Castelnuovo di Farfa-Le temperature scendono, i colori si intensificano e arriva il rosso , il dorato e il foliage nella Valle del Farfa, o le tre Valli come preferite. Non è un ridotto palcoscenico e non appare “sottotono” la valle vista dalla gradinata della piazza comunale la quale ,come una balconata, trasforma nel “male minore” la tristezza di una stagione oramai perduta .
Castelnuovo di Farfa
Comunque questo settembre del 2023 sa ancora di estate “forte e piena ”.Non vi è dubbio alcuno che il mio Castelnuovo è un lampo per lo scrittore che lo vive. A me rievoca una poesia, un frammento di vita e mi ispira folgoranti riflessioni e inattesi collegamenti, in un appassionante pellegrinaggio indietro e avanti nella storia del Borgo che , infine, diventa una meditazione poetica sull’uomo.
Castelnuovo di Farfa
L’Autunno castelnuovese lo scopri attraverso il suo gusto inconfondibile di terra piena di tradizioni, storia e natura. La bellezza di Castelnuovo è come lo sguardo di un bambino ch’è il lievito per la Poesia. Io riesco a vedere gli angoli come poesia e dimentico le paure, le cattiverie e le copro con un” sudario di silenzio”. Come dice il grande filosofo FRIEDRICH NIETZSCHE( Al di là del bene e del male, 1886.):”Si possono promettere azioni, ma non sentimenti, perché questi sono involontari.” Castelnuovo è per me un “generatore”di sentimenti.
Brani da Murales Castelnuovesi di Franco Leggeri
Poesia da “Murales Castelnuovesi “–
.. Castelnuovo non può arrugginire
come un vecchio metallo abbandonato
e sepolto ai bordi di un ricordo.
Castelnuovo attrae sempre la luna
che emerge dall’estate smarrita
nel profumo dell’erba e del vino.
Castelnuovo è aria in una trappola d’amore
dolce come l’uva passa ai bordi della cena.
Castelnuovo è un pomeriggio qualunque
mentre il tempo scorre come l’acqua
che evapora tra i ciottoli delle sue vie.
È questo il tempo impetuoso e calmo,
ma imprevedibile come gli occhi dietro le finestre
che raccontano una storia e la depositano nel ricordo
della poesia che sono sguardi e segreti
da regalare alle mani dei bambini.
Castelnuovo è il rimpianto, è l’abbraccio
che imprigiona i sogni più belli
che si lasciano cullare assieme alle foglie d’ulivo
dalla brezza che viene dall’anima .
Così nelle notti passate a raccogliere le gocce di rugiada
per dissetarmi, poi, nei silenzi illuminati dalla luna
tornano le voci amiche che trasportano
la musica e il grido nell’eco della Valle del Farfa …..
Castelnuovo di Farfa: ”Estate 2021,il ritorno dell’uguale”.
Com’è l’Estate Castelnuovese? E’ un blues di una tristezza inspiegabile. Non è chiaro se certe scelte avvengono per mancanza di idee o solo perché quelle vecchie (le idee) sono migliori di quelle nuove. Fatto sta che a Castelnuovo sempre più spesso assistiamo, per dirla con un filosofo a me neanche troppo simpatico, all’eterno ritorno dell’uguale. Il degrado culturale del nostro Castelnuovo è, ahimè, ancora nell’alto e buio medioevo e non si vede la fine del tunnel. Noi castelnuovesi cosa ci potevamo aspettare dall’ammucchiata politica di potere PD-FdI ? Questo accoppiamento politico PD-FdI ha condannato molti castelnuovesi al “confino politico e culturale” e ,quindi, l’accopiata politica”vincente” alla castelnuovese ha prodotto la classica “panzanella” della sottocultura del misero potere sintetizzato dal celebre sig. NESSUNO. Voglio ricordare ai più giovani, e a futura memoria ,chi è questo sig. NESSUNO il celebre voltagabbana oramai famoso in tutta la Sabina per la sua “comparsata” nel grande spettacolo “Aggiungi un posto a tavola” con le immancabili cinque portate tradizionali del pranzo: primo, secondo, formaggio, dolce e frutta e ,per finire,” L’AMARO CASTELNUOVESE”.
A Castelnuovo abbiamo troppi spocchiosi e famosi parolai che sono ben rappresentati dal presidente della Confraternita degli orfani del sottobosco politico. Questi residui organici sono quelli che ti apostrofano con la celebre frase: “Tu non sai quello che ho fatto io per Castelnuovo”. E si che lo sappiamo cosa hai fatto per Castelnuovo parolaio parassita e raccoglitore di molliche al desco del “padrone” , ma a te ,“sotto panza” del padrone, ha già risposto il nostro Alberto Sordi con una sua celebre canzone piena di indicazioni stradali.
L’estate castelnuovese 2021 sarà ,speriamo di no, piena di maschere di improvvisati attori che daranno , presteranno, la loro voce ad una narrazione egemone; assisteremo a discorsi con l’uso disinvolto di luoghi comuni che nel desertificato Castelnuovo si riveleranno efficacissimi. Mi chiedo se è ancora valida la testimonianza e la narrazione dell’Estate Castelnuovese, quella vera, tutta vissuta in prima persona, senza il distacco della sociologia, dentro cui vivono e rivivono vicende buffe, gioiose a volte velate di tristezza del vecchio tempo .
Franco Leggeri, castelnuovese
Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Castello, Torre dell’OrologioCastelnuovo di Farfa-Porta CastelloCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est- foto inizio ‘900Castelnuovo di Farfa (Rieti) Foto del 1889Castelnuovo di Farfa (Rieti) Palazzo Eredi Salustri-GalliCastelnuovo di Farfa (Rieti) la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma EstCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est- foto inizio ‘900Castelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est- foto inizio ‘900Castelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto 1950-Castelnuovo di Farfa (Rieti) Foto del 1889Castelnuovo di Farfa (Rieti) Palazzo Eredi Salustri-GalliCastelnuovo di Farfa (Rieti) nei disegni di Francesca Vanoncini-La Torre dell’OrologioCastelnuovo di Farfa (Rieti) Palazzo Eredi Salustri-GalliCastelnuovo di Farfa (Rieti) Monumento ai Caduti delle due guerre mondialiCastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa- (Rieti) -Cappella agreste di Santa Brigida-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Campo Profughi FARFA SABINA- Loc. Granica-foto anni 1950
Castelnuovo “l’Acchiesola” e il paradosso dell’algebra astratta-
-Brano da “Murales Castelnuovesi” di Franco Leggeri-
Muoversi nelle intuizioni e immergersi nei problemi irrisolti . Era questa l’equazione che sia i bambini e sia i giovani castelnuovesi degli anni ’50 dovevano risolvere in assenza dei media : radio, televisione , giornali e cinema.I media che dovevano essere vitamina e “stimolatori” della fantasia e creatività per le giovani menti castelnuovesi non esistevano ancora per tutti, sino al giorno in cui fu aperta la “scatola magica” della “piccola-grande “ sala cinematografica “su nell’Acchiesola”, ora Aula consigliare .Questa sala fu una prima miniera della fantasia , in Bianco e Nero, per le giovani menti castelnuovesi. Fu il cinema, per la sua capacità di “parlare” ad ogni pubblico : dal proletario, la maggioranza di noi castelnuovesi, sino a quello “aristocratico” .Proprio per il suo linguaggio, il cinema è un luogo comune nel senso di condiviso. Il cinema è allo stesso tempo un formidabile mezzo per la trasmissione, sia di mentalità che di ideologie, sia che si presenti nella forma di documentario e sia come finzione. Con il cinema, molti di noi giovani scoprimmo la grande città e l’esotismo di luoghi lontani. Scoprimmo le melodie delle colonne sonore, la sottolineatura e il clima da suspense che solo la musica e il gioco delle luci sanno evidenziare. Il vento prese “voce” e scoprimmo il canto dei fiumi e del mare. Ho nella memoria una presenza reale dell’attesa per l‘inizio del film, poi il silenzio e le immagini “enormi” proiettate sullo schermo che ci raccontavano una storia . Devo dire che ero affascinato! Ricordo, per esempio ,la “fantasiosa e furbesca” storia di un assalto alla diligenza e gli spari delle “colt”. E così che provai a risolvere l’equazione del paradosso dell’algebra astratta. La fantasia veniva , man mano, trovando i passaggi giusti nelle semplificazioni, tra realtà, finzione ed emozione, sino al coinvolgimento e all’identificazione nei personaggi del film . Fu allora che scoprimmo il Far West ( poi imparammo che il West era l’Ovest delle grandi praterie) e fu così che riuscimmo, in questa “Grande-minuscola sala”, a provare l’emozione di essere partecipi di una avventura sino a scoprire che , alla fine, “arrivava sempre il settimo cavalleria” e tutto aveva un lieto fine.
P.S.“Su nell’Acchiesola” noi “monelli de Castellu” quelli della generazione del dopoguerra abbiamo votato per la prima volta, perché “l’Acchiesola” era adibita, sin dall’800 , a sede di seggio elettorale. E’ qui che per molti Castelnuovesi ebbe inizio la speranza del “biennio rosso” del 1919 -1921 ,con il voto al Partito Socialista Italiano di Filippo Turati . In questa sala fu pronunciato, per la prima volta a Castelnuovo, il voto alla Lista “Falce, Martello e Libro”. Di queste elezioni del 1919 ne ho raccolto e trascritto la testimonianza diretta così come mi è stata raccontata dal nostro compaesano Fiore Tancioni che , assieme ad altri compaesani da me intervistati, ne fu testimone . Ma questa è una storia che tratto in un capitolo del libro “Castenuovo, la riva sinistra del Farfa”.
Franco Leggeri, Castelnuovese
Castelnuovo di Farfa -Centro Storico–Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -Centro Storico- Via Garibaldi-Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di Farfa -Centro Storico-Via Coronari-Foto di Franco LeggeriCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma , la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) Panorama (prima del 1935)Castelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) -la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via GaribaldiCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Coronari
CASTELNUOVO& CORONAVIRUS-:Il dialogo, la parola, la convivenza e il Club Mefistofele di Castelnuovo-MURALES CASTELNUOVESI-
Castelnuovo di Farfa -Comunicare dalla quarantena non è sempre facile, e non solo perché siamo costretti a farlo virtualmente (ormai ci siamo quasi abituati) ma perché ,mai come in questo momento, i nostri ritmi divergono in modo così macroscopico. Anche in questo periodo che precede il Natale dobbiamo trovare il modo giusto di comunicare. Questi sono giorni degli abbracci vietati, dei baci dimenticati, dell’esilio domestico, delle relazioni fisiche interrotte, spezzate . In questo periodo riscopriamo la parola, il dono prezioso della parola . E’ un filo insostituibile che serve a ritessere la rete di rapporti umani e sociali che questo maledetto Coronavirus punta sistematicamente a distruggere. La parola , il linguaggio. Una facoltà che abbiamo ricevuto gratuitamente sin dalla nascita. Ed è per questo , forse, che finiamo molto spesso per sciuparla. A Castelnuovo sarebbe bello , proficuo, tornare a dare spazio ai ricordi, ai racconti che, a mio avviso, sono doni preziosi che non debbono essere dispersi perché hanno la capacità di farci riconoscere nell’anima e nell’orgoglio di essere castelnuovesi. I racconti castelnuovesi sono , se così si possono definire, fili intrecciati di un arazzo che è Castelnuovo stesso e questi fili , di tutti i colori, sono la narrazione e strumento di questa identità castelnuovese. Nel mio lavoro “Murales Castelnuovesi” ho tracciato e disegnato con le parole , in forma di poesia, storie e le vibrazioni che hanno segnano, inciso, le anime dei castelnuovesi che hanno navigato Dedalo-Castelnuovo.Ho scritto molto su Castelnuovo come ad esempio articoli , ma non ho comunicato con pubblicazioni organiche(organizzate) i miei lavori ad eccezione delle mie raccolte di Poesie . Castelnuovo è stato tiranno nei miei confronti e di altri castelnuovesi il perché è semplice l’era del “Club di Mefistofele” ancora, ahimè, non è terminata.Per Il Club Mefistofele sono stato , da sempre, una “molla antagonista” dato in pasto alla massa con l’etichetta “diverso” . Per anni ho subito il rancoroso bile degli avversari politici, degli affaristi del cemento castelnuovese. Ho subito l’espulsione dalla mia area politica, ma nessuno mai mi ha tacitato , mai ridotto ad elemosinare l’ingresso nei circoli del “potere castelnuovese”. Essere un castelnuovese e non avere accesso a nulla, come ad esempio all’Archivio storico è avvilente. Non permettono di abitare ed essere là dove non possiamo più essere. Dai racconti castelnuovesi emerge quella narrazione che non si riesce con i “politici” castelnuovesi a intavolare, non si riesce ad avere in dialogo perché essi sono, i “politici” castelnuovesi, la sommatoria dell’antidemocrazia, sono il carburante della negazione , sono sotto panza teleguidati da capibastone padroni di pacchetti di voti. Questi politici castelnuovesi sono il prodotto dell’opportunismo e dell’interesse piccolo , ma piccolissimo borghese. Il Club Mefistofele di Castelnuovo ha prodotto “espatriati ed esuli” . L’esperienza di esule nasce lasciando il proprio paese per approdare in nuovi spazi e in nuovi pensieri. Dal lager sito ai margini di Castelnuovo ho elaborato un «Il lessico dell’esilio». Il grande sforzo che a mio avviso si deve fare a Castelnuovo, sforzo che deve essere messo in campo da tutte le parti, è ritrovare quel filo che sia capace di “rammendare” le relazioni. Quel filo capace di “riparare” la comunità castelnuovese ferita ed emarginata, ricucire e riavvicinare le persone lontane . L’umile arte del “riparare con la parola ” credo, spero, che a Castelnuovo questa virtù non sia andata perduta. Quando scrivo un racconto,una poesia o un articolo di giornale cerco di raccogliere i frammenti , attimi di vita, di incontri che non sono mai andati perduti. Quando scrivo recupero questi frammenti , provo a metterli insieme li intreccio , come la trama di una stoffa, e mi appare una realtà che altrimenti andava perduta. Scrivere e descrivere Castelnuovo è come lavorare al montaggio di un film . Quando scrivo di Castelnuovo cerco di farlo con onestà , con coerenza ed è proprio questo il momento della narrazione in cui la verità entra in gioco.Chi scrive sa perfettamente che si ha di fronte sempre un interlocutore anche se in astratto. Le storie castelnuovesi , i Murales castelnuovesi hanno per me un effetto catartico, mi permette, questo tipo di scrittura, di tirare fuori quello che è in me , che abita dentro di me, e non mi sento giudicato.I racconti castelnuovesi hanno, evidentemente solo per me, un potere enorme perché riescono a creare e ricreare realtà che non esistono più. Personaggi veri che diventano eroi o vittime del Club Mefistofele castelnuovese. I racconti sono potenti perché non più individuali, ma è anche e possono diventare l’identità di una comunità e della sua cultura. La quarantena e i racconti castelnuovesi sembra un titolo coniato da P.P.Pasolini. Vediamo cosa ne viene fuori.( scritto 20 novembre 2020)
Castelnuovo :La pandemia Covid19.
Dio è forse invecchiato ?
Perché ci sta regalando un futuro
nel tunnel della pandemia.
Noi tutti berremo, per dissetarci ,
le lacrime raccolte lungo le strade, nelle case,
negli ospedali e nei cimiteri.
Ci aspettano, forse, lunghe notti
quando, noi tutti, perderemo pezzi di vita
e ci scopriremo logorati di tristezza e rassegnazione.
Sarà solo un ricordo
il verso della poesia, modellato e cantato
dalla voce semplice dei bambini castelnuovesi
mentre giocano all’ombra degli ulivi.
Castelnuovo, donaci ancora la tua poesia
e i tuoi versi soffici e sottili,
come il vento che gioca con le foglie
e si trasforma in fruscio accarezzando i petali dei fiori.
Castelnuovo, prega Dio con i tuoi versi
e con la tua voce, che si traduce sempre in suoni e vibrazioni
di canzoni cantate dagli occhi delle nostre madri.
Castelnuovo, troveremo i semi della nostra vita
logorati dal triste tempo che ci aspetta?
Questi versi, frammenti d’ispirazione,
navigheranno nella sofferenza
per attraversare l’oceano dei ricordi.
Castelnuovo, ma noi riusciremo ancora
a percepire la Natura come Leopardi?
Castelnuovo, cosa racconteremo ai nostri morti?
Come racconteremo questa storia ?
Noi porteremo, ancora una volta, una rosa liberatoria ai piedi
dell’altare, con la presunzione di avere l’attenzione di Dio?
Noi, che abbiamo distrutto il cielo e la Valle del Farfa,
possiamo ancora avere e ritrovare la poesia di Castelnuovo
nelle nostre preghiere e sperando nel perdono?
Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La Piazza ComunaleCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma Ovest-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma , la FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma EstCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma Ovest-Mura MedievaliCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma OvestCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma OvestCastelnuovo di Farfa (Rieti) Via Roma Est-Castelnuovo di Farfa (Rieti) Via RomaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Castello-La Fontana
L’origine del toponimo deriva probabilmente dall’aggettivo latino longus, in riferimento ad un insediamento di forma allungata sul crinale del colle; la vicinanza della antica via Cecilia e il ritrovamento nel territorio circostante di numerosi reperti d’età romana, inducono effettivamente a ipotizzare la presenza di un nucleo abitato, anche se le prime notizie storiche certe non posso rintracciarsi prima del medioevo.
Attestato nel corso della seconda metà del X secolo, Longone fu in origine proprietà dell’abbazia di Farfa, per poi passare sotto il controllo del monastero di S. Salvatore Maggiore, costruito nel 735 dai monaci benedettini, che estesero in breve tempo la propria signoria territoriale tra le vallate del Salto e del Turano.
Le mura (oggi inglobate in abitazioni) delimitavano una circonferenza ellittica di tre chilometri che racchiudeva una superficie a fuso (con buona probabilità a rimpiazzo dell’acropoli vera e propria) di circa tre ettari. Questa rocca, nel XIV e XV secolo, fu residenza degli abati-conti Mareri. Nel 1282 gli abitanti di Longone e degli altri castelli sottomessi a S. Salvatore Maggiore, con il sostegno dei reatini, assalirono e saccheggiarono il cenobio, passando, con quest’atto violento, sotto la giurisdizione del Comune di Rieti. I monaci ricorsero allora a Clemente V, che ordinò al Comune di Rieti di restituire all’abbazia i castelli usurpati, nominando il re di Sicilia Roberto D’Angiò defensor della stessa. Tornato sotto il controllo dell’abbazia, Longone ne seguì le vicende nel corso dei secoli diventando, a partire dall’XI, sede estiva degli abati commendatari.
BIBL.: R. Lorenzetti 1994b; E. Hubert 2000; E. Calabri, C. Cristallini 2001.
Abbazia di Farfa l’esercito badiale.Milizia di Campagna.
L’Abbazia di Farfa aveva un piccolo esercito comandato, ordine diretto, dall’Abbate. L’esercito doveva provvedere alla sicurezza del monastero , alle numerosissime dipendenze , alla giustizia e al buon governo dello Stato Abbaziale.
L’esercito fu impiegato,milizie rusticane , sotto il comando del grande Abbate Pietro, per sette lunghissimi anni al contrasto all’invasione dei Saraceni. Le truppe dell’Abbazia furono più volte messe ai diretti ordini di vari Imperatori come nell’assedio di Cere (Cerveteri) nell’anno 999, le truppe furono al servizio di Ottone III, mentre nel 1022 erano impegnate nell’assedio di Troia ed erano comandate dall’Imperatore Enrico II. Per esercito si chiarisce che non deve essere inteso nel senso moderno cioè di un gran numero di soldati , ma lo si deve intendere in senso antico, quando tutti i principali Signori avevano alle proprie dipendenze dei militi che molto spesso erano contadini e come si può leggere negli annali scritti dallo storico francese Prudence de Troyes quando descrive la vittoria del Duca Guido I di Spoleto contro i Saraceni nella famosa battaglia avvenuta nell’846 d.C. a Lorium, nella Valle dell’Arrone sulla via Aurelia alle porte di Roma:” ” Guy, magravede Spolète accurt l’appel du Pape avec le concurs des Romaines il reporte une grande victoire sur les mecreants, battus par les milicies de la campanie romaine”. Traduzione “ Guido, margrave di Spoleto, accorse all’appello del Papa Sergio II , e con il concorso dei Romani riporta una grande vittoria sui miscredenti, battuti con l’aiuto determinante delle Milizie della Campagna Romana-Milizie Rusticane”.
Nella cronaca, seconda giornata, della guerra tra Berengario e Guido da Spoleto si legge testualmente :” Dopo una tregua, nella quale Guido poté rifare più numeroso e potente il suo esercito. La seconda giornata fu combattuta sul fiume Trebbi: stavano per Guido cinquecento fanti francesi capitanati da Ascanio di lui fratello, seicento cavalli sotto gli ordini di un Guaisino e di un Uberto, una schiera di giovani toscani, mille fanti di Camerino, cento pedoni guidati da un Alberico: un Ranieri guidava un’altra banda , trecento corazze un Guglielmo, e altre trecento un Ubaldo: seguivano parecchie migliaia di uomini di campagna( MILIZIA DI CAMPAGNA) più usati ,avvezzi, all’aratro che alle armi.Anche Berengario aveva con se tremila Friulani capitanati da Gualfredo, a cui aveva ceduto o promesso il marchesato del Friuli, mille e cinquecento corazze guidate da Unroco, mille e duecento cavalli tedeschi, altri cinquecento cavalli sotto gli ordini di un Alberico e una forte schiera di fanti e milizie rusticane.
Franco Leggeri.
Fonti –L’abbazia di Farfa di I.Boccolini-Abbazia di Farfa Tip. Vaticana 1921 -Card. IldefonsoScuster- Prudence de Troyes -Lorium-Santa Maria di Galeria- Imperatore Carlo V Memorie principe Orsini-Condizione contadina del 1500 Autori vari-
FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.
Joan Didion:“Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”.
In principio fu il viso – il numero, invece, è il 325. Ammetto, a volte vale la regola rabdomantica. La usava anche Iosif Brodskij, per altro. L’opera di uno scrittore è incisa nel suo volto. E quel volto. Mio dio. Occhi tratti dal bosco e conficcati in una donna in vetro – sembra uno spago di ferro, tenuta in piedi con qualche laccio, pronta a esplodere. Joan Didion sembra una formula magica – o una maledizione, è uguale – sullo squarcio delle labbra. Mi pareva bellissima – anni Sessanta, la Corvette, il New Journalism, che abita con devota ferocia, l’incontro con John Gregory Dunne, giornalista di fama, sceneggiatore di film importanti come Panico a Needle Park (1971; con Al Pacino) e L’assoluzione (1981; con Robert De Niro e Robert Duvall). Continuai a guardare le fotografie – l’esordio nel 1963, sulla scia dei trent’anni, con Run, River, poi quel libro mirabile, Slouching Towards Bethlehem, diceva di fondere la concisione di Hemingway allo sguardo di Henry James, alla basilica narrativa di George Eliot. Ora l’hanno mutata in icona. Accade così, negli States – i sopravvissuti diventano idoli. L’anno scorso, al numero 325, la consacrazione. La Library of America comincia a pubblicare la sua opera, 980 pagine, da Run, River a The White Album sotto la sigla “The 1960s & 70s”. In Italia è sommamente pubblicata da il Saggiatore; tra poco assaggeremo il suo ennesimo libro, Political Fictions – come Finzioni politiche, in origine uscito nel 2001 – che raccoglie, dal 1988 al 2000, i testi di Joan sulle elezioni (in particolare: Bill Clinton impantanato nel caso Lewinsky, George Bush, e poi Bush figlio vs. Al Gore). Mi pare bellissima, qualcosa che viene a torturarti – bisogna sempre dubitare di ciò che appare fragile perché, è facile, ti ferirà con millenaria minuzia.
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Joan Didion
Lo dice lei, per altro, in Why I Write (1976): “Per molti versi scrivere è il gesto di dire Io, di imporsi agli altri, di dire, ascoltami, guarda ciò che vedo, cambia idea, seguimi. È un gesto aggressivo – perfino ostile. Puoi mascherare gli aggettivi, raffinare le congiunzioni, adottare ellissi, evasioni – e accennare più che pretendere, alludere più che affermare – ma mettere parole su carta resta la tattica del bullo segreto, un’invasione, l’imposizione della legge dello scrittore nello spazio più intimo del lettore”.
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Joan Didion
Ma la violenza può voltarsi in pratica sadica. “Scrivo sola. Certo, commetto un atto aggressivo nei miei confronti, sono ostile a me stessa” (1978, alla “Paris Review”). Elusione ed eleganza: il moto del cobra, prima del tocco. Ostilità verso di sé: scrivere come estrarre spine. “La voce. Quella ti viene addosso. Non avevo mai sentito prima una voce narrativa simile. Equilibrio tra distanza e impegno, occhio acuto dell’osservatore, ma anche la percezione di guardare tutto dall’esterno. E poi, la congiunzione tra il materiale personale, confessato, e la storia comune. E poi, l’idea che la narrazione sia aperta, che si stia ancora svolgendo, una volta terminata la lettura. Ha aperto delle possibilità finora inaudite”, dichiara David L. Ulin, che cura l’opera di Joan Didion per la Library of America.
*
Joan Didion
Estratta a se stessa, Joan Didion sembra incarnare la divinità della letteratura. L’efficacia della spada si misura da levigatezza e disciplina: addestramento che coincide con un destino. Non è mai facile scrivere, si scrive come si costruisce una sedia, di cui il lettore valuterà il censo. Qui si traduce una intervista a Joan Didion, a cura di Sheila Heti per “The Believer”, era il 2012. La scrittura è ciò che porti in superficie dopo un lungo inabissamento; le parole, in effetti, sono di legno. (d.b.)
***
Da bambina voleva fare l’attrice.
Vero.
D’altronde anche la scrittura è performance: interpreti un personaggio.
Non proprio. Costruisci uno spettacolo intero. Ma, è vero, la scrittura mi è sempre sembrata una sorta di performance.
Qual è la natura di questa performance?
A volte un attore interpreta un personaggio, a volte si esibisce e basta. Con la scrittura non reciti un personaggio. Lo crei. Lo doni al pubblico. Non interpreti nessuno, ostenti le tue idee. “Guardami, eccomi”: dici questo.
Ma questo “io” è stabile o instabile, che distanza c’è, intendo, tra il ruolo dello scrittore e…
…e la persona reale. Non lo so. La persona reale diventa il ruolo che hai scelto di darle.
Si esibisce per sé o per gli altri?
Per me. Ma anche, è ovvio, per chi sceglie di essere coinvolto. Voglio dire, il lettore è il pubblico.
Quanto del suo lavoro è stato creato in risposta o in collaborazione con il pubblico?
Molto. Ho creato uno spettacolo su L’anno del pensiero magico e sono rimasta sorpresa dal modo in cui il pubblico è diventato parte dello spettacolo. Penso che ciò accada anche quando si scrive.
Nel caso della scrittura è diverso, però.
Certo. Ma non riesco a immaginare di scrivere senza l’idea di un lettore. Non più di quanto un attore penserebbe di recitare in assenza di pubblico. Non esiste il vuoto, quando scrivi. Se non hai la percezione di un lettore, nuoti nel vuoto.
Quando ha iniziato a scrivere?
Da bambina. Avevo quattro o cinque anni, mia madre mi dà una grossa lavagna nera, perché mi lamentavo, mi annoiavo. “Scrivi qualcosa, poi me lo leggi”, mi disse. Avevo appena imparato a leggere. Fu un momento emozionante. Scrivere qualcosa per leggerlo!
Le piaceva leggere ciò che scriveva?
Negli anni, sì. Non sempre.
Non sempre…
Il mio primo romanzo. Non mi ha coinvolto perché, molto banalmente, non sono riuscita a fare ciò che avevo in mente. Volevo confinare la cronologia didascalica, volevo confondere i piani. Non avevo esperienza, ho seguito i suggerimenti del mio editor, e ho scritto un libro convenzionale. E questa non è una bella cosa.
Pubblicare non è facile: devi avere fiducia nel tuo pensiero, nel tuo sguardo sulla realtà.
Si impara lavorando, la fiducia. Devi essere certo di ciò che fai, anche se pare ridicolo. Il mio personale punto di fiducia credo di averlo conquistato con Prendila così. Il mio terzo libro. Mio marito mi diceva, ricordo, “Questo libro non ce la farà, non ce la farà, non ce la farà”. La pensavo come lui. Ma ce l’ho fatta. Da quel momento, ho avuto fiducia.
Perché pensavate di non farcela?
Perché era il mio terzo libro. Voglio dire: non credi immediatamente di farcela. Pensi di avere un talento stabile, che si farà ascoltare nel tempo. Se non comunichi subito con un pubblico non sai quando questo potrà accadere.
Qual è stato il primo segnale che la ha convinta di avercela fatta?
Non ricordo esattamente. Ricordo che all’improvviso si parlava del mio libro. La gente ne parlava. Era una cosa che non avevo mai sperimentato prima.
Il successo ha cambiato la sua relazione con quel libro?
Ero felice. Mi ha fatto sentire più in sintonia con quel libro. Ero molto triste mentre lo scrivevo perché era un libro difficile da scrivere per me, soltanto dopo ho realizzato quanto scriverlo mi abbia prostrato. Poi l’ho finito, e improvvisamente è come se un peso si fosse tolto dalla testa. Ero felice.
Forse è difficile trovare un libro ‘facile’ da scrivere.
Già. I libri ti portano sempre dove non vorresti andare.
Negli anni Settanta lei scrive un brillante articolo sui film di Woody Allen – tra cui “Io e Annie” e “Manhattan” – pubblicato dalla “New York Review of Books” dove la parola “relazioni” è sempre messa tra virgolette…
Non mi pareva abbastanza onesto il modo in cui Woody Allen ragionava di relazioni. Film dove gente parla delle proprie relazioni e questa è la sola cosa che capita. Per me non funzionava.
In “The White Album” lei scrive: “Sono entrata nella vita adulta dotata di un’etica essenzialmente romantica; credevo che la salvezza si trovasse negli oneri estremi, nelle vite segnate”. Riguardo a matrimonio e maternità…
Oneri estremi e vite segnate, appunto. Non parlo per esperienza vissuta, ma per ciò che ho visto. Matrimonio e maternità sono una specie di condanna – e una salvezza.
Salvezza da cosa?
Dalla solitudine, dalle estremità della solitudine.
Perché la relazione è intima o per il matrimonio in sé?
Il solo fatto di avere un’altra persona – di rispondere a un’altra persona. Per me è stato molto. Era una specie di romanzo, qualcosa che nel tempo si è rivelato grande.
Penso a “Blue Nights” e a “Verso Betlemme” e mi chiedo se si diventi davvero più frammentati, atomizzati quando si è lontani dalla propria famiglia, senza punti di riferimento.
È così. Poi, bisogna imparare a gestire le proprie rovine. Quei libri sono personali non tanto perché parlano della mia personalità o di ciò che mi è accaduto, ma perché narrano il mio smarrimento, l’incapacità di trovare un filo narrativo.
Scrivere qualcosa di frammentario anziché narrativo invoca un altro tipo di pensiero…
Un modo assolutamente diverso di pensare, sì. Di solito cerchi il tono narrativo, un orientamento. Per molti anni la ricerca della narrazione è stata il mio compito. Poi ho cambiato. Blue Nights nasce dall’idea che la narrativa non sia importante, che narrare non sia il punto fondamentale.
È questa una verità più profonda del narrare?
Così mi si è rivelata. Scrivere, per me, è sempre un modo per giungere a una comprensione che altrimenti resterebbe irraggiungibile. La scrittura ti costringe a pensare. Ti costringe a risolvere dei problemi. Niente viene a noi con facilità. Quindi, se vuoi capire cosa stai pensando devi in qualche modo elaborarlo. E per me scrivere è la sola forma di elaborazione che conosco.
Quando scrive, di solito?
Quando trovo il ritmo del libro.
Ci sono momenti in cui scrive e vorrebbe evitarlo?
Accade. Devono esserci dei momenti in cui scrivi anche se non vorresti.
Che natura ha questa evasione, questo evitare la scrittura?
Non pensare. Non penare pensando.
Se non fosse diventata una scrittrice…
Volevo diventare un oceanografo. Quando vivevo a New York e lavoravo per una rivista, la mia intenzione era diventare oceanografo. Non potevo. Mi sono informata presso la Scripps Institution of Oceanography. Mi hanno detto che mi mancavano dei corsi di scienze. Non avevo seguito quei corsi che mi avrebbero permesso di seguirne altri e di seguirne altri ancora. Quindi, ho abbandonato l’idea di diventare un oceanografo.
Le sarebbe piaciuto…
Scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua.
Fonte-Pangea • Rivista avventuriera di cultura & idee è un progetto di Associazione Culturale Pangea- Direttore editoriale: Davide Brullo.
Ripropongo un articolo di Alba Sasso che , a mio avviso, è attualissimo.
Lentamente, la Resistenza va scomparendo. Un’azione di demolizione metodica, inesorabile, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli mai immaginati prima, sta recidendo le radici che legano la nostra storia all’oggi e al domani, un progetto portato avanti nel tempo, che oggi mette sotto gli occhi di tutti i suoi risultati .La proposta della Gelmini tendente ad eliminare anche il nome della Resistenza- resta solo un più generico “percorso verso l’Italia repubblicana”- dai libri di testo è più che una provocazione, o una boutade. È il perfezionamento di un progetto di egemonia culturale portato avanti da un berlusconismo che, ben lungi dall’essere quella macchietta che troppo spesso abbiamo dipinto, si è rivelato una vera costruzione ideologica, portatrice di valori diversi ed alternativi rispetto a quelli in cui è cresciuta la Repubblica nel dopoguerra. La pochezza di personaggi come l’attuale ministro non deve trarci in inganno. La cancellazione della Resistenza è stata portata avanti nei fatti, prima ancora che nei libri di testo. L’assenza sistematica del premier da tutte le cerimonie non solo del 25 aprile, ma da qualunque cosa sapesse di Resistenza, è stata una goccia che ha scavato un solco, che rischia di diventare una voragine, distruggendo la memoria storica di un paese, la sua identità. Troppo spesso il berlusconismo è stato scambiato per folklore. Ne abbiamo sottovalutato le conseguenze.Oggi la Gelmini può permettersi gesti di questo tipo senza che vi sia ancora una reazione forte e generalizzata di protesta. Non si tratta di difendere le cerimonie rituali e spesso stanche, che pure sono un mezzo per la conservazione della memoria. Si tratta di lanciare una grande campagna culturale nel paese, riprendendo il tema della Resistenza come identità di una nazione. Oggi paghiamo le concessioni ideologiche, prima ancora che culturali, ad un indistinto buonismo che accomunava i morti di tutte le parti, i “ragazzi di Salò” ai partigiani. Un equivoco storico alimentato anche a sinistra, pensiamo ai recenti film di smaccato revisionismo, senza giustificazioni che non fossero un basso politicismo, che in nome di tattiche di corto respiro sacrificava principi ed ideali. Rilanciare i valori della Resistenza vuol dire oggi riprendere una lunga marcia nel cuore delle giovani generazioni, in primo luogo per far conoscere loro quelle radici.È questo il primo dato drammatico: i ragazzi, oggi, nella loro grande maggioranza, rischiano di vivere sempre più in un presente vuoto di storia e di futuro.E la diffusione dei disvalori berlusconiani ha seminato il diserbante delle ideologie, sollecitato il rifugio negli egoismi rassicuranti delle identità minime, il locale e le appartenenze di gruppo.La battaglia cui dobbiamo impegnarci non è solo quella dei libri di testo, da cui la Resistenza non può e non deve essere espulsa, come in una sorta di “damnatio memoriae”. È una battaglia culturale che non si può esaurire nel breve periodo. C’è bisogno di far vivere i valori di quella stagione, in un paese che non cessa di mandare segnali in questo senso.La voglia di pulizia e di cambiamento, la sete di moralità e di giustizia, sempre liquidate con la sprezzante definizione di giustizialismo, sono la testimonianza che quei valori esistono ancora, quelle radici non sono state recise. Dovremo innaffiarle e curarle con l’amore per la storia, per la cultura, per il bello. Con il rilancio della Resistenza come epopea di un popolo alla ricerca di libertà e giustizia, riproponendo perfino i modelli di vita di quella generazione, i padri della patria con la loro sobrietà del vivere la politica, con lo spirito di servizio che caratterizzava il loro impegno, con l’inflessibilità sui grandi principi. La grandezza della Resistenza non può essere messa in discussione dalla pochezza di questi figuri. Ma a noi tocca l’impegno di impedire che ci provino comunque.
Articolo di Alba Sasso
PartigianoPartigiano25 aprile 1945 MILANOl’UnitàIL NUOVO CORRIEREIl Partigiano 1945Ribelle Cichero-N1 del1945l’Unità
-Arch. Carlo Cusin: “Ponte del diavolo-che non c’è-“.
Arch. Carlo Cusin:”Oggi cacciagrossa al “Ponte del diavolo-chenonc’è-” in Sabina ! Così ho incontrato il mio vecchio amico, il Console Manivs Cvrivs Dentatvs a “Septem Balnea”Settebagni per cercare di trovare,sul tracciato arcaico della Salaria vicino a Mefila (oggi Scandriglia),quell’originale struttura di 2300 anni fa,che doveva costituire un imponente sbarramento/briglia idraulica del Fosso delle Vurie e,nello stesso tempo, una solida sostruzione del piano stradale antico… Una grande costruzione con 14 assise/filari di blocchi di calcare locale,montati a secco,non isodomi,in parte montati per diatoni-ortostati,lunga 20 mt,alta circa 13 mt e spessore,in sommità,di circa 5 mt !”.
Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo”
Questo e’ il semplice schema costruttivo dello sbarramento – briglia idraulica, tutto realizzato su filari abbastanza regolari ma con blocchi non isodomi, parzialmente montati con DIATONI ed ORTOSTATI,cioè di “testa” e “taglio”… al centro si nota il condotto di passaggio/scarico dell’acqua del torrente, così imbrigliato ed i pilastri sporgenti ad intervalli quasi regolari, con funzione di contrafforti, che infatti da 2300 anni è ancora tutto al suo posto…. non come certe costruzioni moderne che sappiamo !
Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo” Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo”Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo”Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo”Scandriglia (Rieti) “Ponte del diavolo”
DOMANDA :”MA L’ACQUEDOTTO DI CERDOMARE E’ ANCORA UNA PROPRIETA’ DEI CITTADINI CASTELNUOVESI?”
Ripubblichiamo la Domanda rivolta dal nostro compaesano AUGUSTO MEI al sindaco Zonetti – L’articolo fu “postato” il 12 settembre 2016.
10) Che fine ha fatto l’acquedotto “storico” di “CERDOMARE” di proprietà dei Cittadini di Castelnuovo sin dal 1915 e realizzato da Amministratori veri castelnuovesi, Sindaco Scoccia, nel 1923? Quest’acquedotto è ancora “proprietà esclusiva” dei Cittadini di Castelnuovo oppure è stato “dismesso”?
Alleghiamo al post –Foto delle sorgenti e Gazzetta del Regno d’Italia dell’Agosto del 1915 dove è riportato il bando di Appalto dei lavori per la realizzazione dell’Acquedotto – l’Appalto è firmato dal Sindaco facente funzione. G.FABRI e dal Segretario comunale G.SALZERI.
Il progetto dell’Acquedotto fu eseguito dall’Ing.Vincenzo Jacobini nel 1908 e ,con le varianti ,terminato il 30 giugno 1910.
L’acquedotto fu iniziato, terminato e inaugurato dal Sindaco Giuseppe Scoccia nel il 21 ottobre 1923 coadiuvato dagli Assessori: GIACOMO SIMONETTI-UGO MALFRANCI-GIOVANNI CARGONI-RAIMONDO UMANI. I lavori furono eseguiti dalla Ditta FANTE&MANNI.
L’Acquedotto ha il suo terminale e monumento nella mitica FONTANA, dove si possono leggere i nomi , riportati in epigrafe, dei Castelnuovesi che iniziarono e portarono a termine l’Opera.
Nota e foto di Franco Leggeri, castelnuovese.
Castelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARE
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