Luce d’Eramo -Io sono un’aliena – Giangiacomo Feltrinelli Editore-
Descrizione del libro di Luce d’Eramo-Uscito nel 1999, Io sono un’aliena è una lunga riflessione, in parte nata da un colloquio con Paola Gaglianone, in cui Luce d’Eramo rievoca le tappe del suo insolito, scomodo percorso esistenziale e intellettuale. Il filo dei pensieri s’intreccia con le esperienze di vita e di lavoro, dall’infanzia nella Francia del Fronte popolare ai terribili anni della guerra, alla passione per la fantascienza, in un affascinante viaggio dentro i procedimenti di scrittura di una donna veramente “aliena”. In pagine di scarna intensità emotiva, d’Eramo ci apre le porte delle sue convinzioni e del suo sforzo incessante di abbracciare la diversità nel mondo, di riconoscere l’alieno dentro e fuori di noi, di farla finita con l’antropocentrismo su questo piccolo pianeta “solo soletto” ai margini della galassia. Oggi, a cento anni dalla nascita di questa esploratrice dell’Altro, il suo messaggio smuove nel profondo i lettori con un sorriso impunito che viene da un passato drammatico e si apre a un domani impensato.
“Se uno apre gli occhi sugli abissi che ha in sé, forse ha maggiori capacità di captare quello che gli è veramente ignoto.”
Luce d’Eramo
Luce d’Eramo
Luce d’Eramo nasce nel 1925 a Reims da genitori italiani e si spegne a Roma il 6 marzo 2001. Fra le sue opere, Nucleo zero (1981), Partiranno (1986), Ultima luna (1993), Una strana fortuna (1997) e L’opera di Ignazio Silone (1970). Nel 1999 esce Io sono un’aliena, una “conversazione” in cui ripercorre le tappe del suo percorso esistenziale e intellettuale. Feltrinelli ha pubblicato Deviazione (2012; Ue, 2017).
Di sé stessa diceva di essere un’aliena. Scrisse di fantascienza, Br, nazisti, dimenticando sempre il suo io. La scrittrice era nata il 17 giugno 1925. Appassionata di fantascienza, era fuggita da Dachau. Nel 1945, in Germania, incontrò il suo destino: una bomba a scoppio ritardato la lasciò paralizzata alle gambe.
Si definiva un’aliena non perché si sentisse diversa ma perché l’alieno la interessava. «Sono convinta che non ci potrà essere pace in Terra finché l’altro sarà soltanto uno strumento d’affermazione, se non una tua pedina, un oggetto di derisione»,
Nel libro Io sono un’aliena, racconta la sua idea di mondo e la sua idea di scrittura, pubblicato la prima volta nel 1999, quando aveva 74 anni, e ripubblicato oggi da Feltrinelli con la cura del figlio Marco d’Eramo, in occasione dei cent’anni dalla nascita di questa scrittrice mai dimenticata ma spesso scolorita e ributtata indietro, come scrive Margaret Mazzantini nella prefazione.
“Se nihil alieni a me alienum puto, gli extracomunitari che dormono in macchina, gli zingari nei loro camper, i barboni sull’asfalto, i bambini randagi nelle strade brasiliane, tutti i maltrattati della Terra sono i miei prossimi più cari Essi sono l’alieno che è tra noi. Ignorarli e respingerli è come alienare una parte di sé, è come amputarsi. Se Francesco d’Assisi fosse vivo oggi, assieme al Fratello Lupo, al Fratello Sole, alla Sorella Morte (che nell’inconscio nostro s’addice solo agli altri), avrebbe certamente incluso nel suo cantico il Fratello Alieno”. Luce D’Eramo
Un testo scritto da Marco D’Eramo il giorno della morte di Luce
Deviazioni del destino – di Marco d’Eramo
La sua vita è stata scabra, drammatica, appassionante come il secolo che ha attraversato, il Novecento. Nata nel 1925 a Reims (Francia), ha vissuto letteralmente sulla sua pelle il fascismo, la Seconda guerra mondiale, il comunismo, l’era spaziale, il rimpicciolirsi del mondo. Sua madre: una signora bella, aguzza, avara, di cui conservo una Grammatica e sintassi della lingua francese. Suo padre – famiglia di musicisti – era un insolito imprenditore edile emigrato in Francia, uno dei primi piloti d’aviazione della Grande guerra (1914-1918), pittore che frequentava Modigliani e i postimpressionisti nella Parigi della Belle Époque, e che nel ’44 sarebbe stato sottosegretario all’Aviazione nella Repubblica di Salò. E proprio in quell’anno Lucetta (così la chiamavano tutti i suoi amici perché il suo nome di battesimo francese era Lucette) scappò dal castello di Bassano in cui vivevano per funzione i genitori e andò a lavorare nei campi di concentramento tedeschi – prima come ingenua volontaria fascista partecipante ai Littoriali, poi come deportata comunista. Fuggì da Dachau, lavorò come sguattera e contadina nella campagna di una Germania già sconvolta dalla sconfitta imminente. Cameriera in un albergo di Magonza, faceva parte delle squadre di volontari che scavavano le macerie dopo i bombardamenti, e lì, il 27 febbraio 1945 (una data che abbiamo festeggiato con brindisi per tutta la sua vita), incontrò il suo destino nelle sembianze di una bomba al fosforo a scoppio ritardato che la lasciò paralizzata alle gambe. Il giorno dopo gli americani entrarono a Magonza.
Tornata sconfitta dalla guerra incontrò al Rizzoli di Bologna un ferito, un bersagliere, milite della decima Mas, futuro professore di filosofia gentiliano, mio padre: si sposò e mi concepì. Tutte queste vicende sono raccontate nel romanzo che l’ha resa famosa, Deviazione (1979), di cui guardo ora con ripetuto stupore la copertina giapponese che riporta la sua fototessera da deportata.
Dopo la guerra, sposata, madre, invalida, studiò, si laureò prima in Lettere, con una tesi su Leopardi, e poi in Filosofia, con una tesi sulla Critica del giudizio di Kant. Fu però la paralisi l’esperienza decisiva, quella che le capovolse l’esistenza, da ragazza piacente a oggetto di compassionevoli “poverina”, e che perciò la costrinse a dover vivere seducendo il mondo, perché dimenticasse che era in carrozzina. Tutto ciò che ad altri è dovuto o sembra naturale, lei dovette conquistarselo ogni minuto.
Ricordo perciò il suo animo festaiolo di quegli anni: organizzava feste in continuazione, con giochi e animazioni, dopo le veglie di accanita lettura e scrittura. Viaggiava, gite, picnic. Alterni sprazzi di povertà, vera indigenza, con fasti d’incurante scialo. Dopo che si separò da mio padre – quando l’incompatibilità politica era diventata impossibilità esistenziale – passammo un anno in un ospizio per invalidi: persone allo stadio terminale di mali incurabili che però giocavano a ping-pong e trincavano. In quel periodo non riuscivamo ad arrivare alla fine del mese: alle volte ci mandava soldi Camilla Cederna.
Nello stesso tempo però Lucetta riceveva tutte le settimane Alberto Moravia ed Elsa Morante e discuteva con Alfonso Gatto, e rivedo la casa di Paolo Milano. Poi le assidue frequentazioni con Cesare Zavattini e Ignazio Silone. L’apertura mentale con cui visse il ’68 del figlio e dei suoi coetanei. Una curiosità vorace, inesausta. La passione per le galassie lontane. L’umiliazione dell’editore che accettava i suoi romanzi e poi li rifiutava quando la vedeva in carrozzina. O che non digeriva il suo sguardo sul nazifascismo, mai conforme al conformismo. E poi, quando il successo le dette un minimo di – precaria – agiatezza, la capacità di circondarsi di amici che l’accompagnavano nei viaggi più spericolati, da Tokyo a Leningrado a New York. E una tenace volontà di autonomia fisica, fare tutto da sola, persino vivere da sola in un appartamento straniero, come fece un anno con una borsa di studio a Berlino. Il tutto intramezzato da soggiorni nei sanatori, come quello di Pietra Ligure con i suoi amici chirurghi Antonio Negri, Giorgio Salina, suor Lina: l’affascinava la pretesa di alcuni umani di rappresentare la divinità in Terra e così sono sempre stati intrigati, fittissimi i suoi rapporti con gesuiti come padre Grasso e padre Vanzan, domenicani come Pio van Diemen, teologi come Gianfranco Ravasi. Tre giorni fa, quando ormai la parola le tornava solo a sprazzi, mi ha chiesto: “Come faccio a sapere che muoio?”. “Non sapremo mai se puoi saperlo,” le ho risposto. “Ecco perché la teologia è così interessante,” mi ha ribattuto, prima che il rantolo riprendesse il sopravvento.
Nel 1988, di ritorno dal Salone del libro di Francoforte, un passante le rovesciò la carrozzina all’aeroporto: fratture, inizio del declino fisico, nuove operazioni, dolori sempre più bestiali, la voglia di morire, la volontà di vivere appesa alla sola possibilità di scrivere, lavorare, immaginare nuove storie. L’unica serenità nella lettura, sempre più difficile: ancora Dostoevskij, tanta fantascienza, sempre più Montaigne oltre che Nietzsche, il Marx dei Grundrisse. I rapporti conflittuali ma affascinati con il computer, una strana bestia per chi ha cominciato a scrivere con il calamaio.
La sua passione politica non era sofisticata, nessuna scuola quadri come retroterra, ma veniva da una capacità d’immedesimazione, da quello che Kant chiama la facoltà dell’immaginazione: il vedersi al posto dell’altro. Ecco perché con la sua amica e infermiera Katarzyna alla fine parlava polacco – lasciando di stucco il chirurgo del Policlinico che l’ha seguita nei suoi ultimi giorni. Prima del suo improvviso peggioramento, aveva firmato un contratto per scrivere la vita di Etty Hillesum, un’ebrea olandese morta ad Auschwitz: “Etty mi ha ridato un po’ di voglia di vivere. È la sola che abbia scritto dei campi durante e non dopo,” mi ha detto tra un’allucinazione e l’altra del delirio post-operatorio. E poi: “Ho fatto bene a fare un po’ di stravizi, ho bevuto buoni vini, mangiato manicaretti”.
Una capacità incredibile di assaporare la vita. Una curiosità infinita ma quieta.
Lawrence Ferlinghetti a Praga – Articolo di Dario Bellini- il manifesto-Alias-Il viaggio. Primavera 1998, passeggiate, osterie e incontri nella Città d’oro-
«Poeti, uscite dai vostri gabinetti…»
È il motto sulla terza pagina di un libro comprato su una bancarella di libri usati in un parco di Praga dedicato al soggiorno praghese di Lawrence Ferlinghetti nel 1998. Sfogliando il libro al centro della pubblicazione spunta tra le pagine, in giallo smagliante su carta più spessa, un foglio con la poesia Rivers of Light. Una poesia pubblicata solo su questo libro edito da Meander nel ’99. L’unica traccia della poesia è sulla fotografia della CTK, in questi giorni su un articolo del Washington Post, Ferlinghetti la sta sventolando alla conferenza stampa presso il Centro Franz Kafka di Praga. Il libro in questione racconta nei dettagli il viaggio di Ferlinghetti a Praga e lui descrive la sua poesia così: «L’ho scritta ieri notte, quando mi sono svegliato da un sogno. Quando la leggerete saprete riconoscerne il senso… In ogni caso se qualcuno la vuole stampare lo può fare tranquillamente. È una poesia di questo momento ed è pubblica, chiunque è autorizzato a farlo. Questa è una liberatoria un po’ anarchica, vero? Gli anarchici non credono nel diritto d’autore».
Praga
L’arrivo a Praga in treno da Parigi-
L’idea di invitare Ferlinghetti a Praga era nell’aria da più di dieci anni, già dagli anni 80 durante il periodo di repressioni e carcerazioni, quando in Cecoslovacchia la normalizzazione arrestava intellettuali e musicisti jazz. È probabilmente così che iniziano le amicizie e le affinità dell’underground ceco di allora con Ferlinghetti e altre personalità mondiali che facevano petizioni per la liberazione degli arrestati a Praga. Ferlinghetti di sicuro si sentiva dalla loro parte e qualche esperienza di ingiustizia ce l’aveva anche lui. Nel ’57 era stato arrestato e processato per aver pubblicato l’Urlo di Allen Ginsberg, nel ’68 era stato arrestato e condannato a 17 giorni di carcere per una manifestazione contro la guerra in Vietnam e perfino in Italia nel 2005 era stato fermato una notte dalla polizia a Brescia, arrestato come un clandestino beatnik che scattava fotografie e suonava ai campanelli in una via della città vecchia dove avevano abitato i suoi genitori. Anche un altro grande scrittore verso la fine degli anni ’80 a Praga aveva avuto problemi con la polizia, tutte le settimane veniva convocato per tremendi interrogatori nella casa piastrellata dove c’era la centrale della polizia segreta. Era Bohumil Hrabal che invitato in direzione opposta, da est verso ovest, da Aprilina Clifford per una serie di incontri culturali e conferenze nell’anno della rivoluzione di velluto, durante l’Uragano di Novembre si affacciava alle vetrine della City Lights di Lawrence Ferlinghetti a San Francisco. Viaggi attraverso gli oceani e le culture che, specialmente dopo la caduta dei muri, ma prima delle loro ricostruzioni, si alternavano con visite reciproche di artisti e scrittori tra i due continenti. Incontri tra culture in via di liberazione e finalmente nel ’97 quando un nutrito gruppo di librai, traduttori, poeti e fotografi, era partito da Praga per invitare Ferlinghetti che promise la sua partecipazione dicendo agli organizzatori «non accetto però soldi dal governo Usa, dovete trovare i finanziamenti da qualche altra parte».
In quel periodo il presidente del Festival degli Scrittori era il poeta americano Michael March che viveva a Praga. Karel Srp rilanciava la famosa Sezione Jazz Artforum e così l’edizione del festival del 1998 è diventata anche una Beat Generation Fest. La più volte rimandata visita di Ferlinghetti si è concretizzata una sera del 16 Aprile con il suo arrivo alla stazione di Hlavni Nadrazi. Un suo desiderio era quello di non essere ospitato ufficialmente in un hotel, così già dalla prima sera a Praga Lorenzo si è ritrovato come a casa ospite di Iva e Mirek Vodrazkovy nella città vecchia in via del Tempio, in una casa che prima era stata una chiesa e secondo la leggenda un luogo di incontro dei cavalieri templari.
Ferlinghetti era molto stupito dell’affetto con il quale era stato accolto, diceva continuamente che lui non era importante come Ginsberg (che era stato a Praga quattro volte dal ’65, espulso per droga e ubriachezza dalla Cecoslovacchia tornò nel 96 nella Repubblica Ceca insieme a Philiph Glass) lui si aspettava un tranquillo festival casalingo, ma già dalla prima mattina in città era su tutte le prime pagine dei giornali e anche per strada in molti lo riconoscevano, praghesi e anche turisti di passaggio. Molti gli incontri e le iniziative che erano state organizzate e fitta di eventi la pianificazione del soggiorno di Ferlinghetti a Praga, tra istituzioni, scuole, gallerie d’arte, teatri, vari centri di cultura ma anche molte birrerie e vinerie. Dalle foto che lo ritraggono in quei giorni si vede bene che Lorenzo si deve essere molto divertito nei suoi attraversamenti culturali, tra storia e attualità, passeggiando sui ponti tra la città nuova e la città vecchia, sulle rive della Moldava e sopra i castelli.
Lawrence Ferlinghetti a Praga
Questi sono i miei fiumi-
Il 18 Aprile era previsto il primo evento pubblico e la conferenza stampa al Centro Franz Kafka era molto affollata. C’era Maya Cain la curatrice di Prague Projekt, accanto a Ferlinghetti c’era Dante Marinacci, poeta e traduttore in Italia delle poesie di Ferlinghetti e direttore del centro di cultura italiano di Praga e c’erano Michael March e Karel Srp. Tra il pubblico, oltre ai giornalisti, molti artisti, poeti e ammiratori dello scrittore italoamericano. Subito la sorpresa di una poesia scritta proprio quella notte, istantaneamente stampata in giallo da Mirek in cento copie e distribuita ai presenti, in un’atmosfera di amicizia e grande disponibilità. C’era da mettersi d’accordo sulla lingua. L’inglese lo parlavano tutti, anche un po’ l’italiano che Ferlinghetti di origini bresciane parlava (aveva tradotto anche alcuni poeti), ma il ceco per lui era «come una lingua sulla luna».
Fu una conversazione molto internazionale e la conferenza fitta di domande specialmente sulla situazione politica, il ruolo degli intellettuali e la poesia. È vero che è venuto in treno? «Sì ho viaggiato per 15 ore, in treno vedo il mondo mentre in aereo sembra tutto uguale».
Lawrence Ferlinghetti
Conosce la poesia di Giuseppe Ungaretti?
«Questi sono i miei fiumi…ho ripassato le epoche della mia vita… c’è molta affinità, la luce non è un’idea, è ambiente e atmosfera. Sì la citazione di Ungaretti l’ho usata per una mia raccolta di poesie che ho pubblicato prima negli Stati Uniti e poi in Italia». Ha incontrato recentemente Gregory Corso? «Certamente Gregory Corso è il più grande poeta della beat generation dopo Allen Ginsberg. È un poeta geniale. Ha un suo modo di parlare americano molto originale, una lingo americana, come la tradurreste? No non è un dialetto, è qualcosa di diverso. Lui è veramente molto originale, non è mai influenzato da altre fonti letterarie. La mia poesia è invece molto influenzata da molti scrittori e poeti come Ungaretti, T.S. Eliot, Dylan Thomas, Walt Whitman, invece Gregory Corso ha una sua anima poetica pulita come a suo modo aveva solo Shelley». Sapete dov’è Gregory adesso? «Chi lo sa… forse a New York, forse a Campo de’ Fiori a Roma, forse da qualche altra parte. Magari entrerà da questa porta, lui è sempre con Shelley». Che ne pensate dei poeti cechi e di Kafka? «Kafka non esiste, è come un marchio… Sul Lunapark avevo in testa la poesia di Kafka del Castello. Ho anche letto Havel, i suoi drammi La Tentazione e Largo Desolato sono molto vicini a Ionesco e Samuel Beckett, ma la mia conoscenza della letteratura ceca è molto limitata»
Come dovrebbe funzionare un mondo ideale? Cosa pensa dell’anarchia? «L’anarchia non è mai stata un’ideologia, è stato un anarchismo ideale. I media hanno degradato l’anarchia a dei bombaroli che buttano sempre qualcosa in aria. Quando ovviamente tornate all’idea di anarchia come filosofia, indietro a Bakunin e agli altri scrittori anarchici come l’anglicano Herbert Reed oppure il canadese George Woodkock, scoprite che la filosofia anarchica è realmente libertaria, di individui per la libertà contro gli stati totalitaristi, che limitano la libertà degli individui. Arriva all’ideale che afferma che l’uomo è capace di governarsi da solo, senza uccidere i propri simili. In altre parole l’anarchia è una fede e dice che le persone sono fondamentalmente buone. Si può dire che anche la beat generation è stata una fede, un modo di relazionarsi con il mondo e sono convinto del bisogno che c’è di questo, nel mondo di oggi assorbito da una ingordigia materialistica insaziabile».
Lawrence Ferlinghetti
Poeti, intellettuali e chaos-
E poi inizia a parlare di tutto, così come in diverse altre occasioni del suo soggiorno a Praga in una non stop di 72 ore di letture e giornate di passeggiate, di incontri nelle osterie e di altre iniziative più o meno organizzate, come per i ragazzi di una scuola d’arte che gli hanno fatto dei ritratti, con i fotografi che gli hanno scattato fotografie in continuazione o al teatro Lucerna dove ha partecipato con City Lights alla Fiera internazionale del libro in corso in quei giorni. Quasi dieci giorni di soggiorno a Praga che sono evidentemente volati tra la musica del Club Rokoko, del jazz nella chiesa di San Salvatore, a teatro con il regista Lumir Tucek e le sue rappresentazioni dei Giochi di amnesia e Le tremila formiche rosse, la visita al Castello, le dissertazioni sull’anarchia buddista di Gary Snyder che anche lui a fine anno sarebbe stato invitato a Praga, Brno e Olomouc per delle letture.
Parla volentieri di tutto, come del superamento di apparteneza nazionale: «La tecnologia informatica ormai ignora completamente le frontiere e i governi non riescono a padroneggiare il cambiamento. Come mi ha detto Gunther Grass forse nel ventunesimo secolo non esisteranno più gli stati così come li conosciamo adesso ma ci saranno solo orde migratorie, quando le etnie individuali vagheranno alla ricerca di cibo e alloggio. Io però questa visione così nera non ce l’ho. In tutto questo gli artisti ballano ai confini del mondo e cercano di cambiarne il destino. Nel campo della poesia darei la precedenza ad un’altra parola, oggi un poeta deve essere qualcosa di più di un semplice poeta, deve essere un intellettuale. Ci sono stati molti grandi poeti pazzi e burrascosi da Villon a Rimbaud e Dino Campana fino a Gregory Corso che sono degli enormi compositori lirici ci pazzoidi e non c’è niente che li possa sostituire, sono i poeti più grandi. Un’eccezione era Allen Ginsberg con il suo modo di pensare geniale era capace di ragionare ad ogni livello su ogni tema, come un grande poeta e non solo come un lirico geniale e pazzoide. Vaclav Havel è un’altra eccezione, è allo stesso tempo un intellettuale e un politico che sa parlare alla gente. In America non è così, i politici sono ad un così basso livello che spesso non sono creduti, leggono discorsi scritti da qualcun’altro.
Lawrence FERLINGHETTI
Il bevitore di assenzio-
Così è intitolato il grande quadro appeso ad una parete della grande Kavarna Slavia, un luogo da sempre molto frequentato da tutti, famiglie, studenti, intellettuali, artisti, giovani e anziani. Lì proprio a fianco del quadro c’è una porticina secondaria, comunicante con la famosa Accademia di Cinema, Musica e Teatro, FAMU, AMU e DAMU dalla quale gli studenti entrano da sempre indisturbati. Le grandi vetrate danno sulla Narodny Trida dove c’è il Teatro Nazionale e di fronte sulla Vltava c’è il ponte dove transitano incessantemente i puntualissimi tram di Praga, in vista del Castello presidenziale di Hradcany. Poco più in là l’originale architettura del palazzo danzante con a fianco il portoncino del piccolo appartamento all’ultimo piano dove per un bel po’ Vaclav Havel si è ostinato ad abitare prima di trasferirsi al Castello.
La famosa Caffetteria Slavia ad un certo punto è stata acquistata da un grande gruppo immobiliare americano, è stata chiusa per tempo, si diceva addirittura che ci avrebbero aperto un Mc Donald ma naturalmente tutti si sono opposti. Quando finalmente il caffè è stato riaperto, bello come prima, era però sparito il quadro del bevitore di assenzio, stava per essere venduto all’asta ma poi è stato restituito. Proprio lì sotto quel ritratto impressionista di un autore senza nome, quasi in un appuntamento giornaliero, Lorenzo si incontrava con gli amici di Praga che lo hanno iniziato all’assenzio, lui diceva di non averlo mai bevuto ma il cameriere gli ha detto che era solo al 72 per cento e quindi innocuo. Lui per provare ne ha messo qualche goccia in un bicchierino di acqua che però non si è tinta di giallo come il pernod, poi con un dito intinto della sostanza ne ha esaminato il lavaggio del colore sul suo taccuino e dicendo quanto era piacevole quel posto che non ce n’era uno così in America e neanche a San Francisco, se lo è bevuto in un sorso alla salute dei bevitori di assenzio praghesi.
Di effetto un po’ lisergico diventavano così anche alcune sue citazioni di astronomia e di teorie del chaos: «Mi piace l’astronomia e l’ho studiata molto. Le teorie più avanzate sono spesso meravigliosamente poetiche come ad esempio il paradosso dell’astronomo tedesco Olbers che osservava che le stelle guardate a distanza ravvicinata erano moltissime, ma più a lungo guardava erano sempre di più, a distanza infinita ci sono grappoli di stelle giganteschi che si vede solo la luce, è il paradosso di Olbers dove l’infinito è solo luce». E qui viene in mente la poesia Proximity di Gregory Corso: A star is as far as the eye can see and near as my eye is to me. Tutti erano sorpresi del buon umore di Ferlinghetti e Iva Vondrackova l’attrice e cantante, che con Mirek lo ha accudito tutto il tempo nella loro casa in Templova Ulice, racconta di una mattina di sole (mattina in ceco si dice rano) in strada Lorenzo ballava e cantava «Rama rama, Rano rano… che bella giornata, di nuovo qualcosa di nuovo, non ho settantanove anni, ma ventuno»
Così che dopo essere stato dappertutto, anche in onore di Hrabal alla birreria del Tigre, U Zlateho Tygra dove insieme a Maja Cain, Brian Patten, Robert Creeley, Gyorgy Petri, Egon Bondi, a un certo punto sono arrivate come onde del Pacifico Brenda Knight insieme al suo fidanzato pittore Paul Blake, Ruth Weiss e Carolin Cassady, portavano il libro di Brenda sulle donne della beat generation.
Quando qualcuno ha poi chiesto a Ferlinghetti che cosa gli era piaciuto di più, se l’autogramiada (gli autografi) al teatro Lucerna, le letture di poesia, la serata di improvvisazione jazz o gli anarchici della rivista Konfrontace, Lawrence ha risposto «l’incontro con gli anarchici, sono giovani e si fanno delle domande interessanti. Si prendono cura di quello che succede nel mondo e sul pianeta». In partenza il 25 ci siamo alzati alle 6.30, racconta nel suo diario Iva, un caffè al volo e in fretta alla stazione. Un sorriso e un saluto. Ce ne siamo andati prima che il treno partisse, e lo abbiamo lasciato «on the road».
Articolo di Dario Bellini-
Fonte- il manifesto-Alias- 13 marzo 2021.
Lawrence Ferlinghetti
Usa, è morto il poeta Lawrence Ferlinghetti Fu esponente chiave della “controcultura” nel panorama statunitense –
23 febbraio 2021 All’età di 101 anni è morto Lawrence Ferlinghetti. Poeta di primo piano, fu a lungo proprietario del City Lights, la libreria e casa editrice di San Francisco che fece da culla alla Beat Generation e contribuì a dare alla città il ruolo di centro letterario e della rivoluzione culturale, destinata a superare i confini degli Usa. Come editore indipendente sconvolse l’America non solo letteraria, pubblicando libri come “Urlo” di Allen Ginsberg, per cui fu processato con l’accusa di aver diffuso oscenità. La morte è avvenuta lunedì nella sua casa di San Francisco. Il figlio Lorenzo ha riferito che a causare il decesso è stata una malattia polmonare. Nato il 24 marzo 1919 a Yonkers, nello Stato di New York, da padre italiano (Carlo Ferlinghetti era originario di Chiari, in provincia di Brescia e morì sei mesi prima della nascita del figlio) e madre franco-portoghese, Lawrence Ferlinghetti trascorse l’infanzia in Francia, a Strasburgo, affidato a una zia dopo il ricovero della madre in manicomio; e si trasferì negli Usa quando la zia fu assunta come governante a New York. Dopo aver intrapreso studi da giornalista (completati alla Columbia University di New York nell’immediato dopoguerra), Ferlinghetti venne arruolato nella Marina statunitense durante la Seconda guerra mondiale prendendo parte alla sbarco in Normandia. Quando vide Nagasaki a pochi giorni dallo sgancio della bomba atomica, decise di diventare un ”pacifista radicale” e di concentrare i suoi studi a Parigi, ottenendo un dottorato alla Sorbona, e dove incontrò il poeta statunitense Kenneth Rexroth, che in seguito lo persuase a recarsi a San Francisco, in California, per sperimentare la nascente scena letteraria della città. Dopo aver sposato Selden Kirby-Smith nel 1951, per un paio di anni, insegnò francese, fu critico letterario e iniziò a dipingere, stabilendosi a San Francisco. Qui nel 1953 fondò City Lights, la prima libreria al mondo a vendere esclusivamente tascabili, che ben presto diventò anche casa editrice, pubblicando fra l’altro nel 1956 uno dei libri di poesie più venduti al mondo, il dirompente ”Howl and other poems” (”Urlo e altri poemi) di Allen Ginsberg, manifesto poetico della Beat Generation (con l’incipit divenuto celeberrimo: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia,/ affamate isteriche nude/, trascinarsi nei quartieri negri all’alba in cerca di un sollievo astioso”). Ferlinghetti finì in prigione per aver pubblicato il volume dopo una condanna per oscenità. City Lights ha avuto un ruolo determinante nella diffusione dell’opera degli scrittori della Beat Generation, conosciuti in Italia principalmente grazie all’americanista e traduttrice Fernanda Pivano, grande amica di Ferlinghetti. Lo stesso Ferlinghetti fra l’altro fu un bestseller con il suo libro “A Coney Island of the Mind” (pubblicato nel 1958 da New Directions) che nel giro di poco tempo superò il milione di copie vendute, con traduzioni in nove lingue. Per i suoi meriti letterari, nel 1998 fu nominato ‘Poeta Laureato’ di San Francisco. L’amicizia e il rapporto intellettuale con Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, William Burroughs, Diane DiPrima e Peter Orlowsky lo fece sin dall’inizio diventare membro della cosiddetta Beat Generation, di cui è sempre stato l’editore di riferimento. A lui si deve anche il merito di aver pubblicato Charles Bukowski, di cui raccolse in volume gli articoli pubblicati nella sua rubrica settimanale “Diario di un vecchio sporcaccione”. Anche se è essenzialmente un poeta, Ferlinghetti ha scritto due romanzi, “Lei” e “L’amore ai tempi della rabbia”, e due raccolte di testi teatrali, “Routines” e “Unfair Arguments with the Existence”. Quasi tutte le sue raccolte di versi sono pubblicate in Italia da Minimum Fax: “Strade sterrate per posti sperduti”, “Il senso segreto delle cose”, “A Coney Island of the Mind” e il volume “Poesie vecchie e nuove” (che unisce due precedenti raccolte di poesie pensate dall’autore appositamente per Minimum Fax: “Scene italiane” e “Non come Dante”). Negli ultimi vent’anni Ferlinghetti si è dedicato soprattutto alla pittura, esponendo anche in Italia. La mostra antologica “60 anni di pittura” con i suoi dipinti si è tenuta a Roma e Reggio Calabria nel 2010. La sua ultima mostra è stata “A Life: Lawrence Ferlinghetti Beat Generation, ribellione, poesia”, allestita al Museo di Santa Giulia a Brescia dal 7 ottobre 2017 al 14 gennaio 2018, che ha messo in luce l’importanza della figura di Lawrence Ferlinghetti nel panorama letterario degli anni Cinquanta e Sessanta.
IL POETA PESCATORE
Invecchiando percepisco
che la vita ha la coda in bocca
e gli altri poeti gli altri pittori
non significano più alcun genere di competizione
È il cielo a lanciare la sfida
il cielo ha bisogno di decifrare
anche se gli astronomi si sforzano di sentirlo
con le loro enormi orecchie elettriche
il cielo che ci sussurra costantemente
gli ultimi segreti dell’universo
il cielo che respira dentro e fuori
come fosse l’interno di una bocca
del cosmo
il cielo che è anche la sponda della terra
e anche quella del mare
il cielo con le sue molte voci e nessun dio
il cielo che racchiude un mare di suoni
e di echi che ci rimanda
come in un’onda contro la parete del mare
Poesie intere dizionari interi
arrotolati in un rombo di tuono
E ogni tramonto un action painting
e ogni nuvola un libro di ombre
attraverso le quali volano selvagge
le vocali degli uccelli che stanno per gridare
E il cielo è chiaro per il pescatore
anche se è coperto
Lo vede per quello che è:
uno specchio del mare sul punto di crollare su di lui
sulla barca di legno al cupo orizzonte
Dobbiamo pensarlo come poeta per sempre faccia a faccia con la vecchia realtà
dove gli uccelli non volano mai prima della tempesta
E lui sa quello che verrà giù
prima dell’alba
e lui è la sua migliore vedetta
ascoltando il suono dell’universo
e cantando le sue visioni
della terra dei vivi
Lawrence Ferlinghetti
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