “top” del Made in Italy agroalimentare: la Drusian di Treviso, produttrice di Prosecco, presente con tre etichette; l’azienda agricola Fabio Girometta di Piacenza con il pomodoro trasformato; la Fattoria Biò di Mario Grillo di Cosenza con assaggi di formaggio e salumi; Apofruit di Forlì-Cesena con le sue mele verdi per assaporare l’olio e il panificio La Maggiore di Bari che con il suo pane di Altamura Dop e i suoi taralli ha accompagnato le degustazioni di vino, olio, pomodoro, formaggi e salumi per l’intera manifestazione, mentre l’azienda Bio Vio di Albenga ha fornito l’origano da utilizzare sul pomodoro.
La partecipazione a questo evento rientra nell’ampio progetto di internazionalizzazione delle aziende Cia, che la stessa organizzazione agricola ha realizzato per far conoscere al mercato straniero, alla stampa internazionale e agli opinion leader di settore – tutti selezionati dal Gambero Rosso, sempre più punto di riferimento unico di aziende e associazioni che hanno come obiettivo lo sviluppo e il superamento dei confini nazionali – il meraviglioso scrigno nascosto dei cibi tradizionali italiani.
La domanda è forte e, quindi, occorre cavalcare la richiesta puntando ai mercati esteri. Gli stranieri amano il cibo italiano ma non conoscono il 95% dei nostri prodotti di nicchia e di qualità in grado di sbloccare un “potenziale” di almeno 70 miliardi di euro in export.
“L’Italia non ha mai messo in campo una strategia organica per aggredire i mercati stranieri -ha affermato il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino-. Con questo piano di promozione, il nostro impegno è quello di rafforzare e accompagnare le nostre aziende nella sfida dell’internazionalizzazione. L’obiettivo è quello di favorire la crescita e conquistare nuovi spazi all’estero, contrastando l’italian sounding”.
grano italiano
“Gambero Rosso è costantemente a fianco delle aziende italiane per la promozione del Made in Italy di qualità nei maggiori mercati internazionali -ha dichiarato il presidente di Gambero Rosso, Paolo Cuccia-. Siamo quindi lieti di collaborare a questo importante progetto strategico nato dalla sensibilità della Cia per sostenere lo sviluppo delle aziende associate sui mercati stranieri, sempre più indispensabili per la crescita dimensionale e per la redditività del settore agricolo e agroalimentare italiano. Grazie alle nostre guide, la Top Italian Food and BeverageExperience e Vini d’Italia tradotto in cinque lingue e, prossimamente, laTop Italian Restaurant Around the world, contribuiamo a fronteggiare il fenomeno dell’italian sounding, sostenendo le eccellenze del nostro Paese”.
“L’iniziativa di Copenaghen è stata l’occasione per presentare a un pubblico selezionato i migliori olii extravergine di oliva 100% italiano -ha aggiunto il presidente del Cno Gennaro Sicolo-. Un tassello importante della strategia di lungo periodo del Consorzio per la valorizzazione, la tutela e l’internazionalizzazione delle nostre aziende. Si pensi che il consumo di olio di oliva in Italia si attesta su 11 chilogrammi pro capite all’anno; mentre i danesi ne consumano meno di 1 chilogrammo. Quindi c’è un grande lavoro ancora da fare. Da qui il nostro sforzo intenso e determinato per aprire nuovi sbocchi in contesti che già dimostrano un interesse verso il consumo di qualità”.
RIETI- 20 gennaio 2017-C’è tempo fino al 25 gennaio 2017 per aderire alla 24esima edizione del Concorso regionale per i migliori oli del Lazio “Orii del Lazio – Capolavori del gusto” per l’assegnazione dei premi per i migliori prodotti nella regione.
Il Concorso, valido anche per la selezione su base regionale dei partecipanti al Concorso Nazionale “Ercole Olivario”, è promosso ed organizzato da Unioncamere Lazio, in collaborazione con la Camera di Commercio di Rieti e le altre Camere del Lazio, con il supporto di Agro Camera. Il concorso selezionerà, inoltre, i partecipanti al premio nazionale “Ercole Olivario”. Il concorso si propone: di valorizzare i migliori oli extravergine di oliva provenienti da zone con riconoscimento, nazionale e/o comunitario, a denominazione d’origine (DOP e IGP) o dai diversi ambiti del territorio laziale per favorirne la conoscenza e rafforzarne la presenza nei mercati esteri, scegliendo ed indicando gli oli di qualità che possano al tempo stesso conseguire l’apprezzamento dei consumatori; di stimolare olivicoltori e frantoiani al miglioramento della qualità del prodotto ed alla sua diversificazione; di contribuire alla valorizzazione e diffusione a livello regionale dei tecnici ed esperti assaggiatori in sintonia con la normativa italiana e comunitaria.
olio extravergine di oliva del Lazio
Il concorso è riservato all’olio extra vergine d’oliva di qualità ottenuto da: olive prodotte nelle zone a denominazione d’origine, già riconosciute in ambito comunitario; olive prodotte nei diversi ambiti territoriali italiani. La territorialità è attestata dal partecipante con autodichiarazione sull’attività svolta e la provenienza delle olive (da produrre secondo il fac-simile inserito nella domanda di partecipazione.
Possono partecipare al Concorso, per una o per entrambe le tipologie con al massimo una denominazione per ciascuna tipologia: olivicoltori del Lazio produttori di olio in proprio; frantoi con sede nella Regione Lazio, limitatamente al prodotto proveniente da oliveti della regione Lazio; oleifici cooperativi, organizzazioni di produttori (quali consorzi, cooperative, reti di impresa) con sede nella regione Lazio, limitatamente al prodotto proveniente da oliveti della regione Lazio; soggetti sottoposti al sistema dei controlli detentori, nella relativa zona di origine, di prodotto pronto per l’immissione al consumo con certificazione a denominazione di origine.
olio extravergine di oliva del Lazio
olio extravergine di oliva del Lazio
Le aziende partecipanti dovranno essere regolarmente iscritte al Registro delle Imprese della Camera di Commercio competente per territorio ed in regola con il pagamento del diritto annuale.
I partecipanti dovranno far pervenire, anche via fax, alla Segreteria del Concorso per i migliori oli extravergini di oliva del Lazio – c/o Agro Camera – Via dell’Umiltà, 48 – 00187 Roma – la domanda di partecipazione allegata al regolamento pubblicato sul sito http://www.oridellazio.com/ secondo la categoria per cui si intende partecipare fino al 25 Gennaio 2017.
olio extravergine di oliva del Lazio
olio extravergine di oliva del Lazio
olio extravergine di oliva del Lazio
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