Alessandro Bencistà-La memoria di Dante nell’arte dei cantastorie-
-Edizioni Sarnus-
Descrizione-del libro di Alessandro Bencistà ,Dalla Castellana di Vergi alla dolente Pia-I cantastorie e i poeti popolari sono stati tra i più appassionati cultori e divulgatori di Dante Alighieri. È grazie a loro se le rime del Divin Poeta sono giunte fino a noi, arrivando anche a un pubblico che non aveva potuto apprendere la poesia nelle aule scolastiche e nelle accademie, “formandosi” semmai nelle botteghe delle città o dei villaggi. La tradizione orale ha raggiunto il cuore di un popolo occupato quotidianamente nel duro lavoro dei campi, nei boschi, nella solitaria custodia dei greggi e delle mandrie. Dove il libro non è mai arrivato, lo ha fatto la parola cantata e recitata: è così che le grandi storie hanno messo radici profonde.
La casa editrice Sarnus è stata fondata nel 2007 da Mauro e Antonio Pagliai, concepita come una finestra aperta sul meglio della cultura toscana. Dalla cucina alla letteratura, dalle favole alla poesia, Sarnus si concentra sulle eccellenze regionali per dimostrare il ruolo speciale della Toscana nella cultura nazionale e nell’immaginario internazionale. Per connotare l’identità della casa editrice è stato scelto il nome del massimo fiume toscano, in una variante già utilizzata da Dante Alighieri per Arnus.
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Ugo Ojetti -Carducuci e noi – Discorso del 1 luglio 1935 tenuto a Bologna nel centenario della nascita del Poeta-pubblicato sulla Rivista PAN-
BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935
Biografia di Ugo Ojetti,Figlio della spoletina Veronica Carosi e del noto architetto Raffaello Ojetti, personalità di vastissima cultura, consegue la laurea in giurisprudenza e, insieme, esordisce come poeta (Paesaggi, 1892). È attratto dalla carriera diplomatica, ma si realizza professionalmente nel giornalismo politico. Nel 1894 stringe rapporti con il quotidiano nazionalista La Tribuna, per il quale scrive i suoi primi servizi da inviato estero, dall’Egitto.
Nel 1895 diventa immediatamente famoso con il suo primo libro, Alla scoperta dei letterati, serie di ritratti di scrittori celebri dell’epoca[1] redatti in forma di interviste, genere all’epoca ancora in stato embrionale. Scritto con uno stile che si pone fra la critica ed il reportage, il testo viene considerato, e come tale fa discutere, un momento di analisi profonda del movimento letterario dell’epoca. L’anno seguente Ojetti tiene a Venezia la conferenza “L’avvenire della letteratura in Italia”, che suscita un vasto numero di commenti in tutto il Paese.
I suoi articoli diventano molto richiesti: scrive per Il Marzocco (1896-1899), Il Giornale di Roma, Fanfulla della domenica e La Stampa. La critica d’arte occupa la maggior parte della sua produzione. Nel 1898 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera, che si protrae fino alla morte.[2]
Tra il 1901 e il 1902 è inviato a Parigi per il Giornale d’Italia; dal 1904 al 1909 collabora a L’Illustrazione Italiana: tiene una rubrica intitolata “Accanto alla vita”, che poi rinomina “I capricci del conte Ottavio” (“conte Ottavio” è lo pseudonimo con cui firma i suoi pezzi sul settimanale). Nel 1905 si sposa con Fernanda Gobba e prende domicilio a Firenze; dal matrimonio tre anni dopo nasce la figlia Paola. Dal 1914 abiterà stabilmente nella vicina Fiesole. Invece trova nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata “Il Dado”, il luogo ideale in cui riposarsi, trascorrere le sue vacanze e scrivere le sue opere.
Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. All’inizio della guerra riceve l’incarico specifico di proteggere dai bombardamenti aerei le opere d’arte di Venezia. Nel marzo 1918 fu nominato “Regio Commissario per la propaganda sul nemico”. Fu incaricato di scrivere il testo del volantino, stampato in 350 000 copie in italiano e in tedesco, che fu lanciato il 9 agosto, dai cieli di Vienna dalla squadriglia comandata da Gabriele D’Annunzio.[3]
Nel 1920 fonda la sua rivista d’arte, Dedalo (Milano, 1920-1933), dove si occupa di storia dell’arte antica e moderna. Dall’impostazione della rivista dimostra una sensibilità e un modo di accostarsi all’arte e di divulgarla diversi dai canoni del tempo. La rivista diventa subito occasione d’incontro tra critici, intellettuali, artisti come Bernard Berenson, Matteo Marangoni, Piero Jahier, Antonio Maraini, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Toesca, Lionello Venturi e Roberto Longhi. L’idea di base della rivista è che l’opera d’arte abbia valore di testimonianza visibile della storia e delle civiltà più di ogni altra fonte. Nel 1921 avvia una rubrica sul Corriere utilizzando lo pseudonimo “Tantalo”. Tiene la rubrica ininterrottamente fino al 1939.
Sul finire del decennio inaugura una nuova rivista, Pegaso (Firenze, 1929-1933). Infine, lancia la rivista letteraria Pan, fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina. Tra il 1925 e il 1926 collabora anche a La Fiera Letteraria. Tra il 1926 ed il 1927 è direttore del Corriere della Sera.
È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 ed è nominato Accademico d’Italia nel 1930. Fa parte fino al 1933 del consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia Italiana. Ojetti organizza numerose mostre d’arte e dà vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi per l’editrice Treves e I Classici italiani per la Rizzoli. Sul significato dell’architettura nelle arti ebbe a dire:
«l’architettura è nata per essere fondamento, guida, giustificazione e controllo, ideale e pratico, d’ogni altra arte figurativa»
La finestra di Ojetti a villa Il Salviatino con una targa che lo ricorda
Collaborò anche con il cinema: nel 1939 firmò l’adattamento per la prima edizione sonora de I promessi sposi, che costituì la base della sceneggiatura per il film del 1941 di Mario Camerini.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana[4]; dopo la liberazione di Roma, nel 1944, fu radiato dall’Ordine dei giornalisti. Passò gli ultimi anni nella sua villa Il Salviatino, a Fiesole, dove morì nel 1946.
Antonio Gramsci scrisse che « la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale ». Indro Montanelli lo ricordò sul: « È un dimenticato, Ojetti, come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: Barzini, per il grande reportage; Mussolini (non trasalire!), quello dell’Avanti! e del primo Popolo d’Italia, per l’editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l’articolo di arte e di cultura ».
Biblioteca DEA SABINA-UGO OJETTIBIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935BIBLIOTECA DEA SABINA-Ugo Ojetti su Giosuè CARDUCCI -1 luglio 1935
I poeti lavorano? Sulla precarietà e il mestiere del poeta | L’Altrove-
I poeti lavorano?Nel panorama culturale contemporaneo, la figura del poeta è permeata da una serie di immagini ideologiche e storiche che si riflettono nel modo in cui la società percepisce la sua attività. Il poeta è spesso visto come un “creatore” che vive nel distacco dalla realtà materiale, immerso in un mondo ideale, al di fuori delle logiche economiche che governano le altre professioni. Tuttavia, la realtà di molti poeti non è quella di una vita consacrata solo all’arte, ma quella di una figura costantemente in bilico tra l’attività letteraria e lavori più o meno precari, volti a garantirne la sopravvivenza economica. In questo saggio, si analizzerà il rapporto tra poesia ed economia, esplorando le modalità con cui i poeti riescono a mantenersi, le sfide del mercato editoriale e il lavoro precario che caratterizza la loro esistenza, attraverso esempi storici e contemporanei.
Lavorare per scrivere: una necessità antica
L’idea che il poeta non abbia bisogno di lavorare è una costruzione culturale piuttosto recente e idealizzata. Se si guarda alla tradizione occidentale, si scopre che fin dai tempi antichi i poeti hanno dovuto conciliare la scrittura con il lavoro. Esiodo, uno dei primi poeti della Grecia arcaica, si presenta come agricoltore; Virgilio, celebrato cantore dell’età augustea, fu sostenuto economicamente dal mecenatismo imperiale. Dante Alighieri fu coinvolto nella vita politica fiorentina prima dell’esilio, e Francesco Petrarca ebbe incarichi diplomatici e ecclesiastici. Giovanni Boccaccio lavorò come impiegato e ambasciatore, incarichi che gli garantivano un sostentamento regolare.
Anche nella modernità la condizione del poeta non è stata mai quella di un professionista nel senso economico. Leopardi, sebbene nobile, fu costantemente alla ricerca di impieghi presso corti e biblioteche. Giovanni Pascoli fu insegnante per tutta la vita, e Gabriele D’Annunzio, pur godendo di fama e privilegi,
Il Mestiere del Poeta
affidò spesso a mecenati e amanti benestanti.
L’immaginario del poeta: dal Romanticismo alla realtà
Nel XIX secolo, la figura del poeta era quella di un individuo “divino”, ispirato e dotato di una sensibilità unica. Il poeta romantico viveva spesso ai margini della società, ma la sua marginalità era quasi mitizzata, visto che l’arte che produceva veniva considerata espressione pura di un genio superiore. L’immaginario collettivo ha perpetuato questa visione, dove il poeta è rappresentato come un essere estraneo alle necessità quotidiane, lontano dalla logica del guadagno. Tuttavia, se guardiamo alla storia, vediamo che i poeti non sono mai stati estranei alla necessità di un lavoro economico. Lo stesso Leopardi, uno dei più grandi poeti italiani, visse una vita segnata da difficoltà economiche. Sebbene sia noto per le sue opere filosofiche e poetiche, Leopardi lavorò come correttore di bozze e svolse altre mansioni, come il restauro di manoscritti, per guadagnarsi da vivere.
Oggi, però, la figura del poeta non ha più l’aura romantica di un tempo, e la necessità di mantenersi economicamente si fa sempre più urgente. La precarietà economica dei poeti contemporanei è uno degli aspetti che più di ogni altro caratterizza la vita dei creatori di poesia.
Il mercato editoriale contemporaneo e la precarietà del poeta
Il mercato editoriale contemporaneo è particolarmente ostico per i poeti, che sono costretti ad affrontare una realtà di scarsità di risorse e di una domanda limitata. La poesia, purtroppo, non ha più la stessa rilevanza commerciale che ha avuto in passato, e la pubblicazione di una raccolta poetica non garantisce un reddito sufficiente a sostenere un autore. A conferma di questa tendenza, secondo l’ISTAT, la maggior parte degli scrittori in Italia guadagna meno di 10.000 euro l’anno dalla propria attività letteraria, il che li costringe a cercare altre fonti di reddito.
Un altro fattore che contribuisce alla precarietà dei poeti è la logica del “mercato delle idee” che permea l’editoria contemporanea. Molti poeti si trovano a dover “adattare” la propria produzione per rispondere alle richieste del mercato, spesso rinunciando alla libertà creativa in cambio di maggiore visibilità o guadagni. Questo aspetto di compromesso tra arte e commercio ha suscitato molte riflessioni nel mondo della critica. Pierre Bourdieu, nel suo saggio La distinzione, ha analizzato come le dinamiche economiche influenzino il campo culturale, con la cultura che diventa sempre più un “bene di consumo”, soggetto alle stesse leggi del mercato. La poesia, quindi, diventa un prodotto che deve confrontarsi con le logiche di domanda e offerta.
Lavori e vita quotidiana dei poeti: esempi storici e contemporanei
Un aspetto interessante è l’evoluzione dei lavori che i poeti svolgono per mantenersi. Sebbene la figura del poeta possa sembrare isolata dal mondo del lavoro, molti autori storici hanno dovuto affrontare la necessità di procurarsi un reddito attraverso attività diverse dalla scrittura. Si pensi, per esempio, a Eugenio Montale, che pur essendo uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, lavorò come impiegato alle ferrovie, un lavoro che gli permetteva di sostenere economicamente la sua attività poetica. La sua carriera letteraria, infatti, si sviluppò parallelamente a una vita segnata da impegni professionali lontani dal mondo dell’arte.
Giuseppe Ungaretti fu docente universitario e giornalista. Pier Paolo Pasolini fu insegnante, romanziere, regista, sceneggiatore: la sua produzione letteraria fu sempre accompagnata da un’intensa attività intellettuale e pubblica. AldoPalazzeschi, che proveniva da una famiglia agiata, poté dedicarsi più liberamente alla scrittura, ma anche lui scrisse per giornali e riviste per mantenersi. Amelia Rosselli, figura centrale della poesia del secondo Novecento, lavorò come traduttrice, editor e musicista, e solo in tarda età ottenne un certo riconoscimento istituzionale. Un altro esempio è quello di Umberto Saba, il cui mestiere di libraio fu essenziale per garantire la sua autonomia economica. Sebbene il suo lavoro non fosse direttamente legato alla poesia, Saba sfruttò il suo contatto con i libri e gli scrittori per alimentare la sua passione letteraria. La sua attività di libraio gli consentì di vivere in un ambiente stimolante e di fare della poesia un’attività secondaria, seppur fondamentale per la sua identità.
Oggi, i poeti italiani contemporanei si trovano a fare i conti con una realtà simile, ma amplificata dalla precarietà del lavoro intellettuale. Molti di loro sono anche insegnanti, traduttori, giornalisti, curatori editoriali o lavorano nel campo della comunicazione. Le figure di poeti come Maria Grazia Calandrone o FrancoArminio sono emblematiche di come il poeta moderno, pur essendo un autore rispettato, debba reinventarsi continuamente per sopravvivere economicamente. Calandrone, oltre a scrivere, è stata per anni curatrice di eventi letterari e svolge un’intensa attività di sensibilizzazione culturale, mentre Arminio è noto per la sua attività di scrittore e per la sua costante presenza come divulgatore culturale, con un’intensa attività pubblica legata alla promozione della poesia.
La condizione dei poeti precari: la moltiplicazione dei ruoli
Un fenomeno che sta prendendo piede nella società contemporanea è quello della moltiplicazione dei ruoli per i poeti, che sono costretti a diversificare continuamente la propria attività professionale. La figura del poeta contemporaneo non è più quella di un autore che vive solo di scrittura, ma quella di un intellettuale che si impegna in molteplici attività collaterali. Se da un lato questo moltiplicarsi di impegni può essere visto come una forma di creatività e adattabilità, dall’altro rappresenta una spia della precarietà in cui vivono molti poeti. Ad esempio, molti poeti contemporanei sono anche critici letterari, insegnanti di scrittura creativa, moderatori di eventi culturali e autori di testi per la televisione o per il web.
In un articolo apparso su “Il Post” nel 2016, si legge che molti poeti contemporanei italiani non vivono della propria scrittura: tra gli esempi citati vi sono MariangelaGualtieri (fondatrice del Teatro Valdoca, dunque anche drammaturga), FrancoBuffoni (accademico e traduttore), Milo De Angelis (insegnante di lettere), ValerioMagrelli (docente universitario e saggista). Persino figure molto stimate come VivianLamarque hanno mantenuto lavori paralleli (psicologa, insegnante) per sostenersi.
Un recente studio condotto da “Jacobin Italia” sottolinea come il poeta oggi sia costretto a muoversi in una dimensione “semi-amatoriale”: pubblicazioni con piccole case editrici, letture pubbliche retribuite con gettoni simbolici, occasioni di visibilità legate a premi letterari che spesso non garantiscono stabilità. Il “mercato” della poesia in Italia è sostanzialmente asfittico: nonostante un notevole fermento creativo, la distribuzione è limitata, e i circuiti accademici o editoriali sono ristretti.
Il poeta come lavoratore culturale
In questo contesto, è utile inquadrare la figura del poeta come “lavoratore culturale”. L’espressione, cara ad alcuni movimenti degli anni Settanta, definisce chi produce beni simbolici non direttamente valorizzabili sul mercato. Il poeta lavora, dunque, ma il suo lavoro non è riconosciuto come tale: non riceve tutele, contributi previdenziali, compensi proporzionati.
Il caso di Alba Donati è emblematico. Poetessa, critica, operatrice culturale, ha fondato una biblioteca in un borgo toscano (Lucignana), la “Libreria sopra la Penna”, diventata simbolo di resilienza culturale. Il suo lavoro poetico si intreccia con un’attività organizzativa, imprenditoriale e comunicativa. Tuttavia, anche nel suo caso, il successo è arrivato grazie a una molteplicità di ruoli e iniziative, non solo alla scrittura poetica in senso stretto.
Scrittura e sopravvivenza: strategie e percorsi
Molti poeti e poetesse scelgono di lavorare nell’insegnamento, nell’editoria, nel giornalismo, nella traduzione. Si pensi a Nadia Agustoni, che affianca alla scrittura poetica il lavoro redazionale; o a LauraPugno, che ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid e lavora nell’ambito delle politiche culturali. La poeta Elisa Biagini insegna scrittura creativa e letteratura anglo-americana, e tiene laboratori in Italia e all’estero.
L’autonomia economica della poesia passa anche attraverso nuove forme di produzione e diffusione: reading performativi, crowdfunding, autopubblicazione, festival. Alcuni poeti lavorano nel teatro, nella musica, nell’arte visiva, creando contaminazioni che permettono visibilità e reddito.
Il nodo politico ed estetico della marginalità
La marginalità economica della poesia solleva interrogativi profondi: è solo una questione di mercato o riflette una crisi più ampia del valore simbolico nella società contemporanea? L’economista e saggista Mariana Mazzucato ha parlato dell’importanza di ridefinire cosa consideriamo “valore” nel capitalismo contemporaneo: in quest’ottica, il poeta incarna una figura che produce valore culturale e spirituale, ma che non trova riscontro nei parametri economici attuali.
D’altra parte, la stessa marginalità è stata rivendicata come forma di resistenza. Giovanna Cristina Vivinetto ha sottolineato come la poesia rappresenti uno spazio di libertà espressiva, in grado di sfuggire alle logiche dell’utile. Ma tale “libertà” ha un costo, e spesso si traduce in instabilità, isolamento, sacrifici materiali.
Quale riconoscimento per il lavoro poetico?
Alcuni paesi prevedono forme di sostegno agli scrittori e poeti: borse di studio, residenze, premi statali. In Italia, la “Legge Bacchelli” garantisce un vitalizio a cittadini illustri che si trovano in stato di necessità economica; tra i beneficiari, anche poeti e scrittori come Mario Luzi. Ma si tratta di eccezioni e non di un sistema strutturale.
Occorre invece pensare a un riconoscimento sistemico del lavoro intellettuale e poetico: tutele previdenziali, compensi adeguati per letture pubbliche, laboratori, pubblicazioni; politiche culturali che valorizzino la poesia non solo come patrimonio, ma come pratica viva e generativa.
Le difficoltà economiche e professionali spingono i poeti a farsi “tuttofare” della cultura: il poeta non è più solo un creatore di versi, ma un operatore culturale a 360 gradi, chiamato a lavorare in contesti sempre più eterogenei e a rispondere a richieste non sempre legate alla poesia. Come ha sottolineato Alfonso Berardinelli, uno dei più importanti critici letterari italiani, “il poeta del nostro tempo è spesso un ‘artista-problema’, costretto a confrontarsi con un mondo che non ha più bisogno di lui come simbolo di purezza o di separazione dal quotidiano, ma come produttore di contenuti che possano rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione”.
Il mestiere del poeta oggi
Alla luce di queste considerazioni, la domanda “I poeti lavorano?” trova una risposta affermativa, ma con un significato nuovo. I poeti non sono più figure isolate che vivono nella torre d’avorio della poesia, ma professionisti che devono affrontare le difficoltà economiche di un mercato in continua mutazione. Il poeta moderno è costretto a moltiplicare i suoi impegni e a trasformarsi in una figura versatile che non solo scrive, ma si impegna anche in molteplici attività culturali per sopravvivere. Sebbene la poesia non abbia mai avuto un alto ritorno economico, la sua funzione sociale e culturale rimane di grande valore. In un’epoca in cui la cultura è sempre più mercificata, il poeta si trova ad essere un operaio del pensiero e delle parole, costretto a lavorare in un campo che non garantisce un reddito stabile. Tuttavia, nonostante le difficoltà, la poesia continua a essere una delle forme artistiche più pure e autentiche, e i poeti, pur tra mille difficoltà, mantengono intatto il loro impegno verso l’arte e la cultura.
FONTE-L’Altrove è un Blog di poesia contemporanea italiana e straniera
L’Altrove -Chi siamo
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Nuova edizione integrale aggiornata al nuovo esame di Stato
Giovanni FIGHERA- – La divina Commedia-
SCHEDA DEL LIBRO Perché leggere la Commedia, a più di settecento anni dalla sua composizione? Il capolavoro dantesco può ancora parlare a noi uomini del terzo millennio? La nuova edizione della Principato cerca di valorizzare la bellezza dell’avventura del viaggio di Dante nella Commedia, opera che parla non solo dell’aldilà, ma anche dell’al di qua, della vita, dell’uomo, della sua esigenza di amore, di felicità e di salvezza, e lo fa con la potenza e la capacità di comunicazione del genio proprio del poeta fiorentino. Se tutti sono colpiti dalle parole cortesi di Francesca, dalla forza d’animo di Farinata e dal suo desiderio di «ben far», dall’ardore di conoscenza di Ulisse è perché il poeta racconta storie che testimoniano l’animo dell’uomo di ogni tempo. La Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull’uomo di oggi, come del passato. Nella lettura dei versi avvertiamo una comunione universale tra noi moderni e gli antichi, tra la nostra e la loro aspirazione alla salvezza, alla felicità e all’eternità. Centrale nell’edizione è anche non perdere mai di vista il fine del viaggio e del capolavoro di Dante cioè quello di «allontanare gli uomini dalla condizione di miseria/peccato/infelicità e accompagnarli alla situazione di felicità/beatitudine», come il poeta scrive nella lettera a Cangrande della Scala cui dedica la terza cantica. La scelta di proporre in modo integrale i cento canti, affiancati dalla parafrasi e da un apparato in note (distinte tra quelle di carattere storico e quelle di tipo stilistico) intende sottolineare l’importanza di proseguire nello studio della Commedia dantesca fino al quinto anno, fino al termine del viaggio, fino al Paradiso, cantica bellissima che conduce Dante nel luogo in cui il desiderio di felicità e di salvezza di ogni uomo si compie. Nella luce di Dio tutto è ricomposto e redento. Il grido cosmico della sofferenza innocente, che così tanto ferisce e scandalizza l’uomo, finalmente è placato nell’abbraccio amorevole di un Padre che ci ha voluto salvi e, nel contempo, liberi. Nella terza cantica Dante si cimenta nel tentativo di creare una nuova lingua che permetta di esprimere l’inesprimibile: il motivo conduttore è il sorriso di Dio, sempre presente in ogni verso, trasmesso anche attraverso la letizia dei santi e il loro ardore caritatevole. Il Paradiso presenta grandi personaggi, affascinanti e per nulla inferiori a quelli tragici dell’Inferno, figure che hanno segnato la storia dell’Occidente e della cristianità: a titolo di esempio, San Francesco, san Domenico, san Benedetto, san Bernardo, san Tommaso, san Bonaventura da Bagnoregio, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni. Anche nel Paradiso non manca certo l’avventura. Dante incontra difficoltà, conosce storie belle e drammatiche, deve addirittura superare tre esami per procedere nel viaggio fino a giungere alla visione di Dio. Il testo vuole accompagnare gradualmente lo studente all’acquisizione degli strumenti di lettura di un testo poetico proponendo la rubrica Dante maestro di retorica che ha il fine di far acquisire canto dopo canto i mezzi retorici che permettano di cogliere la specificità del fatto letterario e l’abilità versificatoria di Dante. Lo studente apprende, però, nel percorso non solo le più significative figure retoriche, ma anche generi letterari e modalità oratorie (come la tenzone, l’invettiva, la preghiera, l’orazione, ecc.) di cui si avvale Dante nel corso dell’opera. La rubrica Altre pagine altri percorsi (o altro titolo) mostra l’universalità dei versi danteschi, mostra i grandi capolavori che hanno ispirato l’opera dantesca o le opere che successivamente (dal Trecento ad oggi) si sono ispirate alla Commedia o ancora apre una finestra su temi e immagini danteschi che ricorrono anche altrove nella letteratura. La nuova edizione ha prestato un’attenzione particolare alla trasmissione dei contenuti in modo semplice e chiaro per tutti attraverso l’utilizzo di mappe concettuali per i canti più significativi che accompagnano l’analisi e il commento. Dodici canti selezionati tra le tre cantiche sono presentati dall’autore del testo in un breve filmato nella convinzione che la parola viva sia centrale nell’esperienza didattica. La nuova edizione intende poi rispondere anche all’esigenza del mondo della scuola (avvertita sia dagli insegnanti che dagli studenti) di essere accompagnati nelle grandi novità che sono state introdotte negli ultimi anni nelle prove degli esami di Stato e nelle prove Invalsi che gli alunni devono sostenere in quinta. Per questo già dalla prima cantica compaiono proposte di prima prova dell’Esame di Stato (con tipologia A, B, C) e prove Invalsi (per ogni canto commentato e sottoposto ad analisi) con il fine di valutare l’acquisizione dei contenuti e di preparare in vista delle prove del quinto anno. La tipologia B ha anche il pregio di sottoporre agli studenti utili pagine di critica letteraria di saggisti famosi o contemporanei che facilitino la comprensione del canto. La tipologia C, invece, offre l’opportunità di far riflettere i giovani su importanti questioni attuali e pertinenti il mondo giovanile a partire dai versi danteschi, mostrando la contemporaneità e l’attualità dell’opera dantesca.
Giovanni Fighera
L’AUTORE.-Proessor Giovanni Fighera,laureato in Lettere moderne con specializzazione in letteratura e in linguistica, giornalista, scrittore e blogger, insegna Italiano e Latino nei licei e collabora con il dipartimento di Filologia moderna dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato: Che cos’è, dunque, la felicità, mio caro amico? (2008), La Bellezza salverà il mondo (2009), «Amor che move il sole e l’altre stelle». L’amore, l’uomo, l’Infinito (2010), Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? L’io, la crisi, la speranza (2012, Premio Capri San Michele 2013 sezione giovani), tutti letti integralmente su Radio Vaticana. E inoltre Il matrimonio di Renzo e Lucia (2015), Tre giorni all’Inferno. In viaggio con Dante (2016), Purgatorio: ritorno all’Eden perduto (2017). Per quanto riguarda gli studi sulla Commedia oltre a scrivere su Studi danteschi ha partecipato, tra l’altro, al Censimento dei commenti danteschi (2014), al Convegno internazionale di Varsavia Il Dante dei moderni (2015) e al Congresso Dantesco Internazionale di Ravenna (2017). Su Radio Maria ha condotto la rubrica In viaggio con Dante verso le stelle. Attualmente conduce la trasmissione I promessi sposi e il sugo della storia. Su Radio 5.9 conduce trasmissioni di sua ideazione con cadenza settimanale.
Prof.Giovanni Teresi-L’asprezza espressiva di Dante nelle Rime “petrose”
Dante approda a una poesia che scava a fondo nelle cose e nelle parole: le rime «petrose» rappresentano un altro passaggio fondamentale verso il linguaggio della Commedia, tanto che alcuni critici fanno risalire queste liriche agli anni della maturità del poeta, intorno al 1304.
La più complessa e movimentata delle rime «petrose» è Così nel mio parlar vogli’esser aspro (Rime XLVI), tanto per le scelte metriche quanto per la materia rappresentata, equamente distribuita tra la raffigurazione oggettiva della donna e lo sfogo della soggettività del poeta.
Le immagini e lo stile definiscono una materia e una disposizione psicologica violente ed esasperate. Già il verso iniziale mette in evidenza la deliberata ricerca dell’«asprezza», della violenza espressiva: uno stile per cui si può parlare, con un termine che verrà in uso solo nel Novecento, di «espressionismo».
Domina inizialmente nel poeta la consapevolezza che la donna sia invulnerabile all’amore.
Si passa, quindi, a un proposito di vendetta che rovescia la situazione nel sogno di un incontro carnale degradato in senso sadico.
27 Ché più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov’altri li occhi induca,
per tema non traluca
30 lo mio penser di fuor sì che si scopra,
ch’io non fo de la morte, che ogni senso
co li denti d’Amor già mi manduca:
ciò è che ‘l pensier bruca
la lor vertù sì che n’allenta l’opra.
35 E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra
con quella spada ond’elli ancise Dido,
Amore, a cui io grido
merzé chiamando, e umilmente il priego:
ed el d’ogni merzé par messo al niego (1).
40 Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida
la debole mia vita, esto perverso,
che disteso a riverso
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco:
allor mi surgon ne la mente strida;
45 e ‘l sangue, ch’è per le vene disperso,
fuggendo corre verso
lo cor, che ‘l chiama; ond’io rimango bianco.
Elli mi fiede sotto il braccio manco
sì forte che ‘l dolor nel cor rimbalza:
50 allor dico: «S’elli alza
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
prima che ‘l colpo sia disceso giuso» (2).
Parafrasi:
(1) vv. 27-39: Perché, quando penso a lei in un luogo (in parte) dove qualcun altro (ov’altri) rivolga lo sguardo (li occhi induca), per timore (per tema) che traspaia all’esterno il mio innamoramento, così da essere scoperto, mi trema il cuore più di quanto non lo faccia (ch’io non fo) della morte, la quale già mi sta divorando (mi manduca) ogni facoltà sensitiva con i denti di Amore: cioè che il pensiero d’Amore logora (bruca) le capacità dei sensi al punto da annullarne l’attività (n’allenta l’opra). L’aggressione che Amore porta al poeta ne annulla tanto le capacità sensoriali di contatto con la realtà (i sensi) quanto le facoltà intellettive di elaborazione dei concetti (il pensier), facendo emergere un unico elemento interiore, il pensier…d’Amore, con il rischio di essere scoperto. Insomma, l’Amore agisce sul soggetto in due modi: da una parte, rendendolo indifeso rispetto al potere della passione; dall’altra, sottraendogli l’autocontrollo rispetto al mondo esterno. L’impiego di immagini fisiche, corporee, accompagnata dalla splendida immagine dei denti d’Amor, dà una forza del tutto nuova al motivo dell’azione logorante della passione, tipica della tradizione cortese. Mi manduca: manducare è un verbo latino parlato che ha progressivamente soppiantato il suo equivalente classico edere, poco utilizzabile per la coniugazione irregolare che lo caratterizza. Da manducare, attraverso il francese mangier, deriva l’italiano mangiare. Le voci latine edere e manducare sopravvivono nell’aggettivo edùle (“commestibile”), proprio del linguaggio scientifico, e nel sostantivo manicaretto (“cibo particolarmente saporito”), che deriva da manducare attraverso il toscano manicare. Egli (e’) mi ha gettato (percosso) a terra, e mi sta (stammi) addosso con quella spada con cui lui (ond’elli) uccise (ancise) Didone, quell’Amore che io invoco (a cui grido) e prego umilmente, chiedendo pietà (merzé chiamando): e lui si mostra intenzionato rifiutare (messo al niego). Come si narra nel IV libro dell’Eneide di Virgilio, Didone, regina di Cartagine, si era suicidata gettandosi sulla spada donatale da Enea, infelicemente amato. Il rimando letterario stabilisce qui un parallelismo tra Dante e Didone (considerata nel Medioevo un esempio di lussuria), puntando sulla conoscenza da parte del lettore del notissimo episodio epico: anche Dante è dunque un innamorato passionale non riamato, e anche lui si ritrova sulla strada del suicidio.
(2) vv. 40-52: Questo spietato (perverso) leva ripetutamente (ad ora ad or) la mano e minaccia (sfida) la mia debole vita, lui [Amore] che mi tiene in terra riverso e impedito in ogni reazione (d’ogni guizzo stanco): allora, mi nascono nell’immaginazione (ne la mente) grida (strida), e il mio sangue, che è distribuito per le vene, corre fuggendo verso il cuore, che lo chiama; per cui io (ond’io) impallidisco (rimango bianco). Egli mi ferisce (mi fiede) sotto il braccio sinistro (sotto il braccio manco) così fortemente che il dolore si ripercuote (rimbalza) nel cuore. Allora mi dico: “Se egli mi colpisce ancora, Morte mi avrà rapito prima che il colpo sia andato a effetto!”. Amore, personificato, è qui rappresentato come un guerriero armato di tutto punto, potentissimo e spietato – con la stessa crudeltà dell’amata.
Prof.Giovanni Teresi
Breve biografia del Prof. Giovanni Teresi– nato a Marsala (TP) nel 1951, città nella quale risiede. Docente in pensione, scrittore e poeta contemporaneo. Cultore sin da giovane dell’arte in tutti i suoi aspetti, ha pubblicato diversi testi di poesia e racconti. Alcune sue opere sono state edite in riviste nazionali e internazionali.
Comune di MOMPEO (Rieti)-Evento Culturale “DANTEDI’”
MOMPEO-Dal 2020 il 25 marzo, giorno in cui gli studiosi fanno risalire l’inizio del viaggio di Dante nei tre Regni dell’aldilà descritto nella Divina Commedia, è la Giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, il “Dantedì”.
A Mompeo sabato 25 marzo alle ore 19.00 si potrà vivere un Dantedì speciale. Attraverso le suggestioni, le immagini, le letture e le scenografie digitali grandiose dello spettacolo “Dante – A riveder le stelle”, che andranno ad animare le mura del Cortile del Castello Orsini Naro, il pubblico potrà accompagnare Dante e Virgilio nel loro Viaggio tra i gironi dell’Inferno fino a uscire “a riveder le stelle.
Lo spettacolo “Dante – A riveder le stelle” del Teatro Potlach con la regia di Pino Di Buduo, creato nel 2021 in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, grazie alle videoproiezioni di ultima generazione trasformerà le antiche mura del Cortile interno del Castello Orsini Naro di Mompeo in gigantesche scenografie digitali che trasporteranno gli spettatori, guidati da voci narranti, nei gironi infernali a contatto con i grandi Personaggi della Commedia fino alla discesa agli Inferi e poi… “a riveder le stelle”.
“Dante – A riveder le stelle” è uno spettacolo inserito nell’ambito della Rassegna di spettacoli dal vivo “A Porte Aperte”, vincitrice dell’”Avviso pubblico per il sostegno a progetti di valorizzazione del patrimonio culturale attraverso lo spettacolo dal vivo nella Regione Lazio” della Regione Lazio
L’ingresso è totalmente libero. Lo spettacolo grazie al suo forte e suggestivo impatto visivo si appresta ad essere apprezza da un pubblico di tutte le età.
E non è tutto dalla mattina
FESTA di primavera a cura della Pro Loco di Mompeo
dalle 10.00 scambio di talee, caccia alle uova di Pasqua, piantumazione di alberi, piccolo mercato…. pranzo e altro.
Aydin Zeynalov, Inaugurazione della statua di Dante a Firenze
Firenze- 9 Gennaio 2022-Dante è uno di noi, e la Divina Commedia è di tutti e di tutti. Simbolo della cultura italiana e al tempo stesso artefice di un’opera divenuta di eccezionale dominio pubblico, il grande poeta non poteva che ispirare lo scultore Aydin Zeynalov, da tempo legato alla Toscana e con cui ha stretto una profonda amicizia terra. Lo dimostra il dono che ci presenta: un magnifico busto di Dante Alighieri, di cui gli sono sinceramente grato.
Non è la prima volta che Zeynalov compie un gesto del genere: nel 2018 ha decorato il nostro palazzo con un’altra sua opera, “Festina Lente”, e da allora una tartaruga con una vela coronata da un angelo è uno spettacolo meraviglioso sotto il ritratto di Cosimo I Medici nel Palazzo del Pegaso, sede del Consiglio Regionale della Toscana.
Doni inestimabili come segno di fruttuosa collaborazione tra i nostri Paesi all’insegna del linguaggio universale dell’arte. Il gesto di Zeynalov, scultore, architetto, docente dell’Accademia delle Arti, è un omaggio alla nostra storia e alla nostra cultura, nonché a chi ha contribuito a costruirle.
Pertanto, è con grande onore che riceviamo quest’opera, segno tangibile, soprattutto, di grande maestria, ma anche dell’affetto di un artista che, nella sua eclettica sensibilità, ha catturato e padroneggiato tutta l’energia sprigionata dalla grandezza di Dante.
Grazie ancora per tutto questo
Eugenio Giani
Presidente della Regione Toscana-
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