Poesie di Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020-Biblioteca DEA SABINA

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Poesie di Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020-

 

Louise Glück (New York, 1943 – Cambridge, 2023), autrice di tredici libri di poesie e due raccolte di saggi, ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2020 «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende uni versale l’esistenza dell’individuo». Tra gli altri premi ricordiamo la National Humanities Medal, il premio Pulitzer, il National Book Award, il premio Bollingen, il premio Lerici-Pea alla carriera, il Wallace Stevens Award conferito dall’Academy of American Poets e la Gold Medal for Poetry dell’American Academy of Arts and Letters. Ha insegnato a Yale e Stanford.

Louise Glück
Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

Louise Glück, tre poesie

Pubblichiamo la traduzione di Nicola Gardini di tre poesie tratte da The Wild Iris (1992).

Il papavero rosso

Il massimo
è non avere
mente. Sentimenti:
oh, quelli ne ho; mi
governano. Ho
un signore in cielo
che si chiama sole, e mi apro
per lui, mostrandogli
il fuoco del mio cuore, fuoco
come la sua presenza.
Che altro può essere una simile gloria
se non un cuore? Oh, sorelle e fratelli, eravate come me una volta, tanto tempo fa, prima di essere umani? Vi
concedeste di aprirvi
una volta per poi non aprirvi
mai più? Perché in verità

adesso io sto parlando come voi. Io parlo perché sono distrutta.

Vespro

Una volta credevo in te; ho piantato un fico. Qui, in Vermont, paese
senza estate. Era una prova: se l’albero viveva, allora tu esistevi.

Questa logica dice che non esisti. O esisti esclusivamente nei climi caldi,
nella torrida Sicilia, in Messico, in California, dove crescono inimmaginabili

albicocche e fragili pesche. Forse
vedono la tua faccia in Sicilia; qui, vediamo appena l’orlo del tuo vestito. Devo addestrarmi
a dare una parte dei pomodori a John e a Noah.

Se c’è giustizia in qualche altro mondo, a quelli come me, che la natura spinge
a vite di astinenza, dovrebbe toccare
la parte più abbondante di tutte le cose, di tutti gli oggetti della fame, l’insaziabilità

essendo lode di te. E nessuno loda più appassionatamente di me, con

desiderio più dolorosamente frenato o più merita di sedere alla tua destra, se esiste, partecipando del perituro, il fico immortale,
che non viaggia.

Louise Glück
Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

I gigli bianchi

Mentre un uomo e una donna fanno un giardino tra loro come
un letto di stelle, qui
fanno passare la sera d’estate

e la sera diventa
fredda del loro terrore: potrebbe finire, sarebbe capace
di devastazione. Tutto, tutto può perdersi, nell’aria odorosa le strette colonne
che salgono inutilmente e, di là, un ribollente mare di papaveri –

Taci, mio amato. Non mi importa quante estati vivo per tornare:
questa sola ci ha dato l’eternità.
Ho sentito le tue mani
seppellirmi per liberare il suo splendore. (Traduzione di Nicola Gardini).

LEGGE NON SCRITTA

Interessante come ci innamoriamo:

nel mio caso, in modo assoluto.

In modo assoluto e, ahimè, spesso –

così era nella mia gioventù.

E sempre con uomini piuttosto giovanili –

immaturi, imbronciati, o che prendono timidamente a calci foglie morte:

alla maniera di Balanchine.

Né li vedevo come ripetizioni della stessa cosa.

Io, con il mio inflessibile platonismo,

il mio fiero vedere solo una cosa alla volta:

ho decretato contro l’articolo indefinito.

Eppure, gli errori della mia gioventù

mi rendevano senza speranza, perché si ripetevano

come è di solito vero.

Ma in te sentii qualcosa oltre l’archetipo –

una vera espansività, un’esuberanza e amore della terra

profondamente estranei alla mia natura. A mio merito,

benedissi la mia buona fortuna per te.

La benedissi in modo assoluto, alla maniera di quegli anni.

E tu nella tua saggezza e crudeltà

mi hai gradualmente insegnato l’assenza di senso di quel termine.

 

 

Fonte da “Nuovi poeti americani” (traduzione di E. Biagini, Einaudi)

 

Louise Glück
Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

L’IRIS SELVATICO

       

Alla fine del mio soffrire

c’era una porta.

 

Sentimi bene: ciò che chiami morte

lo ricordo.

 

Sopra, rumori, rami di pino smossi.

Poi niente. Il sole debole

tremolava sulla superficie secca.

 

È terribile sopravvivere

come coscienza

sepolta sulla terra scura.

 

Poi finì: ciò che temi, essere

un’anima e non poter

parlare, finì a un tratto, la terra rigida

un poco curvandosi. E quel che mi parve

uccelli sfreccianti in cespugli bassi.

 

Tu che non ricordi

passaggio dall’altro mondo

ti dico che seppi parlare di nuovo: tutto ciò

che ritorna dall’oblio ritorna

per trovare una voce:

 

dal centro della mia vita venne

una grande fontana, ombre blu

profondo su acqua di mare azzurra.

 

 

da “L’iris selvatico” (traduzione di M.Bacigalupo, Il Saggiatore)

 

 

“Non vogliono tutti l’amore?” 6 poesie di Louise Glück


Ogni volta che viene assegnato il premio Nobel per la letteratura si ripete lo stesso copione: chi? ma chi è? chi lo/la conosce? ma se lo meritava? e perchè invece non…
[inserire un nome a caso fra quelli degli eterni papabili]?
Louise Glück non è sfuggita alla regola. È vero che di suo, in italiano, sono state tradotte solo un paio di raccolte, per di più a opera di piccoli editori con scarsa o nulla distribuzione: L’iris selvatico, Varese, Giano, 2003; e Averno, Napoli, Libreria Dante & Descartes / Editorial Parténope, 2019, entrambe nella traduzione di Massimo Bacigalupo.
Però di lei si erano occupate, per quel che so, almeno due delle riviste specialistiche più diffuse nel settore: Poesia di Crocetti (n. 170, marzo 2003) e Nuovi Argomenti (n. 75, settembre 2016). E si tratta comunque di un’autrice che scrive in lingua inglese, quindi facilmente accessibile a qualunque lettore di media cultura, tanto più che il suo linguaggio è di solito piuttosto piano e trasparente.

Quanto a me, avevo orecchiato il suo nome ma, confesso, non avevo letto nulla di lei, o se l’avevo fatto non me ne era rimasto alcun ricordo. Quindi, siccome non mi piace parlare a vanvera, all’annuncio del Nobel ho cominciato a cercare testi suoi in rete; ho anche fatto quel che faccio sempre, quando voglio capire un poeta: me ne sono tradotti alcuni, senza alcun ordine preciso, in base a ciò che trovavo e a ciò che mi colpiva.
Vi presento i risultati di questa prima esplorazione. Tutte le traduzioni sono mie.

Buona lettura.

 

*

Fonte da: “The Wild Iris” (2002)

 

VESPRO Nella tua assenza prolungata, mi permettil’uso della terra, mi anticipii proventi dell’investimento. Devo riferiredi aver fallito nel compito, soprattuttoper quanto riguarda i pomodori.Non penso che dovrei essere incoraggiata a coltivarepomodori. O, se proprio devo, tu dovresti rimandarele lunghe piogge, le notti fredde che quaggiùvengono così spesso, mentre altre regionihanno quattro mesi d’estate. Tutto ciòè di tua pertinenza: d’altra parteio ho piantato i semi, ho guardato i primi germoglicome ali lacerare il suolo ed è stato il mio cuorea spezzarsi per la ruggine, le macchie nere che rapidesi moltiplicavano per i filari. Dubitoche tu abbia un cuore, nel senso chediamo alla parola. Non fai differenzetra i morti e i vivi, che sono, di conseguenza,immuni al presagio, potresti non saperequanto terrore sopportiamo, la foglia macchiata,le foglie rosse dell’acero che cadonopersino ad agosto, nel buio precoce: io sono responsabileper queste piante. (Testo originale: https://poets.org/poem/vespers)  * * *

IL PAPAVERO ROSSO

La cosa bella
è non avere
una mente. Sensazioni:
oh, quelle le ho; mi
governano. Ho
un signore nel cielo
chiamato sole, mi apro
per lui, gli mostro
il fuoco del mio cuore, fuoco
come la sua presenza.
Cosa potrebbe essere una tale gloria
se non un cuore? O fratelli e sorelle
non eravate come me, tanto tempo fa
prima di essere umani? Voi
permettevate a voi stessi
di aprirvi una volta, voi che mai
vi aprireste di nuovo? Perché in verità
ora sto parlando
come fate voi. Parlo
perché sono distrutto.

(Testo originale: https://poets.org/poem/red-poppy-0)

 

* * * da: “Averno” (2006)

Louise Glück
Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020
UN MITO DI ACCUDIMENTO
 
Quando Ade decise che amava questa ragazza
costruì per lei un duplicato della terra,
tutto identico, fino ai prati,
ma con in più un letto.

Tutto identico, anche la luce del sole,
perché sarebbe dura per una ragazza giovane
passare così di colpo dalla luce alla tenebra completa.

Un po’ per volta, pensò, avrebbe introdotto la notte,
prima in forma di ombra tremula di foglie.
Poi la luna, poi le stelle. Poi niente luna, né stelle.
Persefone lentamente si sarebbe abituata.
Alla fine, pensò, l’avrebbe trovato rassicurante.

Una replica della terra
tranne che lì c’era amore.
Non vogliono tutti l’amore?

Aspettò molti anni,
costruendo un mondo, guardando
Persefone nei prati.
Persefone annusava, assaggiava.
Se hai un appetito, pensava,
li hai tutti.

Non vogliono tutti sentire nella notte
il corpo amato, bussola, stella polare,
sentire il respiro quieto che dice
“Sono viva” e significa anche
tu sei vivo, perché mi ascolti,
sei qui con me. E quando una si gira,
si gira anche l’altro…

Questo sentiva, il signore delle tenebre,
mentre guardava il mondo che aveva
costruito per Persefone. Non gli passò mai per la mente
che qui non c’era più olfatto,
e di certo nemmeno cibo.

Colpa? Terrore? Paura dell’amore?
Queste cose non poteva immaginarle;
nessun amante le immagina mai.

Sogna, fantastica come chiamare questo posto.
Prima pensa: “Il nuovo Inferno”. Poi: “Il Giardino”.
Alla fine, decide di chiamarlo
“L’adolescenza di Persefone”.

Una luce morbida si leva sul prato ben spianato,
dietro il letto. La prende tra le braccia.
Vorrebbe dire “Ti amo, nulla può farti male”

ma pensa
che è una bugia, perciò alla fine dice
“Sei morta, nulla può farti male”
che gli pare
un inizio più promettente, più vero.

(Testo originale: https://poets.org/poem/myth-devotion)

 

* * *

PERSEFONE VAGABONDA

 

Nella prima versione, Persefone
viene sottratta alla madre
e la dea della terra
punisce la terra: cio è 
coerente con ciò che sappiamo del comportamento umano,

che gli esseri umani traggono una profonda soddisfazione
nel far del male, soprattutto
se il male è inconsapevole:

questo potremmo chiamarlo
creazione negativa.

Il soggiorno iniziale
di Persefone agli inferi continua ad essere
palpeggiato dagli studiosi che disputano
sulle sensazioni della vergine:

fu consenziente nello stupro,
oppure venne drogata, violata contro la sua volontà,
come accade tanto spesso alle ragazze di oggi.

Tutto è ben noto, il ritorno dell’amata
non corregge
la perdita dell’amata: Persefone

torna a casa
macchiata di succo rosso come
un personaggio di Hawthorne…

Non sono sicura di voler
mantenere questa parola: la terra
è “casa” per Persefone? È plausibile che si senta a casa
nel letto di un dio? Non è
a casa in nessun posto? È
una vagabonda nata, in altre parole
una replica esistenziale di sua madre, meno
azzoppata da idee di causalità?

Siete autorizzati a non farvi piacere
nessuno, lo sapete. I personaggi
non sono persone.
Sono aspetti di un dilemma o di un conflitto.

Tre parti: così com’è divisa l’anima,
ego, superego, id. Allo stesso modo

i tre livelli del mondo conosciuto,
una sorta di diagramma che separa
il cielo dalla terra dagli inferi.

Dovete chiedervi:
dove sta nevicando?

Bianco d’oblio,
di profanazione…

Nevica sulla terra: il vento freddo dice
che Persefone fa sesso negli inferi.
A differenza di noi, lei non sa
che cosa sia l’inverno, soltanto che
è lei a causarlo.

Giace nel letto di Ade.
Che cos’ha in mente?
Ha paura? Qualcosa
ha rimosso l’idea
della mente?

Sa che la terra è governata
da sua madre, almeno questo
è sicuro. Sa anche
che non è più ciò che si chiama
una ragazza. Per quanto riguarda
la carcerazione, crede

di essere stata prigioniera sin da quando è una figlia.

I terribili ricongiungimenti che la aspettano
occuperanno il resto della sua vita.
Quando la passione per l’espiazione
è cronica, feroce, non scegli
il modo in cui vivi. Non vivi;
non sei autorizzata a morire.

Vaghi fra la terra e la morte
che alla fine sembrano
ugualmente strane. Gli studiosi ci dicono

che non ha senso sapere che cosa vuoi
quando le forze che ti si contendono
possono ucciderti.

Bianco d’oblio,
bianco di sicurezza…

Dicono
ci sia una frattura nell’anima umana
che non fu costruita per appartenere
del tutto alla vita. La terra

ci chiede di negare la frattura, una minaccia
mascherata da consiglio:
come abbiamo visto
nella storia di Persefone
che andrebbe letta

come una contesa tra madre e amante:
la figlia non è che carne.

Quando la morte la affronta, non ha mai visto
il prato senza margherite.
All’improvviso non sta più
cantando il suo canto virginale
sulla bellezza e fecondità
di sua madre. Dove
c’è la frattura, lì è la pausa.

Canto della terra
canto della visione mitica di vita eterna…

La mia anima
distrutta dallo sforzo
di cercare di appartenere alla terra…

Che cosa fareste voi,
quando è il vostro turno in campo con il dio?

(Testo originale: https://poets.org/poem/persephone-wanderer)

* * *

Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

MIGRAZIONI NOTTURNE

È questo il tempo in cui di nuovo vedi
le bacche rosse del sorbo
e nel cielo scuro
le migrazioni notturne degli uccelli.

Mi addolora pensare
che i morti non le vedranno:
le cose in cui confidiamo,
svaniscono.

E allora come farà l’anima a consolarsi?
Forse, mi dico, di questi piaceri
non avrà più bisogno,
forse già il non essere è abbastanza,
per quanto difficile sia immaginarlo.

(Testo originale: https://poets.org/poem/night-migrations)

* * *

(fonte da: “Poetry”, gennaio 2013)

 

PAESAGGIO ABORIGENO

Stai calpestando tuo padre, disse mia madre,
e in effetti ero in piedi nel centro esatto
di un manto erboso, talmente curato da poter essere
la tomba di mio padre, anche se nessuna lapide lo diceva.

Stai calpestando tuo padre, ripetè,
stavolta più forte, e io cominciai a trovarlo strano
perché era morta anche lei; l’aveva ammesso persino il dottore.

Mi spostai un po’ più in là, dove
finiva mio padre e cominciava mia madre.

Il cimitero era silenzioso. Il vento soffiava tra gli alberi;
sentivo, debolissimo, un pianto parecchie file più in là,
e, ancora oltre, un cane ululare.

Dopo un po’ questi suoni si placarono. Mi resi conto
che non ricordavo di essere stata portata lì,
in quello che ora pareva un cimitero, ma poteva anche essere stato
un cimitero solo nella mia mente; forse era un parco, o altrimenti,
un giardino o un pergolato, con profumo, me ne accorgevo adesso, di rose…
La douceur de vivre riempiva l’aria, la dolcezza di vivere,
come si suol dire. A un certo punto,

mi accorsi di essere sola.
Dov’erano andati gli altri,
i cugini e le sorelle, Caitlin e Abigail?

Adesso la luce stava svanendo. Dov’era l’automobile
che ci aspettava per portarci a casa?

Allora cominciai a cercare un’alternativa. Sentivo
crescere in me l’impazienza, avvicinarsi, direi, l’ansia.
Infine, a grande distanza, scorsi un trenino,
si fermò, così pareva, dietro il fogliame, il controllore
si attardava sulla soglia, a fumare una sigaretta.

Non dimenticatemi, gridai, e adesso correvo
su molti lotti di terra, molti padri e madri…

Non dimenticatemi, gridai, quando infine lo raggiunsi.
Signora, disse, indicando i binari,
lei di certo non ha capito che questa è la fine, i binari non proseguono.
Erano parole aspre, le sue, eppure gli occhi erano gentili;
questo mi incoraggiò a perorare più fortemente la mia causa.
Ma tornano indietro, dissi, e rimarcai
la loro robustezza, come se ancora fossero destinati a molti ritorni.

Lei lo sa, disse, che il nostro è un lavoro difficile: affrontiamo
molto dolore e disappunto.
Mi fissava con crescente franchezza.
Anch’io ero come lei, aggiunse, innamorato dell’agitazione.

Ora gli parlavo come a un vecchio amico:
E tu allora, dissi, perché era libero di andarsene,
tu non desideri tornare a casa,
rivedere la città?

Questa è casa mia, disse.
In città – è in città che scompaio.

(Testo originale: https://www.poetryfoundation.org/poetrymagazine/poems/56626/aboriginal-landscape)

Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

Louise Glück, la poetessa americana dalla voce candida, intransigente e cupissima

Per “la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale” Louise Glück ha vinto il premio Nobel per la Letteratura 2020

Ci stupiamo tanto che nessuno si fosse accorto di lei, ma in realtà era già successo in passato, sempre con un’altra donna, un’altra poetessa che, all’improvviso, un pomeriggio di ottobre, aveva ottenuto il più ambito dei riconoscimenti letterari internazionali. Stiamo parlando ovviamente di Louise Glück, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2020, e di Wisława Szymborska, autrice polacca che ottenne l’onorificenza da parte dell’Accademia svedese nel 1996.

La nomina di entrambe ha destato stupore, oggi come allora, soprattutto in Italia, paese in cui le poetesse erano pressoché sconosciute. L’ignoranza, però, non era certo dettata da una mancanza di interesse da parte del pubblico: la verità è semplicemente che circolavano pochi dei loro testi tradotti nella nostra lingua.

Come prevedibile, dopo aver vinto il Nobel, le cose sono cambiate per Szymborska, che anzi è diventata in poco tempo assai popolare e amata, tanto che adesso è possibile cogliere riferimenti ai suoi versi praticamente ovunque: riviste, pubblicità, canzoni, film, trasmissioni tv (nella trasmissione Che tempo che fa Roberto Saviano ne ha parlato come “una poetessa che rimette al mondo le parole, le ricrea, le rigenera”).

Probabilmente accadrà qualcosa di simile anche per Glück, che condivide con la collega polacca anche un modo di scrivere poesia semplice, immediato, narrativo. Ma i suoi versi non hanno la stessa luce e la stessa gioia di quelli di Szymborska, anzi: tra chi la conosce, sono in molti a definirli tragici, cupi, cupissimi. Con uno stile prevalentemente autobiografico, l’autrice americana, classe ’43, già premiata e acclamata negli Usa, vincitrice del National Book Award per la poesia nel 2014 con Faithful and Virtuous Night, racconta di solitudine, relazioni familiari, divorzio e morte.

In ogni caso, per ora si possono trovare tradotti in italiano Averno, la sua ultima raccolta, proposta dalla casa editrice napoletana Libreria Dante & Descartes, e L’iris selvatico, pubblicata da Giano, con cui la poetessa ottenne il Pulitzer nel 1993. A tradurre entrambe le opere, Massimo Bacigalupo, che commenta così sull’Huffington Post: “Glück è una poetessa algida, passionale, appassionata, distante ma lucida, una che mira alla perfezione formale, ma che non si accontenta mai della forma; una poetessa indipendente anche dalla tradizione poetica americana che fa sì che ogni suo libro sia molto diverso dagli altri. La sua perfezione nasce dalla sua natura, come l’eleganza”.

Raccontando Averno su Alias del Manifesto, Antonella Francini ha scritto: “(…) Come negli altri suoi libri (fra cui il premiatissimo L’iris selvatico, uscito in Italia per Giano Editore sempre a cura di Bacigalupo) Glück si racconta in versi brevi dai toni ieratici, adottando la sua inconfondibile lingua vicina al parlato, ma esatta, risonante, talvolta ellittica“. E più avanti: “Per lunghi anni in analisi, Glück riversa anche qui, in Averno, tracce di quella esperienza, passando senza preavviso dalla finzione mitica al vissuto soggettivo, mentre ci avverte che «i personaggi / non sono persone. / Sono aspetti di un dilemma o conflitto». In questi raffinati studi dell’anima, le parole si fanno riverberanti e l’andamento ellittico, così che ampi spazi si aprono al lettore, perché si disponga alla sua personale catabasi”.

Di Averno ha scritto di recente anche Gianni Montieri su Doppiozero, sottolineando come “una delle domande fondamentali, se non la domanda unica ed essenziale, posta alla base” della raccolta sia “sul cosa accadrà dopo la morte. Non il solo quesito sul dove si andrà (ammesso che si vada da qualche parte); Glück va oltre e si chiede cosa ci faccia l’anima nell’aldilà senza le cose più care. A che scopo dovrebbe esserci un’ipotetica vita dopo la morte se a questa mancheranno le cose terrene?“.

Nata a New York City nel 1943, Glück è cresciuta a Long Island e ha studiato presso la Columbia University. Ha insegnato e insegna poesia in molte università, tra cui Yale. In un’intervista con la rivista Poets and Writers , ha parlato del suo rapporto tra vita e scrittura: “Quando ero giovane conducevo la vita che pensavo dovessero condurre gli scrittori, in cui ripudi il mondo, consacrando ostentatamente tutte le tue energie al compito di fare arte. Mi sono seduta a Provincetown a una scrivania ed è stato orribile: più me ne stavo lì senza scrivere, più pensavo di non aver abbandonato abbastanza il mondo. Dopo due anni, sono giunta alla conclusione che non sarei diventata una scrittrice. Così ho accettato un lavoro come insegnante nel Vermont, anche se fino a quel momento avevo passato la vita a pensare che i veri poeti non insegnassero. Ma ho accettato questo lavoro e nel momento in cui ho iniziato a insegnare – nel momento in cui avevo degli obblighi nel mondo – ho ricominciato a scrivere”.

Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

Da sempre lontana dai riflettori, abituata e affezionata al suo pubblico, Glück, come fa notare il Guardian, è la sedicesima donna a vincere il Nobel e la prima donna americana da quando Toni Morrison ha ottenuto il riconoscimento nel 1993. Il presidente del comitato del premio Nobel, Anders Olsson, ha salutato la scrittura “candida e intransigente, piena di umorismo e arguzia pungente”. E questa, per concludere, la motivazione che l’ha portata alla vittoria: per “la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”.

Fonte- il sito ilLibraio.it  

 

 

Fonte-La casa editrice- Le Lettere

 

Un vero newyorkese crede che New York sia l’unica città al mondo in cui si possa vivere. Oltre la metropoli, c’è un’isola in cui arriva il vento del mare. Villaggi pittoreschi e case circondate da bianchi recinti, piccoli negozi e ciclisti che pedalano su strade battute. Long Island è appena fuori dalla città, un tempo era stata rifugio di poeti e artisti eccentrici. Nella primavera del 1943, in quest’isola fuori New York, da una famiglia ebrea di origine ungherese, è nata Louise Glück, poetessa, accademica e ultimo Premio Nobel per la Letteratura. Ha pubblicato dodici raccolte poetiche veicolando una sensibilità privata e al tempo stesso universale attraverso una voce propria. Per quanto si possa credere che un poeta sia megafono di un sentire astratto e immateriale, la poesia di Louise Glück ha raccolto delle sfumature quotidiane attraverso un linguaggio essenziale e scarno. Entrambi i genitori hanno avuto un impatto sulla sua poetica., suo padre, Daniel Glück voleva essere uno scrittore, tuttavia, l’America della Grande Depressione non era il terreno adatto per i romanzieri. Così, mise in piedi un’impresa di coltelli e sbancò il lunario. Louise ereditò dal padre l’inclinazione letteraria e impregnò i suoi versi di un tratto ruvido in cui ogni parola sembra essere scelta con maestria e limata da un coltello. Beatrice Glück, sua madre, fu tra le poche donne a laurearsi e trasmise alla figlia l’interesse per la letteratura e per la mitologia classica. Negli anni del college Louise incomincia a soffrire di anoressia nervosa e riesce a guarire attraverso la psicoanalisi che costituirà uno dei temi principali dei suoi versi. Alla Columbia University, frequenta un seminario di poesia tenuta da Leonie Adams che le mostra una poesia metafisica che vuole deragliare dagli schemi tradizionali.

Nel 1968 viene stampato la sua prima raccolta di poesie, Firstborn, in cui esordisce il suo stile asciutto e il tono in prima persona. In questo suo primo lavoro, emerge una poetica apparentemente severa in cui ogni parola non è sprecata. Il secondo libro di poesia, The House on the Marshland viene pubblicato nel 1975 in cui emerge la sua voce distintiva e affiora il suo linguaggio: il suo scrivere è duro e spinoso ma armoniosamente costruito in cui le parole sono faticosamente vinte. Louise Glück utilizza i requisiti della moderazione, della precisione e del ritardo, i suoi versi sono carichi di una forte tensione ritmica. Il tema fondante della raccolta è il trauma concepito come un passaggio che conduce alla piena consapevolezza della vita. La sua poesia trasmette una accettazione del lutto privata ma al tempo stesso universale. L’essenzialità dei versi aumenta la forza poetica, l’austera bellezza del suo stile si lega a un ritmo dolce.

Qualche anno dopo pubblica The Triumph of Achilles (1975) il cui tema fondante è l’influenza della mitologia classica come si evince dal titolo. La Glück utilizza l’epica come metafora per i suoi mondi che si ripetono tra cui il desiderio e il dolore. La durezza e la moderazione dei suoi versi accompagnano con grazia la sofferenza di eroi come Achille e Patroclo.

Il Trionfo di Achille (1975)

Nella storia di Patroclo

Nessuno sopravvive nemmeno Achille, che era quasi un dio.

Patroclo gli somigliava; indossavano la stessa armatura.

Sempre in queste amicizie

L’uno serve l’altro, uno è meno dell’altro:

la gerarchia è sempre apparente

anche se le leggende non ci si può fidare

la loro fonte è il sopravvissuto

quello che è stato abbandonato.

Quali erano le navi greche in fiamme

Rispetto a questa perdita?

Nella sua tenda, Achille addolorato

con tutto il suo essere

e gli dèi videro

che era un uomo già morto, una vittima

della parte che amava,

la parte che era mortale.

Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

Il trauma e la perdita ritornano nel lavoro di Louise Gluck, all’interno della raccolta Ararat (1990), scritta dopo la morte del padre. Ararat era il monte in cui, secondo la Genesi, Noè depositò la sua arca dopo il naufragio. Si tratta di un’opera brutale e feroce ma non ci sono tracce di risentimento, i versi sono rafforzati dall’amore e dalla compassione. Per il lettore sembra di essere ammessi in una casa di infanzia in cui si fa ritorno quando tutto sta cadendo in rovina. La forza di Ararat è di sprigionare una dimensione intima e allo stesso tempo universale del dolore. I versi testimoniano la perdita in maniera cruda in cui non si cerca il lirismo o un tono confessionale: le parole sono a disposizione del lettore ed entrano come lame nel suo immaginario, ciascuno ne ricava una elaborazione personale., è una poesia lenta e riflessiva a cui ogni lettore sembra avvolgersi un senso di familiare solidarietà. Il cambiamento diventa il valore più alto di Louise Glück, la forza di attraversare il dolore e riuscire ad estrarre la forza della vita.

Il Premio Pulitzer rende omaggio alla sua poesia per l’opera Wild Iris (2003). Questa raccolta è un catalogo di varietà dei fiori. La poetessa utilizza i fiori e un giardino edenico che si trova nel Vermont per raccontare il rapporto tra gli uomini. In Wild Iris, Louise Glück racconta la radice puritana dell’America. Nella sua poesia emerge una consapevolezza della vita universale fiorita attraverso immagini familiari e semplici. I suoi versi prendono forma attraverso la sottrazione e un tono onesto, alla base c’è la tecnica dell’impoverimento delle figure teoriche e lo sfrondamento all’interno del testo. Emerge la chiarezza e la severità di una poesia senza compromessi di una scrittrice originaria della lunga e spoglia periferia di New York.

Raccolto (Iris Selvatico, Giano Editore 2003)

E poi viene il gelo; del raccolto è inutile parlare.

Comincia la neve; finisce la finzione della vita.

La terra adesso è bianca; i campi splendono al sorgere della luna.

Io siedo alla finestra accanto al letto, guardo la neve cadere.

La terra è come uno specchio:

calma su calma, distacco su distacco.

Ciò che vive, vive sottoterra.

Ciò che muore, muore senza lotta.

Louise Glück è stata nominata nel 2003 Poeta Laureato degli Stati Uniti. Quest’anno è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura. In Italia è stato pubblicato L’Iris Selvatico (Giano Editore 2003) e Averno (Dante e Descartes Editore 2019)

Louise Glück
Louise Glück-Premio Nobel per la letteratura nel 2020

La casa editrice- Le Lettere

Raccontare la casa editrice Le Lettere implica un viaggio nel tempo. È una storia che nasce con l’acquisizione della Sansoni nel 1932 da parte del filosofo Giovanni Gentile. Abbiamo ancora i cataloghi Sansoni con le prime annotazioni di Gentile per scegliere autori e titoli che avrebbero fatto parte del nuovo programma editoriale. Il figlio Federico stava lavorando a Milano alla Treves. Si trasferì a Firenze per lavorare a fianco del padre, e vi rimase a lungo nonostante gli eventi drammatici che ne segnarono la storia privata e collettiva. Quando Rizzoli acquisì la Sansoni e si concentrò principalmente sul ramo scolastico del catalogo, Federico Gentile fondò Le Lettere, e fece confluire nel suo programma editoriale buona parte dei titoli di “varia” del suo lavoro sansoniano. Era il 1976 e la casa editrice si confermò l’attività di una famiglia attenta al patrimonio culturale italiano ed europeo per filosofia, letteratura, storia dell’arte, archeologia, linguistica, storia, filologia. Negli anni si è sempre posta l’obiettivo di restare un segmento importante dell’editoria italiana e di diffondere libri sia fedeli alla tradizione, sia sperimentali e lontani dai cori. Impegno confermato dall’entrata in casa editrice dei figli di Federico Gentile, Giovanni e Nicoletta, fra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Riunione editoriale alla Sansoni, 1974. Da dx: Federico Gentile (Amm. delegato), Benedetto Gentile (Presidente), Giovanni Gentile (Dir. generale), Giuliano Bernardi (Dir. commerciale), Alberto Busignani (Capo Redazioni Arte), Mario Biondi (Capo Ufficio Stampa)

Quello che siamo oggi può essere ripercorso attraverso i nomi degli autori che abbiamo pubblicato. E guardandoci indietro ripubblicheremmo tutto, anche le scommesse che non hanno portato riscontri economici, ma che hanno dato soddisfazioni a livello di critica. Sul fronte della filologia dantesca la collaborazione storica con la Società Dantesca Italiana ha permesso di avere in catalogo Michele Barbi, Giorgio Petrocchi con la sua edizione critica della Divina Commedia, e nel tempo ha fatto fiorire collane prestigiose legate all’Edizione nazionale delle Opere di Dante Alighieri, e una rivista longeva come «Studi danteschi». L’Accademia della Crusca ha confermato negli anni la sua fiducia con le riviste «Studi di Filologia italiana», «Studi di Lessicografia italiana» e «Studi di Grammatica italiana». Ci ha insegnato un nuovo modo di affrontare il futuro con il dialogo fra cartaceo e web con pubblicazioni sul tema. Nella collana BIBLIOTHECA forse basterebbe citare i nomi di Timpanaro, Pasquali (con le sue Pagine stravaganti di un filologo e il suo ristampatissimo Storia della tradizione e della critica del testo). Continuiamo con Oreste Macrì, Cesare Luporini, Giorgio Luti, Walter Binni, Ernesto Sestan, Paul Oscar Kristeller, Bruno Migliorini, Carlo Ludovico Ragghianti. Il grande interesse per la traduzione ha contribuito alla fortuna di collane di narrativa, come Latinoamericana, diretta da Martha Canfield e in attesa di andare in stampa con un nuovo titolo del Premio Nobel Vargas Llosa, e pan narrativa, che ha accolto le voci di Baldwin, Timm, Butler. La collana Il Nuovo Melograno è tutta rivolta alla poesia e arricchita dal testo a fronte di autori in lingua latina, tedesca, francese, inglese, spagnola, portoghese, rumena, serba, svedese, araba: da Margaret Atwood a Kiarostami, da Cummings a Boland, Sexton, Lorde, Duffy, Barbosa, Osundare…

Al Nuovo Melograno abbiamo affiancato Novecento/duemila, collana di poesia contemporanea che ospita voci a cavallo del secolo vecchio e nuovo: questa nostra proposta, nata dopo la pubblicazione di Tutte le Poesie di Bartolo Cattafi, cerca di rispondere all’urgenza di avvicinare e in qualche modo accompagnare il lettore verso la Poesia in un panorama autoriale in cui per scoprire nuove voci non ci si può sottrarre dallo stabilire un legame con il Novecento.

Uno spazio importante nel nostro catalogo è presidiato dal settore dei periodici: oltre ai già citati per Crusca e Dantesca pubblichiamo più o meno dalla fondazione «Lingua nostra», «La Rassegna della Letteratura italiana» fondata da Walter Binni, «Nuova Storia Contemporanea» diretta da Francesco perfetti ed erede della rivista di De Felice, «Critica d’arte» della Fondazione Ragghianti. Il «Giornale critico della Filosofia italiana» invece ha bisogno di qualche parola in più, non solo perché fondata da Gentile e Spirito, ma perché ha visto anche la direzione di Eugenio Garin e ha contribuito a rafforzare il patrimonio di base della casa editrice che consiste nell’opera omnia degli scritti di Giovanni Gentile. È questo forse l’unico esempio in Italia di un filosofo che ha tuttora disponibili tutti i titoli dei propri scritti. Benedetto Croce non ha avuto lo stesso privilegio.

Le Lettere ha preso parte ai ricordi universitari e umanistici di gran parte di noi, sia per la saggistica che per i testi d’autore, segno di una tradizione storica a lungo curata. Allo stesso tempo ha avuto il coraggio di “sperimentare”, pubblicando collane come fuoriformato, diretta da Andrea Cortellessa e con autori come Amelia Rosselli, Cesare Zavattini, Franco Cordelli, Valerio Magrelli, Isgrò, Bonito Oliva… con caratteristiche tecniche più complesse che giocavano con formati e carta, ausili sonori e tattili, elementi grafici in bianco e nero o a colori. Cerchiamo di far dialogare collane dedicate alla mistica come quelle dirette da Marco Vannini, con collane rivolte ai più piccoli attraverso gli albi illustrati, senza perdere di vista l’intento di tenere per mano il passato e il futuro attraverso generazioni che hanno bisogno di letture differenti in modalità differenti. Quest’anno, per esempio, pur con le difficoltà del momento, abbiamo accolto la nascita di una nuova rivista, «The Florence Review», diretta da Alessandro Raveggi e Martino Baldi. Ha un obiettivo importante ma portato avanti con grande leggerezza e allegria: pubblicare racconti e poesie inedite di autori già affermati in lingua italiana, regalando la traduzione inglese a fronte, col commento grafico di un illustratore diverso per ogni fascicolo e scelto in base al tema, alla parola-chiave con cui vengono commissionati i testi. Per ogni numero pubblichiamo anche un bando che dà la possibilità a voci nuove di partecipare con un racconto o una poesia. Vengono selezionati da una giuria internazionale e “premiati” con la pubblicazione e la traduzione.

La casa editrice-Editoriale Le Lettere
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