Castel di Guido- 19 giugno 2016-Un bilancio provvisorio. Continua il lavoro di ricerca “archeologia di biblioteca”. Ho iniziato questa ricerca, come ho sempre detto, per curiosità e per attività di “conoscenza”, ma quando ci si trova “sul campo”, con i faldoni e cartelle a portata di mano, la realtà ti prende e ti porta alla “storia successiva”. Quando sei tra gli scaffali di una biblioteca o in un archivio ,non sai mai cosa riserva il faldone polveroso che stai per aprire. Come descrivere la sensazione che si prova quando vai con un’antica carta topografica nella zona, descritta in documento, a verificare “le pietre” o “trovare tracce” di fatti avvenuti secoli addietro.
Delusioni? Tantissime, ma anche piacevoli “scoperte” con “riscontri” di ciò che il manoscritto(fotocopia) che stai leggendo narra. La documentazione archivistica che sto esaminando, con ricerche in varie biblioteche e archivi di Roma e non solo, è molto vasta e si presenta, in molteplici forme, come singoli o gruppi di documenti o da archivi ,più o meno, poderosi con documenti connessi da reciproche relazioni. Sono rimasto colpito nello scoprire la grande varietà degli “ATTI” ,prodotti nei secoli passati, relativi alla Campagna Romana . Ho rivisitato e mi sono soffermato sul significato della definizione di “ARCHIVIO” che molti storici così ne hanno illustrato il significato:” L’archivio rappresenta lo specchio della società che riflette, in realtà, da un archivio concepito e inteso esclusivamente come tesoro del principe si arriva pian piano all’archivio recepito come prodotto dell’attività di un Ente o persona che raccoglie e conserva nel suo archivio i documenti per le proprie finalità pratiche e per la certificazione di diritti o, con il passare del tempo, per la ricerca storica.”
Concludo augurandomi che in futuro prossimo , a breve, un sempre maggior numero di persone possa avvicinarsi e contribuire allo sviluppo della storia locale di Castel di Guido, poiché la storia non è stata scritta solo dai “vincitori”, ma spesso da persone umili che nel corso dei secoli hanno cercato di costruire un futuro migliore.
Le foto sono state scattate a Roma in via dell’Arrone (Bivio di Fregene)
Piccola nota relativa all’Asino dell’Amiata.
L’Amiata è una razza di asino molto antica originaria del grossetano, in Toscana. Asini amiatini sono stati raffigurati anche da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova. nel ciclo di affreschi dedicato alle “Storie di Gesù e di Maria”. C’è persino una leggenda che spiegherebbe il perché del suo manto grigio con la croce nera che scende dal garrese fino alle spalle… Sarebbe il dono del Signore per averlo riscaldato da neonato nella grotta, accompagnato a Gerusalemme la Domenica delle Palme e seguito fino in cima al calvario, proprio sotto la croce. Le razze autoctone hanno un valore culturale e storico immenso, riflettono la millenaria simbiosi dell’uomo con gli animali, da ben prima che iniziassimo a distruggere la natura… Pensate che l’asino è stato addomesticato ancor prima del cavallo, tra il VI e il V millennio a.C. Nell’antico Egitto era stato addomesticato ed utilizzato per tirare l’aratro, far girare frantoi e mulini, sollevare l’acqua o trasportare merci e persone. Ma non solo… Una leggenda narra che la regina Cleopatra facesse ogni giorno il bagno nel latte di asina per esaltare il suo fascino e fosse proprio questo il segreto della sua pelle divina che tanto aveva impressionato gli antichi narratori. L’asino è stato da spesso definito come un animale testardo, stupido e poco socievole, io non conosco tutti gli asini del mondo per carità: ma quello amiatino è simpatico, tranquillo, amorevole, curioso e ha una grande capacità di apprendimento. I suoi compiti, per fortuna, nei secoli sono molto cambiati: oggi non c’è più bisogno che faccia lavori di fatica, ma finalmente può accompagnare l’uomo senza eccessivi sfruttamenti… Giocando con i bambini e facendo compagnia ai più grandi.
Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell’ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell’orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all’amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s’involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L’immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire,
ma da lontano annunciati
e da amica mi prendi
come l’estrema delle mie abitudini.
BIOGRAFIA DI VINCENZO CARDARELLI
1887 – Vincenzo Cardarelli (il suo vero nome ra Nazareno) nasce a Corneto Tarquinia (Viterbo) il primo maggio. Da giovane pratica diversi mestieri e studia in modo irregolare.
1905 – È l’anno della morte del padre. Abbandona il paese natale, al quale fu per sempre legato da un rapporto di odio e amore, a causa dell’infanzia infelice e solitaria che vi aveva trascorso, lui afflitto da una menomazione al braccio sinistro spesso veniva affidato alla carità e alla cura di estranei.
1906 – Giunge a Roma, privo di una regolare istruzione, in cerca di fortuna; si accosta agli ambienti socialisti iniziando una attività giornalistica che lo porterà alla redazione dell’Avanti!. Inizia la relazione amorosa con la scrittrice Sibilla Aleramo, che si esaurirà nel 1912. Intanto prosegue nelle sue intense seppure disordinate letture e, abbandonate le velleità socialiste, entra in contatto con gli ambienti culturali che gravitano attorno alle principali riviste: nel 1911 invia alla Voce prezzoliniana uno studio su Charles Pégluy e inizia una assidua collaborazione al “Marzocco”.
Pubblica anche lo scritto Metodo Estetico e le prime poesie sparse. Particolarmente significativa è, in questa fase, il sodalizio con Riccardo Bacchelli, mentre fallisce il progetto a lungo vagheggiato di dare vita a una nuova rivista. Nella capitale collabora, prima del conflitto mondiale, a numerose riviste: Il Marzocco, La Voce, Lirica ed è tra i fondatori de La Ronda.
La Civita, Corneto, Roma, le memorie della sua infanzia solitaria e della sua focosa gioventù, sono i temi essenziali di un’opera che pur senza essere abbondante costituisce un alto e raro esempio di coerenza e di coscienza artistica.
Ma sarebbe difficile, e probabilmente arbitrario voler isolare nella sua produzione questo o quel titolo di una singola opera, perché Cardarelli è soprattutto il creatore di uno stile. A tale esigenza massima egli subordina, quando era in vita, ogni altra ambizione e ogni ricerca di un successo facile ed effimero.
1916 – Esce Prologhi, una raccolta di brevissime prose. Nel medesimo anno collabora alla Voce di Giuseppe De Robertis, maturando via via quelle convinzioni di un ritorno all’ordine e alla tradizione da cui nascerà nel 1919 l’esperienza decisiva della Ronda. Della rivista Cardarelli fu fra i più strenui ispiratori, dirigendola fino al 1923, quando cessò definitivamente le pubblicazioni.
1929 – Vince il Premio letterario Bagutta per il libro Il sole a picco
Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese, buttata giù in una notte come dall’urto di un ciclone, quando io avevo due anni appena.
Sono venuto a conoscere mio padre un giorno che, nientedimeno, aveva sposato, e io soffiavo nel fornello a tutto andare, con una ventola nuova nuova. Ci fu un tempo ch’io vissi sotto la protezione d’un angelo custode e non ne ho altro ricordo se non che ero un ragazzo come tutti gli altri, curato, ben vestito e corretto con severità ed amore. Il destino, dopo avermi tolto la madre mi aveva regalato in compenso una matrigna, tutta d’oro, dal cuore alle mani. Me la aveva portata da lontano, parlava un dialetto settentrionale.
Tutta questa felicità durò poco, tre anni appena. Un dopo pranzo, che tornavo dalla scuola, passando davanti alla camera dove la mia cara madre giaceva malata e mentre son lì per entrare (ma già mi aveva sorpreso il lenzuolo che le avevano tirato fin sopra il capo) due braccia mi sollevarono e mi deposero nella camera accanto, dove una sorella della morta stava, in quel momento, levandosi di letto, dopo aver trascorso la notte vicino a lei. Erano quelle di mio padre.
Da allora la mia esistenza si complicò. I confini della mia famiglia si confusero e si dispersero. Non potendo badare a me, mio padre si vide costretto a collocarmi ora qui ora là, a dozzina. Conobbi altre case, dove fui accolto e trattato quasi in qualità di parente, attesa la mia facilità a familiarizzare. Il mondo mi allevò. […]
Per farla corta, mio padre pretendeva che io diventassi nient’altro che un buon commerciante, alla sua maniera. Ecco la ragione vera per cui non volle che studiassi e fece, senz’accorgersene, la mia rovina. […]
A sedici anni, cioè un anno avanti che mio padre morisse, ero già lontano da lui e dal mio paese. […]
Per vivere, nei primi anni, dovetti fare i mestieri più vari: addetto a vigilare l’andamento delle sveglie in un deposito d’orologi; ammanuense nello studio d’un bisbetico avvocato piemontese e socialista; impiegato nella segreteria della Federazione metallurgica; contabile; infine giornalista.
1948 – “Villa Tarantola” vince il Premio Strega per la prosa.
1959 – Muore il 18 giugno nell’Ospedale del Policlinico di Roma. Egli riposa ora nel cimitero di Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca secondo la volontà espressa nel testamento. La Civita etrusca, che il poeta ha così di frequente evocato nelle sue poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi più il valore di un simbolo morale che non di un tema autobiografico: era stato il faro che lo aveva guidato durante la sua avventurosa navigazione tra gli scogli dell’esistenza. Visse nella povertà e nella solitudine, e morì a settantadue anni ancora più povero e più solo.
LE OPERE
Narrativa e Poesia:
• Prologhi, Milano, 1916;
• Viaggi nel tempo, Firenze, 1920;
• Terra genitrice, Roma,1935;
• Favole e memorie, Milano, 1925;
• II sole a picco, Bologna, 1928; Premio Bagutta 1929
• Prologhi viaggi, favole, Lanciano, 1929;
• Giorni in piena, Roma, 1934;
• Poesie, Roma, 1936 ristampa accresciuta, Roma, 1942;
• Rimorsi, Roma, 1944;
• Lettere non spedite, Roma, 1946;
• Poesie nuove, Venezia, 1946;
• Solitario in Arcadia, Milano, 1947;
• Villa Tarantola, Milano, 1948;Premio Strega
• Poesie, Milano, 1949;
• Invettiva ed altre poesie disperse, Milano, 1964;
• Autunno, sei vecchio, rassegnati, a cura di C. Martìgnoni, Lecce, 1988;
• Opere complete, a cura di G. Raimondi, Milano, 1962;
• Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, 1981.
I prologhi
In quasi tutte le prose e le poesie contenute nella raccolta, le parole usate da Cardarelli sono lineari. Il mondo rappresentato è un mondo intellettuale, senza mistero. I temi che affiorano più spesso, oltre a quelli dell’addio, del distacco, della solitudine, dello sgombero, sono la morte (“Angosce letargiche le quali sono state i miei anticipi di morte”), l’anima (“Sento che il tempo cade e fa rumore nell’anima mia”), la purità (“Io sono grato al male per gli obblighi di purità che mi ha posti”), la carne (“Perché io ho ecceduto nella carne fino all’ironia”).
I viaggi nel tempo
Fin dalle prime prose e liriche, si avvertono i fremiti precorritori di un mutamento radicale e di un trapasso di paesaggio oltre che di clima. La composizione delle liriche coincide con il ritorno dello scrittore a Roma, dopo i suoi vagabondaggi in Italia e all’estero. L’ansia, l’inquietudine che avevano dominato la gioventù di Cardarelli e nelle quali si doveva ravvisare l’origine delle sue molteplici e disordinate esperienze umane e culturali, si placano via via a contatto con Roma, la città dei suoi sogni, la circe mondiale, la reggia favolosa che i papi costruirono a consolazione dei derelitti.
Settembre a Venezia, Autunno Veneziano
Autunno, Ottobre
Liguria, Sera di Liguria
Questi tre gruppi di liriche hanno molti punti in comune. Si compongono ognuno di una lirica breve, simile ad un “mottetto” musicale, alla quale si contrappone una poesia più elaborata, maggiormente orchestrata, una “sonata” o un canto a più voci. Ma l’elemento di partenza è lo stesso: una stagione, una città, un ricordo, un’emozione. Nelle prime due liriche di argomento veneziano il poeta traduce in note musicali le sensazioni suscitate nel suo animo dal trapasso dall’estate all’autunno.
LO STILE
Nel 1919, ormai affermatosi negli ambienti letterari della capitale, Cardarelli fondò la rivista La Battaglia, dalle cui pagine cominciò a combattere quella che sarebbe stata la lunga battaglia letteraria della sua vita: la restaurazione del classicismo, inteso come severa disciplina.
La restaurazione cardelliana muove dalla riscoperta e dalla rivalutazione dell’opera di Leopardi. Cardarelli, da mente acuta di critico quale era, si era accorto che l’operazione di fondo da realizzare per riportare la poesia nel suo alveo e nei suoi giusti limiti era quella di ricreare lo stile, senza il quale, i contenuti non possono che produrre oratoria. Il suo limite consiste forse nell’aver identificato lo stile con quello di una tradizione ben determinata, il suo merito sta invece nell’aver restituito alla lingua, vergini e brillanti come nuovi, parole e modi di dire consumati dal cattivo uso, sbiaditi dalla genericità dei contesti e praticamente privi della loro significazione.
Ad un ideale di classica compostezza, di perfezione stilistica e di limpidezza formale restò fedele in tutto l’arco della sua produzione: versi prima dispersi in alcuni volumi di prose e poi raccolti in Poesie nelle tre edizioni del 1936, 1942 e 1958. E’ una poesia ragionata, nella quale il discorso si sviluppa e si stende con limpidezza e fluidità, tutto avvolto da un tono meditativo, che comunica al lettore quasi sensibilmente un desolato senso di vivere.
I TEMI DELLA POESIA
Cardarelli fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, i quali lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi animali persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
I temi ricorrenti nelle sue liriche sono il trascorrere delle stagioni, avvertito come simbolo dell’eterna mutevolezza delle cose, lo sfiorire dell’adolescenza e della bellezza, i vagheggiamenti dell’infanzia e dei paesaggi ad essa collegati. Sia nell’esplosione della vitalità estiva o sia nel malinconico disfarsi del paesaggio autunnale, il trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni diventa simbolo delle vicissitudini della vita. Come scrive nella prima strofa di Ottobre:
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
Dal colore che inebria,
Amo la stanca stagione
Che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
Nulla più mi consola,
Di quest’aria che odora
Di mosto e di vino,
Di questo vecchio sole settembrino
Che splende nelle vigne saccheggiate.
Non era visibile da oltre 40 anni, nascosto da uno strato di terra che ne impediva la fruizione. Ora, dopo un restauro iniziato alla fine del 2015 e durato tra i sei e i sette mesi, torna al suo antico splendore il mosaico policromo della palestra occidentale delle Terme di Caracalla. Un intervento, realizzato dalla soprintendenza speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, reso possibile da una donazione di Bulgari che ha finanziato il recupero dell’opera investendovi 50mila euro. Un primo passo che, però, non resterà il solo.
L’amministratore delegato di Bulgari, Jean-Christophe Babin, infatti, ha annunciato che sarà finanziato il restauro anche dell’altra parte del mosaico. “L’arte e il bello a Roma – ha spiegato Babin nel corso della presentazione alla stampa del restauro – sono sempre stati al centro dell’attenzione di Bulgari”. L’intervento sulla prima porzione del mosaico, “non è il solo contributo di Bulgari. Oggi vediamo una prima parte del restauro, ma finanzieremo anche la seconda parte del restauro di questi mosaici”.
Per Bulgari, ha sottolineato Babin, si tratta di “una missione”, ovvero “rendere alla Città Eterna un po’ di ciò che la Città Eterna ha dato ai nostri creativi e ai nostri artigiani”. Un’arte, quella di Bulgari, “molto ispirata ai 2.700 anni di arte e cultura romana”. In particolare, ha spiegato l’Amministratore Delegato di Bulgari, “questi mosaici hanno dato l’idea per la collezione di gioielli ‘Divas’ Dream’, un successo mondiale”. Una linea che “non è altro che specchio di questi mosaici colorati a sagoma di ventaglio”.
Il restauro del mosaico di circa 25 metri quadri, che nella sua interezza supera gli 80 metri quadri, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare, si è preceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti. Ciò ha permesso il recupero di numerose tessere interrate. La pulitura definitiva è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.
“Il mosaico – ha spiegato Borzomati – era interrato, sono state realizzate diverse fasi di pulitura per rimuovere la terra. La presenza di vecchie stuccature di cemento, presenti nell’intervento precedente degli anni ’40, aveva creato dei difetti di degrado, soprattutto nella parte superiore, dove ci si è concentrati con una pulitura più specifica. Le mancanze sono state integrate con le tessere originarie, recuperate con la setacciatura della terra”.
I lavori di recupero, ha spiegato Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo e l’Area archeologica Centrale di Roma, permettono di tornare su un tema, cioè “la collaborazione con Bulgari, che già era intervenuta in passato alle Terme di Caracalla, ma che in questa occasione vediamo in una luce nuova, quella dell’applicazione dell’Art Bonus. Un meccanismo che incentiva in maniera finalmente efficace il rapporto tra le aziende, i privati, e la pubblica amministrazione”.
“Fino a qualche anno fa – ha detto Prosperetti – il restauro delle opere d’arte era una prerogativa assoluta del pubblico. Investire nella bellezza non è solo un dovere della nostra amministrazione, ma si sta rivelando un elemento importante per le aziende private che, come Bulgari, sulla bellezza lavorano da più di un secolo”.
La direttrice delle Terme di Caracalla, Marina Piranomonte ha infine ricordato che “i marmi che venivano usati per i mosaici arrivavano dai quattro angoli dell’Impero. Dobbiamo guardare questi mosaici come un capolavoro frutto dell’opera dell’uomo e di una grande capacità costruttiva”.
Fonte adnkronos
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