Settembre in forma di Poesia -Biblioteca Dea Sabina

Biblioteca Dea Sabina

Settembre in forma di Poesia

Attilio Bertolucci:C’è un proverbio che dice: “Dovrebbe sempre essere settembre”. Settembre ,un mese mite, dolce, venato appena di nostalgia, di una sottile malinconia. Un mese che i poeti come Attilio Bertolucci sentono vicino al loro cuore-Poesie di :Antonia Pozzi,Attilio Bertolucci,Luigi Pirandello,Leonardo Sciascia,Hermann Hesse,Grazia Rombolini,Forough Farrokhzad, Gabriele D’Annunzio.

Attilio Bertolucci
Attilio Bertolucci

ATTILIO BERTOLUCCI, “Sirio”, 1929

SETTEMBRE

Chiaro cielo di settembre

illuminato e paziente

sugli alberi frondosi

sulle tegole rosse

fresca erba

su cui volano farfalle

come i pensieri d’amore

nei tuoi occhi

giorno che scorri

senza nostalgie

canoro giorno di settembre

che ti specchi nel mio calmo cuore.

Antonia Pozzi: la Poetessa dell’Anima
Antonia Pozzi: la Poetessa dell’Anima

 

SETTEMBRE

Boschi miei

che le nuvole del settembre

lente percorrono

mentre le prime foglie

crollano giù dai rami

e adunano umidore per i sentieri

intanto che nel cielo

gli alberi si denudano —

così come di sera

quando cadono le ombre

giù dalle cime

s’incupisce la terra

e in alto si rivelano

i disegni dei monti

e delle stelle —

miei boschi

vi è tanta pace

in questa vostra muta

rovina

che in pace ora alla mia

rovina penso

e sono come chi

stia sulla riva di un lago

e guardi miti le cose

rispecchiate dall’acqua

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello

“Settembre” di Luigi Pirandello

Le speranze se ne vanno
come rondini a fin d ’anno:
torneranno?
Nel mio cor vedovi e fidi
stanno ancora appesi i nidi
che di gridi
già sonaron brevi e gaj:
vaghe rondini, se mai
con i raj
del mio Sole tornerete,
le casucce vostre liete
troverete.

Leonardo Sciascia
Leonardo Sciascia

Pioggia di settembre, Leonardo Sciascia

Le gru rigano lente il cielo,

più avido è il grido dei corvi;

e il primo tuono rotola improvviso

tra gli scogli lividi delle nuvole,

spaurisce tra gli alberi il vento.

La pioggia avanza come nebbia,

urlante incalza il volo dei passeri.

Ora scroscia sulla vigna, tra gli ulivi;

per la rabbia dei lampi preghiere

cercano le vecchie contadine.

Ma ecco un umido sguardo azzurro

aprirsi nel chiuso volto del cielo;

lentamente si allarga fino a trovare

la strabica pupilla del sole.

Una luce radente fa nitido

Il solco dell’aratro, le siepi s’ingemmano;

tra le foglie sempre più rade

splende il grappolo niveo dei pistacchi.

Hermann Hesse
Hermann Hesse

Settembre di Hermann Hesse

Triste il giardino,
cade la fresca pioggia sui fiori
L’Estate trema
tranquillamente verso la fine.

Gocciola una dopo l’altra una foglia d’oro
giù dalla grande acacia.
L’estate sorride con stupore e nostalgia
nel sogno del Giardino morente.

S’attarda tra le rose,
Si ferma desiderosa di pace;
Lentamente chiude i suoi [grandi] occhi pesanti di stanchezza.

****************

HERMANN HESSE
HERMANN HESSE

September, Hermann Hesse

Der Garten trauert,
kühl sinkt in die Blumen der Regen.
Der Sommer schauert
still seinem Ende entgegen.

Golden tropft Blatt um Blatt
nieder vom hohen Akazienbaum.
Sommer lächelt erstaunt und matt
in den sterbenden Gartentraum.

Lange noch bei den Rosen
bleibt er stehn, seht sich nach Ruh.
Langsam tut er die großen,
müdgewordenen Augen zu.

Attilio Bertolucci

Attilio Bertolucci, E viene un tempo

E viene un tempo che la tua persona

si fa maturando più dolce, si screzia

il tuo volto di bruna come i fiori

che ami, i garofani e i gerani

dell’umida primavera di qui.

Gli anni sono passati, sull’intonaco

inverdito di muffa luce e ombra

si baciano, a quest’ora che volge,

con tale disperata tenerezza

il tempo prolungando dell’addio.

Attilio Bertolucci, E viene un tempo

Grazia Rombolini

Poesia di Grazia Rombolini

PRELUDIO D’AUTUNNO

Vetri infranti di un sogno

che riappare nel tempo

schegge di luna

scoppio nel firmamento

l’estate sta finendo in un tramonto

dentro una bolla di sapone

si riperpetua il pianto

e anche le cicale

interrompono il canto.

Il primo temporale squarcia il sereno

 

ed io corro da te senza esitare

raccolgo tutto il coraggio dell’amore

e non ho più paura di volare.

L’autunno splenderà nei suoi colori

il bosso sempreverde non perderà il suo ardore

affronteremo le battaglie più dure

legati ad un filo che non si può spezzare

saran più corti i giorni

ma le notti più intense

per coccolare il cuore.

 

Forugh Farrokhzad, Saluterò di nuovo il sole

 

Forough Farrokhzad, in persiano فروغ فرڂزاد‎ (Teheran, 5 gennaio 1934Teheran, 13 febbraio 1967), è stata una poetessa persiana.

Forugh Farrokhzad

“Ecco arriva settembre, mese dolce e propizio, di piogge a colorare i prati e di dolci frutti della terra.

Amo settembre, il sole è ancora caldo, si respira ancora aria di gioia e vacanza e qualcosa mi sussurra di sognare e reinventarmi, quasi fosse un nuovo inizio. E’ settembre.”

 

Settembre

Saluterò di nuovo il sole,

e il torrente che mi scorreva in petto,

e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri

e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino

che con me hanno percorso le secche stagioni.

Saluterò gli stormi di corvi

che a sera mi portavano in offerta

l’odore dei campi notturni.

Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio

e aveva il volto della mia vecchiaia.

E saluterò la terra, il suo desiderio ardente

di ripetermi e riempire di semi verdi

il suo ventre infiammato,

sì, la saluterò

la saluterò di nuovo.

Arrivo, arrivo, arrivo,

con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,

e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.

Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.

Arrivo, arrivo, arrivo,

e la soglia trabocca d’amore

ed io ad attendere quelli che amano

e la ragazza che è ancora lì,

nella soglia traboccante d’amore, io

la saluterò di nuovo.

Forugh Farrokhzad, Saluterò di nuovo il sole

Forugh Farrokhzad

Forough Farrokhzad, in persiano فروغ فرڂزاد‎ (Teheran, 5 gennaio 1934Teheran, 13 febbraio 1967), è stata una poetessa persiana.

Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio

I pastori di Gabriele D’Annunzio

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare.” Il primo giorno di settembre porta con sé la promessa di un nuovo inizio, il che si collega direttamente all’idea di movimento e alla prospettiva di avanzare in una direzione ben precisa.
In un solo verso della poesia I pastori, Gabriele D’Annunzio, il poeta vate, è riuscito ad esprimere entrambe queste sensazioni tipicamente settembrine: l’inizio e il movimento, tramite l’accostamento di due verbi “andare” e “migrare” che appaiono quasi sinonimici, eppure esprimono due moti differenti. L’uso dell’imperativo “andiamo” riflette la necessità di muoversi, di spostarsi, appare come una chiamata alle armi: levatevi, alzatevi, sottintende un incitamento. L’infinito “migrare” invece rimanda all’idea dell’erranza e al proposito della ricerca di un luogo più accogliente, quindi, in breve, al cambiamento.

Nel verso di apertura della lirica I pastori, D’Annunzio esprime una sorta di “passaggio di stato”: dalla stasi al moto, dalla pace alla irrequietezza, tutte sensazioni che, a ben vedere, la fine dell’estate porta con sé.
Settembre è iniziato, è tempo di andare; ciascuno torni alle attività consuete nella stagione che porta il profumo dell’uva matura evocando il tempo della raccolta e della vendemmia.

La poesia I pastori (il cui titolo originale era I pastori d’Abruzzo, Ndr) fu scritta da Gabriele D’Annunzio nel 1903 ed è contenuta nell’ultima sezione dell’Alcyone intitolata Sogni di terre lontane. La raccolta Alcyone rappresenta il vertice massimo della poetica d’annunziana e si presenta come un’autentica celebrazione della natura: nelle cinque sezioni dell’opera infatti il poeta descrive il trionfo della primavera sino all’arrivo dell’autunno. I pastori, ambientata nel tempo mite di settembre che preannuncia l’imminenza della stagione autunnale, rappresenta una delle liriche conclusive.

Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio

I pastori di Gabriele D’Annunzio: parafrasi

Settembre è arrivato, è ora di partire.
Adesso, in Abruzzo, i pastori, miei conterranei, lasciano i pascoli montani e scendono verso il mare:
si dirigono verso il mar Adriatico in burrasca che appare verde come i pascoli montani. Lungo il cammino hanno assaporato la dolce acqua delle montagne che ha il sapore delle loro terre e resterà nei loro tristi cuori di migranti per confortarli, affinché la loro nostalgia (della terra natia) sia meno dura.
I pastori hanno fabbricato nuovi bastoni di legno di nocciolo e ora camminano per il sentiero antico che conduce verso la pianura, quasi fosse un fiume d’erba silenzioso, seguendo le orme lasciate dai loro antenati.

È gioiosa la voce di colui che per primo scorge in lontananza il tremolio delle onde del mare. Ora il gregge procede lungo la costa. Il vento tace, mentre il sole si riverbera dorato sul mantello delle pecore, rendendolo di un colore simile alla sabbia.
Il movimento delle onde si accompagna al lento calpestio del gregge, sono rumori dolci.
Ah, perché io non sono con i miei pastori?

I pastori di Gabriele D’Annunzio: analisi e commento

 

Nella lirica I pastori, Gabriele D’Annunzio compone un idillio pastorale che sembra riflettere lo schema classico, seguendo la tradizione delle Bucoliche virgiliane. Come non associare ai pastori cantati da D’Annunzio, Titiro e Melibeo, i protagonisti della prima ecloga di Virgilio? Anche i pastori abruzzesi di D’Annunzio, proprio come Titiro, sono costretti a partire: ma il loro non sarà un esilio senza ritorno.
La lirica d’annunziana è pervasa da un sentimento di struggente nostalgia, che sembra ben accostarsi ai dolci moti dell’aria di settembre che segna la fine dell’estate. L’imminenza dell’autunno rievoca nel cuore del poeta vate la nostalgia e l’affetto per la propria terra natale, l’Abruzzo. Riportando in vita una delle tradizioni più antiche della propria terra, la pratica della transumanza, D’Annunzio sembra rispondere a questo nostalgico richiamo d’amore.

In quattro strofe in versi endecasillabi il poeta ritrae passo passo il cammino dei pastori che come ogni anno, seguendo una pratica antica, con l’arrivo del vento d’autunno abbandonano i pascoli montani per dirigersi verso le aree costiere. La lirica è chiusa significativamente da un endecasillabo finale, che appare isolato e distaccato dagli altri versi, e ci restituisce intatta la nostalgia del poeta tramite l’emergere della voce dell’Io lirico che improvvisamente si intromette nel canto con un grido accorato: “ah, perché io non sono con i miei pastori?”.

La poesia si apre con un’esortazione: l’invito a partire è dato dall’imperativo “andiamo”. Seguono quindi tutte le varie fasi del viaggio: dalla preparazione (i pastori si abbeverano alle fonti montane e forgiano i bastoni, Ndr) sino al cammino dai monti verso il mare. L’arrivo dei pastori alla meta viene descritto come un momento di quiete, riflette una pace idilliaca: il sole risplende sul manto delle pecore e il loro lento scalpiccio si accompagna allo sciacquio delle onde marine.
D’Annunzio evoca una serie di suoni onomatopeici che si riflettono nelle orecchie dei lettori come dolci rumori familiari, suoni che ci restituiscono l’atmosfera accogliente e piena di grazia di settembre. Ogni nuovo inizio possiede un suono dolce, d’altronde, e ci ricorda che la vita è un continuo “incominciare”.

I pastori di Gabriele D’Annunzio: figure retoriche

  • Apostrofe: la poesia si apre con un’esortazione “Settembre, andiamo”
  • Allitterazioni: numerose le allitterazioni dei suoi r e l che danno il ritmo alla poesia. Nel primo verso in particolare la ripetizione del suono “r” produce una ripetizione confortante che suggerisce la presa mnemonica del verso “settembre; migrare; ora; terra”.
  • Personificazione: il mare Adriatico viene definito “selvaggio” come un uomo straniero o un animale non ancora domato.
  • Similitudini: il mare è verde come i pascoli dei monti; la lana del gregge è dorata come la sabbia.
  • Metafora: “erbal fiume silente”, l’erba calpestata dai pastori appare come un fiume silenzioso in cui non s’ode neppure il lento sciabordio dell’acqua. Nel componimento sono frequenti i simboli e le analogie tra i pascoli e il mare.
  • Onomatopee: “isciacquio; calpestio” sono espressioni che evocano suoni.
  • Sinestesia: l’espressione “dolci rumori” produce l’accostamento di due sfere sensoriali diverse, quella uditiva e quella del gusto.
  • Epifrasi: nell’endecasillabo finale, definito dalla domanda retorica “perché io non sono con i miei pastori?” è racchiuso il senso dell’intero componimento, ovvero la nostalgia del poeta che ha dato origine al canto.

FONTE Gabriele D’Annunzio-Sololibri.net / New Com Web srls