La monografia affronta in modo essenziale la vita artistica e le opere discografiche di Frank Zappa. Il libro analizza tutta la produzione discografica dell’artista, commentando brevemente ogni canzone, presenta un capitolo dedicato alle sue dichiarazioni, la discografia ufficiale e un’appendice che raccoglie i più importanti singoli, 12″ e audiocassette che tra il 1966 e il 1988 hanno costellato la produzione musicale di Frank Zappa.
Legends è una collana dedicata alle leggende della Musica Pop/Rock/Folk/Jazz/Blues.
Ogni monografia affronta in modo essenziale e rigoroso la vita, le opere discografiche e l’eredità artistica dei gruppi o dei singoli musicisti analizzati. Nel suo insieme, Legends diventa una vera e propria enciclopedia che sa trasformarsi in preziosa guida all’ascolto degli album più significativi di ciascun interprete così come in efficace promemoria dei suoi brani più celebri.
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A cura di Giovanni Battimelli, Michelangelo De Maria e Adele La Rana.
Con una premessa di Ugo Amaldi.
DESCRIZIONE-
Questo testo scritto verosimilmente negli anni Settanta, doveva costituire nelle intenzioni di Amaldi il nucleo di un libro sulla storia della fisica a Roma. In esso Amaldi ricostruì le drammatiche vicissitudini della comunità dei fisici italiani nel periodo che va dalle leggi razziali, promulgate dal regime fascista nell’autunno del 1938, alla fine della seconda guerra mondiale. In un racconto fitto di episodi in gran parte sconosciuti, rivivono le vicende legate all’emigrazione di Enrico Fermi, Franco Rasetti, Emilio Segré, Bruno Rossi e di molti altri scienziati, e le strategie per la “sopravvivenza scientifica” accettate dai colleghi rimasti in Italia, che permetteranno loro di conseguire importanti risultati negli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra.
Il volume è completato da lettere e documenti inediti che fanno luce sui rapporti fra i fisici italiani costretti all’emigrazione e quelli rimasti in patria, sulle diverse posizioni assunte dai vari scienziati sul problema della bomba atomica e sulla politica della ricerca che i fisici italiani adottarono negli anni della ricostruzione.
Pubblicato a giugno 2022.
INDICE
Premessa di Ugo Amaldi
Nota introduttiva alla seconda edizione di Giovanni Battimelli, Michelangelo De Maria, Adele La Rana
Prefazione alla prima edizione di Giovanni Battimelli, Michelangelo De Maria
Nota al manoscritto
Il collasso e la ricostruzione di Edoardo Amaldi
Lettere scelte 1939-1946
Note biografiche
Indice delle lettere
Indice dei nomi
Breve biografia di Edoardo Amaldi
Edoardo Amaldi (1908-1989), fisico nucleare, fu dapprima allievo, poi amico e stretto collaboratore di Enrico Fermi a Roma negli anni Trenta. È stato una figura chiave nella rinascita della scienza italiana ed europea nel dopoguerra. Fu tra i padri fondatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e del Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire (CERN, Ginevra), oltre che promotore della nascita dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Operoso sostenitore del disarmo nucleare e della cooperazione scientifica internazionale, accanto ai numerosi impegni politici proseguì per tutta la vita la ricerca attiva e di frontiera. Fu tra i pionieri nella ricerca sperimentale delle onde gravitazionali.
Questo libro prende in esame una tradizione poetica che confluisce e trionfa nella lirica di Montale ma che ha radici lontane, nell’alba della modernità. Si tratta di una poesia che parte dalla realtà, che riscopre il reale nelle sue dimensioni di individualità empirica e imperfezione, per trascenderlo poi in direzione sublimante e metafisica. Una poesia in opposizione quindi alla linea petrarchesca che sfocia nella poesia “pura”. Il cigno di Baudelaire contro il cigno di Mallarmè, per fare due esempi celeberrimi. Il saggio interroga i versi di Montale, ma sempre inserendoli in una storia precedente di lunga durata, secondo una metodologia che preferisce non schiacciare il Novecento su se stesso ma articolarne i sensi e gli strati in retrospettive fondanti.
L’Autore-Roberto Gigliucci(1962) è saggista e scrittore. Ha pubblicato volumi di analisi letteraria di ambito moderno e rinascimentale, edizioni di testi, articoli su riviste specializzate (“Lettere Italiane”, “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, “Critica Letteraria” e molte altre); collabora all’ “Indice dei Libri” e alle pagine culturali di “Liberazione”. Insegna Letteratura italiana presso l’Università “La Sapienza” di Roma
Adriano Ossicini- Un’isola sul Tevere. Il fascismo al di là del ponte-
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DESCRIZIONE
1937-1947, dieci anni fondamentali della nostra storia riproposti insieme alla straordinaria esperienza di un giovane antifascista, studente di medicina, nell’ospedale Fatebenefratelli, in un’isola sul Tevere che diviene, via via, un’isola emblematica di libertà e di antifascismo. L’affermazione e la crisi del regime, i rapporti fra la Chiesa e lo Stato fascista, la «campagna razziale», il carcere, la guerra, la Resistenza, il ritorno alla democrazia e insieme iniziative e ricerche di avanguardia nel campo clinico, assistenziale e sociale sono rivissuti attraverso storie autobiografiche e nei colloqui con personaggi determinanti per la nostra storia come i fratelli Amendola, Bonaiuti, Murri, papa Pacelli, De Gasperi, Miglioli, Spataro, Togliatti, Parri; i cardinali Montini, Tardini e Ottaviani, don Giuseppe De Luca, padre Bozzetti uomini di scienza e di cultura come Gentile, Calogero, Musatti, Cerletti, Perrotti… L’autore, diventato uno dei piú autorevoli protagonisti nel nostro paese in campo scientifico e politico, riporta, infine, alla luce documenti inediti di grande interesse.
INDICE
17 – Una rischiosa polemica su Tucidide e il fascismo
p. 27 – Un’isola “della salute” sul Tevere
p. 35 – Il fiume sotto il letto. L’inizio di una lunga “avventura” in uno “straordinario ospedale”
p. 47 – Il medico di fronte alla “condizione umana”
p. 53 – Una lezione di vita da un operaio trockista
p. 63 – La sofferta ribellione di un parlamentare clerico-fascista
p. 78 – La vita nell’ospedale di fronte all’esperienza della guerra e all’inizio della campagna razziale
p. 93 – Il mio primo incontro con De Gasperi
p. 105 – I difficili incontri con Giovanni Gentile e Agostino Gemelli e un angoscioso “congedo”
p. 123 – Un ospedale singolare crocevia di pazienti politici, di speranze e di esperienze drammatiche
p. 134 – Davanti al sacrificio della Polonia e alla caduta di Parigi. L’Italia in guerra!
p. 145 – Studio, ospedale e politica, un equilibrio difficile. L’incontro con Franco Rodano e i primi arresti
p. 161 – “La svolta del 1942”. La guerra cambia e il cerchio si stringe
p. 175 – L’esperienza del carcere
p. 202 – La caduta del fascismo
p. 219 – La Resistenza a Roma
p. 255 – La liberazione di Roma: ricomincia la vita “legale”
p. 272 – Una difficile esperienza politica e una felice esperienza clinica
p. 302 – Polemica fine di una coraggiosa testimonianza. La sinistra cristiana si scioglie
p. 332 – Una lettera del papa, uno scontro con Togliatti e un incontro con De Gasperi. Addio all’Isola
p. 361 – Indice dei nomi-
Breve Biografia di Adriano Ossiciniemerito di psicologia generale presso l’università La Sapienza di Roma è primario emerito del Centro medico psicopedagogico per la prevenzione e cura dei disturbi psichici da lui fondato nel 1947 insieme a Giovanni Bollea. Porta il suo nome la legge che riconosce la professione di psicologo. Membro per sette legislature del gruppo della Sinistra indipendente al Senato, di cui è stato vicepresidente per due legislature, ministro della Famiglia e della Solidarietà sociale. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
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Articolo di Renato Caputo:”Stato e società civile nel giovane Karl Marx”-
Al contrario delle illusioni degli idealisti, per Karl Marx nella modernità a dominare è il duro realismo, il particolarismo imperante nella società civile con il suo fondamento meramente empirico, immediato: il bisogno pratico dell’individuo egoista, la brama di profitto e l’implacabile legge del mercato.
La rivoluzione politica borghese ha costituito per Karl Marx e Friedrich Engels un progresso decisivo nella storia spazzando via la commistione immediata di vita sociale e politica propria del mondo feudale che separava il cittadino dalla comunità statuale, negando ogni sovranità popolare, essendo il popolo confinato in una serie di corporazioni, ceti e gilde gelose custodi delle proprie libertà-privilegi. “L’emancipazione politica è al tempo stesso la dissoluzione della vecchia società. La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile. Quale era il carattere della vecchia società? La feudalità. La vecchia società civile aveva immediatamente un carattere politico ossia gli elementi della vita borghese, come per esempio la proprietà, famiglia o il tipo di lavoro erano, nella forma della signoria fondiaria, del ceto e della corporazione, innalzati a elementi della vita statale. In tale forma essi determinavano il rapporto del singolo individuo verso la totalità dello Stato, vale a dire il suo rapporto politico, cioè il suo rapporto di separazione ed esclusione dalle altre parti costitutive della società civile. Quell’organizzazione della vita del popolo, infatti, non elevava il possesso e il lavoro ad elementi sociali, ma piuttosto portava a compimento la separazione dalla totalità statale e li costituiva (possesso e lavoro) in società particolari all’interno della società” [1].
Dunque, nel sistema feudale l’uomo non era libero, né la società civile indipendente, ma la posizione dell’individuo rispetto allo Stato era fissata dalla nascita e le libertà in quanto privilegi determinavano sfera politica e civile. Come osserva a ragione a questo proposito Marx: “le funzioni e le condizioni vitali della società civile rimanevano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso della feudalità, ovvero che escludevano l’individuo dalla totalità statale, trasformavano il rapporto particolare della sua corporazione con la totalità dello Stato nel suo proprio rapporto universale con la vita del popolo, così come la sua determinata attività e situazione civile nella sua attività e situazione universale. Come conseguenza di questa organizzazione, l’unità dello Stato, come coscienza, volontà e attività dell’unità dello Stato, il potere universale dello Stato, appare altrettanto necessariamente come affare particolare di un sovrano separato dal popolo e dai suoi servitori” [2]. D’altra parte a un certo grado di sviluppo dei mezzi di produzione e di scambio, feudali “le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire l’organizzazione feudale dell’agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive già sviluppate. Quelle condizioni, invece di favorire la produzione, la inceppavano. Esse si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate, e furono spezzate” [3].
La rivoluzione “fece necessariamente a pezzi (… ) tutte le espressioni della separazione tra il popolo e la sua comunità” [4] e sostituì al privilegio quale espressione politica dell’età feudale “il diritto puro e semplice, il diritto uguale” [5]. In tal modo la gestione della cosa pubblica, dello Stato cessava d’esser affare particolare d’un sovrano o d’un ceto politico particolare per divenire “affare universale”.
Nella fase più radicale e avanzata della lotta per il potere le esigenze politiche erano talvolta entrate in contraddizione con il loro presupposto strutturale, la proprietà privata borghese, fondamento della società civile moderna. Tale contraddizione era stata astrattamente superata mediante il terrore. I giacobini si erano illusi di poter riplasmare, configurare lo Stato politico moderno sul modello antico, reprimendo nel terrore le “manifestazioni vitali” della società civile borghese. “Robespierre, Saint-Just ed il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualisticamente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo la società civile moderna, la società dell’industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell’anarchia, dell’individualità naturale e spirituale alienata a se stessa, e volere poi nello stesso tempo annullare nei singolo individui le manifestazioni vitali di questa società, e volere modellare la testa politica di questa società nel modo antico!” [6].
Nel fuoco della lotta la differenza fra emancipazione politica e sociale tendeva a sfumare, dal momento che la rivoluzione costituiva un passaggio necessario e decisivo alla realizzazione d’entrambe e l’inadeguato sviluppo delle forze produttive impediva il porsi di problematiche che non corrispondevano a un bisogno storico reale. Così i giacobini, per difendere la rivoluzione di contro a conservatori e reazionari, avevano finito per doverne combattere lo stesso presupposto reale, la struttura sociale per cui si battevano, come appare evidente nel conflitto con la Montagna e i Girondini.
La rivoluzione permanente, dunque, non poteva superare il momento del terrore quale negazione determinata del feudalesimo, ma solo astratta delle proprie basi strutturali, della proprietà privata, se in contrasto con le superiori esigenze dello Stato che le impedivano di realizzare l’emancipazione sociale. “Certo: in tempi in cui lo Stato politico nasce violentemente, come Stato politico, dalla società borghese, quando l’emancipazione umana cerca di realizzarsi sotto forma di emancipazione politica, lo Stato può e deve giungere fino a sopprimere la religione, ad annientare la religione; ma solo nel modo in cui perviene a sopprimere la proprietà privata, cioè coll’imposizione di un limite massimo, colla confisca, coll’imposta progressiva, appunto come giunge alla soppressione della vita con la ghigliottina. Nei momenti in cui la vita politica sente più specialmente se stessa, essa cerca di soffocare il proprio presupposto, la società borghese e i suoi elementi, e di porsi per l’uomo come la reale e perfetta vita del genere umano. E questo può aver luogo soltanto tramite una violenta opposizione alle proprie condizioni di vita, solo in quanto la rivoluzione si dichiari permanente, e il dramma politico termina perciò necessariamente con la restaurazione della religione, della proprietà privata, di tutti gli elementi della società borghese, come la guerra si conclude con la pace” [7]. L’emancipazione politica è, in effetti, “gravata da un limite interno, strutturale, che le impedisce di rispondere alla questione cui essa conduce (con il suo stesso «fallimento»), quella dell’avvento dell’universalità concreta” [8].
Non erano sorte le condizioni oggettive per l’emancipazione sociale, in quanto “una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che non siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza” [9]. Né era sorta l’esigenza soggettiva nei suoi rappresentanti più avanzati – non essendo germogliato un bisogno effettivo dell’emancipazione sociale neppure nei sanculotti.
Dunque, solo la prima negazione: la rivoluzione della società civile, la dissoluzione dei precedenti assetti di proprietà su cui si fondava il feudalesimo era conforme ai bisogni effettuali dell’epoca, mentre la seconda negazione era destinata a restare un mero dover essere [10]. La borghesia manteneva salde nelle proprie mani le redini del processo storico e così, compiuta la prima negazione, la seconda venne archiviata, ridotta dal Termidoro a fantasma o utopia. Del resto, “non basta che il pensiero spinga verso la realizzazione; la realtà stessa deve spingersi verso il pensiero” [11]. Tanto più che “la sentimentale borghesia ha dovunque sacrificato la rivoluzione al suo dio, la Proprietà. La controrivoluzione ora ripudia questo dio” [12]. Riassumendo: non appena la furia trasformatrice dell’intero assetto della vecchia società si arrestò, il poetico, l’epico cittadino rivoluzionario lasciava progressivamente il campo al prosaico uomo borghese [13].
Articolo di Renato Caputo
Note:
[1] B. Bauer, K. Marx, La questione ebraica, traduzione italiana di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, p. 197.
[2] Ibidem.
[3] K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista [1848], in Id., Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di P. Togliatti, Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 491.
[4] B. Bauer, K. Marx, La questione…, op. cit., p. 197
[5] K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 311.
[6] Id., La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 160.
[7] B. Bauer, K. Marx, La questione…, op. cit., pp. 368-69.
[8] E. Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, p. 74.
[9] K. Marx, Per la critica dell’economia politica [1859], tr. it. di E. Cantimori Mezzomonti, Editori Riuniti, Roma, 19693, p. 5.
[10] Così, per esempio, “fintanto che le forze produttive non sono ancora abbastanza sviluppate da rendere superflua la concorrenza, e quindi continueranno a provocare sempre di nuovo la concorrenza, le classi dominate vorrebbero l’impossibile se avessero la «volontà» di abolire la concorrenza e con essa lo Stato e la legge. Del resto, prima che le condizioni siano sviluppate al punto di poterla produrre, questa «volontà» nasce soltanto nell’immaginazione degli ideologi.” K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it di F. Codino, Ed. Riuniti, Roma 1967, p. 314.
[11] K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1843], in Id., Scritti politici giovanili, a cura di Luigi Firpo, Einaudi, Torino 1975, p. 406.
[12] K. Marx, F. Engels, Opere complete, marzo 1853 – febbraio 1854, tr. it. di F. Codino, vol. XII, Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 39.
[13] Non appena la potenza trasformatrice si arresta, proprietà privata e religione finiscono per riprodursi su nuove basi. Prodotto della rivoluzione politica, anche al di là degli scopi dei differenti attori, non è altro che la rivoluzione borghese, il cui risultato sancisce quali leggi dello Stato i rapporti fondamentali della società civile. Il dibattito sul superamento dello Stato in Marx è in parte viziato dal fatto che il giovane Marx aveva in mente lo Stato hegeliano-borghese, lo Stato politico de La questione ebraica, lo Stato che definisce democratico. Solo in seguito al sorgere dell’idea di uno Stato socialista questa problematica sarà in parte superata.
Fonte- Associazione La Città Futura- | Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Responsabile Adriana Bernardeschi – Articolo di Renato Caputo
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