Foto Castelnuovo di Farfa
Kathleen O’Meara POESIA :”E la gente rimase a casa”
Castelnuovo di Farfa- Il Murales della Memoria di Franco Leggeri-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Castelnuovo di Farfa- Il Murales della Memoria- di Franco Leggeri
Castelnuovo di Farfa- 6 dicembre 2021-Un vecchio proverbio castelnuovese dice testualmente: “’U giornale (ora anche il web) è come u somaru, quillu che jhi carichi porta…”. Assistiamo , leggiamo, a Castelnuovo a “Lezioni di Memoria e Appartenenza”. Grande lezione impartita a noi “vecchi ignoranti castelnuovesi” che, appunto, di Storia castelnuovese , non avendola vissuta, abbiamo un “disperato” bisogno di abbeverarci alla fonte “Ornischi” o “Bollica”. Noi vecchi castelnuovesi stiamo apprendendo cosa significa essere ignoranti. Se ben ricordo , in teoria, l’ignorante è chi dice <non so>, ma in realtà , a mio avviso, dopo aver letto vari articoli relativi alla “Memoria e Appartenenza” credo che, in verità oggi, a Castelnuovo è colui che <non sa e non conosce la Storia castelnuovese > ma la vuole spiegare ed illustrare ai protagonisti cioè a noi VERI CASTELNUOVESI. Il proverbio castelnuovese citato all’inizio è vero:” L’ignoranza della Storia castelnuovese? Grazie al web è diventata “saccenza”.A Castelnuovo assistiamo, in fatto di Storia ,a una sorta di: “liberi tutti”… di sparare idiozie storiche che sono così eclatanti nella “semplicistica e ingenua” ricostruzione nella fase cronologica, date, e nei personaggi . Mnemosune (memoria) ) la madre di tutte le Muse, i greci la identificavano con la capacità di tenere a mente, rammentare, quindi con un’abilità della ragione, della testa, in prima istanza. Il “potere” castelnuovese è complice di questo “ANNO ZERO” della “nuova storia castelnuovese”.Noi castelnuovesi quello che abbiamo vissuto, è entrato in circolo nel nostro sangue, è parte di noi.Noi vecchi castelnuovesi , allontanati e isolati dal “potere arrogante dell’ignoranza” che nome dobbiamo dare a chi offende la nostra intelligenza? Qual è il nome corrispondente? Rabbia? O piuttosto delusione, sconforto, fastidio? A Castelnuovo l’ignoranza della vera storia castelnuovese è alla base della situazione attuale. L’inflazione d’informazione, in continua crescita ed evoluzione, fa perdere il senso di continuità del tempo, il valore della memoria, in un perpetuo “attimo presente” che cancella percorsi storici lenti, difficili, conquistati a fatica, tra passi in avanti e dolorosi ritorni al passato.Questa “ dittatura dell’informazione castelnuovese” è la causa dell’indifferenza con cui si accettano decisioni che hanno e avranno conseguenze pesanti per la società e la democrazia del nostro amato Castelnuovo.È pericoloso per il “potere castelnuove”che la gente abbia conoscenza, anzi coscienza, dei fatti storici che, in bene e in male, sono all’origine della situazione attuale. Noi castelnuovesi, quelli dell’Orgoglio castelnuovese, dobbiamo aver presente che la memoria storica non è “automatica”, deve essere tenuta viva, non “mummificata” e resa “sterile” , attualizzata , cosa ben diversa “dal racconto diverso”. La Storia , la nostra storia castelnuovese, viene “messa a tacere” per, a mio avviso, non dare ai giovani la capacità di analisi, critica, denuncia , discussione del presente alla luce del passato al fine di non far conoscere i “percorsi” in cui si sono perse conquiste e spesso anche i valori. La VERA storia di Castelnuovo ci permette, a noi tutti , di crearci una coscienza critica indispensabile per comprendere il tempo di oggi e per intervenire nella società castelnuovese con libertà, obiettività, apertura, forza intellettuale e morale. Ripeto da anni che sono pronto per un pubblico dibattito con le autorità e gli “storici castelnuovesi”.
Castelnuovo e i colori della rabbia.
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
ogni giorno, ogni ora ci porgono
sul piatto della negazione.
Franco Leggeri, Castelnuovese.
Franco Leggeri Fotoreportage e Poesie dalla raccolta Murales Castelnuovesi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
FRANCO LEGGERI Fotoreportage e Poesie dalla raccolta Murales Castelnuovesi
Castelnuovo, i colori e l’ideologia.
Questa mattina i colori di Castelnuovo
si disperdono come stelle filanti.
Colori profumati, impercettibili, e nascosti
tra il linguaggio degli ulivi.
E’ questa una mia visione interiorizzata,
ma sempre in cerca di un approdo sicuro.
Si, Castelnuovo non può essere un racconto sommario
ma, come le sequenze chimiche , deve espandersi
in una litania nell’immenso cielo.
Castelnuovo diventa una litania senza amen,
e senza consistenza, un oggetto fantasma
all’interno di una storia inaccessibile
che si frantuma come stelle filanti
nell’intimità di esperienze sofferte e malate
che diventano , esse stesse, oggetti appesi alle pareti del mio io.
Castelnuovo mi tenta ancora al peccato dell’illuminismo,
e così l’ideologia diventa il mio luogo del “niente”,
l’elemento misterioso di una poesia forgiata con i colori della pietra.
Colori castelnuovesi e tristezza ideologica
che sono come i dubbi di Amleto
in cerca di Ofelia che disperde, così tremante, i colori
della sua fragile innocenza.
Piange Castelnuovo in cerca dei colori,
sepolti trai vecchi tronchi deposti a terra ,
terra scura come i sogni svaniti all’alba
di questa poesia, ora diventata logora e affaticata
mentre rincorre il colore di questo giorno
sempre uguale agli altri.
Castelnuovo, Apartheid
Se l’odio non è mai neutro, perché nessuno lo combatte?
Sono un rifugiato tra le braccia della Dea Sabina
al sicuro , finalmente, a casa.
Ascolterò il Requiem , canto meraviglioso ,
nella tarda sera prigioniero
in questa assurda storia
e mi chiederò, sempre, se sarò capace di descrivere
la cantata tragica sugli orrori
prodotti dai falsi puritani castelnuovesi
distruttori e violentatori di sogni
e di bellezze acerbe, ma pronte alla primavera.
Questa tenera memoria, dolce e distratta
come la crema sulla torta che si disperde assieme al profumo della sera
che prega la luna e le stelle
e guarda oltre quel muro,
oltre quell’odio,
oltre la nera ignoranza .
Perché andare via da Castelnuovo?
Perché fuggire e difendersi dal razzismo?
Perché cercare un rifugio oltre i muri di cemento ?
Perché Castelnuovo produce solo odio ?
Slegare la storia, sconfiggere la tenebra
per riscrivere la bellezza della Gente castelnuovese
disegnata sul panno rosso e blù della memoria.
E’ questa l’ora di esiliare e disperdere i frammenti dell’orrore
nascosti nei rammendi delle bisacce aride
appese alla torre dell’orologio.
Castelnuovo e i colori della rabbia
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
ogni giorno, ogni ora ci porgono
sul piatto della negazione.
Castelnuovo , Lontano dal Vento.
Fu Euripide la mia prima fuga dall’adolescenza,
mentre la neve rubava il mio sguardo
che tratteggiava la soglia ,
il confine, del mio sentimento che fu strutturato e descritto
in una liturgia che esautora le orditure ,
i simboli di struggenti antitesi.
Fu anche il blu che ,seminato nel silenzio della notte,
accese il dubbio e la paura.
Se a Castelnuovo Un piccolo soffio di vento alza le foglie che colorano di giallo i marciapiedi.
Castelnuovo ,le sue Colline.
Castelnuovo ha le colline
Come cupole coperte di ulivi
Dove l’erba si lascia cullare
Dall’alito del Farfa
Mentre nasce l’attimo di Pace
Che si abbandona al riposo dei pensieri.
L’erba, come Castelnuovo,rinasce come fosse immortale
E risorge dalla meravigliosa terra
Per donarsi alla dolcezza del giorno
Come coperta e cuscino
Dove poter sognare melodie
Che addolciscono gli anni passati
Mentre scrivo del tempo che ancora mi accompagna
Mentre sogno su questo foglio bianco.
Ricordo che Fu Euripide la mia prima fuga dall’adolescenza,
mentre la neve rubava il mio sguardo
che tratteggiava la soglia ,
il confine, del mio sentimento che fu strutturato e descritto
in una liturgia che esautorò le orditure ,
i simboli di struggenti antitesi.
Fu anche il blu che ,seminato nel silenzio della notte,
accese il dubbio e la paura.
Ora anche il vento si ripara dalla notte castelnuovese,
notte innamorata di Euripide e della luna.
Luna che trafigge il silenzio dell’anima,
dispersa tra le pietre dei giovani sogni.
Sogni che nascono cosi disadorni in questo novembre
che ha rinchiusi tra le siepi di bosso.
FRANCO LEGGERI-Poesie dalla raccolta Murales Castelnuovesi
Franco Leggeri -Scrivere o riscrivere la storia di Castelnuovo di Farfa?Biblioteca DEA SABINA
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Castelnuovo di Farfa (Rieti)-Franco Leggeri: ” Con quale inchiostro scrivere la storia di Castelnuovo?”
RIFLESSIONE di un castelnuovese:-Il primo inchiostro nacque 4500 anni fa e fu il NEROFUMO. Inchiostro , parola che proviene dal latino “encàustum” e dal greco “en-kaustòn”, qualcosa di “bruciato” al coperto. Poi, verso il 400 d.C., venne un cinese di nome Wei-Tang e ci regalo l’inchiostro di china ecc. Questa sintetica premessa per porre delle domande molto veloci e spontanee e, forse, anche ingenue : Con quale inchiostro scrivere la “Storia” ,specialmente la Storia di persone dal passato recentissimo le quali hanno “segnato” la vita di piccole comunità? Usare inchiostro di “fuliggine di carbone” come analizzato nel trattato “ De Rebus Metallicis et Mineralibus” che descrive l’inchiostro come il “VETRIOLE VERDE”? Utilizzare l’aceto come legante? Oppure utilizzare additivi come lo zucchero e miele per dare “brillantezza” all’inchiostro?
La Storia, e quindi i suoi personaggi, non può essere “riscritta”, a mio modesto avviso, da “scrittori estranei” al contesto e alla Storia medesima. La Storia , specialmente quella delle piccolissime comunità , è molto spesso “SCRITTA CON IL SANGUE” che come “diluente” utilizza le “LACRIME” .
Uno scrittore , in questo caso uno storico, prima di intingere il “PENNINO METALLICO” ed iniziare a scrivere deve ricordare che il manoscritto e una Xilografia che tutti possono vedere e commentare . Se la Xilografia non coincide con i segni , quelli incisi sulla pelle delle PERSONE, è un clamoroso falso storico che offende l’ONORE di chi non può rispondere . Quando scrivo non “può rispondere” mi riferisco ai morti , alle persone che non hanno la forza di reagine , mi riferisco ai deboli e a quelli che hanno vissuto una vita “ANONIMA” , a tutte quelle Persone VESSATE e che hanno sofferto e vissuto con una grande DIGNITA’ , da non “FAMOSI”, la storia , quella vera, del nostro amato Castelnuovo.
Franco Leggeri,castelnuovese.
Paolo Genovesi Fotoreportage Castelnuovo di Farfa Palazzo Salustri-Galli
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Paolo Genovesi, Fotoreportage :Palazzo e giardini Salustri-Galli (XVI secolo) a Castelnuovo di Farfa (RI)
Il Palazzo Salustri-Galli appartiene all’omonima famiglia che per diversi secoli ha amministrato le terre di proprietà dell’abbazia benedettina di Farfa, comprese tra il torrente Farfa, il Fabaris di Ovidio, e il piccolo Riana.
Rappresenta l’elemento chiave tra il paese e il paesaggio, tra la cultura dell’olio e la coltura dell’olivo, che caratterizza tutto il Mediterraneo. L’edificio si compone di nuclei diversi, edificati probabilmente a partire dal XVI secolo, ma l’intervento più consistente è databile alla metà del ‘700. In quegli anni, inoltre, furono decorati gli ambienti interni con affreschi di grande pregio artistico. Tra le numerose decorazioni compaiono, oltre a vedute dei palazzi di famiglia, anche eleganti ritratti di aristocratici, carrozze paludate, popolani e passanti ritratti con vivace naturalezza; nelle sopra porte, sicuramente sono da ammirare si trovano i così detti “capricci”, una combinazione di elementi architettonici o naturali non presenti nella realtà, composta in modo del tutto immaginario. Bellissimi sono anche i giardini all’italiana all’interno della proprietà.
Castelnuovo di Farfa – la riva sinistra del Farfa
Biblioteca DEA SABINA-
MURALES CASTELNUOVESI
Brano tratto dal libro di Franco Leggeri
“Castelnuovo , la riva sinistra del Farfa”
………..Al termine della salita che porta dalla campagna al borgo di Castelnuovo , si trova un vecchio edificio ricoperto di edera, muschi e arbusti vari che crescono sul muro , ma vi è anche l’immancabile pianta di fico. All’interno delle vecchie mura , frammenti di mura, cresce spontaneo un giardino incolto che alimenta la fantasia di architetture fantastiche , scenografia di storie medievali in quel che resta del manufatto. Eppure questo rudere assume, nella fantasia del visitatore attento e non superficiale, una valenza magica ch’è l’unione tra realtà e immaginario letterario. Chissà se il rudere la sera si veste di colori bluastri, scala del “bleu gotico” l’ora amica dei fotografi e dei pittori, oppure ha lo stesso colore del vecchio insediativo storico racchiuso nelle mura di cinta costruite in pietrame a difesa dell’antico borgo di Castelnuovo. Rudere che potrebbe essere un eremo solitario posto ai confini del mondo, ma anche luogo dove si consuma da secoli l’instancabile opera dell’uomo per conquistare e domare la natura del colle dove sorge il Borgo di Castelnuovo di Farfa………….
dal libro di Franco Leggeri-“Castelnuovo, la riva sinistra del Farfa”
Castelnuovo di Farfa- Una vita ai margini, oltre la linea livida-
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Castelnuovo – Una vita ai margini, oltre la linea livida-
-Brano da MURALES CASTELNUVESI di Franco Leggeri-
Castelnuovo di Farfa- 28 novembre 2022–Castelnuovo è oramai un Borgo che non ha più memoria delle proprie origini e dei propri figli. La memoria è fondamentale per la vita e per il futuro stesso delle Comunità. La memoria non può essere tramandata solo nelle lapidi e nei simboli ma anche , e soprattutto, scrivendo e raccontando quei fatti storici e accadimenti locali ,anche se pur minimi rispetto a quelli nazionali, ma che sono per le piccole Comunità il fondamento su cui costruire un sereno avvenire e “L’ORGOGLIO” dell’Appartenenza. Quell’ORGOGLIO che noi, Veri Castelnuovesi, abbiamo nel SANGUE e che ci distingue dai “PATACCARI” . Questi , infatti, invano lo cercano ma “NON” lo trovano e il perché è semplicissimo: loro, i pataccari, NON SONO CASTELNUVESI .Oramai vedo Castelnuovo così “smarrito” e fermo nella nebbia dov’è stato trascinato da persone che cercano, ahimè, di riscrivere, con grande ignoranza dei fatti e degli accadimenti avvenuti , una “ storia bugiarda e infetta” ma così apprezzata e gradita al “PADRONE ”. Da Vero Castelnuovese ,anche se vivo oltre la linea livida, non posso più tacere e non scrivere del danno che quest’opera di demolizione della nostra MEMORIA sta provocando sulle giovani generazioni. Scrivere, sì scrivere, affinché i giovani castelnuovesi non diventino facili prede e vittime di questi cantastorie così “appecoronati “ al “PADRONE”.Sulla storia di Castelnuovo, a mio avviso, circolano solo notizie frutto di lunghe meditazioni davanti a bicchieri di vino e, quindi, si scrivono racconti e storie partorite alla “luce bassa di cantina”. Notizie affidate al web che arrivano ai Castelnuovesi in confezione così “codino” e rese “ammiccanti” con l’uso di un lessico da “chierichetto furbetto”. Notizie scritte da “pescivendoli” e contrabbandate sull’agorà di Castelnuovo per “fresche fregnacce di giornata”… Perché, secondo gli Ascari di regime, i Castelnuovesi sono di bocca buona…gran bevitori dell’ACQUATICO… e, come dice il “PADRONE”, sono di ”Memoria Corta”. Non riesco a definire e classificare questo fenomeno della “cancel culture” che a noi,Veri Castelnuovesi, suscita indignazione e grida vendetta nei confronti dei “nostri” Antenati . Credo che sia stato l’inglese Lowental a studiare , tra gli altri, l’affermarsi del sentimento della “nostalgia del passato”. Ho cercato, tentato, di verificare se questa dimensione si potesse attivare anche per Castelnuovo. Ho analizzato questo sentimento (ma è un sentimento?) ora forte più che mai di quanto lo fosse negli anni andati. Credo che questa “nostalgia” sia dovuta, forse, alla mia età. Molto spesso mi accade di voler celebrare una irrecuperabile stagione “d’oro” anche se lontana nel tempo, ma ancora viva nella mia memoria. Se avessi il talento di rivolgermi alla sociologia di Marx, oppure anche a quella di Durkheim la potrei utilizzare per analizzare Castelnuovo del 2000 , un Castelnuovo così stordito e confuso dagli affabulatori e dai venditori del niente .E’ certo e dimostrato che la memoria è importante, ma molto diversa dal ricordo. Il ricordo rientra per lo più nella sfera del privato, la memoria è invece composta non solo di ricordi e affetti ma, soprattutto, essa è conoscenza . La memoria ci consente di ricordare i fatti del passato, ma sta a noi comprenderli , analizzarli e, poi, di trarne indicazioni , ed elementi per tracciare vie nuove al fine di avere un futuro di consapevolezza. La memoria è fondamentale per i giovani che vogliono analizzare, verificare ,in modo serio e autonomo, i fatti storici . La memoria deve, appunto, promuovere la conoscenza e non l’odio che viene distribuito, in quantità industriale, dai sotto-panza del “PADRONE”.
Franco Leggeri, Brano da MURALES CASTELNUOVESI.
CASTELNUOVO di FARFA -” Appartengo a un paese che non ho mai lasciato”-Brano da MURALES CASTELNUOVESI di Franco Leggeri
Biblioteca DEA SABINA
MURALES CASTELNUOVESI -” Castelnuovo, appartengo a un paese che non ho mai lasciato”.
“…….il mio Castelnuovo è nella memoria che, a volte, sconfina nella fantasia. Castelnuovo è trovare la poesia in una gabbia dorata. E’ difficile dimenticare quei vicoli, quei volti, quelle voci, quelle risa, quelle , tante, storie che vivono in quella gabbia dov’è rinchiuso Castelnuovo”.
Castelnuovo dimenticato da molti castelnuovesi ,(ancora una volta troppi).
“La mia poesia può ancora essere un richiamo? Castelnuovo dove coltivare , come in un giardino, i rumori , gli umori e il sapore delle parole mai pronunciate. Ho nascosto i volti nelle parole e le ho riposti nelle pagine dei libri. Sì, le parole che corrono nel labirinto il mio castello di Kafka . Ma, forse, è racchiuso in questa sera l’ultimo grido di questa tregua e, poi : <oltrepassare la soglia senza un permesso valido per sognare>.
Ormai sono stanco di seguire un solco ripieno di scritture per rivivere i vecchi racconti dell’appartenenza. Ora bisogna gridare “ Basta con il silenzio dei poveri” perché questa è l’ora che la poesia dica basta e il poeta smetta di grattare la rogna, mentre le luci e le ombre nutrono una terra che non è più a sostegno dei nostri piedi …….”
-Ricordare-
Rimane , per noi, l’incanto della vita,
Rimane l’odio e la violenza,
Rimane l’ingiustizia e la fame,
Rimane la dignità del silenzio ,
Rimane il ricordo dell’ultimo aprile e un cerchio di fuoco.
-Ricordare-
“Devi continuamente, tutte le mattine, a rompere il freddo del terreno rimasto per raggiungere, forse, il seme caldo e ancora vivo”.
Anche se al mattino apri le palpebre devi RICORDARE che non riuscirai a sfuggire al freddo della morte…………..”
Brano da MURALES CASTELNUOVESI di Franco Leggeri
Joan Didion: “Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”.
Joan Didion: “Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”.
In principio fu il viso – il numero, invece, è il 325. Ammetto, a volte vale la regola rabdomantica. La usava anche Iosif Brodskij, per altro. L’opera di uno scrittore è incisa nel suo volto. E quel volto. Mio dio. Occhi tratti dal bosco e conficcati in una donna in vetro – sembra uno spago di ferro, tenuta in piedi con qualche laccio, pronta a esplodere. Joan Didion sembra una formula magica – o una maledizione, è uguale – sullo squarcio delle labbra. Mi pareva bellissima – anni Sessanta, la Corvette, il New Journalism, che abita con devota ferocia, l’incontro con John Gregory Dunne, giornalista di fama, sceneggiatore di film importanti come Panico a Needle Park (1971; con Al Pacino) e L’assoluzione (1981; con Robert De Niro e Robert Duvall). Continuai a guardare le fotografie – l’esordio nel 1963, sulla scia dei trent’anni, con Run, River, poi quel libro mirabile, Slouching Towards Bethlehem, diceva di fondere la concisione di Hemingway allo sguardo di Henry James, alla basilica narrativa di George Eliot. Ora l’hanno mutata in icona. Accade così, negli States – i sopravvissuti diventano idoli. L’anno scorso, al numero 325, la consacrazione. La Library of America comincia a pubblicare la sua opera, 980 pagine, da Run, River a The White Album sotto la sigla “The 1960s & 70s”. In Italia è sommamente pubblicata da il Saggiatore; tra poco assaggeremo il suo ennesimo libro, Political Fictions – come Finzioni politiche, in origine uscito nel 2001 – che raccoglie, dal 1988 al 2000, i testi di Joan sulle elezioni (in particolare: Bill Clinton impantanato nel caso Lewinsky, George Bush, e poi Bush figlio vs. Al Gore). Mi pare bellissima, qualcosa che viene a torturarti – bisogna sempre dubitare di ciò che appare fragile perché, è facile, ti ferirà con millenaria minuzia.
*
Lo dice lei, per altro, in Why I Write (1976): “Per molti versi scrivere è il gesto di dire Io, di imporsi agli altri, di dire, ascoltami, guarda ciò che vedo, cambia idea, seguimi. È un gesto aggressivo – perfino ostile. Puoi mascherare gli aggettivi, raffinare le congiunzioni, adottare ellissi, evasioni – e accennare più che pretendere, alludere più che affermare – ma mettere parole su carta resta la tattica del bullo segreto, un’invasione, l’imposizione della legge dello scrittore nello spazio più intimo del lettore”.
*
Ma la violenza può voltarsi in pratica sadica. “Scrivo sola. Certo, commetto un atto aggressivo nei miei confronti, sono ostile a me stessa” (1978, alla “Paris Review”). Elusione ed eleganza: il moto del cobra, prima del tocco. Ostilità verso di sé: scrivere come estrarre spine. “La voce. Quella ti viene addosso. Non avevo mai sentito prima una voce narrativa simile. Equilibrio tra distanza e impegno, occhio acuto dell’osservatore, ma anche la percezione di guardare tutto dall’esterno. E poi, la congiunzione tra il materiale personale, confessato, e la storia comune. E poi, l’idea che la narrazione sia aperta, che si stia ancora svolgendo, una volta terminata la lettura. Ha aperto delle possibilità finora inaudite”, dichiara David L. Ulin, che cura l’opera di Joan Didion per la Library of America.
*
Estratta a se stessa, Joan Didion sembra incarnare la divinità della letteratura. L’efficacia della spada si misura da levigatezza e disciplina: addestramento che coincide con un destino. Non è mai facile scrivere, si scrive come si costruisce una sedia, di cui il lettore valuterà il censo. Qui si traduce una intervista a Joan Didion, a cura di Sheila Heti per “The Believer”, era il 2012. La scrittura è ciò che porti in superficie dopo un lungo inabissamento; le parole, in effetti, sono di legno. (d.b.)
***
Da bambina voleva fare l’attrice.
Vero.
D’altronde anche la scrittura è performance: interpreti un personaggio.
Non proprio. Costruisci uno spettacolo intero. Ma, è vero, la scrittura mi è sempre sembrata una sorta di performance.
Qual è la natura di questa performance?
A volte un attore interpreta un personaggio, a volte si esibisce e basta. Con la scrittura non reciti un personaggio. Lo crei. Lo doni al pubblico. Non interpreti nessuno, ostenti le tue idee. “Guardami, eccomi”: dici questo.
Ma questo “io” è stabile o instabile, che distanza c’è, intendo, tra il ruolo dello scrittore e…
…e la persona reale. Non lo so. La persona reale diventa il ruolo che hai scelto di darle.
Si esibisce per sé o per gli altri?
Per me. Ma anche, è ovvio, per chi sceglie di essere coinvolto. Voglio dire, il lettore è il pubblico.
Quanto del suo lavoro è stato creato in risposta o in collaborazione con il pubblico?
Molto. Ho creato uno spettacolo su L’anno del pensiero magico e sono rimasta sorpresa dal modo in cui il pubblico è diventato parte dello spettacolo. Penso che ciò accada anche quando si scrive.
Nel caso della scrittura è diverso, però.
Certo. Ma non riesco a immaginare di scrivere senza l’idea di un lettore. Non più di quanto un attore penserebbe di recitare in assenza di pubblico. Non esiste il vuoto, quando scrivi. Se non hai la percezione di un lettore, nuoti nel vuoto.
Quando ha iniziato a scrivere?
Da bambina. Avevo quattro o cinque anni, mia madre mi dà una grossa lavagna nera, perché mi lamentavo, mi annoiavo. “Scrivi qualcosa, poi me lo leggi”, mi disse. Avevo appena imparato a leggere. Fu un momento emozionante. Scrivere qualcosa per leggerlo!
Le piaceva leggere ciò che scriveva?
Negli anni, sì. Non sempre.
Non sempre…
Il mio primo romanzo. Non mi ha coinvolto perché, molto banalmente, non sono riuscita a fare ciò che avevo in mente. Volevo confinare la cronologia didascalica, volevo confondere i piani. Non avevo esperienza, ho seguito i suggerimenti del mio editor, e ho scritto un libro convenzionale. E questa non è una bella cosa.
Pubblicare non è facile: devi avere fiducia nel tuo pensiero, nel tuo sguardo sulla realtà.
Si impara lavorando, la fiducia. Devi essere certo di ciò che fai, anche se pare ridicolo. Il mio personale punto di fiducia credo di averlo conquistato con Prendila così. Il mio terzo libro. Mio marito mi diceva, ricordo, “Questo libro non ce la farà, non ce la farà, non ce la farà”. La pensavo come lui. Ma ce l’ho fatta. Da quel momento, ho avuto fiducia.
Perché pensavate di non farcela?
Perché era il mio terzo libro. Voglio dire: non credi immediatamente di farcela. Pensi di avere un talento stabile, che si farà ascoltare nel tempo. Se non comunichi subito con un pubblico non sai quando questo potrà accadere.
Qual è stato il primo segnale che la ha convinta di avercela fatta?
Non ricordo esattamente. Ricordo che all’improvviso si parlava del mio libro. La gente ne parlava. Era una cosa che non avevo mai sperimentato prima.
Il successo ha cambiato la sua relazione con quel libro?
Ero felice. Mi ha fatto sentire più in sintonia con quel libro. Ero molto triste mentre lo scrivevo perché era un libro difficile da scrivere per me, soltanto dopo ho realizzato quanto scriverlo mi abbia prostrato. Poi l’ho finito, e improvvisamente è come se un peso si fosse tolto dalla testa. Ero felice.
Forse è difficile trovare un libro ‘facile’ da scrivere.
Già. I libri ti portano sempre dove non vorresti andare.
Negli anni Settanta lei scrive un brillante articolo sui film di Woody Allen – tra cui “Io e Annie” e “Manhattan” – pubblicato dalla “New York Review of Books” dove la parola “relazioni” è sempre messa tra virgolette…
Non mi pareva abbastanza onesto il modo in cui Woody Allen ragionava di relazioni. Film dove gente parla delle proprie relazioni e questa è la sola cosa che capita. Per me non funzionava.
In “The White Album” lei scrive: “Sono entrata nella vita adulta dotata di un’etica essenzialmente romantica; credevo che la salvezza si trovasse negli oneri estremi, nelle vite segnate”. Riguardo a matrimonio e maternità…
Oneri estremi e vite segnate, appunto. Non parlo per esperienza vissuta, ma per ciò che ho visto. Matrimonio e maternità sono una specie di condanna – e una salvezza.
Salvezza da cosa?
Dalla solitudine, dalle estremità della solitudine.
Perché la relazione è intima o per il matrimonio in sé?
Il solo fatto di avere un’altra persona – di rispondere a un’altra persona. Per me è stato molto. Era una specie di romanzo, qualcosa che nel tempo si è rivelato grande.
Penso a “Blue Nights” e a “Verso Betlemme” e mi chiedo se si diventi davvero più frammentati, atomizzati quando si è lontani dalla propria famiglia, senza punti di riferimento.
È così. Poi, bisogna imparare a gestire le proprie rovine. Quei libri sono personali non tanto perché parlano della mia personalità o di ciò che mi è accaduto, ma perché narrano il mio smarrimento, l’incapacità di trovare un filo narrativo.
Scrivere qualcosa di frammentario anziché narrativo invoca un altro tipo di pensiero…
Un modo assolutamente diverso di pensare, sì. Di solito cerchi il tono narrativo, un orientamento. Per molti anni la ricerca della narrazione è stata il mio compito. Poi ho cambiato. Blue Nights nasce dall’idea che la narrativa non sia importante, che narrare non sia il punto fondamentale.
È questa una verità più profonda del narrare?
Così mi si è rivelata. Scrivere, per me, è sempre un modo per giungere a una comprensione che altrimenti resterebbe irraggiungibile. La scrittura ti costringe a pensare. Ti costringe a risolvere dei problemi. Niente viene a noi con facilità. Quindi, se vuoi capire cosa stai pensando devi in qualche modo elaborarlo. E per me scrivere è la sola forma di elaborazione che conosco.
Quando scrive, di solito?
Quando trovo il ritmo del libro.
Ci sono momenti in cui scrive e vorrebbe evitarlo?
Accade. Devono esserci dei momenti in cui scrivi anche se non vorresti.
Che natura ha questa evasione, questo evitare la scrittura?
Non pensare. Non penare pensando.
Se non fosse diventata una scrittrice…
Volevo diventare un oceanografo. Quando vivevo a New York e lavoravo per una rivista, la mia intenzione era diventare oceanografo. Non potevo. Mi sono informata presso la Scripps Institution of Oceanography. Mi hanno detto che mi mancavano dei corsi di scienze. Non avevo seguito quei corsi che mi avrebbero permesso di seguirne altri e di seguirne altri ancora. Quindi, ho abbandonato l’idea di diventare un oceanografo.
Le sarebbe piaciuto…
Scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua.
Fonte-Pangea • Rivista avventuriera di cultura & idee è un progetto di Associazione Culturale Pangea- Direttore editoriale: Davide Brullo.