Enrico Berlinguer-La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-
A cura di Alexander Höbel- Donzelli Editore -Roma
Scheda del Libro-Enrico Berlinguer La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-Passione, rigore, propensione ad anticipare i tempi e a superare steccati: ciò che ha segnato l’azione di Enrico Berlinguer nella politica italiana emerge con ancora maggior forza in campo internazionale. È quanto rivelano i discorsi, gli articoli e le interviste raccolti da Alexander Höbel in questo volume, a partire dal 1972, quando Berlinguer assume la guida del Pci. Sono gli anni degli euromissili, dell’invasione sovietica in Afghanistan, dell’escalation nucleare, della guerra in Libano; ma lo sguardo del segretario sa andare anche oltre e in profondità. Per la prima volta nella storia, intuisce, il mondo è strettamente interconnesso e il suo cuore non è più l’Occidente: è necessario cooperare con le nuove realtà emergenti, anche per il bene stesso dei paesi industrializzati, i quali solo in questo modo potranno uscire dalla crisi. Una capacità di visione che coinvolge la Cee e l’intera Europa («senza un contributo ai problemi dell’Est – afferma – non vi sarà sicurezza e sviluppo») e include l’Italia, per cui l’«austerità» qui invocata diventa strumento globale di efficienza e giustizia, per superare un sistema caratterizzato dall’individualismo più sfrenato, dal «consumismo più dissennato». Lo stesso Pci, di cui con orgoglio, in uno straordinario discorso pronunciato nel 1976 a Mosca, al congresso del Pcus, rivendica la storia all’insegna della democrazia e della libertà, deve intraprendere una «terza via» che vada oltre il modello socialdemocratico e il «socialismo reale», accogliere le spinte anticapitalistiche provenienti anche dai movimenti di ispirazione cristiana, aprirsi alle istanze ambientaliste, alle battaglie femministe. È la pace l’obiettivo su cui è costantemente focalizzato Berlinguer; una meta legata a multipolarismo e cooperazione, che si fa nelle sue parole tema spinoso e urticante, pungolo che sollecita all’azione, che impone una battaglia intransigente e a tutto campo contro le diseguaglianze, non solo economiche, perché «una pace non precaria, ma solida, duratura, per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia».
Autore-Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer-Uomo politico italiano (Sassari 1922 – Padova 1984). Segretario del Partito comunista italiano dal 1972, deputato dal 1968 per tutte le legislature, fu promotore dell’idea di un “compromesso storico” tra le due grandi forze popolari, quella comunista e quella democristiana, ma dopo la deludente esperienza dei governi di unità nazionale (1976-79) riportò il PCI all’opposizione; durante la sua segreteria guidò inoltre il partito verso il progressivo distacco dall’Unione Sovietica.
Vita e attività
In contatto dal 1937 con gruppi antifascisti, nel 1943 aderì al Partito comunista italiano. Nell’immediato dopoguerra diresse il Fronte della gioventù prima a Milano e poi a Roma, entrando poco dopo nel Comitato centrale del PCI e nel 1948 nella direzione; dal 1949 al 1956 fu segretario generale del movimento giovanile comunista. Deputato dal 1968, fu eletto vicesegretario del PCI nel 1969 (XII congresso) e segretario generale nel marzo 1972 (XIII congresso). La sua linea, basata sul perseguimento dell’alleanza tra classe operaia e ceti medî, sull’affermazione del carattere laico del partito e, soprattutto, sulla proposta del “compromesso storico”, si concretizzò, dopo i successi elettorali del PCI nel 1975-76, nella politica di unità nazionale (ag. 1976-genn. 1979). Dopo la conclusione negativa di tale esperienza e il ritorno dei comunisti all’opposizione (1979), B. cercò di far fronte alla difficile situazione in cui si era venuto a trovare il PCI, accentuata dalla crisi sociale e politica dei primi anni Ottanta, con una riaffermazione del suo carattere alternativo alla Democrazia cristiana (proposta di “alternativa democratica”, del nov. 1980) e la prosecuzione del suo rinnovamento interno. In campo internazionale, la segreteria B. si è caratterizzata per il crescente distacco del PCI dall’Unione Sovietica (dall’esperienza eurocomunista degli anni Settanta alla dichiarazione del genn. 1982 circa l’esaurimento della “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre) e il perseguimento di una sua maggiore integrazione nell’ambito della sinistra europea occidentale.Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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Antonio Gramsci, Lettera alla mamma del 15 dicembre 1930.
Antonio Gramsci:”Carissima mamma,ecco il quinto natale che passo in privazione di libertà e il quarto che passo in carcere. Veramente la condizione di coatto in cui passai il natale del 26 ad Ustica era ancora una specie di paradiso della libertà personale in confronto alla condizione di carcerato. Ma non credere che la mia serenità sia venuta meno. Sono invecchiato di quattro anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di avere arricchito la mia esperienza degli uomini e delle cose. Del resto non ho perduto il gusto della vita; tutto mi interessa ancora e sono sicuro che se anche non posso piú «zaccurrare sa fae arrostia» [«sgranocchiare le fave arrostite» in lingua sarda], tuttavia non proverei dispiacere a vedere e sentire gli altri a zaccurrare.
Dunque non sono diventato vecchio, ti pare? Si diventa vecchi quando si incomincia a temere la morte e quando si prova dispiacere a vedere gli altri fare ciò che noi non possiamo più fare. In questo senso sono sicuro che neanche tu sei diventata vecchia nonostante la tua età. Sono sicuro che sei decisa a vivere a lungo, per poterci rivedere tutti insieme e per poter conoscere tutti i tuoi nipotini: finché si vuol vivere, finché si sente il gusto della vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie. Devi persuaderti però che occorre anche risparmiare un po’ le proprie forze e non intestarsi a fare dei grandi sforzi come quando si era di primo pelo. Ora mi pare appunto che Teresina, nella sua lettera, mi abbia accennato, con un po’ di malizia, che tu pretendi di fare troppo e che non vuoi rinunziare alla tua supremazia nei lavori di casa. Devi invece rinunziare e riposarti. Carissima mamma, ti auguro tante cose per le feste, di essere allegra e tranquilla. Tanti auguri e saluti a tutti di casa.
Ti abbraccio teneramente.
Antonio Gramsci, 15 dicembre 1930.
Antonio Gramsciè tra i fondatori del Partito comunista italiano. Fatto arrestare da Mussolini muore nel 1937, dopo 11 anni di prigione.
Antonio Gramsci è nato ad Ales (Cagliari) nel 1891 da famiglia piccolo-borghese. Di salute cagionevole fin dall’infanzia, vince una borsa di studio per l’Università di Torino, laureandosi in lettere e filosofia. Nel 1913 aderisce al Partito socialista del quale diventa, nel ’17, segretario della sezione torinese. Affascinato dal pensiero e dall’opera di Lenin, in Russia, nel 1919 promuove la formazione della corrente comunista nel Partito socialista, dalla quale, nel 1921, nasce il Partito comunista d’Italia. Direttore del quotidiano L’Ordine nuovo, nel ’22 è componente dell’Esecutivo dell’Internazionale comunista. Si sposa a Mosca; avrà due figli per i quali, dal carcere italiano, scriverà una serie di commoventi favole pubblicate con il titolo L’albero del riccio. Rientrato in Italia, è eletto deputato per il collegio Veneto e segretario generale del Partito comunista. Nel 1926 viene arrestato dalla polizia fascista nonostante l’immunità parlamentare, il re e Mussolini sciolgono la Camera dei deputati, mettendo fuori legge i comunisti. Gramsci e tutti i deputati comunisti sono processati e confinati: Gramsci nell’isola di Ustica e successivamente nel carcere di Civitavecchia e Turi. Non essendo adeguatamente curato è abbandonato al lento spegnimento fra sofferenze. Muore nel 1937, dopo 11 anni di prigione, senza aver mai rivisto i figlioletti. Negli anni della reclusione scrive 33 quaderni di studi filosofici e politici, definiti una delle opere più alte e acute del secolo; pubblicati da Einaudi, nel dopoguerra, sono noti universalmente come i Quaderni dal carcere, tradotti in tutte le lingue più importanti.
Francesco Riccio-Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure –
prefazione di Gianni Cuperlo
DESCRIZIONE- del libro di Francesco Riccio -Una serie di racconti, un viaggio nella vita del Partito, del Pci, con il dichiarato intento di rendere omaggio alle donne ed agli uomini, alle compagne e ai compagni con i quali l’autore ha trascorso (da militante-funzionario-dirigente) un importante trentennio. Un omaggio a quelle figure sconosciute al grande pubblico e spesso genericamente indicate come “apparato”, anche con un certo disprezzo. In realtà si trattava di una comunità che ha dedicato la propria vita agli ideali della solidarietà, della difesa dei più deboli, del progresso sociale. Donne e uomini che non avevano nulla di quel grigiore con il quale venivano descritti. Anzi, attraverso la caratterizzazione di ciascuno si disegna il quadro di un popolo che sapeva coniugare la massima serietà dell’impegno politico con lo spensierato divertimento. Certo, c’è nostalgia di quel tempo e di quel popolo. La storia ha assegnato a quella vicenda un esito ben noto. Ciò non può impedire che ciascuno di quelli che l’hanno vissuta avverta un sentimento di nostalgia e di rimpianto. Nella consapevolezza che i sentimenti possono sempre reinventarsi se non si nega il loro valore profondo.
Gianni Cuperlo, che ha curato la prefazione, coglie brillantemente gli aspetti principali del racconto. Bruno Magno, storico grafico del Pci, li sintetizza con maestria nella copertina. Due omaggi all’autore per tanti anni loro compagno in quel viaggio.
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« Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare. »
Articolo di Lelio La Porta-A quasi 85 anni di distanza, ormai, dalla sua morte Antonio Gramsci resta l’intellettuale comunista di più grande rilievo che l’Italia abbia mai conosciuto, preso a modello e studiato a fondo anche in America Latina. Mentre in Italia, invece, l’élite intellettuale delle classi dominanti lavora alla lenta disintegrazione del pensiero che il grande comunista di Ales ci ha lasciato in eredità.
Erano le 4,10 del 27 aprile del 1937. Ricordava Tatiana Schucht, cognata di Antonio Gramsci, che “…venne un ultimo respiro rumoroso e sopravvenne il silenzio senza rimedio”. Così moriva, per emorragia cerebrale a quarantasei anni, il comunista sardo. Aveva ottenuto la libertà il 21 aprile. In Sardegna, il padre Francesco attendeva con ansia di poter riabbracciare il figlio, almeno uno dei quattro figli maschi, visto che Gennaro combatteva in Spagna al fianco dei repubblicani, Mario era ufficiale in Africa e Carlo si trovava a Milano. Antonio aveva scritto a casa; voleva tornare in Sardegna; lo attendevano proprio il 27 aprile. Poi arrivò la notizia della morte e la scena del padre che, in preda alla disperazione, cominciò ad urlare: “Assassini, me l’hanno ammazzato”. Francesco Gramsci sopravvisse al dolore appena due settimane: morì il 16 maggio. A Mosca c’erano gli altri affetti privati di Gramsci. Ricordava il suo secondogenito Giuliano che, insieme al fratello Delio, fu accompagnato da Togliatti in una località fuori Mosca, dove li raggiunse la notizia della morte di Gramsci; soprattutto per Giuliano ciò significava che “moriva in me la speranza di conoscerlo, e dal mio subcosciente per la prima volta emerse la certezza di non averlo mai visto” [1].
A Roma, la cognata Tatiana e il fratello Carlo provvidero al funerale che si svolse sotto il temporale. Ora le ceneri di Gramsci si trovano al cimitero acattolico della Piramide Cestia in Roma e ogni 27 aprile quante e quanti vogliono si ritrovano lì per depositare un fiore rosso su quell’urna. Così è stato anche il 27 aprile appena trascorso; fra il canto dell’Internazionale e chi, quasi sommessamente, ma non per questo in modo meno appassionato, si raccoglieva in preghiera, si è celebrata la cerimonia laica della memoria. C’erano dei giovani, pochi, ma c’erano; e chi si è recato in quel luogo nel pomeriggio ha riferito che altri giovani, anche non italiani, sono andati a deporre un fiore. Qualcuno dei presenti ha affrontato il discorso sull’assoluta mancanza di conoscenza di Gramsci da parte dei nostri giovani: è noto, si sta lavorando (va riconosciuto su questo terreno l’impegno costante sia della International Gramsci Society sia della Università popolare “Antonio Gramsci”), ma è difficile fare breccia nel conformismo dell’indifferenza che giunge a proporci persone (questo risulta da diverse indagini rese pubbliche da alcune trasmissioni televisive) che non sanno neanche cosa sia il 25 aprile.
Di fronte a quell’urna non può non tornare alla mente l’immagine di Pasolini, raccolto in una riflessione politico-ideologica che fu l’ispirazione di uno dei canti più alti della poesia italiana del Novecento, in lode dell’impegno civile: “Le ceneri di Gramsci” (1954). Vi si legge:
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l’urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci…
Anche la televisione di Stato si è ricordata di Gramsci trasmettendo dapprima su Rai 3 e, in serata e in replica, su Rai Storia un programma su Gramsci nell’ambito de “Il Tempo e la Storia”. Ospite del conduttore Massimo Bernardini, il professor Mauro Canali. Del professore ci siamo già occupati su queste colonne [2] inserendolo nella cerchia sempre più ampia, purtroppo e a dire il vero, degli edificatori di storie romanzate e a base thriller aventi come oggetto Gramsci e i suoi rapporti con il Partito Comunista e, in specie, con Togliatti. Nel corso della trasmissione del 27 è arrivato a definire la prima edizione dei Quaderni del carcere (tanto per intenderci, quella edita da Einaudi in sei volumi tematici a partire dal 1948) una sorta di silloge delle note carcerarie senza senso; non sfugge l’acredine dell’affermazione dietro la quale si nasconde, neanche tanto velatamente, l’antitogliattismo come metodo di ricerca e di interpretazione storica. Sa il professor Canali in quali condizioni Togliatti intraprese l’opera di lettura e di interpretazione delle note gramsciane? Risposta: “Palmiro Togliatti è in Spagna, dove nell’estate del 1936 era scoppiata la guerra civile (…) Ricevute le prime fotocopie, a Barcellona, sotto i bombardamenti degli aerei fascisti, al lume di candela, Togliatti e alcuni collaboratori iniziano il lavoro di interpretazione dei quaderni” [3]. L’esito di lungo periodo di questo lavoro fu l’edizione einaudiana che, pure, suscitò perplessità sia circa la correttezza sia circa la legittimità dei criteri prescelti; in ogni caso è fuor di dubbio che la frammentarietà dei materiali e lo stesso modo di stesura adottato da Gramsci autorizzavano la scelta togliattiana che non era segnata da pregiudiziali politico-ideologiche ma dalla necessità di diffondere il più possibile il pensiero gramsciano. D’altronde lo stesso Valentino Gerratana, a cui, come ricordato dal professor Canali, va attribuita la realizzazione dell’edizione critica dei Quaderni pubblicata da Einaudi nel 1975, ricordava i meriti dell’edizione tematica che non doveva assolutamente essere demonizzata [4]. Il professor Canali ha avuto modo di soffermarsi anche sulle Lettere dal carcere sostenendo che, a causa della scelta togliattiana, non erano in grado di fornire alla loro prima apparizione un’immagine adeguata del rivoluzionario sardo. Questo parere cozza con la realtà del Premio Viareggio assegnato alle epistole gramsciane nel 1947 e con le recensioni autorevolissime di Garin [5] e di Croce [6] , la prima delle quali già metteva in evidenza la forte umanità dell’autore di quelle missive. Inoltre, come non prendere in considerazione le dodicimila copie delle Lettere vendute ancor prima dell’assegnazione del Premio?
Che ci fossero divaricazioni fra Gramsci e il Partito, e quindi Togliatti, già dalla famosa lettera del 1926 al Pcus, è evidente. Ma da qui ad immaginare (di questo si tratta) un complotto ordito dai dirigenti comunisti italiani contro il leader chiuso nel carcere fascista a partire dalla lettera di Grieco del 1928 ce ne corre, sottovalutando, fino a dimenticarlo del tutto, il ruolo che nella vicenda della lettera ebbe il giudice istruttore Macis [7]. Ancora davanti alle telecamere il professor Canali ha sostenuto questa sua congettura arrivando alla spudorata proposizione del suo libro come testo da cui trarre utili riflessioni intorno a Gramsci in generale e, più in particolare, intorno ai rapporti fra Gramsci e Togliatti [8]. Non è intenzione di chi scrive ergersi a insegnante di tal maestro, ma non sarebbe stato più decente affidare al pubblico la lettura di qualche autorevole biografia gramsciana (e ce ne sono altre oltre quella di Fiori)? Così come non sarebbe stato più opportuno proporre come luogo della memoria gramsciana, invece del carcere di Turi, l’urna nel Cimitero acattolico a Roma, magari ricordando che a pochi passi c’è anche l’urna di Antonio Labriola? Oppure, invece di proporre come film lo splendido Uccellacci e uccellini di Pasolini, adducendo come motivazione il fatto che il grande regista era notoriamente gramsciano, non sarebbe stato più utile, proprio dal punto di vista della conoscenza, suggerire il film di Lino Dal Frà intitolato Antonio Gramsci. I giorni del carcere (1977), pur con tutte le sue imprecisioni?
Dato che abbiamo speso alcune parole per la perfomance televisiva del professor Canali, sembra il caso di dire altre due parole anche sul professor Francesco Perfetti, allievo di Renzo De Felice, docente di Storia contemporanea alla Luiss e direttore della rivista “Nuova storia contemporanea”, anch’egli fra i consulenti scientifici di Rai Storia. E’ comparsa sul quotidiano della Cei, “Avvenire”, in data 19 aprile u. s., un’intervista al professor Perfetti in cui si sostiene che “se la Resistenza non portò alla deriva rivoluzionaria lo si deve al ruolo decisivo delle componenti cattolica e liberale”. Quello che impressiona in costoro è la pervicace e difficilmente incrinabile tendenza ideologica che li spinge a dimenticare l’oggetto del loro stesso discorso, cioè la storia. Mi sembra di ricordare (credo che le compagne e i compagni che mi stanno leggendo vorranno supportarmi) che nell’aprile del 1944 sbarcò dalle parti di Napoli un signore, di nome Palmiro Togliatti, che, dopo anni di esilio a cui era stato costretto dal fascismo, radunò intorno a sé il suo Partito, cioè il Partito comunista, dicendo che andava costruito un ampio fronte unitario antifascista e che la questione istituzionale andava rimandata alla fine della guerra contro il fascismo e il nazismo. Il 22 aprile del 1944 si costituiva a Salerno il primo governo dell’Europa occidentale a partecipazione comunista, presieduto da Badoglio. Insomma, professor Perfetti, la svolta di Salerno è un’altra invenzione di Togliatti o è l’atto costitutivo dell’unità antifascista su cui si fondò il movimento resistenziale, che è l’unica rivoluzione che l’Italia postunitaria abbia mai avuto e che ebbe la sua acme nella Costituzione repubblicana, democratica e, appunto, antifascista scritta dai comunisti insieme alle altre forze politiche antifasciste?
Di fronte a questo scempio operato da intellettuali alla ricerca di un ubi consistam ancorato alla fin troppo abusata categoria dell’anticomunismo, a noi non resta che rivolgerci all’urna di Gramsci e riflettere. Mettere in gioco se stessi è la molla della politica, ritenere che dall’assunzione di una responsabilità da parte di un singolo possa derivare il destino del mondo: questa è la politica, la passione politica. Gramsci è il nostro maestro lungo la strada che conduce a quell’assunzione di responsabilità che è l’anticamera della trasformazione del mondo. Dal silenzio di quell’urna si deve trarre la necessità del fare politica; in modo intransigente, responsabile e convinto.
AutoreLelio La Porta–Fonte Ass. La Città Futura-
Note:
[1] Le testimonianze riportate sono tratte da G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 336 e A. Gramsci, Vita attraverso le lettere, a cura di G. Fiori, Einaudi, Torino, 1994, p. 389
[3] Antonio A. Santucci, Antonio Gramsci 1891-1937, Sellerio editore, Palermo, 2005, p. 136
[4] Si veda V. Gerratana, Prefazione in A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, Einaudi, Torino, 1975
[5] E. Garin, Le Lettere di Gramsci, “Leonardo”, giugno-agosto 1947
[6] B. Croce, Recensione delle “Lettere dal carcere”, Quaderni della critica, 8, luglio 1947. Sarà il caso di ricordare la reazione di Togliatti alla recensione crociana nella quale, secondo il segretario comunista, Gramsci veniva avvicinato eccessivamente al campo idealistico marcandone la sua distanza da un certo comunismo (P. Togliatti, Antonio Gramsci e don Benedetto in Id., Scritti su Gramsci, a cura di G. Liguori, Editori Riuniti, Roma, 2001, pp. 129-130)
[7] R. Giacomini, Il giudice e il prigioniero. Il carcere di Antonio Gramsci, Castelvecchi, Roma, 2014
[8] M. Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, Marsilio, Venezia, 2013
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