Poesie di Thomas Bernhard, Poeta austriaco -Biblioteca DEA SABINA

 

Biblioteca DEA SABINA

THOMAS BERNHARD
THOMAS BERNHARD

THOMAS BERNHARD-Poesie scelte

Testi selezionati da:

Sotto il ferro della luna (trad. di S. Thabet, Crocetti, 2015) 

Sulla terra e all’inferno, (trad. di S. Apostolo e S. Thabet, Crocetti, 2020)

Biografia di Thomas Bernhard nasce nel 1931 ad Heerlen, in Olanda, dove la madre, una ragazza nubile austriaca, si era recata per evitare lo scandalo che la nascita di un figlio illegittimo avrebbe provocato nella provinciale Austria. Cresce presso i nonni materni a Vienna e a Salisburgo: è un ragazzino difficile, ma nutre un grande affetto per il nonno, che lo spinge a studiare musica e a prendere lezioni di violino. A diciotto anni Thomas contrae la pleurite e viene ricoverato in sanatorio, dove comincia a scrivere poesie. Nel 1957 esce Sulla terra e all’inferno, la sua prima raccolta poetica. A quella seguiranno: In hora mortis, Sotto il ferro della luna e Ave Virgilio. Nel 1963 pubblica il primo romanzo, Gelo, che vince il Premio Brema. Ne seguiranno molti altri, tra i più noti: Amras, Perturbamento, Camminare, Il soccombente, Correzione, Il nipote di Wittgenstein, Un’amicizia, Correzione, L’imitatore di voci e Goethe muore. A partire dagli anni Settanta scrive numerosi testi teatrali, tutti di grande successo. Nel 1970 gli viene conferito il Premio Büchner. Muore a Gmunden nel 1989.

LE TUE PAROLE

Le parole – bambine piccole, molestano, fanno male,
se le accarezzi ridono, poi subito si ostinano,
han fretta di dir tutto, s’imbrogliano, sanno amare,
diventan grido, tacciono, nascostamente svelano.
Le parole – bambine piccole, a volte si ribellano,
sanno dire le lacrime, il riso sanno scrivere.
Agnelle si sacrificano, belve nella passione,
ansiose di dipingere l’intero mondo azzurro.
Le parole – bambine piccole. Flessuosi corpicini
che agguerriti si levano, mettono le ali, volano.
Sognano, si spaventano, si alleano, si separano,
animelle cui è stato dato di avere sempre sete.
Le parole – bambine piccole. Bianco per loro il tempo,
pagine su cui scrivere, vele che il vento gonfia
per fare viaggi nella gioia, far viaggi nel dolore.
L’amore sa trasformare in sacro la tempesta.

Pandelìs Bukalas. Dal Mito alla Storia
a cura di Massimo Cazzulo e Nicola Crocetti

 

Poesia n. 181

Scarna povertà, fradicia povertà,
coi calzoni laceri al cavallo e al ginocchio.
Si scalda le mani su cocenti infamie,
chiama il destino Lui e Loro
e si delizia con cose dai nomi duri:
stracci e piedi, cibo e mani –
non t’ingozzare, che non ce n’è più!
Fradicia povertà, oscena povertà,
ronza con spietata fedeltà
come legno marcio con accenno di orifizio,
umido giornale ficcato nei vuoti dell’artifizio,
e ci disgusta fino alla feroce lealtà.
Non è mai colpa di quelli che ami:
la povertà discende dai cieli.
Lascia che balli su sedie, che sfondi la porta,
sorge da tutto quello che è venuto prima,
e ogni outsider è il nemico –
il bastone di Cristo rovesciò tutto questo
cavalieri e filosofi rimisero tutto a posto.
Oscena povertà, scarna povertà,
croste tra le gambe e piaghe tra i capelli
una finestra fatta d’aria è pulita,
non l’argento sporco di una manica.
Bada se ciò faccia bene alla scuola
e debba andare e desideri andare:
qualcuno, un giorno, dovrà pagare.
Raditi con il sapone, corri alla carne,
stupisci la nazione, governa l’esercito,
aspetti ancora il giorno in cui sarai rispedito
dove libri o giocattoli sono rifiuti sul pavimento
e nessuno ha il permesso di venire a giocare
perché la tua casa si chiama baracca
e l’acqua calda sfrigola nel piatto sporco di latta.
Traduzione di Roberto Cogo e Graziella Isgrò
Poesia n. 181 Marzo 2004
Les Murray. Poesie del vuoto falciato
A cura di Paolo Ruffilli

Poesia n. 323

Ed è chiaro che, alla fine, lei è caduta giù
dalla luna, non come una
snella Cinzia a Delfi, dopotutto
non è diciassettenne, ma con la grazia
sensuale e l’implacabilità personale
di una dea dei nostri tempi; così lui dice a
se stesso di notte vedendo il bagliore
del sonno di lei nella metà (due-terzi a rigore)
del loro letto, il claire de lune della spalla
e della fronte dietro le nuvole scure
dei capelli. Lui beve il suo vino
e ingoia più pillole. Gli uccelli
cantano la loro prima mattinata, piccoli cinguettii e
frinire di insetti, e fuori la prima luce
vela la finestra. Il giorno sarà orribile,
nervoso, cupo e pieno di tensione. L’ultima
sigaretta, il sorso finale di chardonnay,
e si stringe contro il caldo bagliore di lei,
pensando a quando dodicenne
nuotava nel caldo laghetto oltre
gli olmi e gli alberi di noce al limite
del prato. Si rigirava come una carpa assonnata
tra le ninfee, sotto le libellule
e le nuvole roventi dei vecchi giorni d’estate.
Traduzione di Fiorenza Mormile

Poesia n. 323 Febbraio 2017
Hayden Carruth. Il primato dell’etica
a cura di Fiorenza Mormile

 

1-

Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire, pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.

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Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,

noi portiamo la brocca e sferziamo la schiena della vacca,

falciamo e non sappiamo nulla dell’inverno,

beviamo mosto e non sappiamo nulla,

presto saremo dimenticati

e i versi svaniranno come neve davanti alla casa.

 

Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,

guardiamo nel bosco come nella stalla del mondo,

mentiamo e intrecciamo cesti per mele e pere,

dormiamo mentre le intemperie consumano

davanti alla porta le nostre scarpe infangate.

 

Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,

non sappiamo nulla,

non sappiamo nulla del declino,

delle città sprofondate, del vortice in cui sono affogati

cavalli e uomini.

 

 

***

 

Dietro il bosco nero

brucio questo fuoco della mia anima

in cui tremula il fiato delle città

e il merlo della paura.

A mani nude abbatto queste fiamme

che all’aria montano sino al cervello

e che tremano nel mio nome.

Come una nuvola il mio cuore migra

sui tetti

vicino ai fiumi

finché io, una tarda pioggia, ritorno

profondo nell’autunno.

 

 

***

 

Dimenticami nelle stanze,

spegnimi sulla porta,

lascia che la neve da bianche cime

si spinga nel mio invecchiare,

oh dimenticami,

 

senza foga la mia morte

sfiorerà le città del Sud

con il vento le torri dei bei giorni,

oh dimenticami,

 

in marzo sarò già cosa di ieri

e con il detto dell’albero

che ogni giorno muore

dietro i monti

sepolto dalla neve,

dimenticami,

 

domani rimane di ieri

solo il fumo

che viene da mille bocche

di tetti neri,

morte,

dimenticami.

 

Oh dimenticami

come inverno, nelle valli,

rivolta a tetri cuori

e a sogni

come il notturno battito d’ali

del gabbiano.

 

 

***

 

In inverno è tutto più semplice

perché non ti serve alcun mondo,

e neanche il mare,

e nessuno sta per ucciderti.

Ti è di conforto respirare l’ira degli animali

con il profumo dei boschi

che cingono il tuo riposo.

A mezzanotte cresce la neve e il ghiaccio

e, sotto pesanti membra,

dormono i tuoi morti.

Tu parli con loro

come al tempo del grano

che essi tagliano nella tenebra e nella menzogna

finché la primavera non li berrà

sotto il sole

che ruba il loro aculeo a rose malate.

 

 

Il giorno dei volti

 

Domani è il giorno dei volti. Si ergeranno

     come polvere

     e scoppieranno a ridere.

 

Domani è il giorno dei volti, che

     sono caduti nella terra delle patate. Non

     posso negarlo, sono colpevole

     di questa morte dei germogli.

Sono colpevole!

Domani è il giorno dei volti, che recano la mia pena

     sulla fronte,

     che posseggono il mio compito quotidiano.

Domani è il giorno dei volti, che come carne

     danzano sul muro del sagrato

     e che mi mostrano l’inferno.

     Perché devo vedere l’inferno? Non c’è un’altra via che porti

     a Dio?

 

Una voce: Non c’è altra via! E questa via

     conduce oltre il giorno dei volti,

     essa conduce attraverso l’inferno.

 

 

La sera è mia sorella

 

I

 

La sera è mia sorella, perché ho visto

come l’albero si girava verso di me,

perché ho sentito

come le brocche dei contadini scoppiavano

e il vino spruzzava sui loro volti

che accusavano Gesù sulla croce.

 

 

II

 

Io andrò avanti e laverò i loro piedi

e verserò il vino in nuove brocche!

Mi metterò sulla piazza del mercato e aspetterò

finché mi strapperanno il vestito

e mi colpiranno nella carne con le mie scarpe,

con cui li ho preceduti di cent’anni.

 

 

Cornacchie

 

Tra poco viene l’inverno e salva gli uccelli,

in stanze oscure fratello e sorella raccolgono

i grani per il pasto invernale.

Nel paese nero il maiale è incatenato.

Nel campo crepano le cornacchie del dolore.

Noi beviamo la birra della disperazione

e giungiamo le mani davanti al disprezzo del Padre.

La terra sa dei lacci della carne.

Fumo sale sopra i casali

e si lascia alle spalle il timore dei contadini ubriachi.

La coscia della fontana gracchia davanti alla finestra marcia…

Io però non ho paura.

 

 

***

 

Spirando il vento parlò a questi campi:

i morti vennero da osterie abbandonate,

fecero mucchi di carne davanti a neri, profondi boschi,

bevvero la fatica dei loro ultimi giorni

in valli estive, briciate e deserte,

 

perché i giorni dei morti seguono il lutto.

Chi non amava, veniva presto dimenticato,

eppure si preoccupava della sua corona

e consumava migliaia di brocche di terracotta

nelle feste della sua stanchezza.

 

Benché protetti dalla notte,

le orme dei suoi piedi al mattino erano

segnate nell’argilla della città dei morti,

fuori i meli fiorivano tardi,

qualche stelo danzava e il vento da est

non parlava affatto di un altro mondo.

 

Questi giorni non ritornano,

non da questi paesi, da queste città.

Molte isole portano il loro nome.

Ma di sera si vede il loro lutto

rincasare sotto il gioco delle nuvole.

 

 

***

 

Io so che nei cespugli ci sono le anime,

le anime dei miei padri,

nel grano

c’è il dolore di mio padre

e nella grande foresta nera.

Io so che le loro vite, che si sono estinte

davanti ai nostri occhi,

trovano rifugio nelle spighe,

nella fronte blu del cielo di giugno.

Io so che i morti

sono gli alberi e i venti,

il muschio e la notte

che stende le sue ombre

sul mio tumulo.

 

 

Lettera alla madre

 

Tu vieni di notte, quando la balia scopre il suo seno

     e il melo è vuoto

     e le pietre distruggono il mio nome,

Tu vieni quando il ruscello non scorre più a lutto e le sue parole

     gelano nella mia finestra

     e le pecore sfuggono al mio riso nell’angolo della stalla,

Tu vieni quando il centro del mondo

     sputa un fiume di sangue con un sospiro,

Tu vieni quando il campo è calvo e verdi brillano

     gli occhi dei pesci,

Tu vieni quando non viene nessuno, quando la balia che mi ha pòrto

     il seno si nasconde dalla mia fama

     e quando fa scintillare la sua chioma, come migliaia di millenni, nella luce lunare,

Tu vieni quando mi picchiano senza conoscere la mia preghiera,

     che pronuncerò io, e inizia così: «Io sono

     sospinto dall’oscurità…».

Tu vieni sempre quando io sono stanco. Ti ripago

     della mia vita con la paura,

     che crolla sulla tomba tua assurda

     sopra la grande bugia dell’autunno.

Biografia di Thomas Bernhard nasce nel 1931 ad Heerlen, in Olanda, dove la madre, una ragazza nubile austriaca, si era recata per evitare lo scandalo che la nascita di un figlio illegittimo avrebbe provocato nella provinciale Austria. Cresce presso i nonni materni a Vienna e a Salisburgo: è un ragazzino difficile, ma nutre un grande affetto per il nonno, che lo spinge a studiare musica e a prendere lezioni di violino. A diciotto anni Thomas contrae la pleurite e viene ricoverato in sanatorio, dove comincia a scrivere poesie. Nel 1957 esce Sulla terra e all’inferno, la sua prima raccolta poetica. A quella seguiranno: In hora mortis, Sotto il ferro della luna e Ave Virgilio. Nel 1963 pubblica il primo romanzo, Gelo, che vince il Premio Brema. Ne seguiranno molti altri, tra i più noti: Amras, Perturbamento, Camminare, Il soccombente, Correzione, Il nipote di Wittgenstein, Un’amicizia, Correzione, L’imitatore di voci e Goethe muore. A partire dagli anni Settanta scrive numerosi testi teatrali, tutti di grande successo. Nel 1970 gli viene conferito il Premio Büchner. Muore a Gmunden nel 1989.