Franco Leggeri Fotoreportage Il Borgo di TRAGLIATA
Associazione CORNELIA ANTIQUA
Il Borgo di TRAGLIATA e la sua Storia in pillole
Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca. Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio. Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
Il Castello di Boccea sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria. – articolo e foto di FRANCO LEGGERI
Il Medioevo nel XIII Municipio, Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia , noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello attualmente presenta modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”. Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e,quindi, luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai Lancillotti. Attualmente proprietaria del Castello è la Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932. Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che,alla bisogna, veniva calata per impedire assalti ed irruzioni di nemici .Nel giardino del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade. La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano, una simile è nel cortile della Chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la Chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693. Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa Chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono,Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare”la buona ricotta” che Gli veniva offerta. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”. Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime. A seguito delle proteste della Germania,all’epoca maggior produttrice ed esportatrice di suini in Europa, il Papa Sisto IV nel 1481, riaffermò il documento di Avignone di Urbano V. Davanti al Castello, divisa dalle case del Borgo a chiudere la Piazza, c’è la chiesa parrocchiale, costruita negli anni 1950/54, dedicata alle S.s. Rufina e Seconda, martiri della Via Boccea. Come tutti i castelli che si rispettano, anche questo ha il suo fantasma che si aggira nei cunicoli sotterranei inesplorati che si diramano dal Castello nella campagna circostante. Ma alla domanda che rivolgo al Sig. Giovenale se esiste il fantasma egli risponde con un sorriso.
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello- Intervista con il Sig. Giovenale di Franco Leggeri- L’articolo è solo una sintesi di uno studio molto più esaustivo e completo sul Medioevo e i sistemi difensivi di Roma e della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – realizzato da Franco Leggeri
“Ispirandosi al celebre saggio del critico strutturalista Gérard Genette, “Soglie”, dedicato agli elementi ausiliari del libro (il “paratesto”), Giuseppe Sergi esce dal suo abituale riserbo (come fa con saggia parsimonia) per regalarci questo bel libro, che riesce a essere tre cose insieme. Primo, una grande panoramica sulla medievistica dell’ultimo secolo. Secondo, un’utilissima raccolta di saggi che, accuratamente sistemati e sobriamente rivisti, compongono nel loro insieme un Companion storiografico e metodologico di alta qualità, che sarà utile a tutti quelli che (studiosi o studenti) studiano quell’età affascinante quanto difficile, che è il medioevo; e indispensabile agli amatori più accorti e intelligenti. Terzo, un dignitoso, ma anche intenso, caloroso bilancio di uno studioso “di lungo corso”, una mente lucida e appassionata, che ama il suo lavoro, adora aggiornarsi con impegno e umiltà e ha ancora molte cose da dire. […] “Soglie del Medioevo” è un libro lineare, semplicissimo nella sua struttura, che raccoglie appunto alcune “soglie”: principalmente prefazioni e postfazioni, sia pure “rilette” e ritoccate, redatte tra 1989 e 2016. Delle quattro parti in cui è diviso, la prima, quella di maggior respiro, riguarda i “grandi temi”, dagli “albori” dei secoli IX-XI alla storia comparata tra est e ovest europei; la seconda, la più intensa, i maestri […]; la terza, professionalmente parlando la più impegnativa, i metodi (esemplare, tra gli altri, il saggio sulla staffa, eccellenti quelli sui pellegrinaggi(; la quarta, che alla precedente è strettamente collegata, i luoghi, e qui dalle Alpi e dal Piemonte, che pur fanno la parte del leone, si arriva fino in Daunia.” Franco Cardini (Avvenire, 02/12/16).
La via Aurelia aveva origine dal ponte Emilio (l’attuale Ponte Rotto), e, dopo aver attraversato il quartiere Trastevere, risaliva il Gianicolo per puntare direttamente sui territori etruschi. Probabilmente, ripercorreva, unificandoli, vecchi tracciati lungo la costa tirrenica con funzione di collegamento tra le città poste sul mare.
Strutturata forse da C. Aurelio Cotta, censore nel 241 a.C., la strada si inoltrava nel territorio della vicina Cerveteri, diventando fin da subito l’asse portante del sistema coloniale (Forum Aurelii e Cosa) e della presenza romana fino a Vulci. Nel territorio settentrionale vennero stabilite le praefecturae di Saturnia, divenuta colonia nel 183 a.C., di Statonia e forse la colonia di Heba. Il suo tracciato da Cosa fu prolungato a Luni e, nel 109 a.C., fino a Genova: da qui manteneva il suo nome fino ad Arles in Francia.
La via Aurelia, nel primo tratto subito dopo il ponte Emilio, a causa della depressione del terreno e dei rischi di impaludamento per il vicino fiume, correva sopraelevata su un viadotto realizzato con arcate in opera quadrata di tufo, alto almeno cinque metri ed esplorato, durante moderni scavi nell’area di piazza Sonnino, per almeno una settantina di metri. Subito dopo, il tracciato antico sembra coincidesse con via della Lungaretta e, in direzione del Gianicolo, con via di Porta S. Pancrazio.
All’altezza di S. Maria in Trastevere una diversa arteria si staccava dall’Aurelia per dirigersi, con un percorso oggi ricalcato da via della Lungara, verso l’ager Vaticanus.
La Porta Aurelia (oggi Porta S. Pancrazio) del circuito della mura di Aureliano fu distrutta, assieme al tracciato della mura stesse, da papa Urbano VIII (1628-1644) che decise di rinforzare le difese della città su questo lato, facendo costruire una nuova e diversa cinta muraria, che, partendo al fiume (presso l’attuale Porta Portese) racchiudesse tutta la zona destra del Tevere fino a congiungersi con le mura già esistenti del Vaticano. La porta di età romana, a unico fornice con due torri quadrate ai lati, è rappresentata in piante di Roma nell’epoca antecedente i lavori di papa Urbano VIII. Oltre la Porta S. Pancrazio il percorso della via antica coincide con l’attuale e in punti diversi sono stati rinvenuti resti del suo lastricato.
Nei vecchi itinerari sui cimiteri cristiani posti lungo la via Aurelia, sono elencate almeno cinque località in cui si trovavano altrettanti santuari dedicati ai martiri: il cimitero di S. Pancrazio, di Calepodio, di Processo e Martiniano, dei due Felici e di Basilide. Con l’esclusione di quest’ultimo, posto al XII miglio dell’Aurelia, in località Castel di Guido, gli altri siti sono da ricercare nel primo tratto extraurbano della via. Un ipogeo, visibile in via S. Pancrazio 15, nei pressi del ristorante Scarpone, noto fin dal 1880, è costituito da una galleria centrale, sei cubicoli e due nicchioni laterali. Nato probabilmente come ipogeo privato a carattere familiare, sembra che si sia trovato inserito in una struttura cimiteriale più vasta con modifiche strutturali assai vistose. Sono ancora parzialmente visibili tracce della decorazione pittorica a carattere floreale dell’ipogeo di età più antica.
Il cimitero di Processo e Martiniano, legato secondo la tradizione alle figure dei due presunti carcerieri pentiti di Pietro, è da collocare nell’area di Villa Abamelek, presso l’ingresso della quale è stato visto anche un ipogeo composto da due gallerie e un cubicolo. La notizia della sepoltura di papa Felice I in un cimitero al II miglio della via Aurelia è riportata nel Liber pontificalis ma è in aperto contrasto con altre fonti. Sembra probabile che almeno Felice II, antipapa, fosse stato sepolto dai suoi seguaci, ad latus forma Traiana, in un complesso cimiteriale oggi individuato con una struttura esistente nell’area della ex vigna Pellegrini o piuttosto sulla sinistra della via Aurelia nell’area della ex vigna Farsetti. Di altri gruppi cimiteriali più piccoli abbiamo traccia nell’area compresa tra l’ingresso della Villa Doria Pamphilj e Villa Vecchia ma non possiamo attribuirli con certezza a un preciso complesso. Poco dopo l’Arco di Tiradiavoli, che segna il passaggio dell’acquedotto Paolo, sulla sinistra, si estende la vasta necropoli di Villa Doria Pamphilj. Nel tratto extraurbano il passaggio della via antica, parzialmente rettificata dal tracciato moderno, è segnato dalla presenza di aree di frammenti fittili relativi a insediamenti sia di carattere agricolo sia residenziale. Il percorso antico si diversifica in particolare dall’attuale in località Castel di Guido dove sembra doversi posizionare il praedium imperiale di Lorium.
Nel 1976, al km 18 della moderna Aurelia, che rappresenta la variante rispetto alla direzione di Castel di Guido, in località Colonnacce, è stata scoperta, ed è attualmente in fase di valorizzazione, una sontuosa villa di età imperiale. Nei pressi del casale la Bottaccia si trovano importanti resti di opere idrauliche: cisterne a cunicoli e conserve per la raccolta dell’acqua piovana, di cui una a pianta circolare con un diametro di m 7,40 posta a 500 m circa a sud-est del casale. Nella stessa località è stato scoperto nel 1987 un mitreo databile al II secolo d.C.
A Castel di Guido, sotto la chiesa di S. Spirito, di cui ne costituisce le fondamenta, si trova un mausoleo in laterizio databile al IV secolo d.C., la cui cella, a pianta circolare, è articolata con grandi nicchie, coperte da volte a botte. Nel 1993, al km 19 furono individuate strutture forse pertinenti all’impianto di una villa rustica o alla mansio di Lorium, ricordata negli itinerari antichi al XII miglio della via antica.
Fiorenzo Catalli
dal libro “ROMA ARCHEOLOGICA” II ed., ADN Kronos libri – Roma 2005
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