Gian Arturo Ferrari–Storia confidenziale dell’editoria italiana-
-Marsilio Editori-Venezia–
Descrizione del libro di Gian Arturo Ferrari-Chi racconta questa storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie è stato un protagonista dell’editoria italiana del Novecento. Ha lavorato in case editrici medie e grandissime, si è occupato di patrie lettere e letterature straniere, soprattutto ha incontrato persone e cose, attraversato epoche, inventato collane, assunto e licenziato. Chi racconta somiglia abbastanza all’editoria italiana, elegante e iraconda, generosa e umbratile, colta e commerciale. Perché l’editoria, si legge in queste pagine, è figlia dell’intellettualità e del commercio, non appartenendo in fondo a nessuno dei due. E poi, annosa questione, sono gli editori capitani d’azienda? Esistono ancora come i primi trent’anni del Novecento ce li hanno consegnati? Chi racconta ricostruisce con passione e puntualità una storia che si suppone magmatica, casuale, con accelerazioni improvvise e sacche, costellata di invidie e affetti, rabbie e riconciliazioni, amori e antipatie. Chi racconta sa che attraverso l’editoria si può raccontare la storia d’Italia, quella tra le due guerre e quella degli anni di piombo, quella dei magnifici anni Ottanta e la più recente, quando i protagonisti sono forse meno eroici ma più inattesi. Con tono epico e comico, affettuoso e tagliente, con occhi distanti e nel contempo vicinissimi, Gian Arturo Ferrari ci accompagna nelle avventure umane e culturali degli uomini e delle donne che si sono occupati di scegliere come, quando e quali libri pubblicare in un paese in cui tutti scrivono e pochi leggono.
Breve biografia di Gian Arturo Ferrari
Gian Arturo Ferrari ha perseguito per un certo tratto una doppia vita: da un lato l’insegnamento universitario, dall’altro l’apprendistato editoriale. Collaboratore di Paolo Boringhieri, editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, rientrato in Mondadori nel 1988, nel 1989 ha scelto infine l’editoria libraria come propria unica vita, e si è dimesso dall’università. Direttore dei Libri Mondadori nei primi anni Novanta, è stato dal 1997 al 2009 direttore generale della divisione Libri Mondadori. Dal 2010 al 2014 ha presieduto il Centro per il libro e la lettura, presso il ministero dei Beni e delle attività culturali. Dal 2015 al 2018 è stato vicepresidente di Mondadori Libri. È stato editorialista del Corriere della Sera ed è presidente del Collegio Ghislieri di Pavia. Oltre a Storia confidenziale dell’editoria italiana, è autore di Libro (Bollati Boringhieri 2014) e Ragazzo italiano (Feltrinelli 2020, finalista al premio Strega).
CARLA CERATI è stata una fotografa e scrittrice italiana.
CARLA CERATI muore a Bergamo il 19 febbraio 2016, comincia la professione nel 1960 come fotografa di scena, poi si dedica al reportage e al ritratto “… con la macchina fotografica non puoi raccontare il passato ma solo il presente. Con la scrittura puoi scavare nella memoria, puoi inventare e puoi ricostruire”.
Nel 1969 la casa editrice Einaudi pubblica, insieme a Gianni Berengo Gardin, il volume “Morire di classe” a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro dove appaiono toccanti foto prese in vari manicomi italiani. Il libro diventa presto, secondo Franca Ongaro, un documento ormai storico nel reportage sugli ospedali psichiatrici. “Morire di classe” documentava la situazione manicomiale degli internati di alcuni ospedali psichiatrici dove due grandi fotografi, Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, coinvolti nell’impresa avevano avuto il permesso di entrare e fotografare. Prima di allora non era possibile farlo, per non ledere – si diceva – la dignità dei malati. Sono immagini dure di donne e di uomini prigionieri, incarcerati, legati, puniti, umiliati «ridotti a sofferenza e bisogno» (Primo Levi). Sul Corriere della Sera nel 2005, Carlo Arturo Quintavalle scriverà a commento del libro: “E si vedano le foto di Carla Cerati che riprende un’immagine divenuta emblematica: l’uomo, mani sulla testa rapata, accovacciato contro un muro (1968); sono queste foto, e quelle di Luciano d’Alessandro (1965-68), insieme all’impegno dei Basaglia e di molti altri con loro, che faranno chiudere i manicomi, luoghi di terribile segregazione fino ad allora ignorati”.
Nel 1974 pubblica, con l’editore Mazzotta, un nuovo volume che comprende 34 foto dal titolo “Forma di donna”.
Come narratrice esordisce nel 1973 con “Un amore fraterno”. Ha pubblicato numerosi romanzi che, tradotti in diverse lingue e accolti con pieno successo da pubblico e critica, sono stati vincitori di alcuni noti premi.
Più della metà dei suoi romanzi fino ad ora pubblicati (2008) hanno avuto l’attenzione di premi letterari di importanza nazionale dimostrando qualità narrative non comuni.
Nel 1975 pubblica il romanzo “Un matrimonio perfetto”, finalista al Premio Campiello; nel 1977 scrive La condizione sentimentale vincendo il Premio Radio Montecarlo; nel 1990 pubblica La cattiva figlia e ottiene il prestigioso Premio Comisso; nel 1992 con La perdita di Diego giunge finalista al Premio Strega; nel 1994 con L’intruso le viene assegnato il Premio Feudo di Maida, il PremioSpeciale Il Molinello e il Premio Vincenzo Padula-Città di Acri; nel 1996 con L’amica della modellista vince il Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo nella sezione narrativa.
Articolo di Oscar Nicodemo-Se non avete ancora letto “Il Maestro e Margherita”, opera postuma di Michail Bulgakov, è venuto il momento di farlo! Rendetevi disponibili, prego, per una lettura intensa quanto sorprendente e assurda. Diversamente, nel caso lo aveste già letto, spero che le mie parole, qui, in questo confidenziale e prezioso spazio, vi rimandino alla sua rilettura. A me è capitato di riprenderlo tra le mani dopo vent’anni dalla prima volta, chiedendomi cosa, esattamente, avessi letto, giacché non era del tutto svanito il ricordo di essere stato letteralmente rapito dall’esposizione di quelle pagine, così ben lavorate da raccordarsi con il genio dei grandi maestri dello spirito russo. Tradotto e pubblicato da Einaudi, nel 1968, a vent’otto anni dalla morte dell’autore, il libro viene recensito sul “Corriere della Sera” da Eugenio Montale, che definisce il romanzo “un miracolo che ognuno deve salutare con commozione”.
Il poeta italiano scrive: “Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi – quello della Passione – non poteva essere concepito e svolto che da un cervello poeticamente allucinato. È qui che il poco noto Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol’ e di Dostoesvkij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo.”
Cosa dovremmo sapere, dunque, di un’opera che quasi tutti gli esperti metterebbero nella lista dei migliori libri di sempre? Non possiamo ignorare, per esempio, che Bulgakov iniziò a scriverla nel 1928 e che ne distrusse la prima versione, lavorando in seguito a diverse altre, fino ad arrivare, aiutato dalla moglie Elena, a quella definitiva del 1940, portata al termine poco prima di lasciare questo mondo.
Il tema della distruzione del romanzo viene ripreso anche dalla testimonianza della storia d’amore tra il Maestro e Margherita, un punto di forza irrinunciabile dell’intera vicenda narrata, ma non il solo. Cosa ci fa, infatti, il Diavolo a Mosca, nelle vesti di Woland, accompagnato da personaggi memorabili, tra cui il maggiordomo stravagante, Korov’ev, e il clownesco gatto sovrappeso, Begemont? Certamente, insieme, daranno luogo a un esilarante e sconvolgente mulinello di accadimenti che vi terranno fermi alle pagine mediante un racconto che procede su due piani: in uno si narrano le vicende che si susseguono a Mosca, nell’altro si sviluppa il romanzo scritto dal Maestro, ambientato durante la Pasqua, ai tempi di Ponzio Pilato e Gesù.
E qui il tema tra il bene e il male si complica a tal punto che la stessa distinzione tra buoni e cattivi non è affatto netta. Satana appare quasi benevolo e si prende gioco della mediocrità e della vacuità delle persone. Mentre, Margherita, nella sua grazia e bellezza, mostra il suo lato oscuro e distruttivo. Quanto, a Ponzio Pilato, lavandosi le mani non dissolve la sua fragilità e la solitudine.
Il testo sfoglia con maestria elementi bizzarri e surreali, che si mescolano con la denuncia politica e sociale, con la religione, la giustizia, l’amore, l’illusione e il potere. E come ogni grande classico, il capolavoro di Bulgakov ci lascia alle nostre domande e riflessioni, magari aprendoci la strada a qualche dubbio, ma nella certezza di aver letto un’opera intramontabile e senza tempo, che avrà sempre qualcosa da insegnare a ogni nuova generazione.
I lettori di ogni epoca potranno considerare come difronte a tanta sofferenza e ai diritti negati, i protagonisti di questa grande opera letteraria abbiano ancora voglia di fare cose folli e innamorarsi del rischio. Margherita è desiderosa di vita e avventura e non è al corrente dei particolari del suo viaggio: sa solo che quando arriverà alla meta, potrà finalmente chiedere pace e redenzione per lei e per l’uomo che ama. Pertanto, la donna si lancia nuda, in volo, fluttuando come in un quadro di Chagall, sulla città di Mosca e i suoi dintorni, tra boschi e un paesaggio lacustre.
L’antologia sulla violenza contro le donne non trova poesie: «Solo 16 in 2 mesi»
Pochi componimenti per il progetto «Dalla stessa parte». Gli abusi sembrano cancellare l’ispirazione
Le violenze degli uomini hanno fatto un’altra vittima. Una inaspettata, ancora di più se si pensa quanto è partecipata la ricerca di una vetrina da parte dei numerosi autori di liriche e versi. L’odio contro le donne ha cancellato l’ispirazione dei poeti (o aspiranti tali) che popolano gli appuntamenti letterari, le pagine web, le caselle di posta delle editrici.
Scrittori in serie di sonetti, poemi o haiku. Appassionati che, pur di farsi notare dal pubblico, sono pronti a esplorare qualsiasi argomento. Tranne uno. Quello scelto per costruire l’antologia intitolata: «Dalla stessa parte. Uomini contro la violenza sulle donne».
«Era da tempo che coltivavo l’idea di un progetto per raccogliere i versi di uomini che hanno a cuore la stigmatizzazione della violenza di genere». Salvatore Sblando, 50 anni, è un poeta e un organizzatore di eventi dedicati a questa arte. Con la sua associazione, che si chiama «Periferia Letteraria», ne ha organizzati in sei anni oltre 150. Rassegne, festival, reading e performance a Torino e fuori città. Due mesi fa, ha lanciato un bando per raccogliere poesie scritte per denunciare i soprusi, spesso taciuti, contro moglie, compagne, madri. L’idea è diffonderle con un libro. «Un modo per andare oltre una doverosa testimonianza di solidarietà — spiega Sblando, che nella vita lavora a Gtt —. Con questa idea in testa, abbiamo ipotizzato un’antologia che potesse diventare una chiamata “alle arti” per tutti quegli uomini contrari a questa forma di odio».
Sblando parla al plurale perché «Dalla stessa parte» è un progetto con più protagonisti. Se l’idea è sua, l’impegno di metterla in piedi è condiviso con Salvatore Contessini, poeta di Roma, e «La vita felice». È una casa editrice specializzata. Negli ultimi mesi, è stata sommersa dai manoscritti di scrittori col sogno di sbarcare in libreria. Una valanga di proposte, tanto che la direzione è stata costretta a sospendere la raccolta lanciata poco tempo prima con un avviso. «Nei giorni scorsi, mi hanno avvisato che, paradossalmente, sul tema che abbiamo deciso di esplorare noi, il risultato è stato l’inverso», aggiunge il curatore dell’antologia. In due mesi, sono stati spediti appena 16 componimenti. «È un po’ il numero che ci si aspettava per un singolo giorno», puntualizza Sblando che, visto l’insuccesso, ha provato a farsi più di una domanda. La prima: il concorso è stato poco pubblicizzato? «No, non penso sia questo il caso. La partecipazione è gratuita e, nei canali dedicati, ha avuto anche un buon riscontro», racconta.
Lunedì, alle 17, il progetto «Dalla stessa parte», a riprova di quanto affermato, sarà presentato con una diretta web organizzato dalla storica libreria milanese Bocca.
E, allora, non resta che provare a guardare altrove per trovare un motivo della mancata attenzione al progetto editoriale. Le antologie come «Dalla stessa parte» sono molto diffuse tra gli appassionati. Libri, anche di 200 pagine e con una buona tiratura, dedicati alla raccolta di versi. Tutti legati a un tema: come l’amore, la primavera, un territorio. Argomenti variegati che non hanno mai scoraggiato una partecipazione «di massa».
Tanto che, tra gli addetti ai lavori, si mormora che in Italia ci siano più poeti che lettori. Ma non questa volta. Sblando sostiene: «La violenza, che non è solo fisica, contro le donne è un problema culturale che, forse nell’inconscio, è giustificata da molti uomini». Compresi i poeti che, per questa spiegazione, non hanno partecipato al progetto. Ma c’è ancora tempo per rimediare. La raccolta di poesia contro i femminicidi prosegue fino a luglio.
Addio a Piero Ottone, grandissimo Giornalista. Una penna elegante che amava il mare
GENOVA 16 aprile 2017- Si è spento all’età di 92 anni il giornalista Piero Ottone. È morto a Camogli, in casa, davanti al mare che tanto amava.
Pseudonimo di Pierleone Mignanego (Ottone era il cognome della madre), Ottone era nato a Genova nel 1924. Giornalista e scrittore, ha segnato la storia del giornalismo italiano. Inizia la sua carriera al Corriere Ligure, poi alla Gazzetta del popolo, dove, a soli 23 anni, diventa corrispondente da Londra e successivamente dalla Germania. Entra al Corriere della Sera negli anni Cinquanta, come corrispondente da Mosca e inviato speciale, con Mario Missiroli direttore. “Con Piero Ottone se ne va un grande giornalista, elegante, che amava il mare – spiega il direttore della Gazzetta di Mantova, Paolo Boldrini – Oltre ai vari incarichi, culminati con la direzione del Corriere della Sera, ebbe un ruolo di primo piano nella nascita e nello sviluppo dell’Editoriale Le Gazzette e delle Gazzette di Modena, Reggio e poi della Nuova Ferrara. Fu presidente della società nata nel 1981 dopo che la cooperativa Citem cedette la maggioranza delle quote alla Mondadori. Alle riunioni dei direttori che si svolgevano a Mantova Piero Ottone si confrontava con direttori come Rino Bulbarelli e Umberto Bonafini, Antonio Mascolo ed Enrico Pirondini. Al suo rapporto con Bulbarelli dedico’ un articolo nel 2014 per il nostro inserto sui 350 anni della Gazzetta di Mantova. Gli telefonai nella sua casa in Liguria e accetto’ volentieri di scrivere per noi. Rispettò al millimetro la misura indicata e non fu difficile trovare il titolo. Grazie maestro e buon vento”.
Di seguito riproponiamo l’articolo di Ottone pubblicato sulla Gazzetta il 28 giugno 2014 in occasione dei 350 anni del nostro quotidiano.
di PIERTO OTTONE
Questa vostra Gazzetta di Mantova ha, come vi stiamo dicendo con fierezza, trecentocinquanta anni d’età, e di fronte a una simile età il cuore di un giornalista si commuove. Specie in questi nostri tempi, che non sono proprio i migliori per la carta stampata (supereremo anche questa crisi, ne sono certo, quando avremo scoperto che giornali e web sono istituzioni profondamente diverse, non alternative ma diverse l’una dall’altra). C’è qualche cosa di magico quando si pensa alle vicende di una testata così antica, nata quando i giornali, più di adesso, erano una vertebra della società. Ma mi affretto ad aggiungere che la Gazzetta di Mantova è nata due volte e io ho partecipato ai suoi secondi natali. Ora vi spiego com’ è andata.
Tutto accadeva alla fine degli anni Settanta. Mi ero dimesso dal Corriere della Sera, dove avevo trascorso gran parte della mia vita professionale, perché il mio angelo custode mi aveva gentilmente sfiorato la spalla con un dito e mi aveva mormorato: va’ via, cambia aria, poi capirai perché. Infatti io non lo sapevo (anche se potevo sospettarlo), ma l’angelo sì, sapeva tutto. Ricordate la P2, Gelli, Ortolani? Stavano prendendosi il mio Corriere, come tante altre cose, per smania di potere.
Nel frattempo Mario Formenton, genero di Arnoldo Mondadori e suo successore alla guida della grande casa editrice, chi sa, forse anche lui ispirato dall’angelo, mi aveva proposto di entrare nella famosa e onorata casa editrice, che pubblicava un certo numero di importanti settimanali e cominciava ad avere interesse per i quotidiani: un settore della carta stampata nel quale, da parte mia, avevo accumulato una certa esperienza. Io avevo accettato il suggerimento dell’angelo e l’invito di Mario, anche perché Formenton era un galantuomo, e un caro amico. E dal Corriere aveva dato le dimissioni (fine settembre 1977).
Intanto, per conto suo, un personaggio stava tramando, per tutt’altra ragione, ma a fin di bene. Parlo di Rino Bulbarelli, giornalista: una forza della natura. Mantovano di sangue, conosceva la città (e dintorni) come il palmo della mano e dirigeva l’antica Gazzetta con lo slancio di un ragazzo. Se dicessi che era un uomo di raffinata cultura direi una bugia: gli bastava sapere quel che deve sapere un buon giornalista di provincia. E non aspirava a niente di più. Ma la natura del giornalista in lui era nettamente sopra la media, era eccezionale, perché sapeva che cosa interessa la gente (non solo i lettori di fatto, quindi, ma anche i lettori potenziali) e scriveva i suoi articoli di fondo, questo sì, con una chiarezza e un’efficacia non eguagliata da tanti colleghi di grande cultura. La sua innata modestia, d’altra parte, lo proteggeva dai passi falsi. Insomma, era un giornalista nato. Ed era preoccupato per le sorti della testata a lui affidata, perché i giornali cominciavano ad avere vita grama. Non perdeva denaro perfino il Corrierone, che per tanti anni era stato fonte di ricchezza per la famiglia Crespi, sua proprietaria, e per infinite altre persone?
Ma per fortuna si profilavano all’orizzonte innovazioni tecniche, che semplificavano il processo di stampa. E Bulbarelli vide davanti a sé nuove possibilità, che avrebbero consentito di stampare varie Gazzette, con una parte unificata, quella nazionale, e con pagine locali, che avrebbero aumentato la diffusione. All’origine di ogni ventura editoriale si trova spesso qualche personaggio che ha fatto storia: Rino era uno di quelli. E lui non tardò a scorgere la possibilità di moltiplicare le Gazzette in più testate: con una parte unica, quella nazionale, e una parte locale, che avrebbe aumentato la diffusione in singole città. Non basta. Rino sapeva che la grande Mondadori ambiva ad avere i suoi quotidiani. Che fare, dunque? Lui chiese un appuntamento a Formenton, saltò in macchina, andò a Segrate, sobborgo di Milano, sede della Mondadori, e presentò a Mario Formenton il suo progetto. Risultato: tre Gazzette furono messe in cantiere, per servire Mantova, Modena, Reggio Emilia, pagine nazionali identiche, pagine locali fatte su misura. In rappresentanza della Mondadori, io fui della partita. Gazzetta di Mantova, Gazzetta di Modena, di Reggio: non dimenticherò mai la serata famosa in cui le varammo, tutte insieme. Non era facile sincronizzare l’operazione dal punto di vista tecnico, forse eravamo stati troppo ambiziosi a voler fare tutto insieme, ma due delle tre uscirono felicemente, e la terza vide la luce il giorno dopo. E i tre quotidiani misero le radici nelle rispettive città, con la collaborazione di tre direttori, uno più bravo dell’altro. Uno dei tre, Bonafini, era anche un grande esperto di musica, nelle pause di lavoro parlavamo di Karajan, sotto la cui direzione, diceva lui, i Berliner Philharmoniker producevano suoni dolci e vellutati come seta… Mi dispiace profondamente che Rino, dopo una lunga malattia, sia mancato pochi giorni fa.
Una forza della natura, ho detto, e un caro amico. E mi offriva sempre, generosissimo, copiosi tortelli di zucca.
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