Il 18 maggio 1911 muore Gustav Mahler.Questo libro rivela le chiavi per accedere al mondo interiore del più contemporaneo tra i Classici.
Mahler camminava con gli occhi fissi a terra, per non calpestare alcuna creatura vivente. Poteva darsi che in ogni infima creatura stesse imprigionata una grande anima. La sua idea del divenire nasceva da ciò che Johann Peter Eckermann, nelle Conversazioni con Goethe, fa dire al poeta che il Maestro venerò sopra ogni altro: “La convinzione della nostra immortalità nasce, per me, dal concetto dell’attività; poiché se io opero senza posa fino alla mia morte, la natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza quando questa mia attuale non può più continuare a contenere il mio spirito”. Di questo perenne operare, Mahler fu profeta e martire. Nacque ebreo, divenne cattolico, ma nel suo intimo rimase sempre un panteista devoto al culto della Natura, sorgente di quella spaventosa, demoniaca e insieme angelica, energia che egli si dannò per trattenere nella propria musica. Senza di essa, sarebbe stato solo un epigono dei Romantici, non un neo-pagano con le radici immerse in un esoterismo così primigenio da esserci, oggi, più che mai inquietante.
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Um dia
também eu sairei porta fora
caminharei nas ruas
ausente de sentido
atravessando esplanadas
e jardins
bairros que não conheço
irei em frente
sem parar nas lojas elegantes
da Avenida
que pouca Liberdade tem
irei assim
perdida e sem destino
descendo
à beira-rio
quando me virem na água
darão então por mim
(in Dizer, 2021, p. 13)
*
UN GIORNO, DICE LA DONNA
Un giorno
anch’io uscirò fuori casa
camminerò per le strade
errante
attraversando piazzali
e giardini
quartieri che non conosco
andrò avanti
senza fermarmi in quei negozi di lusso
dell’Avenida
che poca Liberdade ha
andrò così
persa e senza meta
scendendo
verso la sponda del fiume
quando mi vedranno nell’acqua
si accorgeranno di me
*
AO MODO DE ALBERTO CAEIRO,
O MESTRE E ALTER EGO…
Vivemos entre dois mundos.
Um a que chamamos real, objectivo, quotidiano, normal.
Mas que não é nada disso, é tão ilusório, esse mundo real,
como qualquer outro que possamos fantasiar. São palavras, essas que repetimos e que não chegam a convencer: o que é
ser real, o que é ser objectivo, o que é ser normal? Onde
está ela, essa normalidade, que não encontro em ninguém?
Nem em mim nem nos outros, nem sequer no espaço sideral?
Para cada outro há uma palavra que se diz objectiva, real,
com o ar mais natural…
A cada um seu real, e assim cai por terra a ilusão que eu
tinha de um dos mundos…
Quanto ao outro, em que também julgo viver: é mais
íntimo, mais secreto, mais fraterno, será esse afinal o nosso
mundo real? O das escapatórias, das fantasias, dos rebanhos
que são montes de pensamentos por alinhar ao assobio de
um cão? E o cão? É ele elemento real? Ladra, como se deve
ladrar? Abana a cauda a sorrir? Ou vive apenas na ideia do
poeta, uma cabeça que nem ela é inteira…
Disse: vivemos entre dois mundos. Mas serão dois? Serão
mundos? Serão poucos, serão muitos? E como me permito,
eu que tanto hesito e duvido, usar este plural?
(in Dizer, 2021, p. 61)
*
ALLA MANIERA DI ALBERTO CAEIRO ,
IL MAESTRO E L’ALTER EGO.
Viviamo tra due mondi.
Uno che chiamiamo reale, oggettivo, quotidiano, normale.
Ma che non è nulla di tutto ciò, è così illusorio, questo mondo reale
come qualsiasi altro su cui possiamo fantasticare. Sono parole,
queste che ripetiamo e che non riescono a convincerci: cos’è
essere reale, cos’è essere oggettivo, cos’è essere normale? Dove
si trova lei, questa normalità che non riesco a trovare in nessuno?
Né in me né in altri, nemmeno nello spazio sidereo?
Per ogni altro c’è una parola che si definisce oggettiva, reale,
con l’aria più naturale…
A ognuno il suo reale, e così cade a terra l’illusione che io
avevo di uno dei mondi…
Quanto all’altro, in cui altrettanto credo di vivere: è più
intimo, più segreto, più fraterno, sarà questo alla fine il nostro
mondo reale? Quello delle scappatoie, delle fantasie, delle greggi
che sono mucchi di pensieri da allineare con il richiamo di
di un cane? E il cane? È un elemento reale? Abbaia, come si deve
abbaiare? Scodinzola sorridendo? O vive solo nell’idea del
poeta, una testa che non è nemmeno intera…
Ho detto: viviamo tra due mondi. Ma sono due? Saranno
mondi? Saranno pochi, saranno molti? E come mi sono permessa,
proprio io che esito e dubito tanto, a usare questo plurale?
*
O AMOR O ANJO E O CÃO
(para a Ana Maria Pereirinha, 2020)
Havia amor por ali,
uma entrega tão subtil
que não podia ser dita
cortava a respiração
só podia ser vivida
em segredo
e só de dia
quando o Anjo os protegia…
Ainda assim havia a noite,
a floresta e o jardim,
um cão amigo a brincar
um céu com novas estrelas
acesas para o amor
que seria amor sem fim
(in Dizer, 2021, p. 64)
*
L’AMORE, L’ANGELO E IL CANE
(per Ana Maria Pereirinha, 2020)
C’era amore lì
una dedizione così sottile
che non poteva essere detta
toglieva il fiato
poteva solo essere vissuta
in segreto
e solo durante il giorno
quando l’Angelo li proteggeva…
Eppure c’era la notte
la foresta e il giardino,
un cane amichevole che giocava
un cielo con nuove stelle
illuminate per l’ amore
che era amore senza fine
Breve biografia di Yvette K. Centeno è nata a Lisbona nel 1940 in una famiglia di origine tedesco-polacca. È sposata, ha quattro figli e la musica e la letteratura abitano, da sempre, la sua casa. Si è laureata in Filologia Germanica con una tesi su L’uomo senza qualità di Musil e si è addottorata con una tesi sull’Alchimia nel Faust di Goethe. Dal 1983 è Professoressa Ordinaria all’Universidade Nova de Lisboa, dove ha fondato il Gabinete de Estudos de Simbologia, attualmente parte del Centro de Estudos do Imaginário Literário. Sin da giovane, si è interessata al teatro, ha scritto commedie e racconti e ha fondato il CITAC a Coimbra. Ha pubblicato letteratura per bambini, saggi di ricerca, poesia, teatro e narrativa, con romanzi come Três histórias de amor (1994), Os jardins de Eva (1998) e Amores secretos (2006), con parte della sua opera tradotta in Francia, Spagna e Germania. Tra gli autori che ha tradotto ci sono Shakespeare, Goethe, Stendhal, Brecht, Rilke, Celan e Fassbinder.
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Traduttore Matteo Pupillo ha conseguito la laurea magistrale in Lingua e Letteratura Portoghese presso l’Universidade Nova de Lisboa. A settembre del 2021, ha vinto una borsa di ricerca dottorale in Letterature Comparate e, attualmente, è dottorando presso il Centro de Estudos em Letras dell’Università di Évora, nonché Cultore della Materia in Lingua e Traduzione Portoghese e Brasiliana presso l’Università per Stranieri di Siena. Precedentemente, invece, è stato professore a contratto di Lingua Portoghese. Partecipa attivamente a congressi internazionali e i suoi interessi di ricerca vertono prevalentemente su scrittrici portoghesi e brasiliane e didattica del portoghese per stranieri. È membro dell’Associazione Internazionale dei Lusitanisti (AIL) e socio sostenitore dell’Associazione Italiana di Studi Portoghesi e Brasiliani (AISPEB).
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Yvette K. Centeno – Inediti (trad. di Matteo Pupillo)
FOTO DI PROPRIETA’ DI Alexandre Almeida.
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
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Goethe J.W., Viaggio in Italia -Johann Heinrich Wilhelm Tischbein
Goethe J.W- Roma, 7 novembre 1788.-Sono qui da sette giorni e lentamente si va formando nella mia mente il concetto generale di questa città. Non faccio altro che andare in giro senza riposo; studio la topografi a della Roma antica e della moderna, guardo le ruine e i palazzi, visito una villa e l’altra e le cose più meravigliose mi cominciano a diventar familiari; apro solamente gli occhi, guardo, vado e ritorno, poiché solo in Roma è possibile prepararsi a godere Roma.Confessiamolo pure, è un’impresa ardua e dolorosa, cavar fuori la vecchia Roma dalla nuova; ma si deve fare e sperare in una soddisfazione finale inapprezzabile. Si incontrano da per tutto tracce di una magnificenza e di uno sfacelo che sorpassano ogni nostra immaginazione.Quello che hanno lasciato i barbari è stato devastato dagli architetti della nuova Roma.Se si pensa che questa città vive da più di duemila anni, a traverso mutamenti così svariati e profondi, e che è ancora la stessa terra, gli stessi monti e spesso le stesse colonne e gli stessi muri, e nel popolo ancora le tracce dell’antico carattere, allora si diventa complici dei grandi decreti del destino e riesce difficile in principio all’osservatore di notare come Roma segue a Roma e non solo la nuova e la vecchia, ma anche le diverse epoche della vecchia e della nuova.Io cerco ora perfino i punti seminascosti, trovando molto giovamento dagli studi precedenti, poiché dal secolo XV in poi sono stati artisti e dotti in gran numero che hanno dedicata tutta la loro vita a questa impresa.Questa sconfinata profondità opera in noi silenziosamente quando ci aggiriamo per le vie di Roma in cerca di cose da ammirare.Altrove bisogna cercare attentamente per iscoprire cose che abbiano significato, qui invece ne siamo circondati e riempiti.
[…].”
Goethe J.W., Viaggio in Italia -,Roman CampagnaGoethe J.W., Viaggio in Italia -William Stanley Haseltine-Morning LIght,Roman CampagnaGoethe J.W., Viaggio in ItaliaGoethe J.W., Viaggio in ItaliaGoethe J.W., Viaggio in ItaliaGoethe J.W., Viaggio in Italia -Johann Heinrich Wilhelm TischbeinGoethe J.W., Viaggio in Italia -,Roman CampagnaGoethe J.W., Viaggio in ItaliaGoethe J.W., Viaggio in Italia
La Città Futura-Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Dialettico e ingenuo nel tardo Brecht – Articolo di Renato Caputo-
Sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare nell’ultimo Brecht la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera.
Bertolt Brecht
Articolo di Renato Caputo-Per comprendere più in profondità che cosa leghi l’elemento ingenuo a quello dialettico, centrali nella riflessione estetica dell’ultimo Bertolt Brecht, bisogna considerarli dal punto di vista della teoria della conoscenza. A questo scopo sarebbe necessario poter risalire alle fonti di cui Brecht si è servito per mettere a fuoco degli elementi così importanti per la sua opera. Anche se forse non è possibile allo stadio attuale della ricerca individuare con certezza le fonti utilizzate da Brecht, una breve analisi storica del concetto di naïf può fornirci degli elementi utili per azzardare quantomeno un’ipotesi plausibile su di esse.
Charles Batteux è stato il primo pensatore a distinguere nettamente il concetto estetico di naïf da quello psicologico, individuandovi la componente essenziale di uno stile bello. Egli lo impiegava, infatti, per indicare, in polemica con il barocco, la semplicità dei classici, che utilizzavano nell’opera solo le parti necessarie allo sviluppo del pensiero, eliminando del tutto il superfluo. Questo termine è stato ripreso dall’illuminismo tedesco che se ne è servito per indicare una semplicità (Einfalt) strettamente connessa con la nobiltà (edel) dello stile. Esso era, quindi, considerato una componente essenziale per giudicare un’opera come pienamente compiuta dal punto di vista artistico. Come ha osservato Detlev Schöttker [1] la storia seguente della categoria del naïf è stata segnata dalla perdita progressiva del significato strutturale a favore di quello concettuale. Questa tendenza ha il suo compimento nell’utilizzo del concetto nell’opera di Friedrich Schiller Sulla poesia ingenua [naive] e sentimentale. Che l’importanza assegnata da Brecht al concetto di naïf potesse venire intesa come un implicito riferimento all’opera di Schiller è risultato evidente a tutti gli studiosi che si sono occupati di questa parte della sua produzione. Tuttavia diversi critici, preoccupati di mantenere ben evidenti le differenze tra Brecht critico del classicismo e i due “dioscuri” di Weimar, hanno mirato a evidenziare le differenze tra il concetto di naïf utilizzato da Brecht e quello di cui si è servito Schiller. Così, ad esempio, Hans Mayer in Brecht e la tradizione si è sforzato di dimostrare che il concetto di cui Brecht si era servito era incommensurabile con quello utilizzato da Schiller per indicare uno “stadio presentimentale”. Schiller, infatti, aveva contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione.
È difficile dubitare che il concetto utilizzato da Brecht abbia un significato ben diverso da quest’ultimo. Tuttavia, benché Mayer non sembri accorgersene, il termine naïf era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione. Con quest’ultima Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Johann Wolfgang von Goethe, di un autore cioè che, all’interno del mondo moderno, aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica. A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso “rationalen Wege”. Solo così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava, infatti, di una Naivität di secondo grado, che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione. È, quindi, con questa seconda accezione del termine che può essere paragonato il concetto usato da Brecht. Questi come Goethe utilizzerebbe, allora, la categoria di naïf nel senso originario di Batteux, cioè come recupero della semplicità classica. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica.
Quindi, sia sul piano strutturale dell’opera sia su quello gnoseologico della teoria, l’elemento del naïf e quello dialettico sembrano entrambi indicare la direzione di un produttivo scetticismo verso ogni soluzione unilaterale del contrasto tra la componente classica e romantica dell’opera [2].
La tendenza inequivocabile del tardo Brecht a una classica essenzialità e immediatezza non significa, in nessun caso, una fuga di fronte alle contraddizioni laceranti della sua epoca in un’unitaria, ma astorica sfera dell’estetico, capace di ricucire la spaccatura tra essere e dover essere [3]. L’imperfezione e l’intima contraddittorietà della realtà devono costituire, al contrario, la premessa indispensabile per l’opera d’arte, la condizione di possibilità del suo carattere necessariamente riflessivo. Non solo perché l’opera non può più sottrarsi al compito di dar conto della crescente complessità del “reale”, ma soprattutto perché la frammentarietà dell’extra estetico e della sua indagine deve avere un riscontro puntuale al livello della struttura formale. A mutare negli ultimi anni, rispetto al precedente periodo avanguardistico, è l’atteggiamento di fronte alla frammentarietà del mondo e di ogni sua possibile analisi. Tensione al classicismo significa essenzialmente per Brecht virile negazione di ogni rassicurante arrendevolezza all’ineluttabilità della frammentarietà, alla metafisica del nichilismo. Il carattere di continuità e infondatezza della ricerca di una possibile e provvisoria soluzione deve restare, infatti, l’imprescindibile correlato etico di ogni esperienza estetica.
L’aspetto mimetico dell’opera, l’unico in grado di preservarne il carattere veritativo, non potendo più ingenuamente giustificarsi come copia – dato che tutti i “prototipi sono sprofondati” – deve conservare la tensione a un’organizzazione totalizzante del suo materiale, che non tema più di manifestare il suo carattere di autonomia e “sentimentalità” [4].
Bertolt Brecht
Note:
[1] Cfr. Detlev Schöttker, Bertolt Brechts Ästhetik des Naiven, J.B. Metzler Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1989, p. 15.
[2] La nostra ipotesi interpretativa della concezione brechtiana dell’arte mira a mettere in evidenza quelli che ci sembrano essere i due aspetti fondamentali che la hanno da sempre caratterizzata: il lato espressionistico, demoniaco, “romantico”, e quello lineare, “scientifico”, “classico”. Questa commistione di “apollineo” e “dionisiaco” ci sembra, infatti, il tratto maggiormente in grado di caratterizzare l’intera opera di questo autore, e non solo, come troppo spesso si è scritto, la sua fase più matura. Una tale interpretazione dovrebbe consentirci di azzardare un’ipotesi di soluzione all’annosa questione della tradizione culturale a cui dovrebbe essere ricondotta l’opera brechtiana. Il “Wiesengrund” della sua produzione artistica potrebbe, infatti, venire indicato nella “viva” dialettica in essa presente, tra la tradizione dei classici e una tradizione anticlassica, ironico-popolaresca, che fa proprio della stilizzazione satiricheggiante della tradizione classica il suo elemento di forza. Il nostro compito consiste, allora, nell’illustrare la complessità e la disomogeneità della riflessione brechtiana sull’arte moderna, considerandola come luogo d’incontro di una tradizione legata a una concezione classica dell’arte avente i suoi referenti principali in Aristotele, Hegel e Goethe e una concezione che ha le sue origini nel romanticismo di Friedrich Schlegel e di Hölderlin e che giunge a Brecht attraverso Nietzsche, il giovane Lukács e Benjamin. Una concezione, cioè, che considera la possibilità stessa di un’opera d’arte moderna indissociabile dal momento della differenza, della rottura, dell’ironia.
Bertolt Brecht
[3] Nel teatro “borghese” moderno la progressiva perdita della funzione sociale del dramma – ben definita non solo nel teatro antico, ma anche nel medievale – aveva aperto la possibilità, gravida di nuovi sviluppi, ma allo stesso tempo estremamente pericolosa, di fare della rappresentazione scenica uno scopo in sé. Il teatro, rompendo del tutto i ponti con le sue origini rituali e perdendo i solidi legami con un’universale visione del mondo, rischiava di veder drasticamente ridotte le sue funzioni. In primo luogo, era messa a repentaglio la sua valenza pedagogica, la sua capacità di mediare elementi conoscitivi ed etici. In secondo luogo, si era venuta a creare una crescente spaccatura tra la scena ed il suo pubblico, che tendeva ad assumere un atteggiamento sempre più passivo di fronte a una rappresentazione che aveva perso progressivamente ogni contatto con la vita activa. In terzo luogo, si era sviluppata una profonda opposizione tra testo drammatico e azione scenica, tanto che un rafforzamento del primo sembrava mettere a repentaglio necessariamente la seconda.
[4] Lo scrittore realista, per rendere comprensibile la realtà al suo pubblico, non può limitarsi a trasmettergli delle impressioni sensoriali. Il suo ruolo, infatti, deve essere attivo per poter essere attivizzante. Egli deve intervenire sulla realtà, deve prestargli le sue forme e, con l’aiuto di tutte le tecniche letterarie e conoscitive a sua disposizione, deve rappresentare, per quanto è possibile, il suo conformarsi a leggi. Solo così si può trasmettere esemplarmente al proprio pubblico quell’atteggiamento critico che permette di intervenire sulla vita stessa, di trasformarla conoscendola. Proprio per questo motivo la drammaturgia non-aristotelica non si limita a presentare al proprio pubblico un’azione scenica, ma gli comunica un atteggiamento. In altri termini, la dialettica su cui si fonda l’opera è data proprio dalla tensione a rappresentare la realtà così com’è, ma solo per suggerire al pubblico che potrebbe essere diversamente, che è necessario interrogarsi sul come dovrebbe essere. E’ possibile rappresentare la realtà, infatti, unicamente nella sua infinita molteplicità, nella sua irriducibile distinzione di livelli, nel suo perpetuo movimento trasformativo, nella sua insopprimibile contraddittorietà. Presupposto indispensabile della rappresentazione è, allora, la lotta perpetua contro ogni forma di ideologia, di schematismo, di determinismo e di pregiudizio.
-Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –
–Rivista PAN n°9 del 1935-
– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –– Glauco NATOLI-Il Cinquantenario della morte di VICTOR HUGO –
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