autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza.
A quel bambino mi rivolgo
C’è sempre un sottinteso
persino nella frasi più innocenti.
Le maestre correggono i compiti
occupandosi solo di sintassi
e ortografia. Il compito assegnato
è diventare un buon cristiano
che non corre lungo i corridoi.
Tutte le presunte certezze impartite
segnate bianco su nero alla lavagna
potremmo ora definirle ipotesi
non comprovate. E’ troppo tardi ormai
per alzare la mano.
Non resta che conformarci agli esempi,
sbirciare nel cuore del compagno di banco,
copiarne le risposte, sottrarsi alle domande,
controllare il dizionario alla ricerca
di un sinonimo accettabile che consenta
di declinare i verbi all’infinito.
Fuori dalle vetrate potrebbe esserci il mare.
C’è invece un muro bianco
decorato dalle ombre dei platani.
Luce su luce che danza a braccia nude
strette alle cose felici, alla frutta
poggiata sul tavolo della mensa
prima che la buccia avvizzisca
e risuoni la campanella.
A quel bambino mi rivolgo,
alle sue vastissime estati
attraversate correndo, trattenendo
il respiro, guardando dal basso,
sulle punte dei piedi.
A quel bambino racconto la parte
migliore dei ricordi, convinto che basti
voltare le spalle a ciò che non voglio
per decretarne l’inesistenza.
Non ignoro quanto siano tenaci
gli indesiderati, quali e quante
le forze scese in campo a fronteggiarsi
per lasciare una traccia o cancellarla.
In buona fede l’obiettivo è stato
cercare un luogo dove piantare
la mia presenza, dove verranno
a trovarmi per confermare la mancanza.
Come una sorta di nostalgia,
un’assenza dolce che resta,
che promette di mutarsi in ricordo.
A lui mi confesso quando scrivo,
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.
Il gelsomino
Nel cortile lievita una parete
verde di gelsomino. Piantata
la primavera in cui di comune accordo
decidemmo di sfidare la sorte.
Ospitò in estate un nido di merli,
incauti. I gatti di casa
non gli lasciarono scampo.
Nella serena inquietudine propria
sconfina, d’estate, oltre il muro di cinta
per contrabbandare la gloria immodesta
dei suoi bianchissimi fiori.
La bellezza richiede la cura,
i rami vanno sfrondati, addomesticati,
che non soffochino la parabola
del televisore, non provochino
le lamentele, legittime, dei vicini
per l’incruenta invasione dei loro balconi.
A volte penso dovrei lasciare fare.
Vederla conquistare la via
ricoprire le auto in sosta, i cancelli chiusi,
sradicare i pali confitti nel cemento,
Vederla creare precari alloggi
per nuovi nidi di paglia,
dichiarare a squarciagola la rinascita
di un’antica sterminata nazione.
Elegia
All’ora di cena cominciavamo a bere.
Oltre la cornice della finestra
tutto il disordine della stanza
si manteneva a malapena in equilibrio
sopra i rami spogli del pino marittimo in giardino.
Con i silenzi edificammo muri
su cui incidere a punta di coltello
il poema delle nostre incomprensioni.
Aspettavamo come ombrelli
lasciati a sgocciolare
davanti alle porte d’ingresso
dei bar sulla spiaggia.
La reciproca fiducia inaridiva
come il pane avanzato a tavola,
persino l’attesa dell’alba sul mare
perdeva ogni senso del sacro.
Per trovare il coraggio di scriverci
attendemmo si consumasse la forza
della separazione, scemasse la magnitudine
dei nostri corpi che regolavano maree,
desideri, orologi da parete.
Pollice verde
1.
L’orto dietro casa è un quadrato
di terra fertile tre metri per tre.
Ai primi di Aprile ho piantato
parole comuni nell’angolo al sole
tra i pomodori, la lattuga e l’indignazione.
Sono germogliate quattro poesie
incivili, piccole piantine fragili.
Se annaffiate con cura, mi hanno detto,
daranno frutti all’inizio dell’estate.
2.
Strappo le erbacce con cura
per lasciare un silenzio pulito,
la misura a spanne dell’accudire,
lo sguardo quotidiano che salva.
3.
Ogni piantina è differente dall’altra.
Ogni frutto ha un gusto differente:
il seme di ogni parola
matura a suo modo.
Una, nata da un racconto di mare,
ha un gusto salato, una mi ha portato
le lacrime agli occhi, un’altra al suono
delle campane nei giorni di festa.
La quarta non è commestibile
ma il suo fiore è uno squillo,
è il più profumato.
Seduta numero 12 (settembre 2021)
È una questione di percentuali,
dottore, e di grumi di memorie
insolubili. Equilibri incerti
tra contrappesi, puntelli e zeppe
per non fare crollare lìimpalcatura.
Più parliamo del passato, dottore,
più lo riportiamo in vita.
Gli scheletri riesumati rischiano
di alterare la statica già precaria.
Se ogni sette anni,
secondo quanto la biologia suppone,
rinnoviamo ogni nostra particella
questi ricordi appartengono ora
ad un corpo differente dal mio.
Il mio corpo oggi è composto
per il 60 per cento di acqua,
10 per cento di rassegnazione,
un 6 per cento di irrisolte concessioni,
un 3 per cento di misantropia.
Qualche punto percentuale di compassione
e stupore ancora è presente
perlomeno se diamo credito
al referto degli esami.
Il resto è materia di analisi
biologica. Gli esami del sangue
evidenziano un eccesso di glicemia.
Eppure io, Dottore, non mangio dolci.
Sarò dolce di mio.
Breve autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza. Sul comodino mi ostino ad accumulare libri che tento di leggere contemporaneamente senza riuscire a terminarne uno. Malgrado abbia iniziato ad accumulare testi da riporre nei cassetti fin da quando ero ragazzo ho soltanto da poco trovato il coraggio è la sfacciataggine di condividerli.Ho pubblicato le raccolte di poesia “Quello che ancora restava da dire” (Fara Editore,2020), “La somma imperfetta delle parti” (Ladolfi Editore 2021), il poemetto “Monologodell’angelo caduto”(Fara Editore 2022), “Ora che tutto mi appare più chiaro” (PuntoaCapo Editrice 2023) e il romanzo “I sorrisi fraintesi dei ballerini” (Fara Editore 2021).
Maria Pina Ciancio di origine lucana è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e da qualche anno vive nella zona dei Castelli Romani.
Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai grandi flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici.
Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo ‘Il gatto e la falena’ (Premio Parola di Donna, 2003), ‘La ragazza con la valigia’ (Ed. LietoColle, 2008), ‘Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro‘ (Fara Editore 2009), ‘Assolo per mia madre’ (Edizioni L’Arca Felice, 2014), ‘Tre fili d’attesa‘ (Associazione Culturale LucaniArt 2022).
Nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani.
Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: ‘Orchestra’ (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; ‘Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud‘ (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, ‘Sud – Viaggio nella poesia delle donne‘ (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017, ‘Il sarto di Ulm, Bimestrale di poesia’, Macabor Editore, luglio-agosto 2020, ‘Dizionario critico della poesia italiana 1945-2020′ (a cura di Mario Fresa), Società Editrice Fiorentina 2021
Ha fatto parte di diverse giurie letterarie, è presente in numerosi cataloghi e riviste di settore.
È presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt e su internet cura lo spazio web lucaniart.wordpress.com
Con il libro Storie Minime e una poesia per Rocco Scotellaro nel 2022 ha vinto il Premio Leandro Polverini per la poesia edita; nel 2015 la X Edizione del Premio Letterario “Gaetano Cingari”; nel 2014 il Premio Internazionale della Migrazione – Attraverso L’Italia e il Premio Letterario Città di Cerchiara – Perla dello Jonio (con un testo tratto dalla raccolta); nel 2009 il Premio “Tremestieri Etneo” (Targa Antonio Corsaro).
Mi abitano i paesi spopolati
e il vento
la luce che scorre in un istante
e frana
nella crepa dei calanchi
nella carne
* (Sola andata)
I cartelli stradali sono tutti uguali stanotte
e puntano dritti alla confluenza del Sinni
unica salvezza che separa dall’attimo
un viaggio di sola andata una via di fuga forse una morsa sfilacciata dalla resa
Lungo strade mezzevuote
il vento arruffa il pelo delle capre
e rallenta la corsa verso casa
dove senza sentenza attendono gli affetti
silenzi imperfetti
incapacità di muoversi
a volte
fianco a fianco
Il riparo atteso della notte
*
Abbiamo allineato lo sguardo i passi, i vasi dei geranei sul selciato ancora fresco senza sapere che nel vaso di pietra riverso alla finestra sono cresciuti i cardi stanotte
con la testa capovolta nella crepa
*
La vita certe volte è ferma al di là delle finestre chiuse e il vento lo senti solo dentro frugare fugace come un clandestino
nelle tasche delle giacche nei granai, sotto gli archi
dappertutto
*
E’ nella crepa grande quella priva di intonaco e calce che il cedimento talvolta arriva come un presagio d’azzurro aperto al cielo
un fiato appena
*
Abbiamo gridato così tanto a vent’anni che la voce si è spezzata nella gora e adesso restano gli occhi
e il petto che ogni notte si scassa per la tosse
Maria Pina Ciancio
da La ragazza con la valigia, LietoColle 2008
La ragazza con la valigia
Parte e ritorna ogni notte
la valigia rossoazzurra
rigonfia di stracci
e lo sguardo di terra
annodato alla luna
*
Stese panni biancoazzurri
al filo delle rondini nere
di ritorno
e rimase immobile, scarmigliata dal vento
i capelli e i vestiti graffiati
da carezze senza cura
chissà perché in quella casa
dai tetti rossi
il tempo del presente
era sempre altrove
*
Timpa Pizzuta
Aveva lavorato una vita
per non sentirsi ai piedi
odore fresco di mastice
ma a Timpa Pizzuta
la strada rovinò
e Nina perse le scarpe nuove
della festa
*
Certi tremori Carla li sentiva ancora adesso
erano piccoli crolli in pieno giorno
su quelle strade battute di notte
(dieci, venti, trenta volte)
e prima dell’alba
divenute misura di un pensiero
domestico
*
La solitudine non le faceva più paura, da quando la vita le aveva fatto scempio in lungo e in largo. A Nina adesso faceva paura guardare in faccia il cielo e in quella smerigliata innocenza, socchiudere gli occhi e non saper pregare.
Da dove viene la tua poesia. Da tante cose. Non sempre i motivi che ci inducono a scrivere sono esaurientemente elencabili e chiaramente consapevoli. Potrei dire, per tentare di rispondere in qualche modo alla domanda, che il filo conduttore della mia scrittura nasce innanzitutto dall’incontro con la Lucania, cioè con quella “terra” del sud affascinante e magica e al tempo stessa terribile e arcaica, dove dalla Svizzera sono ritornata bambina all’età di circa sette anni.
Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore? Non scrivo mai per un fine. Per me la scrittura è un modo di stare al mondo, un fatto mio (privato) innanzitutto; tutto ciò che ne consegue (condivisione, riconoscimento, identificazione) è un valore aggiunto, di cui ringraziare ed essere riconoscenti.
Come vivi, con te stessa e con gli altri, il tuo essere poeta? Oggi con (conquistata) serenità, da giovane con la lacerante consapevolezza interiore della marginalità e dell’esclusione.
Come hai iniziato? Ho iniziato alle soglie dell’adolescenza. Ricordo tra le prime composizioni una poesia giovanile sulla luna, dalla chiusa fortemente pessimistica. Fu il mio professore di filosofia a leggerla, ad apprezzarla, a consigliarmi la riflessione e il superamento dolente ed esistenziale che ne caratterizzava gli ultimi versi.
Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai? Non ho ricordi particolarmente nitidi legati alla scuola. La passione per la poesia è nata in territori altri; un’esperienza personale e intima, completamente anarchica direi.
A chi fai leggere per primo i tuoi versi. Quasi mai a nessuno.
Usi la penna o il computer? Scrivo rigorosamente a mano: biro nera e comunissimi fogli bianchi. Ho bisogno di intimità quando scrivo e al computer disperdo l’ispirazione.
Quando viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni. Non credo nell’estemporaneità della parola. La poesia è sempre frutto di un fermento e di una lunga riflessione interiore, seppure appaia di getto.
A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria? Pochissime, ma sicuramente più quelle degli altri che le mie. Mi sono rimaste particolarmente dentro alcune terzine dall’Inferno di Dante.
Un consiglio prezioso da passare agli altri. L’onestà della parola, nient’altro. Per il resto credo nel dialogo costruttivo e nella condivisione.
Un poeta su tutti. Non saprei. Da giovanissima avrei detto Withman e Lee Masters. Ho amato la poesia americana con la stessa ardente passione di Pavese e Campana. Poi, pian piano sono arrivati gli altri, la poesia europea ed italiana e infine i poeti del Sud. Non si può vivere qui, senza aver fatto i conti, prima o poi, con quelli che sono stati i nostri padri “spirituali” della terra.
Maria Pina Ciancio
(San Severino Lucano, 19 ottobre 2010)
Critica
“(Storie minime) Una raccolta breve, ma compatta, stilisticamente consapevole e calibrata, tutta racchiusa in un paesaggio remoto, tra il Sinni e il Pollino, dove la letteratura poche volte è sostata, e dove si compie così felicemente la poesia notturna e limpida e buona di Maria Pina Ciancio” – Andrea Di Consoli (da Il quotidiano di Basilicata, 8 giugno 2009)
*
“Maria Pina Ciancio ha scritto parole che sono rivendicazione di esistenza e di resistenza. Ma la sua poesia è, in primo luogo, passione. Dichiarazione d’amore alla sua terra, alla sua gente, agli incontri e agli addii accaduti durante il cammino. Sono lampi lirici dai toni struggenti” – Mimmo Sammartino (da La Gazzetta del Mezzogiorno, 9 luglio 2009)
*
“Poetessa passionale, ancorata alle sue radici, modellata e forgiata con le lacrime e il sangue della propria terra, la terra lucana, terra del Sud. Storie minime è una preziosa silloge di poesia sull’emigrazione (…) Maria Pina Ciancio racconta il suo mondo attraverso la scrittura, ne assimila le sofferenze , le gioie del quotidiano, si rende messaggera di un malessere atavico. Nei suoi scritti l’impegno, l’ideologia trovano equilibri sottili, si appellano alla coscienza, e la poesia diviene il punto di confluenza, il luogo nel quale abbattere i confini e offrire dimora agli stranieri di tutto il mondo” – Salvo Zappulla (da La Sicilia, 2 novembre 2009)
*
“Maria Pina Ciancio, al contrario di quelli che sono partiti, è nata in Svizzera ma è poi tornata nella terra d’origine, la Basilicata, dove oggi vive. Basilicata o Lucania? Già nella scelta del nome della regione, si coglie il tema di fondo del suo ultimo e intenso bel libro di poesie, dal titolo Storie minime (Fara editore), con il quale conferma il suo notevole talento letterario e la sua scrittura, libera dal versificare barocco e autoreferenziale. E il tema di fondo è lo «spaesamento»” – Michele Brancale (da Il Corriere fiorentino, 13 ottobre 2009)
*
“L’autrice, nata in Svizzera, di origini lucane e operante a San Severino, in provincia di Potenza, affronta un tema così complesso in maniera eccentrica nei confronti dei tradizionali canoni − realistici e neorealistici − che furono tipici, storicamente, della cosiddetta letteratura dell’emigrazione. Elementi realistici non mancano, ma circola accanto ad essi un che di trasognato, qua e là anche una fugace aura visionaria. L’asse è spostata dall’oggettivismo (quintessenziale nell’estetica realistica) alla dimensione della soggettività e l’andamento è più impressionistico che descrittivo” – Lucio Zinna (da Arenaria, ragguagli di letteratura – due, 2009)
*
“I suoi versi scorrono leggeri come haiku. Sono pennellate delicate e incisive a un tempo. E suggeriscono, evocano situazioni che, dalla contingenza spaziale o temporale, tramutano i dati oggettivi in veicoli di significazione esistenziale” – Luigi Reina, Università degli Studi di Salerno, 2002
*
“Questo, il nuovo itinerario di Maria Pina Ciancio (…). E vi si entra piano, come a voler chiedere di abitare coi versi, forse per timore di sgualcirne l’incanto o per il dubbio scontato di restarne incagliati. Ebbene, l’incanto arriva presto, ed è quello della parola, performativa, rituale, conativa, e pur sempre fortemente icastica. La poetessa lo sa e ci accompagna nel viaggio” – Pierino Gallo (da Il Fiacre, Quadrimestrale di Letteratura Italiana, Settembre 2009 – numero 6)
*
“… poesie asciutte e lisce come ciottoli di torrente; testi che, sotto l’occhio di chi legge, rimbalzano sulla superficie dell’anima, lasciando anelli concentrici di senso che si espandono dentro di noi come brividi. È questa la sensazione che si prova a leggere “La ragazza con la valigia”, la smilza ed essenziale raccolta di Maria Pina Ciancio, edita da Lietocolle nel 2008 e dalla quale sono tratte le poesia qui pubblicate. Si tratta di testi brevi, quasi privi di punteggiatura, senza orpelli e aggettivi, rugosi e duri come le mani delle contadine e delle vedove vestite di scuro, scabri come certi muri calcinati e pietrosi dei villaggi del Sud che fanno da cornice a questi versi.” – Luca Benassi (da Noi Donne, Mensile di Politica, Cultura, Attualità fondato nel 1944, dicembre 2009)
*
“… sono soprattutto poesie semplici. Semplicità intrinseca di pathos e di emozioni forti che difficilmente prova chi non vive intensamente i nostri paesi, come fa l’autrice” – Andrea Lauria (da La Piazza, mensile di informazione, cultura, sport, agosto-settembre 2009
*
“Mi è rimasto in corpo questo libro, piccolo, minuto, ma di una sostanza che si innesta direttamente con la terra di cui anch’io sono fatta, terra che nutre. Un libro di sonorità profonda, che, a mio parere, non si limita a calzare le pendenze d’Italia, il meridione che sta giù. Qui, il giù segnalato, con vastità di segni, tanti, una sabbia finissima che ancora non si solleva, si lascia calpestare, è amore,un amore che è mare e comprende l’umanità, tutta, nella sua interezza, nel corpo che continua, oggi, ad essere solcato, non solo graffiato, vilipeso, brutalizzato da segni che, al contrario, non sono affatto minimi”. – Fernanda Ferraresso, luglio 2009
*
“(La ragazza con la valigia) …un gioco di chiaroscuri e di sottintesi, eppure lucidissimo e anche “impegnato” come più non si può, da un punto di vista femminile ma soprattutto umano e ovviamente poetico. – Gina Labriola, 2 agosto 2008
*
“(La ragazza con la valigia) Si tratta di una poesia rarefatta e originale, cifra comune a tutte le composizioni del libro, poesie di solito brevi e scabre, ma, talvolta anche più lunghe e articolate architettonicamente (…). Il tema del viaggio è centrale in questa raccolta, come pure, si avverte, spesso, una vena di quotidianità, nei versi che l’autrice presenta al lettore e c’è da notare che Maria Pina Ciancio riesca a costruire segmenti leggeri e icastici, costruendo immagini che emergono l’una dall’altra, rendendo così piacevole e accattivante la fruizione. – Raffaele Piazza (da Vico Acitiello – Poetry Wave, 2010)
*
“Maria Pina Ciancio è voce solida, ben impostata, caratterizzata da un senso della liricità che ormai, purtroppo, è quasi al tramonto nella nostra epoca e pertanto difficile da trovarsi nella poesia attuale, giocata quasi tutta al gioco dei minimi termini, dell’elenco di cose. Consapevole di una forte tradizione letteraria e poetica, legata alle voci più alte del nostro Novecento, come Montale e Ungaretti, di cui si sente il vento che spira tra le righe nei versi della nostra poeta, veniamo catapultati in un versificare leggero, musicale, che evapora in una apparentemente inconsapevole nettezza di profondo senso ed elevato contenuto, dove si gioca il significato della nostra esistenza, nella quale capita spesso d’impuntarci, di essere colti da un crampo che ci fa restare nell’aporia, la quale può essere risolta soltanto ed esclusivamente dalla parola poetica che ben conosce la tempistica dell’esistenza” – Maurizio Soldini (LietoColle 2010)
*
“(…) Qui non ci sono stanze morbide e non c’è riposo: chi pratica l’«imperfezione» delle “storie minime” si muove. E chi legge, dai suoi abitacoli comodi o nevrotici, impara che è impossibile, davvero impossibile – e forse vergognoso – scrivere senza intensità: «la protesta ha bisogno di passione», e la passione, che protesta, ha anche il suo stile. Questo stile fa una cosa serena e forte: rinuncia a rinunciare ai campi, quindi si espone al dolore dell’oltre la Svizzera. – Massimo Sannelli (da Lettera sull’intensità, Genova, 7-19 marzo 2009)
*
La poesia di Maria Pina Ciancio è un assolo paradossale, che si trasforma in un dialogo forte, silenzioso e quieto: un dialogo che sempre cerca, e sempre chiede, un amoroso contatto con l’assenza, con l’eco del passato (e col riemergere dunque, magico e incomprensibile, di tutto ciò che è stato). Forse è questo, chissà, l’autentico sapere della poesia: riconoscere nella potenza della parola la capacità di dialogare con chi manca, riformulando i principi della vita e della morte, e condensandoli, infine, con l’aiuto di una grazia misteriosa. – Mario Fresa(da un contributo interno alla silloge ‘Assolo per mia madre’, L’Arca Felice 2015)
*
“E giunge la parte politica: la necessità storica di reagire allo spaesamento, di ricominciare a negare gli errori del presente, a desiderare di riprendersi la voce e l’urlo collettivo contro i poteri disgreganti, in un tempo di migrazioni ancora più sanguinanti. Ma per chi rompe la tradizione, per chi urla nel silenzio, ecco immediata la reazione dei benpensanti, dei narcotizzati, dei piccolo-borghesi affondatori: ‘ Per ogni parola contro/ ti lanciano un sasso/ e poi ti schiacciano all’angolo’. Emarginazione delle teste pensanti, misoneismo, ipocrisia, paura di perdita del potere di posizione e delle idee fatte, miseria psicologica che si somma alla miseria economico-sociale. La poesia ribadisce che ‘la vita è una guerra’ e con tale messaggio, positivo per la trasformazione, si dipana la poesia della Ciancio che dispiega, alla fine, il mito di R. Scotellaro narrato al proprio figlio, perché la rabbia e l’orgoglio si levino fino al cielo, impastati di polvere.” – Antonio Lotierzo, settembre 2015.
*
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