Poesie di Edith Södergran, Poetessa finlandese di lingua svedese-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Edith Södergran, Poetessa finlandese di lingua svedese-
Poetessa finlandese di lingua svedese Edith Södergran è una figura centrale della letteratura scandinàva ed una delle voci più autorevoli dell’Espressionismo e del Modernismo nord europeo. I suoi biografi, inoltre, la considerano unanimemente un’antesignana del femminismo.
Spiega in proposito la critica Rossella Perugi: “Edith Södergran appartiene a quella comunità ideale di artiste e studiose ben più famose di lei, come Lou Andreas Salomé e Anna Achmatova, che con l’esempio concreto delle loro vite indipendenti e con le loro opere originali hanno contribuito all’emancipazione femminile.”
Si spense a soli 31 anni a causa della tubercolosi e la sua opera fu fatalmente condizionata dalla coraggiosa consapevolezza della malattia e della fine imminente.
“La mia esistenza -affermava nella lirica ‘Il paese inesistente’, composta poco prima di morire- è stata un delirio bruciante.”
CERCAVI UN FIORE
(Edith Irene Södergran)
Cercavi un fiore
e hai trovato un frutto.
Cercavi una sorgente
e hai trovato un mare.
Cercavi una donna
e hai trovato un’anima −
tu sei deluso.
LE STELLE
Quando viene la notte,
io sto sulla scala e ascolto,
le stelle sciamano in giardino
ed io sto nel buio.
Senti, una stella è caduta risuonando!
Non andare a piedi nudi sull’erba;
il mio giardino è pieno di schegge.
LA TUA NOSTALGIA
La tua nostalgia è un mare che puoi navigare,
la tua nostalgia è un terreno su cui puoi camminare,
perchè te ne stai allora inerte e scorata
fissando il vuoto?
Verrà un mattino con un orizzonte più rosso
di tutti gli altri,
verrà un vento a porgerti la mano:
mettiti in cammino!
Edith Södergran -Poetessa finlandese di lingua svedese (Pietroburgo 1892 – Raivola, Carelia, 1923). Dopo aver frequentato a Pietroburgo la scuola tedesca, trascorse lunghi anni in sanatorio, soprattutto in Svizzera, dove venne in contatto con le avanguardie letterarie europee. Tornata in patria, diede inizio a un’attività poetica, eroicamente proseguita in anni bui di guerra, di difficoltà materiali e di isolamento. Alla prima raccolta Dikter (“Poesie”, 1916), seguirono Septemberlyren (“Lira settembrina”, 1918), Rosenaltaret (“L’altare di rose”, 1919) e Framtidens skugga (“L’ombra del futuro”, 1920), in cui è evidente l’influsso nietzschiano. Il linguaggio, sostenuto sempre da una forte tensione spirituale (dopo l’iniziale atteggiamento estatico di fronte alla natura e alla vita la S. si accostò all’antroposofia per approdare infine alla semplicità evangelica), raggiunge una consapevole, rigorosa misura, che l’estrema musicalità del verso esalta soprattutto in Landet som ikke är (“Il paese che non c’è”, post., 1925).
Facciamo conoscenza con la poeta Edith Södergran
24 giugno 2023 Rossella Perugi Donne di penna…, Letterature, Numero 224
Sommerse in qualche luogo indefinito stanno alcune autrici del passato: tra loro c’è Edith Irene Södergran, nata a San Pietroburgo il 4 aprile 1892, un poeta finlandese di lingua svedese, poco apprezzata durante la sua breve vita, ma che ancora oggi continua a influenzare poesie e testi musicali. Nella sua prima raccolta del 1916, Dikter (Poesie), è lei stessa a presentarsi con un componimento intitolato semplicemente Jag (Io):
«Sono straniera in questa terra,
che giace nel profondo del mare opprimente,
il sole vi insinua raggi serpeggianti
e l’aria sfugge fra le mie mani.
Mi è stato detto che sono nata prigioniera-
Qui, non c’è un viso che mi sia conosciuto».
Una giovane donna, dunque, che non sente di appartenere alla terra in cui si trova, si percepisce intrappolata sotto un “mare opprimente”. È “straniera”, “nata prigioniera”, vede i raggi del sole arrivare da lontano, come attraverso le sbarre di una prigione e l’aria le fluisce tra le mani, senza consentirle alcun radicamento. L’autrice continua e si interroga sulla propria natura, che l’ha spinta fin sul fondo:
«Ero una pietra, gettata sul fondo?
Ero un frutto, troppo pesante per il ramo?».
Solo l’immaginazione, attraverso i versi della sua poesia, può ricondurla in superficie, alla ricerca di quel mondo che non ha mai conosciuto:
«Qui mi trovo in attesa, ai piedi dell’albero frusciante
che stormisce,
come farò a risalire i rami scivolosi?
Lassù le fronde ondeggianti si incontrano,
lì voglio sedermi e guardare in alto
oltre il fumo dei camini della mia patria».
Edith Södergran, la creatura sommersa, era nata in quel crogiolo multiculturale che era San Pietroburgo alla fine del XIX secolo; figlia di una coppia particolare di finlandesi di lingua svedese, sua madre Helena aveva avuto una relazione con un soldato russo, suo padre Mats era vedovo; entrambi avevano sperimentato il lutto della morte dei figli nati dalle precedenti unioni. Edith rimane l’unica figlia e trascorre la prima infanzia a Raivola (Roščino), in quell’istmo careliano che congiunge il mar Baltico al lago Ladoga e ancora oggi rappresenta una regione sacra per l’identità finlandese.
Qui il nonno materno ha acquistato per la coppia una segheria, ma sarà la madre a salvare più volte il bilancio familiare dopo le sfortunate imprese economiche del marito. Questa figura femminile, intraprendente e autonoma, ispirerà la fiducia della figlia nelle capacità pratiche delle donne e nei rapporti di sorellanza che speGli anni della formazione sono particolarmente importanti: a San Pietroburgo Edith vive quasi sempre da sola con la madre, che la incoraggerà per tutta la vita nelle sue aspirazioni; inoltre è direttamente esposta ai drammatici eventi del tempo, che influenzeranno la sua sensibilità. Dal 1902 al 1909 studia nella prestigiosa Petrischule, un’antica scuola germanica situata proprio di fronte al Palazzo d’Inverno, dove nel 1905 le truppe russe aprono il fuoco sulla popolazione affamata. La Petrischule è un ambiente multiculturale: con compagne e compagni russi, finlandesi, scandinavi, tedeschi impara quattro lingue (russo, tedesco, finlandese, francese), mentre lo svedese rimane la sua lingua madre, appresa e parlata solo in casa. Nell’ambiente colto della scuola, sotto la guida di un insegnante sensibile, Henri Couttier (cui dedicherà i suoi primi componimenti), incontra le opere dei tedeschi Goethe e Heine, ma anche dei romanzieri russi e dei simbolisti francesi. Già nel 1908 entra in contatto con la cultura finlandese di lingua svedese attraverso un lontano parente residente a Helsinki (al tempo Helsingfors) e decide di dedicarsi prevalentemente alla poesia, abbandonando il tedesco e utilizzando lo svedese. La figura del padre, sempre in secondo piano nella sua vita, scompare del tutto quando l’uomo muore di tubercolosi; a 16 anni Edith risulta affetta dalla stessa malattia e comincia il suo iter nei sanatori: prima a Nummela, dove era morto il padre; quindi in Svizzera, nel 1912-13 e nel 1913-14. zzeranno la sua solitudine. A Davos la ragazza, che proviene da un remoto angolo d’Europa, si trova immersa nella cultura occidentale: nella ricca biblioteca si accosta agli autori inglesi e americani, dal classico Shakespeare ai moderni Whitmane Swinburne; incontra la filosofia di Schopenhauer, avvicinandosi anche alla teosofia di Steiner, che al tempo godeva di grande popolarità, ma soprattutto approfondisce Nietzsche: Così parlò Zarathustra è una delle opere che maggiormente influenzeranno la sua produzione.
Il rientro al nord nel 1914 rappresenta un brusco contraccolpo: Raivola è rimasto il villaggio della sua infanzia, dove la scrittrice si ritrova, non senza disagio, immersa in una cultura statica: la poesia finlandese di lingua svedese esalta il romanticismo di J.L. Runeberg, che rappresenta con successo l’identità nazionale.
Edith invece ha assimilato le tendenze delle avanguardie europee, che esprime in maniera autonoma e singolare, differenziandosi dalle caratteristiche dominanti di queste correnti. Infatti, rispetto a voci poetiche prevalentemente maschili e aggressive, denigratorie del passato e ridondanti di neologismi (basti pensare all’italiano Marinetti), la sua poesia sviluppa caratteri originali: è una voce femminile, in qualche caso asessuata, basata a volte su un’intensa sensualità, altre su una dolorosa pena. Nei suoi versi distruzione e creazione si fondono in un unico procedimento ciclico, dove la produzione artistica si incarna attraverso la riproduzione sessuale: una poesia corporea, concreta, come l’autrice stessa dichiara nel suo manifesto poetico, Individuell Konst (Arte individuale): «Considero la vecchia società come una cellula madre, che deve essere sostenuta finché l’individuo non è in grado di costruire un nuovo mondo». Il Manifesto rappresenta un drastico punto di rottura con la tradizione e risente anche delle esasperanti condizioni di vita dell’autrice: con la Rivoluzione del 1917 lei e la madre erano state private di tutti i loro beni e vivevano in povertà in una zona di conflitto. Il Manifesto era apparso nel 1918, sulle pagine di Dagens press, il quotidiano di lingua svedese di Helsinki, per introdurre la sua seconda raccolta di poesie, Septemberlyran (La lira di settembre). Secondo l’autrice la cultura scandinava rifiutava le tendenze innovatrici che circolavano nell’Europa del tempo e stimolavano l’esistenza di una persona nuova; per questo si sentiva obbligata a rivolgersi ai «rari individui che si trovano vicini ai confini del futuro». La scelta dello svedese, che risale agli anni della Petrischule, assume quindi profonde implicazioni e sancisce sia il desiderio di rompere con la “decadente” tradizione lirica svedese sia l’esigenza di intraprendere una ricerca innovatrice e creativa. Non si tratta dunque solo di seguire le tendenze alla moda delle avanguardie, quanto di dar voce a una creatività originale. La poeta raggiunge il suo scopo utilizzando un lessico semplice, legato agli elementi primordiali della natura: acqua, vento, fuoco, stelle, sole, collegati al corpo femminile inteso come luogo di creazione poetica. È evidente quanto questa tecnica sia rivoluzionaria e sovverta l’ordine patriarcale, che vede la donna come essere passivo, dominato, come spettatrice delle imprese maschili, mero oggetto del componimento poetico. Edith Södergran trasferisce nella figura femminile il concetto di Superuomo nietzschiano dal cui corpo, in diretta relazione con la terra, scaturisce il potere creativo. Lo dichiara uno dei suoi poemi più famosi, Vierge Moderne (Vergine moderna), che distrugge la figura oggettificata della donna per costruirne una moderna, senza genere e al tempo stesso fortemente sessuata:
«Non sono una donna. Sono un essere neutro.
Sono un bambino, un paggio e una decisione audace,
sono una striscia ridente di un sole scarlatto.
Sono una rete per tutti i pesci voraci,
sono un brindisi all’onore di ogni donna,
sono un passo verso la fortuna e verso la rovina,
sono un salto nella libertà e in me stessa.
Sono il sussurro del desiderio nell’orecchio di un uomo,
sono il brivido dell’anima, il desiderio e il rifiuto della carne,
sono un segno d’ingresso a nuovi paradisi.
Sono una fiamma, investigatrice coraggiosa,
sono uno specchio d’acqua, profondo ma audace solo fino alle ginocchia,
Io sono fuoco e acqua, onestamente combinati, a condizioni libere […]».
L’immagine femminile tradizionale è decostruita attraverso una serie di negazioni; nell’ultimo verso la sua donna nuova rimane fluida e indefinita, mostrando il limite della sua poetica, peraltro insuperabile nella propria condizione di isolamento: la mancanza di un modello nuovo di donna. Edith Södergran, la poeta-narratrice, dimostra dunque di essere una figura troppo avanzata per la Finlandia provinciale del suo tempo; appartiene a quella comunità ideale di artiste e studiose ben più famose di lei, come Lou Andreas Salomé e Anna Achmatova, che con l’esempio concreto delle loro vite indipendenti e con le loro opere originali hanno contribuito all’emancipazione femminile. Ancora molto giovane è venuta a mancare a Raivola il 24 giugno 1923, giusto un secolo fa.
Articolo di Rossella Perugi-Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.