autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza.
A quel bambino mi rivolgo
C’è sempre un sottinteso
persino nella frasi più innocenti.
Le maestre correggono i compiti
occupandosi solo di sintassi
e ortografia. Il compito assegnato
è diventare un buon cristiano
che non corre lungo i corridoi.
Tutte le presunte certezze impartite
segnate bianco su nero alla lavagna
potremmo ora definirle ipotesi
non comprovate. E’ troppo tardi ormai
per alzare la mano.
Non resta che conformarci agli esempi,
sbirciare nel cuore del compagno di banco,
copiarne le risposte, sottrarsi alle domande,
controllare il dizionario alla ricerca
di un sinonimo accettabile che consenta
di declinare i verbi all’infinito.
Fuori dalle vetrate potrebbe esserci il mare.
C’è invece un muro bianco
decorato dalle ombre dei platani.
Luce su luce che danza a braccia nude
strette alle cose felici, alla frutta
poggiata sul tavolo della mensa
prima che la buccia avvizzisca
e risuoni la campanella.
A quel bambino mi rivolgo,
alle sue vastissime estati
attraversate correndo, trattenendo
il respiro, guardando dal basso,
sulle punte dei piedi.
A quel bambino racconto la parte
migliore dei ricordi, convinto che basti
voltare le spalle a ciò che non voglio
per decretarne l’inesistenza.
Non ignoro quanto siano tenaci
gli indesiderati, quali e quante
le forze scese in campo a fronteggiarsi
per lasciare una traccia o cancellarla.
In buona fede l’obiettivo è stato
cercare un luogo dove piantare
la mia presenza, dove verranno
a trovarmi per confermare la mancanza.
Come una sorta di nostalgia,
un’assenza dolce che resta,
che promette di mutarsi in ricordo.
A lui mi confesso quando scrivo,
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.
Il gelsomino
Nel cortile lievita una parete
verde di gelsomino. Piantata
la primavera in cui di comune accordo
decidemmo di sfidare la sorte.
Ospitò in estate un nido di merli,
incauti. I gatti di casa
non gli lasciarono scampo.
Nella serena inquietudine propria
sconfina, d’estate, oltre il muro di cinta
per contrabbandare la gloria immodesta
dei suoi bianchissimi fiori.
La bellezza richiede la cura,
i rami vanno sfrondati, addomesticati,
che non soffochino la parabola
del televisore, non provochino
le lamentele, legittime, dei vicini
per l’incruenta invasione dei loro balconi.
A volte penso dovrei lasciare fare.
Vederla conquistare la via
ricoprire le auto in sosta, i cancelli chiusi,
sradicare i pali confitti nel cemento,
Vederla creare precari alloggi
per nuovi nidi di paglia,
dichiarare a squarciagola la rinascita
di un’antica sterminata nazione.
Elegia
All’ora di cena cominciavamo a bere.
Oltre la cornice della finestra
tutto il disordine della stanza
si manteneva a malapena in equilibrio
sopra i rami spogli del pino marittimo in giardino.
Con i silenzi edificammo muri
su cui incidere a punta di coltello
il poema delle nostre incomprensioni.
Aspettavamo come ombrelli
lasciati a sgocciolare
davanti alle porte d’ingresso
dei bar sulla spiaggia.
La reciproca fiducia inaridiva
come il pane avanzato a tavola,
persino l’attesa dell’alba sul mare
perdeva ogni senso del sacro.
Per trovare il coraggio di scriverci
attendemmo si consumasse la forza
della separazione, scemasse la magnitudine
dei nostri corpi che regolavano maree,
desideri, orologi da parete.
Pollice verde
1.
L’orto dietro casa è un quadrato
di terra fertile tre metri per tre.
Ai primi di Aprile ho piantato
parole comuni nell’angolo al sole
tra i pomodori, la lattuga e l’indignazione.
Sono germogliate quattro poesie
incivili, piccole piantine fragili.
Se annaffiate con cura, mi hanno detto,
daranno frutti all’inizio dell’estate.
2.
Strappo le erbacce con cura
per lasciare un silenzio pulito,
la misura a spanne dell’accudire,
lo sguardo quotidiano che salva.
3.
Ogni piantina è differente dall’altra.
Ogni frutto ha un gusto differente:
il seme di ogni parola
matura a suo modo.
Una, nata da un racconto di mare,
ha un gusto salato, una mi ha portato
le lacrime agli occhi, un’altra al suono
delle campane nei giorni di festa.
La quarta non è commestibile
ma il suo fiore è uno squillo,
è il più profumato.
Seduta numero 12 (settembre 2021)
È una questione di percentuali,
dottore, e di grumi di memorie
insolubili. Equilibri incerti
tra contrappesi, puntelli e zeppe
per non fare crollare lìimpalcatura.
Più parliamo del passato, dottore,
più lo riportiamo in vita.
Gli scheletri riesumati rischiano
di alterare la statica già precaria.
Se ogni sette anni,
secondo quanto la biologia suppone,
rinnoviamo ogni nostra particella
questi ricordi appartengono ora
ad un corpo differente dal mio.
Il mio corpo oggi è composto
per il 60 per cento di acqua,
10 per cento di rassegnazione,
un 6 per cento di irrisolte concessioni,
un 3 per cento di misantropia.
Qualche punto percentuale di compassione
e stupore ancora è presente
perlomeno se diamo credito
al referto degli esami.
Il resto è materia di analisi
biologica. Gli esami del sangue
evidenziano un eccesso di glicemia.
Eppure io, Dottore, non mangio dolci.
Sarò dolce di mio.
Giuseppe Carlo Airaghi
Breve autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza. Sul comodino mi ostino ad accumulare libri che tento di leggere contemporaneamente senza riuscire a terminarne uno. Malgrado abbia iniziato ad accumulare testi da riporre nei cassetti fin da quando ero ragazzo ho soltanto da poco trovato il coraggio è la sfacciataggine di condividerli.Ho pubblicato le raccolte di poesia “Quello che ancora restava da dire” (Fara Editore,2020), “La somma imperfetta delle parti” (Ladolfi Editore 2021), il poemetto “Monologodell’angelo caduto”(Fara Editore 2022), “Ora che tutto mi appare più chiaro” (PuntoaCapo Editrice 2023) e il romanzo “I sorrisi fraintesi dei ballerini” (Fara Editore 2021).
Rivista Atelier-Fotografia di Lena Leander Kaschnig
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
molti i semi molti i fiori morto il bel canto il culto continua ma fuori dalla finestra dentro le campane suonano in cella aorta ferrata trasporto ver sacro
*
La notte come un telo potrebb’esser ampio lenzuolo e non l’avvicendarsi delle piccole ombricole che nel suono si fanno uova nate
una macchina si è affranta sul marciapiede di mattina l’asfalto è tutto specchio
un vecchietto aveva forse scritto una carezza sul viso a una carcassa sembrava come dire il rosso a un uomo di fango.
*
Ocra essere un tubero come l’oro dal terriccio inavvicinabile quando vicino alla morte e coi corni viola senz’ossa diventare tutto frutto oppure come faceva il nonno a casa si chiama cucumarazzo farsi cibo senza pelle e figli superare acerbo la maturità, fresco.
*
COSÌ POTRÒ GUARDARTI LE FESSURE
Qualcuno avrebbe potuto mettere i fiori nel vaso della ricotta come a dire terra espungimi mostra fuori l’approvvigionamento
non si va dove una casa è come la casa la cintola ammira lo spazio cerimoniale appunta il trionfo sopra l’omero vittoria della vita rudimento.
*
Tra un po’ sarà finito il tempo della calendula la persiana rafferma un rettangolo spanciato quadro urbano dell’agosto fatto acqua il suono è lontano – lo si ascolta dalla schiena la finestra è aperta, guarda al mezzo: sarà smessa l’ora che noi in un poco avemmo in dote.
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
La rivista «Atelier»ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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-Poesie di Vladimir Nabokov da “Poems” (Doubleday & Co., 1959)
Traduzione a cura di Sarah Talita Silvestri per la Rivista Atelier
Brevissimi cenni biografici di Vladimir Nabokov (San Pietroburgo, 22 aprile 1899 – Montreux, 2 luglio 1977) è stato un romanziere e poeta russo. Nato in Russia, scrisse i suoi primi nove romanzi in russo mentre viveva a Berlino. Raggiunse fama internazionale dopo essersi trasferito negli Stati Uniti e aver iniziato a scrivere in inglese. Nabokov è diventato cittadino americano nel 1945, ma tornò in Europa nel 1961 per stabilirsi a Montreux, in Svizzera. Il romanzo Lolita (1955) è probabilmente la sua opera più nota. È stato sette volte finalista per il National Book Award.
THE POEM
Not the sunset poem you make when you think aloud,
with its linden tree in India ink
and the telegraph wires across its pink cloud;
not the mirror in you and her delicate bare
shoulder still glimmering there;
not the lyrical click of a pocket rhyme –
the tiny music that tells the time;
and not the pennies and weights on those
evening papers piled up in the rain;
not the cacodemons of carnal pain;
not the things you can say so much better in plain prose –
but the poem that hurtles from heights unknown
– when you wait for the splash of the stone
deep below, and grope for your pen,
and then comes the shiver, and then –
in the tangle of sounds, the leopards of words,
the leaf-like insects, the eye-spotted birds
fuse and form a silent, intense,
mimetic pattern of perfect sense.
La Poesia
Se troppo ragioni non arriverai alla poesia del crepuscolo,
col suo tiglio d’indaco, e i cavi
del telegrafo dentro al suo roseo nembo;
non il riflesso in te e la sua fragile spalla
svelata che ancora qui scintilla;
non il lirico guizzo di una rima banale…
l’inutile ritmo che annuncia il tempo;
né le monete e i tesori ammassati su quei
giornali della sera sotto il diluvio;
né i dolorosi demoni di strazi carnali
e tutto ciò che può esser detto meglio in prosa…
ma la poesia che si precipita da vette ignote
… quando attendi dall’abisso lo zampillo
lapideo, che cieco si muove verso la tua mina,
finché giunge il fremito, e infine…
dentro al groviglio di suoni, i leopardi di parole,
i fillidi, i pennuti dalle iridi chiazzate
confluiscono e creano una tacita, abbacinante
mimetica rete di autentico senso.
*
LINES WRITTEN IN OREGON
Esmeralda! Now we rest
Here, in the bewitched and blest,
Mountain forests of the West.
Here the very air is stranger.
Damzel, anchoret, and ranger
Share the woodland’s dream and danger.
And to think I deemed you dead!
(In a dungeon, it was said;
Tortured, strangled); but instead –
Blue birds from the bluest fable,
Bear and hare in coats of sable,
Peacock moth on picnic table.
Huddled roadsigns softly speak
Of Lake Merlin, Castle Creek,
And (obliterated) Peak.
Do you recognize that clover?
Dandelions, l’or du pauvre?
(Europe, nonetheless, is over).
Up the turf, along the burn,
Latin lilies climb and turn
Into Gothic fir and fern.
Cornfields have befouled the prairies
But these canyons laugh! And there is
Still the forest with its fairies.
And I rest where I awoke
In the sea shade – l’ombre glauque –
Of a legendary oak;
Where the woods get ever dimmer,
Where the Phantom Orchids glimmer –
Esmeralda, immer, immer.
*
Versi scritti nell’Oregon
Esmeralda, adesso sostiamo
qui, nei fatati e benedetti
alpestri boschi dell’Ovest.
Qui persino l’aria è inesplorata.
Fanciulla, anacoreta e sentinella
narrano il sogno e le insidie della foresta.
Pensavo che fossi morta!
(Dicevano in un loculo;
torturata, strangolata), e invece…
dalla favola cobalto pennuti pervinca,
orso e lepre di nero ammantati,
sulla tavola del picnic la Saturnia.
Assiepati segnali stradali sussurrano
del Lago Merlin, di Castle Creek,
e del Picco soppresso.
Riconosci quel trifoglio?
Tarassaco, l’or du pauvre?
(Ciononostante l’Europa è in rovina)
Sulle distese erbose, lungo ciò che è arso
ascendono roteando gigli latini
su gotiche conifere e felci.
Campi di grano hanno corrotto le praterie,
ma queste voragini arridono! E ancora
le fate popolano il bosco.
E resto immobile, lì dove presi coscienza,
dentro l’ombra della marea – l’ombre glauque –
di una quercia memorabile;
dove le foreste svaniscono,
dove baluginano orchidee innevate…
O Esmeralda, sempre, per sempre.
Citazione dal Romanzo Lolita
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta”.
Vladimir Nabokov
Sarah Talita Silvestri (Palermo 1982) vive a Bra, in provincia di Cuneo.È laureata in Archeologia e Storia antica presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa di numismatica antica e collabora con associazioni culturali e musei; è docente presso la Scuola Secondaria.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Marian Drăghici-“Illimitato – De necuprins” Giuliano Ladolfi editore
Nota di Sonia Elvirenau, traduzione di Giuliano Ladolfi-
Rivista Atelier
Descrizione del libro di Marian Drăghici si distingue nella lirica contemporanea per l’audace tentativo di scrivere il “Libro della sua vita”, sempre rivisto, levigato, per cogliere nel poema l’illuminazione, come Brâncuși, il volo dell’uccello nelle sue sculture, seguendo così l’esortazione di Stéphane Mallarmé: «Vincere significherebbe comporre, finalmente, l’Opera, il Libro – l’unico –, trionfare, quindi, sulle fatalità e le leggi del mondo, su tutto ciò che il pensiero non può sottomettere al suo impero, sul Destino». [Lettera a Verlaine (1885), citata da J. Royère nel suo libro Mallarmé]
Nel 2022 è apparsa in Italia la sua raccolta bilingue italo-romena illimitato/ de necuprins, tradotta dal poeta, critico e traduttore Giuliano Ladolfi in un’armoniosa composizione poetica che comprende la maggior parte delle poesie della raccolta leggero, lentamente (2013), un minimo di versi del volume păhăruțul (2019), poesie nuove, pubblicate su riviste e inedite. Eccellente critico letterario, Giuliano Ladolfi intuisce nella creazione di Marian Drăghici una radicale trasformazione della sua coscienza attraverso l’arte e il suo dramma esistenziale, accogliendo il libro come «testimonianza di una graduale “metanoia”».
La struttura del libro rivela il percorso seguito dal poeta, dal sacro estetico al religioso, dall’amore per la poesia all’amore per Dio, dall’intuizione della presenza divina nell’uomo all’attivazione dell’archetipo della divinità nella mente e nel cuore, dalla poesia che salverà il mondo alla fede che salverà l’uomo attraverso la sua rinascita nello spirito, nella divinità, nel cammino ascetico da uomo a santo.
La poesia e l’amore sono per Marian Drăghici forme per sperimentare l’illuminazione, passi verso la “metanoia” annunciata dal titolo stesso della precedente raccolta, luce, lentamente. L’esperienza esicasta, per mezzo della grazia acquisita con la preghiera, sulle orme dei Santi Padri, della tranquillità interiore attraverso la comunione con Cristo, è testimoniata nella poesia Il gatto faustiano, un racconto invernale incompiuto.
La raccolta illimitato/ de necuprins si apre con la poesia, che richiama le parole del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio». Il poeta cerca la parola illuminata attraverso la quale si rivela la divinità, la traccia del “seme degli angeli” nell’uomo, il legame con Dio.
Tutta la sua esistenza poetica è giustificata dalla ricerca incessante dello «sfolgorio di Dio» nell’uomo. Poiché la grazia poetica è di essenza divina, il poeta assume questo dono come una sorta di apostolato, rivelando fin dall’inizio il suo percorso spirituale verso la scoperta della divinità e il legame con il sacro religioso:
Ora, questo libro è il luogo illimitato/indefinito
dove l’angelo entra nell’uomo, per suonare l’armonica rossa,
quando ancora lo stava visitando.
Più precisamente, una fotografia sfocata, una mappa imperfetta di questo luogo.
«Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro…».
Logicamente, la traccia rimasta in quel luogo battuto dall’uomo,
dopo la partenza intempestiva dell’angelo,
è la poesia.
Il mio lavoro di una vita: fare la fotografia, la grande fotografia –
In realtà, preservare un bagliore di angelità
prima che si cancelli completamente dalla memoria di questo luogo
la traccia del guizzo di Dio nell’uomo.
(All’inizio)
Su questo filo si costruisce la sua nuova raccolta tra l’amore per la poesia e l’amore per Dio, fondendo in essa il dramma di se stesso, dell’essere umano. Il poeta confessa infine la sua conversione, rinunciando alla vanità mondana:
ormai, il solo premio che riceverò con gioia
(ma che possa darlo proprio a me!)
è di essere in vecchiaia pazzo per Cristo
come ero in gioventù pazzo per la poesia».
(prezzo)
Marian Drăghici trasforma la sua poesia in una forma di conoscenza ontica e metafisica, giustificando così la sua esistenza di poeta. Dal rifiuto della parola di posarsi sulla pagina bianca alla vertigine delle sue visioni, le parole scorrono in poesia sulla poesia, l’amore, la sofferenza, la morte, la divinità, la rinascita, nel gioco raffinato dell’immaginario poetico passato attraverso sottili stratificazioni esistenziali e libresche. Si aprono così finestre successive sulle profondità non illuminate della conoscenza, sulle molteplici iniziazioni acquisite dal poeta attraverso la sperimentazione e la lettura.
La lucida confessione conserva l’essenza delle sue esperienze drammatiche: il male terrificante proiettato dal subconscio nell’onirico, la morte della giovane moglie dopo atroci sofferenze, la solitudine, la desolazione dell’anima, l’alcolismo, la messa in discussione della divinità, la scoperta del senso della sofferenza, l’invocazione della divinità, l’aspirazione ad accedere alla Gerusalemme celeste, la conversione.
Il poeta sopravvive alle molteplici forme di morte credendo nell’arte e nella divinità. La memoria affettiva si intreccia con la memoria culturale, substrato leggero della lirica di Marian Drăghici, formata spiritualmente alla fonte della grande letteratura universale e romena. Le sue letture si irradiano nel palinsesto del testo poetico. I riferimenti letterari, mitologici, religiosi, pittorici, psicanalitici sono precisi, diluiti o fusi nel testo. L’autenticità della vita, dell’esperienza personale, prevale nelle sue poesie, la cui espressione si diversifica metaforicamente e visionariamente.
Il lettore è contemporaneamente invitato a scoprire la complessità di una poesia in cui l’orizzonte si estende dall’interiorità del poeta all’esteriorità sociale, dalla realtà fisica a quella metafisica, dall’esperienza individuale a quella collettiva, dal conscio all’inconscio. Un poema elegiaco, mistico, salmico, ermetico, di strana bellezza, con un evidente taglio sarcastico quando si parla di sociale.
Il poeta scrive una vita all’interno delle stesse ossessioni, racchiudendosi nel suo mito personale. La sua poesia gravita a spirale intorno a un nucleo orfico, in variazioni di motivi ricorrenti. Apparentemente, la lirica di Marian Drăghici si chiude sulla sua esperienza, in una ripresa dei nuclei tematici, con un doppio ruolo. Da un lato, crea un modo specifico di lavorare in poesia, assunto con lucidità; dall’altro, permette di sfumare, aprendosi a una sfera più ampia di conoscenza e autoconsapevolezza: dal sé all’altro, dal profano al sacro, dal reale al metafisico.
Le metafore ricorrenti, che rivelano le sue ossessioni, operano all’interno delle poesie come un segno poetico riconoscibile, come la firma di un pittore su un quadro. Si riconosce così il poeta nelle varianti delle sue opere e contemporaneamente si ha la strana sensazione di conoscere la sua poesia ma di non averla decifrata, di essere ancora un enigma, di trovarsi di nuovo, come al primo contatto con la sua poesia, nello stesso stadio iniziatico. I versi non hanno perso la loro freschezza, come se il vecchio si rigenerasse incessantemente assorbito in una nuova forma. È come trovarsi di fronte a una casa con due ingressi, uno ti porta in uno spazio familiare, l’altro ti porta fuori da esso, in una zona crepuscolare in cui non riconosci più le cose.
Il nucleo della creazione di Marian Drăghici è orfico, generato dalla morte della giovane e amata moglie dopo una lunga sofferenza. Sono le poesie d’amore più belle e autentiche, che sublimano il sentimento e possono sempre stare accanto a quelle della lirica universale:
forse esiste
qualcosa di più reale del nulla, signor Beckett,
l’amore di una donna che non esiste più
(la morte non ci ha separati né l’oblio)
e che improvvisamente ti viene voglia di rivedere a tal punto che
vorresti lasciare la terra
vorresti lasciare la terra
ma non è ancora il momento.
basta dire che presto forse rivedrò il tuo volto, mia amata,
come tante volte ho guardato la morte in faccia
o probabilmente di profilo
nei giorni tumultuosi della rivolta vagando per le strade
nella speranza di ritrovarti,
sì, ti troverò
da qualche parte lontano la sera dopo la morte
vicino a un piccolo fuoco di ramoscelli presso la sorgente,
assolutamente al sicuro dagli uomini,
assolutamente al sicuro dalle belve
al solo luccichio delle stelle del cielo e nei tuoi movimenti
con la grazia della nudità originaria
(qualcosa di più reale del nulla).
Il poeta reprime il suo dolore, rivelando il vuoto dell’anima causato dall’assenza dell’amata, rappresentata figurativamente da un albero che continua a crescere dal suo cuore verso il cielo, una scala verso l’Aldilà:
senza amore sono veramente capace
di far crescere in me l’assenza
un lussureggiante albero, soffice, fino al cielo.
– come dal cuore dei morti?
– come dal cuore dei morti! Lassù,
sul ramo dell’apice ti culli nuda
tra le tue braccia l’uovo primordiale appena deposto
dall’uccello di Char, spirituale.
(ramo inclinato sul mare)
Lo shock della morte è così intenso che la voce del poeta tace per un po’, sostituita dalla voce stellare e dalla luminosa evanescenza dell’amata. Quando poi la ritrova, l’ispirazione, il tono lirico, la struttura, il linguaggio e l’atteggiamento cambiano. Da elegiaco, il poeta diventa parodia, ironia, sarcasmo, anche nelle poesie incentrate sull’atto della creazione poetica, sui metapoemi, sulla vera arte poetica.
La poesia autentica, infatti, è di natura sacra, la scrittura non è che una trascrizione imperfetta della poesia nascosta, invisibile, rivelata in sogno, un’arte povera nella concezione del poeta. Da qui lo stato di veglia per cogliere il momento di grazia e l’incapacità di creare la poesia sognata in uno spasmo letale. Ogni poesia scritta è percepita come una morte simbolica per la sopravvivenza della parola che dovrebbe essere illuminazione e salvezza.
L’esperienza della morte nelle sue molteplici forme (malattia, sofferenza, morte, guerra, alcool) è il filone su cui si costruisce la poesia di Marian Drăghici e giustifica la sua solitudine e la sensazione di esilio permanente, il suo vivere “con gli esiliati e i morti”. Ma il brivido tanatologico è superato dalla rinascita in una nuova luce, dalla graduale rivelazione di Dio non solo come ispirazione poetica, amore per l’altro (la moglie), ma soprattutto come esperienza religiosa: ” è tempo di avere un cristallo nel pensiero – / è così che io vedo Cristo – / un’assenza piena di lacrime / che non cadono a terra. // è tempo di avere un cristallo nel cuore – / è così che io sento Gesù – / un’assenza piena di lacrime / che salgono in alto” (luce, dolcemente, ultima variante).
Per Jung, la scoperta di Dio equivale alla riattivazione della funzione religiosa che esiste come archetipo nell’uomo, quindi alla connessione con il divino, alla riscoperta dell’angelo nell’essere umano. Il percorso di sopravvivenza del poeta è quello spirituale invocato nella poesia Gerusalemme, un percorso drammatico, perché passa attraverso la morte, la rivolta, l’incomprensione, l’interrogazione, la decadenza, la ricerca, l’esperienza mistica per la resurrezione nello spirito santo, l’esperienza esicasta, la comunione con la Divinità. Dal bambino affascinato dal cielo riflesso nell’acqua dello stagno, all’adolescente terrorizzato da uno spirito maligno, al fumatore malinconico e solitario, dall’ Harrum solitario e alienato al poeta oltraggiato dal declino della società, dallo scriba mortificato dall’impotenza al mistico illuminato, c’è il cammino dell’ascesa spirituale, del graduale avvicinamento a Dio, della rinascita attraverso la fede autentica. La tragedia dell’esistenza umana viene superata dalla rinascita nello spirito, grazie alla grazia acquisita con la preghiera costante, realizzando così la “metanoia” del poeta. L’edizione bilingue illimitato/ denecumpris rappresenta il risultato più elevato della lirica di Marian Drăghici, la traduzione nella lingua di Dante la impone nel circuito universale. Il testo in lingua rumena è pubblicato sul sito della rivista letteraria «Apostrof» https://www.revista-apostrof.ro/arhiva/an2023/n3/a13/
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Poesie di Giulia Fuso–Poesie inedite pubblicate dalla Rivista Atelier-
Giulia Fuso ha pubblicato le raccolte poetiche “E dentro luccica” (Miraggi Edizioni, 2016), “Tu non dismetti mai le cose” (Eretica Edizioni, 2018) e “Le rimanenze” (Interno Libri, 2021).
Ricordo l’odore del tuo collo
appena ti ho visto con il naso
ha affittato un piccolo piatto mansardato
nella mia bocca chiusa
joli petit plat
descrivo un suono con il colore che è
che sarebbe, se fosse vincolabile
paragonabile a qualsiasi forma di vita
descritta con aggettivi omologanti
studiati alle scuole primarie
è quindi un suono blu
l’odore del tuo collo
una bacchetta magra di peli
fradicia di sudore e cibo,
la cosa più amata da me
se cosa fosse.
*
Ci vuole un altro volto
essere pesci pacati mio incostante rifugio atomico
per far passare il tempo,
il tempo che fa marachelle
fuori dal mio ombelico
le lucertole dicono sì,
con la testa cotta.
*
Metto i piedi al sole per far festa
per far la festa ai passi, alla strada
che l’unica via aperta è una parola
non stringo che reflusso postprandiale
quando ricordo l’alfabeto emozionale
e collego a ad amore, b a balneare t a tram delle diciotto con la morte sotto;
sarò crosta, peduncolo mortale.
Breve biografia –Giulia Fuso ha pubblicato le raccolte poetiche “E dentro luccica” (Miraggi Edizioni, 2016), “Tu non dismetti mai le cose” (Eretica Edizioni, 2018) e “Le rimanenze” (Interno Libri, 2021).
La rivista «Atelier»ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
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Arianna Vartolo – Poesie dalla raccolta inedita “Derma”
-Rivista Atelier-
Breve biografia diArianna Vartolo è nata nel 1998 a Roma, dove vive. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia – della cui redazione fa inoltre parte dal 2021. Alcuni suoi inediti e lavori sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso (nella cui redazione fa ingresso a marzo del 2022), nonché su La bottega della Poesia del quotidiano La Repubblica – Roma. Nel 2021 è rientrata tra i finalisti del Premio di Poesia Città di Borgomanero – Achille Marazza e del XXII Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano”.
È il corpo stesso quando saturo di liquidi
a lasciarsi scivolare addosso
quelli nuovi ricevuti dall’esterno.
Come fosse cosparso di unguenti e invece
sono gli intenti purificatori a farsi resistenti
all’acqua che scende sull’osso dello sterno.
La pelle si rende superficie d’eccezione
per quel bisogno che parla secondo obbligo espresso:
sembra quasi equazione di tensioni e rilasci
l’andare dritto della goccia – senza mai
deviare – nell’incavo liscio tra inguine e coscia.
Il toccare lo stato ultimo di compromesso
cui ogni forma esatta è chiamata ad arrivare.
*
A volte il cibo ti sembra avere
lo stesso sapore dello sperma; il che – pensi
conferma il tuo credo del durare
del seme, del tempo al culmine delle cose.
L’alimento che passa
e bussa sulla lingua a reclamare
la propria forma di stato eterno. Intanto è giorno
e tu rimani con le gambe poggiate alla ringhiera
di quell’unico spazio esterno
che riesci al momento ad abitare.
Continui a masticare in un impasto
denso di sensi di resti di semi rimasti tra i denti
che cerchi in ogni modo di levare. Basterebbe lavarli lavare
ciò che si ancora vicino all’angolo del mento.
Ciò che resiste sulla parte della bocca
che la tua mano ancora tocca a memoria.
*
Ho sognato dei passi – già li conoscevo:
il suono mi diceva
di chi sarebbe rimasto; lo sapevo bene.
Qui a destra. Ecco
cosa stringevi in mano.
*
Continuano a sanguinarti le gengive eppure
– ti dici – eppure io uso
Parodontax come dentifricio. Riporta
la confezione aiuta la prevenzione del suddetto deflusso eppure
– ti dici – eppure ancora non si arresta.
Intanto in testa ti torna Kynodontas il film di Lanthimos che tanto hai amato nel duemilasedici:
c’era una persona a te accanto, ne registravi ogni forma gesto
postura. Era curare con l’attenzione: non timore
della perdita ma bisogno di quel che dura.
Continui a sfregare ai lati e sputi
saliva e sangue sul bianco smaltato del lavabo; lo sai [non si dovrebbe
ritrarre la mucosa boccale a lasciare
scoperti i processi alveolari dei mascellari,
la radice il nervo i vasi. Giusto il dente rimane
souvenir di occasionale nostalgia:
di un ricordo lasciato
esposto / al rosso dell’emorragia.
*
La fine di giornata: è la luce che rimane
sulla tovaglia usata.
Breve biografia diArianna Vartoloè nata nel 1998 a Roma, dove vive. L’aiuto a non morire (Cultura e Dintorni Editore, 2019) è la sua opera prima in versi. Compare nell’antologia Abitare la parola: poeti nati negli anni Novanta per Giuliano Ladolfi Editore (2019). Di lei è stato scritto, tra gli altri, su ClanDestino, Pangea, Laboratori Poesia – della cui redazione fa inoltre parte dal 2021. Alcuni suoi inediti e lavori sono apparsi su riviste cartacee e online tra cui Atelier e Inverso (nella cui redazione fa ingresso a marzo del 2022), nonché su La bottega della Poesia del quotidiano La Repubblica – Roma. Nel 2021 è rientrata tra i finalisti del Premio di Poesia Città di Borgomanero – Achille Marazza e del XXII Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano”.
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
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Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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Giovanna Frene – Poesie dal poemetto inedito “DIPLOPIA 9 AGOSTO 378 d.C.”
Rivista Atelier
XVII.
del tutto immobili nella loro sete da ore
i soldati romani vennero investiti
dal fumo dei tanti piccoli incendi appiccati dai nemici
come presagio del loro destino
XVIII.
proprio quando per la vicinanza del buio
tutti erano convinti che la cavalcata del conte Ricomene
avrebbe perlomeno rinviato la battaglia,
furono i cavalieri della guardia del reggimento degli Scutari
a provocare lo schieramento dei Goti
a non resistere al consueto richiamo
del sangue
XIX.
fu mentre i due schieramenti cozzavano come navi rastremate
a squassare l’armonico fluttuare dell’onda oplitica
che a uno sguardo più ravvicinato avrebbe rivelato
i volti terrorizzati dei soldati romani morti sul posto
piombò come un fulmine su montagne altissime
la cavalleria dei Goti con un contingente di Alani
che sfracellò l’ala sinistra dei cavalieri romani,
quella parte sempre invincibiledella storia
XX.
una battaglia iniziata quasi casualmente, infine oscurò la luce
con la polvere delle terribili urla
del blocco compatto di carne in agonia
paralizzato dalla sua stessa unione
assieme alla schiuma dei cavalli
fino a ricoprire l’intera orbitaterrestre
XXI.
i fanti romani sfiniti combattevano su i cadaveri dei loro compagni
scivolando continuamente sul terreno
completamente cosparso di sangue
vendevano cara la pelle
al miglior offerente
___
Nota. Le stanze I-XVI del poemetto sono uscite ne “L’ULISSE”, ‘Metamorfosi dell’antico’, n. 23, novembre 2020, con il titolo provvisorio di Antichità romane. Il poemetto completo è stato scritto nell’estate 2020.
Le vicende del triennio di scontri tra l’imperatore d’Oriente Valente e il capo dei Goti Fritigerno, che ebbero come esito finale la sconfitta romana nella battaglia nei pressi di Adrianopoli (9 agosto 378 d.C.), sono narrate da Ammiano Marcellino (330-400 d.C.) nel XXXI libro delle Res Gestae; il loro racconto viene ripreso e commentato da Alessandro Barbero nel libro 9 agosto 378. Il giorno dei Barbari. La citazione da Frank Bidart si riferisce alla battaglia di Teutoburgo.
Breve Biografia di Giovanna Frene (Asolo, dicembre 1968), poeta e studiosa, è stata scoperta da Andrea Zanzotto. Tra gli ultimi libri di poesia: Sara Laughs, D’If 2007; Il noto, il nuovo, Transeuropa 2011; Tecnica di sopravvivenza per l’Occidente che affonda, Arcipelago Itaca 2015; Datità, (1a ed. Manni 2001), postfazione di A. Zanzotto, Arcipelago Itaca 2018. È inclusa in varie antologie, tra cui: Grand Tour. Reisen durch die junge Lyrik Europas, Hanser 2019; Nuovi Poeti italiani 6, Einaudi 2012; Poeti degli Anni Zero, Ponte Sisto 2011; New Italian Writing, “Chicago Review”, 56:1, Spring 2011; Parola Plurale, Sossella 2005. Come critica militante, co-dirige la rivista on line “Inverso. Giornale di poesia” e collabora con varie riviste, tra cui “Semicerchio” (cartacea) “Antinomie” (on line) e “Ibridamenti” (on line). È Dottore di ricerca in Storia della lingua, e ha pubblicato saggi e recensioni sul Settecento (Metastasio) e sul Novecento in volumi e riviste accademici. Dal gennaio 2023 insegnerà scrittura poetica nella ‘Bottega di Narrazione’ di Giulio Mozzi. Vive a Pieve del Grappa (TV), o altrove.
Rivista ATELIER
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