Arturo TOSCANINI -Concerto del 14 gennaio 1920 al Teatro AUGUSTEO di ROMA-
Arturo Toscanini Direttore d’orchestra (Parma 1867 – New York 1957). Iniziò la sua carriera come violoncellista, ma si affermò presto come direttore sino a raggiungere un’enorme celebrità. L’interpretazione direttoriale di T., sia in campo teatrale sia in campo concertistico, era caratterizzata da una lucida lettura del testo musicale, associata alla concezione dell’orchestra intesa come uno strumento che deve sempre vibrare in tutte le sue parti. Il suo repertorio era assai vasto, rivelando peraltro una particolare predilezione per i musicisti del sec. 19º, da Beethoven a Brahms, da Verdi a Wagner.
Vita e opere
Studiò nei conservatori di Parma e di Milano, e iniziò la sua carriera come violoncellista nell’orchestra Teatro Regio di Parma e di altre, in Italia e nell’America Meridionale. Diresse per la prima volta a Rio de Janeiro nel 1886, e si affermò successivamente nei maggiori teatri d’Europa e d’America, sino a raggiungere una celebrità e una considerazione superiori a quelle di qualsiasi altro direttore. Chiamato alla Scala di Milano (1898), vi diresse fino al 1928, anno in cui fu nominato “principal conductor” dell’Orchestra Filarmonica di New York. Direttore al Metropolitan di New York (1908-15), rientrò in Italia nel 1915; nel 1931, essendosi rifiutato di eseguire gli inni ufficiali prima di un concerto a Bologna, fu schiaffeggiato da un gruppo di fascisti. Emigrò allora negli USA, dove fu a capo (1937-54) dell’Orchestra della National Broadcasting Company, costituita appositamente per lui. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, tornò saltuariamente in Italia, e inaugurò la Scala ricostruita dopo i bombardamenti che l’avevano gravemente danneggiata (1946). T. diresse, inoltre, la prima esecuzione assoluta di numerose opere, tra le quali: La Bohème, La fanciulla del West, Turandot di G. Puccini; Nerone di A. Boito
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
Arturo Toscanini nasce a Parma il 25 marzo 1867, da Claudio e Paola Montani Toscanini. Il padre, sarto, ha combattuto per l’Unità d’Italia. Per il suo patriottismo ha scontato anche tre anni di carcere, ha perso tutti i denti e fatica a condurre una vita stabile.
Arturo, che da piccolo è molto gracile forse a causa della celiachia, si diploma in Musica al Regio Conservatorio di Parma nel 1885, con i massimi voti in Composizione e Violoncello.
Dopo il diploma, si unisce a una compagnia operistica itinerante come violoncellista. Mentre si trova in tournée in Brasile, viene chiamato a sostituire il direttore d’orchestra durante una rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi. Toscanini, che ha imparato a memoria lo spartito, regala al pubblico una brillante esecuzione. Dato il suo trionfo, è assunto per il resto della stagione, affermandosi dunque per i propri talenti ed abilità d’esecuzione a soli 19 anni.
Debutta in Italia nel novembre 1886, a Torino. Nel proprio Paese d’origine firma molte direzioni d’orchestra, tra cui ad esempio le prime mondiali dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1892) e della Bohème di Giacomo Puccini (1896), come pure la prima italiana del Crepuscolo degli dei di Richard Wagner (1895).
Nel 1896, Toscanini conduce per la prima volta a La Scala di Milano un concerto comprendente tra l’altro una sinfonia di Franz Joseph Haydn e lo Schiaccianoci di Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Il suo successo cresce quando viene scelto come direttore d’orchestra principale de La Scala nel 1898.
Nel 1897 sposa Carla De Martini. La coppia ha due figli maschi, Walter e Giorgio (che morirà di difterite nel 1906), e due figlie, Wally e Wanda. Wanda sposerà il pianista Vladimir Horowitz, collaboratore del padre.
Nel 1908, Toscanini lascia La Scala per andare a dirigere la New York Metropolitan Opera. Qui conduce un’altra prima mondiale di Puccini, La fanciulla del West, nel 1910. Tornerà in Italia durante la prima guerra mondiale, e suonerà gratuitamente per beneficienza per i soldati al fronte fino alla fine della guerra. Dopo il conflitto, Toscanini porta l’orchestra de La Scala in tournée in Europa, in Canada e negli Stati Uniti. A partire dal 1921 si allontanerà volontariamente dalla direzione de La Scala, che gli costa troppa energia, e soprattutto dall’Italia, dove il fascismo guadagna sempre maggiori consensi. Continua a dirigere in America, apparendo come direttore d’orchestra della New York Philharmonic Orchestra nel 1926. Lavorerà con questa orchestra fino al 1936.
Toscanini si oppone fieramente all’avanzata del fascismo in Europa. In Italia, nel 1931, viene schiaffeggiato per avere rifiutato di eseguire l’inno fascista Giovinezza. È il primo non tedesco a dirigere un’orchestra al festival dedicato a Wagner a Bayreuth, in Germania, ma nel 1933 sceglie di non recarsi a questo evento per protesta contro il regime nazista. Questa vicenda è una delle tante manifestazioni del successo del Maestro Toscanini. Infatti il capillare controllo che il nazismo esercitava su tutte le opinioni, e il fatto che il regime avesse ritenuto Toscanini “incapace di resistere alla propaganda antigermanica”, non avevano impedito che alcuni giornali esprimessero rammarico per la sua mancata partecipazione al festival, e il divieto di trasmettere la sua musica alla radio tedesca fu per qualche tempo sospeso, per convincerlo a cambiare idea.
Nel 1936, Toscanini va in Palestina per dirigere un gruppo di musicisti ebrei che, in collaborazione con il musicista polacco Bronislaw Huberman, ha aiutato a fuggire dall’Europa.
David Sarnoff, il direttore della NBC, fonda la NBC Symphony Orchestra specificamente per Toscanini nel 1937. Toscanini sarà direttore di questa orchestra per 17 anni, ma troverà il tempo di suonare con altre orchestre, da una riva all’altra dell’Atlantico.
Nel 1947 partecipa con entusiasmo alla rinascita de La Scala dopo le distruzioni belliche. È tuttavia già molto anziano.
Sua moglie Carla muore nel 1951. Toscanini dirigerà il suo ultimo concerto dal vivo alla Carnegie Hall il 4 aprile 1954, con l’orchestra sinfonica della NBC. Negli ultimi anni riesaminerà le proprie registrazioni ancora inedite. Il 16 gennaio 1957, all’età di 89 anni, anche Arturo si spegne a casa sua nel quartiere Riverdale di New York.
Giardini che onorano Arturo Toscanini
Benevento – Liceo scientifico Rummo
Cittadella
Fiumicino – IC Colombo
Frattamaggiore – Liceo Miranda
Roma – Auditorium Parco della Musica
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
Quello schiaffo che Arturo Toscanini subì a Bologna, il 14 maggio del ‘ 31
La sera del 14 maggio 1931 a Bologna è in programma al Teatro Comunale un concerto, diretto da Arturo Toscanini, in memoria di Giuseppe Martucci, direttore emerito dell’orchestra bolognese alla fine dell’800.
Lo schiaffo a Toscanini Bologna
Il maestro si rifiuta di dirigere l’inno fascista Giovinezza e l’Inno reale al cospetto del ministro Ciano e di Arpinati. Viene aggredito e schiaffeggiato da alcune camicie nere presso un ingresso laterale del teatro. Tra gli squadristi c’è il giovane Leo Longanesi (secondo I. Montanelli, ma per altri questa è “una leggenda senza conferma”).
Rinunciando al concerto, Toscanini si rifugia all’hotel Brun. Il Federale Mario Ghinelli, con un seguito di facinorosi, lo raggiunge all’albergo e gli intima di lasciare subito la città, se vuole garantita l’incolumità.
Il compositore Ottorino Respighi, media con i gerarchi e ottiene di accompagnare il direttore al treno la sera stessa.
Il 19 maggio l’assemblea regionale dei professionisti e artisti deplorerà “il contegno assurdo e antipatriottico” del maestro parmigiano. Sull’ “Assalto” Longanesi scriverà: “Ogni protesta, da quella del primo violino a quella del suonatore di piatti, ci lascia indifferenti”.
Toscanini dal canto suo scriverà una feroce lettera a Mussolini, già suo compagno di lista a Milano nelle elezioni politiche del 1919. Dal “fattaccio” di Bologna maturerà la sua decisione di lasciare l’Italia, dove tornerà a dirigere solo nel dopoguerra.
Il concerto in onore di Martucci sarà rifatto al Comunale sessanta anni dopo, il 14 maggio 1991, sotto la direzione di Riccardo Chailly.
Approfondimenti
TOSCANINI, LA VERITA’ SUL FAMOSO SCHIAFFO -Archivio “la Repubblica”
BOLOGNA Due giorni di relazioni e concerti hanno infine riparato, a sessant’ anni dagli eventi, a quello schiaffo che Arturo Toscanini subì a Bologna, il 14 maggio del ‘ 31, ad opera di squadristi, per essersi rifiutato di dirigere al Teatro Comunale gli inni nazionali. Ch’ erano allora Giovinezza e Marcia Reale. Nel gesto riparatore si sono unite le due città di Bologna e di Parma. La prima ha ospitato martedì il convegno internazionale dedicato a Bologna per Toscanini, la seconda, nella giornata di ieri, una tavola rotonda. Entrambe, nei teatri Comunale e Regio, hanno ospitato il concerto che, diretto da Riccardo Chailly, ha visto Raina Kabaivanska e l’ Orchestra dell’ ente lirico bolognese interpretare quelle pagine di Giuseppe Martucci che Toscanini non poté eseguire. Punto di partenza dell’ indagine di storici e musicologi, alla quale si sono aggiunte le testimonianze di Walfredo Toscanini e Gottfried Wagner, è stato dunque l’ offesa al maestro. Luciano Bergonzini, che alla ricostruzione di quell’ ingiuria ha dedicato un saggio, pubblicato in questi giorni dal Mulino (Lo schiaffo a Toscanini. Fascismo e cultura a Bologna all’ inizio degli anni Trenta), ha esposto la sua tesi, che è sostanzialmente nuova. In sintesi, non furono i gerarchi del regime, primi fra tutti Leandro Arpinati, all’ epoca vicinissimo a Mussolini, e Mario Ghinelli, federale a Bologna, i promotori dell’ azione. Arpinati, piuttosto, tentò fino all’ ultimo di giungere ad una soluzione che sventasse lo scontro diretto, a un compromesso che permettesse il regolare svolgimento del concerto in memoria di Giuseppe Martucci, ben sapendo che Toscanini non avrebbe mai eseguito né la Marcia Reale, né Giovinezza, come prevedeva il protocollo. Di fatto, egli prese la decisione più semplice: Costanzo Ciano e lui non si sarebbero recati al Teatro Comunale. La serata avrebbe perso così il carattere ufficiale, liberando Toscanini da ogni obbligo. Inoltre, nonostante non sia tutt’ oggi facile giungere ad una conclusione definitiva sull’ argomento, tra gli aggressori non ci furono personalità di spicco del fascismo bolognese. Non c’ era certamente Ghinelli; assente probabilmente pure Leo Longanesi, che pure in seguito si sarebbe vantato d’ esser stato lui a colpire il musicista. Il suo ruolo, sempre secondo Bergonzini, sarebbe stato soltanto quello dell’ ispiratore attraverso articoli di giornale e discorsi. Rimane, invece, il sospetto che tutto abbia avuto origine all’ interno delle faide che andavano dividendo le gerarchie fasciste, e delle quali del resto sarà vittima lo stesso Arpinati. Se la proposta dello studioso bolognese fosse la ricostruzione più verosimile, allora lo schiaffo, la progettazione e l’ esecuzione dell’ aggressione sarebbero nate proprio da quel consenso al regime, che aveva trovato fertile terreno non solo nelle classi medie, ma anche in quelle subalterne urbane. Toscanini sarebbe loro apparso un vessillo da abbattere, incuranti di quanto si andava decidendo nelle sfere alte del regime. Constatazione questa che riaprirebbe una querelle mai risolta: quella del ruolo degli intellettuali, da un lato, e del sostegno che il fascismo seppe trovare, se pur distribuito in maniera disomogenea, nei più diversi strati della società italiana. Sul versante opposto, giustamente l’ accento è stato spostato dall’ offesa in sé, atto sempre vile, al gesto di Toscanini, a quel rifiuto del direttore d’ orchesta che costituisce, come ha sottolineato Harvey Sachs nel suo intervento conclusivo, un esempio raro, certamente poco imitato in quegli anni, di coraggio. Umanità della musica, definizione questa con la quale Sachs bene ha riassunto la forte componente etica dell’ arte toscaniniana, una componente che coniugava esigenze artistiche e convinzioni morali. Infine, l’ attenzione è tornata a volgersi alle pagine di Giuseppe Martucci, interpretate a Bologna e a Parma da Riccardo Chailly, sul podio dell’ Orchestra del Teatro Comunale, affidate alla voce di Raina Kabaivanska, La canzone dei ricordi. Pagine di un sinfonismo italiano ormai obliato che, Fiamma Nicolodi lo ha evidenziato tratteggiando l’ itinerario musicale del compositore, avvicina la tradizione tedesca romantica e tardo-romantica a quella francese, a Saint-Saens e a Franck. Difficile valutarne gli esiti. Nel ricostruire la storia dell’ Italia musicale non se ne può prescindere, però, giocando Martucci, e con lui gli Sgambati, i Mancinelli, i Bossi, un ruolo tutt’ altro che secondario.
Luciano Bergonzini, Bologna 14 maggio 1931: l’offesa al Maestro, in Toscanini. Atti del Convegno Bologna per Toscanini, 14 maggio 1991, a cura di L. Bergonzini, Bologna, CLUEB, 1992, p. 13 sgg.
Luciano Bergonzini, Lo schiaffo a Toscanini. Fascismo e cultura a Bologna all’inizio degli anni Trenta, Bologna, Il mulino, 1991
Dino Biondi, Il Resto del Carlino 1885-1985. Un giornale nella storia d’Italia, Bologna, Poligrafici Editoriale, 1985, p. 224
Bologna Caput Mundi. I grandi e la città da Dante ai giorni nostri, Bologna, L’inchiostroblu, stampa 2011, pp. 196-199
Pietrangelo Buttafuoco, Il Longanesi animato. Lacerti di un’Odissea borghese, in: Il mio Leo Longanesi, a cura di P. Buttafuoco, Milano, Longanesi, 2016, p. 24
Tiziano Costa, Bologna ‘900. Vita di un secolo, 2. ed., Bologna, Costa, 2008, pp. 104-105
Davide Daghia, Bologna insolita e segreta, Versailles, Jonglez, 2017, p. 229
Brunella Dalla Casa, Leandro Arpinati. Un fascista anomalo, Bologna, Il mulino, 2013, pp. 232-237
Due secoli di vita musicale. Storia del Teatro comunale di Bologna, a cura di Lamberto Trezzini, 2. ed., Bologna, Nuova Alfa, 1987, vol. I, pp. 203-240
Renzo Giacomelli, Il Teatro comunale di Bologna. Storia aneddotica e cronaca di due secoli (1763-1963), Bologna, Tamari Editori, 1965, pp. 165-167
Mauro Grimaldi, Leandro Arpinati. Un anarchico alla corte di Mussolini, Roma, Società Stampa Sportiva, 1999, pp. 84-88
Antonello Lombardi, Bologna. Guida turistica ai luoghi della musica, Bologna, Ut Orpheus, 2006, p. 115
Giancarlo Mazzuca, Luciano Foglietta, Sangue romagnolo. I compagni del Duce: Arpinati, Bombacci, Nanni, Bologna, Minerva, 2011, pp. 186-187
Indro Montanelli, Marcello Staglieno, Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 180-182
Piero Paci, Lo schiaffo ad Arturo Toscanini. I retroscena politici nella Bologna degli anni ‘30, in “La Torre della Magione”, 1 (2007), pp. 5-7
Fabio e Filippo Raffaelli, Emilia Romagna e Marche. Grandi voci & grandi teatri, s.l., Consorzio fra le banche popolari dell’Emilia Romagna Marche, 1995, pp. 175-178
Il Resto del Carlino. 45000 notti passate a scrivere la storia, a cura di Marco Leonelli, Bologna, Poligrafici, 2010, pp. 156-157
Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all’arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 4., p. 902
Teatro Comunale di Bologna, testi di Piero Mioli, fotografie di Carlo Vannini, Bologna, Scripta Maneant, 2019, p. 146
Toscanini, atti del Convegno Bologna per Toscanini, 14 maggio 1991, a cura di L. Bergonzini, Bologna, CLUEB, 1992
Touring club italiano, Emilia Romagna. Itinerari nei luoghi della memoria, 1943-1945, Milano, TCI, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 2005, p. 22
Lamberto Trezzini, Teatro dei Bibiena, in: Storia illustrata di Bologna, a cura di Walter Tega, Milano, Nuova editoriale AIEP, 1989, vol. 3., pp. 154-156
Roberto Verti, Emilia Romagna terra di musica, di voci e di mito, Casalecchio di Reno, L’Inchiostroblu, 1996, pp. 262-265
Roberto Verti, Il Teatro comunale di Bologna, Milano, Electa, 1998, p. 20, 72
Viene considerato uno dei maggiori direttori d’orchestra di sempre, per l’omogeneità e la brillante intensità del suono, la grande cura dei dettagli, il perfezionismo e l’abitudine di dirigere senza partitura grazie a un’eccezionale memoria fotografica.[1][2] Viene ritenuto in particolare uno dei più autorevoli interpreti di Verdi, Beethoven, Brahms e Wagner.
Fu uno dei più acclamati musicisti della fine del XIX e della prima metà del XX secolo, acquisendo fama internazionale anche grazie alle trasmissioni radiofoniche e televisive e alle numerose incisioni come direttore musicale della NBC Symphony Orchestra. Refrattario in vita all’idea di ricevere premi e decorazioni di sorta (tanto da rifiutare la nomina a senatore a vita propostagli da Luigi Einaudi, vd. infra), a trent’anni dalla morte fu insignito del Grammy Lifetime Achievement Award.
Arturo Toscanini nacque a Parma, nel quartiereOltretorrente, il 25 marzo del 1867, figlio del sarto e garibaldinoClaudio Toscanini, originario di Cortemaggiore (in provincia di Piacenza), e della sarta parmense Paola Montani; il padre era un grande appassionato di arie d’opera, che intonava in casa con amici dopo averle apprese al Teatro Regio, che frequentava spesso da spettatore. Questa passione contagiò anche il piccolo Arturo; del suo talento si accorse non il padre, ma una delle sue maestre, una certa signora Vernoni, che, notando che memorizzava le poesie dopo una singola lettura senza mai più dimenticarle, gli diede gratuitamente le prime lezioni di solfeggio e pianoforte. Arturo dimostrò nuovamente memoria eccezionale, riuscendo a riprodurre al pianoforte musiche che aveva sentito anche soltanto canticchiare; la maestra Vernoni suggerì ai genitori l’iscrizione del figlio alla Regia Scuola di Musica, il futuro conservatorio di Parma.[2][4][5]
A nove anni Arturo Toscanini vi si iscrisse vincendo una borsa di studio non nell’adorato pianoforte, bensì in violoncello (divenendo allievo di Leandro Carini) e composizione (allievo di Giusto Dacci). Nel 1880, studente tredicenne, gli venne concesso per un anno di essere violoncellista nell’orchestra del Teatro Regio. Si diplomò nel 1885 con lode distinta e premio di 137,50 lire.[4][6][7][8][9][10]
Nel 1886 si unì come violoncellista e secondo maestro del coro a una compagnia operistica per una tournée in Sudamerica. In Brasile il direttore d’orchestra, il locale Leopoldo Miguez, in aperto contrasto con gli orchestrali abbandonò la compagnia dopo una sola opera (il Faust di Charles Gounod), con una dichiarazione pubblica ai giornali (che avevano criticato la sua direzione) nella quale imputava tutto al comportamento degli orchestrali italiani. Il 30 giugno 1886 la compagnia doveva rappresentare al Teatro Lirico di Rio de Janeiro l’Aida di Giuseppe Verdi con un direttore sostituto, il piacentinoCarlo Superti; Superti fu però pesantemente contestato dal pubblico e non riuscì neanche a dare l’attacco all’orchestra. Nel caos più totale Toscanini, incitato da alcuni colleghi strumentisti per la sua grande conoscenza dell’opera, prese la bacchetta, chiuse la partitura e incominciò a dirigere l’orchestra a memoria. Ottenne un grandissimo successo, iniziando così la carriera di direttore a soli 19 anni, continuando a dirigere nella tournée. Al ritorno in Italia, su consiglio e mediazione del tenore russo Nikolaj Figner, si presentò a Milano dall’editrice musicale Giovannina Strazza, vedova di Francesco Lucca, e venne scelto da Alfredo Catalani in persona per la direzione al Teatro Carignano di Torino per la sua opera Edmea, andata in scena il 4 novembre dello stesso 1886, ottenendo un trionfo e critiche entusiaste.[2][5][6][11]
Successivamente riprese per un breve periodo la carriera di violoncellista; fu secondo violoncello alla prima di Otello, diretta al Teatro alla Scala da Franco Faccio il 5 febbraio 1887, e per l’occasione ebbe modo di entrare in contatto con Giuseppe Verdi.[2][12][13]
Arturo Toscanini
Nel frattempo, prima di intraprendere a pieno ritmo la carriera di direttore d’orchestra, tra il 1884 e il 1888 Toscanini si era dedicato alla composizione di alcune liriche per voce e pianoforte. Si ricordano Spes ultima dea, Son gelosa, Fior di siepe, Desolazione, Nevrosi, Canto di Mignon, Autunno, V’amo, Berceuse per pianoforte.
Nel 1895, nel nome di Wagner, avvenne l’esordio da direttore al Teatro Regio di Torino, con il quale collaborò fino al 1898 e di cui, il 26 dicembre 1905, inaugurò la nuova sala con Sigfrido. Nel giugno 1898 iniziò a dirigere al Teatro alla Scala (fino al 1903 e nel 1906/1907), con il duca Guido Visconti di Modrone come direttore stabile, il librettista e compositore Arrigo Boito vice-direttore e Giulio Gatti Casazza amministratore. Toscanini divenne il direttore artistico del teatro milanese e, sulla scia delle innovazioni portate dal suo idolo Richard Wagner, si adoperò per riformare il modo di rappresentare l’opera, ottenendo nel 1901 quello che ai tempi era il sistema di illuminazione scenica più moderno e nel 1907 la fossa per l’orchestra;[15] pretese inoltre che le luci in sala venissero spente e che le signore togliessero i cappelli durante la rappresentazione, proibì l’ingresso agli spettatori ritardatari e rifiutò di concedere i bis; ciò creò non poco scompiglio, dato che i più consideravano il teatro d’opera anche come un luogo di ritrovo, per chiacchiere e far mostra di sé.[2][7] Come scrisse il suo biografo Harvey Sachs, “egli credeva che una rappresentazione non potesse essere artisticamente riuscita finché non si fosse stabilita un’unità di intenti tra tutti i componenti: cantanti, orchestra, coro, messa in scena, ambientazione e costumi”. Il 26 febbraio 1901, in occasione della traslazione delle salme di Giuseppe Verdi e di Giuseppina Strepponi dal Cimitero Monumentale di Milano a Casa Verdi, diresse 120 strumentisti e circa 900 voci nel Va, pensiero che non veniva eseguito alla Scala da vent’anni. Nel 1908 si dimise dalla Scala e dal 7 febbraio fu invitato a dirigere presso il teatro Metropolitan di New York, venendo molto contestato per la sua decisione di abbandonare l’Italia. Proprio durante tale esperienza Toscanini comincerà a considerare gli Stati Uniti d’America come la sua seconda patria.[7]
Schierato per l’interventismo, rientrò in patria nel 1915, all’ingresso dell’Italia in guerra, e si esibì esclusivamente in concerti di propaganda e beneficenza; dal 25 al 29 agosto 1917, per allietare gli animi dei combattenti, diresse una banda sul Monte Santo appena conquistato durante la battaglia dell’Isonzo; per tale atto venne decorato con una Medaglia d’argento al valor civile[16]. Subito dopo la fine della guerra, nel giro di pochissimi anni s’impegnò nella riorganizzazione dell’orchestra scaligera (con la quale era tornato a collaborare), che trasformò in ente autonomo.
Ancora per spirito patriottico, nel 1920 si recò a Fiume per dirigere un concerto e incontrare l’amico Gabriele D’Annunzio, che con i suoi legionari aveva occupato la città contesa dagli slavi e dal governo italiano[17].
Di idee socialiste, dopo un’iniziale condivisione del programma fascista, che lo aveva portato nel novembre 1919 a candidarsi alle elezioni politiche nel collegio di Milano nella lista dei fasci di combattimento con Benito Mussolini e Filippo Tommaso Marinetti senza venire eletto,[20] se ne allontanò a causa del progressivo spostamento verso l’estrema destra di Mussolini, divenendone un forte oppositore già da prima della marcia su Roma. Voce fermamente critica e stonata nella cultura omologata al regime, riuscì, grazie all’enorme prestigio internazionale, a mantenere l’Orchestra del Teatro alla Scala sostanzialmente autonoma nel periodo 1921-1929; al riguardo annunciò anche che si sarebbe rifiutato di dirigere la prima di Turandot dell’amico Giacomo Puccini se Mussolini fosse stato presente in sala (che invece poi diresse, in quanto il duce non si recò alla rappresentazione).
Per questi atteggiamenti di aperta ostilità al regime subì una campagna di stampa avversa sul piano artistico e personale, mentre le autorità disposero provvedimenti, come lo spionaggio su telefonate e corrispondenza e il ritiro temporaneo del passaporto a lui e famiglia; tutto ciò contribuì a mettere in pericolo la sua carriera e la sua stessa incolumità, come accadrà a Bologna.[21]
Il 14 maggio 1931, infatti, trovandosi nella città felsinea per dirigere al Teatro Comunale un concerto della locale orchestra in commemorazione di Giuseppe Martucci, Toscanini si rifiutò in partenza di far eseguire come introduzione gli inniGiovinezza e Marcia Reale al cospetto di Leandro Arpinati, Costanzo Ciano e vari altri gerarchi. Dopo lunghe negoziazioni, che il Maestro non volle accettare, si arrivò alla defezione di Arpinati e Ciano, alla perdita di ufficialità del concerto e, di conseguenza, alla non necessità di esecuzione degli inni. Toscanini, al suo arrivo in auto al teatro in compagnia della figlia Wally, in ritardo a causa delle negoziazioni, appena sceso, fu assalito da un folto gruppo di fascisti, venendo schiaffeggiato sulla guancia sinistra, si presume dalla camicia nera Guglielmo Montani, e colpito da una serie di pugni a viso e collo; fu messo in salvo dal suo autista, che lo spinse in macchina, affrontò brevemente gli aggressori e poi ripartì. Il gruppo di fascisti giunse poi all’albergo dove era alloggiato il Maestro e gli intimò di andarsene immediatamente; verso le ore 2 della notte, dopo aver dettato un durissimo telegramma di protesta a Mussolini in persona in cui denunciava di essere stato aggredito da “una masnada inqualificabile” (telegramma che non avrà risposta), avendo persino rifiutato di farsi visitare da un medico, partì in auto da Bologna diretto a Milano, mentre gli organi fascisti si preoccupavano che la stampa, sia italiana sia estera, non informasse dell’accaduto. Da quel momento Toscanini visse principalmente a New York; per qualche anno tornò regolarmente a dirigere in Europa, ma non in Italia, dove tornò in maniera saltuaria solamente dopo la seconda guerra mondiale, a seguito del ripristino di un governo democratico. Nondimeno, i dischi da lui incisi con orchestre statunitensi e inglesi per la casa discografica La voce del padrone non furono sottoposti a censura da parte del regime di Mussolini e rimasero regolarmente in catalogo fino al 1942 e oltre. [21][22][23][24][25]
Arturo Toscanini
Nel 1933 infranse i rapporti anche con la Germania nazista, rispondendo con un rifiuto duro e diretto a un invito personale di Adolf Hitler a quello che sarebbe stato il suo terzo Festival di Bayreuth.[26] Le sue idee avverse al nazismo e all’antisemitismo che esso perseguiva lo portarono fino in Palestina, dove il 26 dicembre 1936 fu chiamato a Tel Aviv per il concerto inaugurale dell’Orchestra Filarmonica di Palestina (ora Orchestra Filarmonica d’Israele), destinata ad accogliere e a dare lavoro ai musicisti ebrei europei in fuga dal nazismo, che diresse gratuitamente.[27] Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania, abbandonò anche il Festival di Salisburgo, nonostante fosse stato caldamente invitato a rimanere. Nello stesso anno inaugurò il Festival di Lucerna (per l’occasione molti, soprattutto antifascisti, vi andarono dall’Italia per seguire i suoi concerti); inoltre, quando anche il governo italiano, in linea con l’alleato tedesco, adottò una politica antisemita promulgando le leggi razziali del 1938, Toscanini fece infuriare ulteriormente Mussolini definendo tali provvedimenti, in un’intercettazione telefonica che gli causò un nuovo temporaneo ritiro del passaporto, “roba da Medioevo“. Ribadì inoltre in una lettera all’amante, la pianistaAda Colleoni: “maledetti siano l’asse Roma-Berlino e la pestilenziale atmosfera mussoliniana”.[21][28]
L’anno successivo, anche a seguito della sempre più dilagante persecuzione razziale, abbandonò totalmente l’Europa, spostandosi negli Stati Uniti d’America.
Dagli States continuò a servirsi della musica per lottare contro il fascismo e il nazismo e si adoperò per cercare casa e lavoro a ebrei, politici e oppositori perseguitati e fuoriusciti dai regimi;[27] l’Università di Georgetown, a Washington, gli conferì una laurea honoris causa. Per lui, inoltre, nel 1937 era stata appositamente creata la NBC Symphony Orchestra, formata da alcuni fra i migliori strumentisti presenti negli Stati Uniti, che diresse regolarmente fino al 1954 su radio e televisioni nazionali, divenendo il primo direttore d’orchestra ad assurgere al ruolo di stella dei mass media.
«(…) sento la necessità di dirle quanto l’ammiri e la onori. Lei non è soltanto un impareggiabile interprete della letteratura musicale mondiale (…). Anche nella lotta contro i criminali fascisti lei ha mostrato di essere un uomo di grandissima dignità. Sento pure la più profonda gratitudine per quanto avete fatto sperare con la vostra opera di promozione di valori, inestimabile, per la nuova Orchestra di Palestina di prossima costituzione. Il fatto che esista un simile uomo nel mio tempo compensa molte delle delusioni che si è continuamente costretti a subire”[29]»
Durante la seconda guerra mondiale diresse esclusivamente concerti di beneficenza a favore delle forze armate statunitensi e della Croce Rossa, riuscendo a raccogliere ingenti somme di denaro. Si adoperò anche per la realizzazione di un filmato propagandistico nel quale dirigeva due composizioni di Giuseppe Verdi dall’alto valore simbolico: l’ouverture della Forza del destino e l’Inno delle Nazioni, da lui modificato variando in chiave antifascista l’Inno di Garibaldi e inserendovi l’inno nazionale statunitense e L’Internazionale. Nel 1943 il Teatro alla Scala, sui cui muri esterni erano state scritte frasi come “Lunga vita a Toscanini” e “Ritorni Toscanini“, venne parzialmente distrutto durante un violento bombardamento da parte di aereialleati; la ricostruzione avvenne in tempi rapidi, grazie anche alle notevoli donazioni versate dal Maestro.
Il 13 settembre 1943 la rivista statunitense Life pubblicò un lungo articolo di Arturo Toscanini dal titolo Appello al Popolo d’America. L’articolo era in precedenza un’accorata lettera privata di Toscanini al presidente americanoFranklin Delano Roosevelt.
«Le assicuro, caro presidente, – scrive Toscanini – che persevero nella causa della libertà la cosa più bella cui aspira l’umanità (…) chiediamo agli Alleati di consentire ai nostri volontari di combattere contro gli odiati nazisti sotto la bandiera italiana e in condizioni sostanzialmente simili a quelle dei Free French. Solo in questo modo noi italiani possiamo concepire la resa incondizionata delle nostre forze armate senza ledere il nostro senso dell’onore. (…)»
Toscanini non aveva in simpatia la posizione ambivalente di Richard Strauss durante la seconda guerra mondiale e dichiarò al riguardo: “Di fronte allo Strauss compositore mi tolgo il cappello; di fronte all’uomo Strauss lo reindosso”.[30]
Il ritorno
Arturo Toscanini
L’11 maggio 1946 il settantanovenne Toscanini ritornò in Italia, per la prima volta dopo quindici anni, per dirigere lo storico concerto di riapertura del Teatro alla Scala, ricordato come il concerto della liberazione, dedicato in gran parte all’opera italiana, e probabilmente per votare a favore della Repubblica. Quella sera il teatro si riempì fino all’impossibile: il programma vide l’ouverture de La gazza ladra di Rossini, il coro dell’Imeneo di Händel, il Pas de six e la Marcia dei Soldati dal Guglielmo Tell e la preghiera dal Mosè in Egitto di Rossini, l’ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco, l’ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum di Verdi, l’intermezzo e alcuni estratti dall’atto III di Manon Lescaut di Puccini, il prologo e alcune arie dal Mefistofele di Boito. In quell’occasione esordì alla Scala il soprano Renata Tebaldi, definita da Toscanini “voce d’angelo”.
Alla Scala fu direttore di altri tre spettacoli: il concerto commemorativo di Arrigo Boito, comprendente la Nona sinfonia di Beethoven, nel 1948, la Messa di requiem di Verdi nel 1950 ed infine un concerto dedicato a Wagner nel settembre 1952.
Il 5 dicembre 1949 venne nominato senatore a vita dal Presidente della RepubblicaLuigi Einaudi per alti meriti artistici, ma decise di rinunciare alla carica il giorno successivo, inviando da New York il seguente telegramma di rinuncia:
«È un vecchio artista italiano, turbatissimo dal suo inaspettato telegramma che si rivolge a Lei e la prega di comprendere come questa annunciata nomina a senatore a vita sia in profondo contrasto con il suo sentire e come egli sia costretto con grande rammarico a rifiutare questo onore. Schivo da ogni accaparramento di onorificenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espressami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l’evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira… accolga il mio deferente saluto e rispettoso omaggio.»
Addio alle scene e morte
Toscanini si ritirò a 87 anni, ponendo fine a una straordinaria carriera duratane 68;[4] rese tuttavia nota la sua volontà di lasciare il podio solo a familiari e amici, volendo evitare di ricevere eccessive celebrazioni pubbliche.[31]
Per il suo ultimo concerto, interamente dedicato a Wagner, compositore sempre molto amato, diresse la NBC Symphony Orchestra il 4 aprile 1954 alla Carnegie Hall di New York, in diretta radiofonica. Proprio in occasione di quell’ultima esibizione il Maestro, celebre anche, come già accennato, per la sua straordinaria memoria ed il suo perfezionismo maniacale (caratteristiche che, insieme al suo carattere irascibile ed impulsivo, lo portavano regolarmente ad infuriarsi quando l’esecuzione non risultava esattamente come lui voleva), mentre dirigeva il brano dell’opera Tannhäuser, per la prima volta perse la concentrazione e smise di battere il tempo.
Ritratto di Arturo Toscanini, direttore d’orchestra (1867-1957). Foto di Leone Ricci, Milano.
Toscanini rimase immobile per ben 14 secondi ed i tecnici radiofonici fecero immediatamente scattare un dispositivo di sicurezza che trasmise musica di Brahms[31], una reazione a posteriori giudicata eccessiva e forse dettata dal panico, laddove l’orchestra in realtà non aveva mai smesso di suonare. Il Maestro si ricompose e riprese a dirigere normalmente fino alla fine del concerto, dopodiché si ritirò rapidamente nel proprio camerino, mentre in teatro gli applausi sembravano non smettere più.[32]
Nel dicembre del 1956, debilitato da problemi di salute legati all’età, espresse il desiderio di trascorrere il Capodanno con tutta la famiglia. Il figlio Walter organizzò quindi una grande festa a New York con figli, nipoti, vari parenti e amici; a mezzanotte il Maestro, insolitamente allegro ed energico, volle abbracciare tutti uno per uno, poi intorno alle due andò a letto. Al mattino di Capodanno del 1957, alzatosi attorno alle 7, si recò in bagno e quando ne uscì stramazzò al suolo, colpito da una trombosi cerebrale.[31]
Toscanini rimase in agonia per 16 giorni e morì alle soglie dei 90 anni, nella sua casa newyorkese di Riverdale, il 16 gennaio 1957; la salma ritornò il giorno dopo in Italia con un volo diretto all’Aeroporto di Ciampino, a Roma, e venne accolta all’arrivo da una folla di persone. Da lì fu traslata a Milano: la camera ardente e il funerale furono allestiti presso il Teatro alla Scala e la gente salì anche sui tetti degli edifici circostanti per poter vedere qualcosa.
Composto da una marea di persone, il corteo funebre si avviò verso il Cimitero Monumentale di Milano, dove il Maestro venne tumulato nell’Edicola 184 del Riparto VII, la tomba di famiglia precedentemente edificata alla morte del figlioletto Giorgio dall’architetto Mario Labò e dallo scultore Leonardo Bistolfi, con tematiche rappresentanti l’infanzia e il viaggio per mare (Giorgio era morto di una difterite fulminante a Buenos Aires mentre seguiva il padre in tournée ed era ritornato a Milano defunto in nave).[33][34][35][36][37] Nella stessa cappella hanno ricevuto sepoltura il padre del Maestro, Claudio, la sorella Zina, gli altri tre figli del Maestro (Walter, Wanda, Wally), la moglie Carla, l’insigne pianista Vladimir Horowitz (1903-1989), marito di Wanda, la loro figlia Sophie Horowitz (1934-1975), la ballerina Cia Fornaroli (1888-1954), moglie del figlio Walter, e il nipote Walfredo Toscanini (1929-2011), figlio di Walter e della Fornaroli e ultimo discendente diretto maschio del Maestro.
Il nome di Arturo Toscanini si è successivamente meritato l’iscrizione al Famedio del medesimo cimitero.[38]
Vita privata
Arturo era il primogenito e dopo di lui i genitori ebbero tre figlie: Narcisa (1868-1878), Ada (1875-1955) e Zina (1877-1900).[39][40]
Arturo Toscanini con la figlia Wally, 1955
Toscanini sposò la milanese Carla De Martini (nata nel 1877) a Conegliano il 21 giugno 1897; la moglie diverrà sua manager.[2][31] Ebbero quattro figli: Walter, nato il 19 marzo 1898 e morto il 30 luglio 1971, storico e studioso del balletto, che sposò la celebre prima ballerinaCia Fornaroli;[41][42] Wally, nata il 16 gennaio del 1900, chiamata come la protagonista dell’ultima opera dell’amico scomparso Alfredo Catalani, La Wally[43], nel corso della seconda guerra mondiale elemento importante della Resistenza italiana e successivamente fondatrice di un’associazione per la ricostruzione del Teatro alla Scala distrutto dai bombardamenti alleati, nonché moglie del conte Emanuele di Castelbarco e celebre animatrice del jet set internazionale,[43][44][45] morta l’8 maggio 1991; il predetto Giorgio, nato nel settembre 1901 e morto di difterite il 10 giugno 1906; Wanda Giorgina, nata il 7 dicembre del 1907, diventata celebre per avere sposato il pianistarusso e amico di famiglia Vladimir Horowitz, morta il 21 agosto 1998.[31][37][46][47]
Il 23 giugno 1951 la moglie morì a Milano e Toscanini rimase vedovo.[48]
Toscanini ebbe varie relazioni extraconiugali, ad esempio con il soprano Rosina Storchio, dalla quale nel 1903 ebbe il figlio Giovanni Storchio, nato cerebroleso e morto sedicenne il 22 marzo 1919,[49][50] e con il soprano Geraldine Farrar, che avrebbe voluto imporgli di lasciare moglie e figli per sposarla; il Maestro non gradì l’ultimatum e, per tale motivo, nel 1915 si dimise da direttore d’orchestra principale del Metropolitan e ritornò in Italia. Ebbe anche una relazione durata sette anni (dal 1933 al 1940) con la pianista Ada Colleoni, amica delle figlie e divenuta moglie del violoncellista Enrico Mainardi; tra i due, nonostante vi fossero trent’anni di differenza, nacque un profondo legame, come risulta da una raccolta di circa 600 lettere e 300 telegrammi che il Maestro le inviò.[51][52][53]
Era un appassionato intenditore e collezionista d’arte, nonché conoscente o amico di molti pittori; secondo il nipote Walfredo, la sua collezione nella casa milanese di via Durini arrivava a contare fino a 200 quadri[31].
Critica
Toscanini fu pressoché idolatrato dalla critica finché fu in vita; la RCA Victor, che l’aveva sotto contratto, non si faceva problemi a definirlo il miglior direttore d’orchestra mai esistito. Tra i suoi sostenitori non vi erano solo i critici musicali, ma anche musicisti e compositori: un parere d’eccezione viene da Aaron Copland.[54]
Tra le critiche che gli furono mosse spicca quella “revisionista”, secondo la quale l’impatto di Toscanini sulla musica americana è da giudicare in definitiva più negativo che positivo, poiché il Maestro prediligeva la musica classica europea a quella a lui contemporanea. Tale bacchettata venne dal compositore Virgil Thomson, il quale deprecò la poca attenzione di Toscanini per la musica “contemporanea”. Va tuttavia sottolineato come Toscanini abbia speso parole d’ammirazione per compositori a lui senz’altro contemporanei, quali Richard Strauss e Claude Debussy, di cui diresse e incise la musica. Altri compositori attivi nel XX secolo i cui brani furono eseguiti sotto la direzione di Toscanini furono Paul Dukas (L’apprendista stregone), Igor’ Stravinskij (Le rossignol e la Suite da Petruška), Dmitrij Shostakovich (sinfonie numero 1 e 7) e George Gershwin, del quale diresse i tre lavori maggiori (Rapsodia in Blu, Un americano a Parigi e il Concerto in Fa).
Un’altra critica spesso mossa a Toscanini è quella di essere troppo “metronomico”, cioè di battere il tempo fin troppo rigidamente, senza mai distaccarsi dalle partiture. Questa sua caratteristica gli valse la rivalità di Wilhelm Furtwängler, caratterizzato da un modo di dirigere totalmente opposto a quello del Maestro italiano; i due si detestarono per anni e non ne fecero mistero.
Nota è l’aspra discussione sorta fra Toscanini e Maurice Ravel in relazione ai tempi della partitura del celebre Boléro del compositore francese.[55] Alla prima esecuzione a New York, il 4 maggio 1930, infatti, il direttore affrettò il tempo, dirigendo due volte più velocemente di quanto indicato, per poi allargarlo nel finale. Ravel gli ricordò che il brano andava eseguito con un unico tempo, dall’inizio alla fine, e che nessuno poteva prendersi certe libertà (lo stesso compositore, dopo la prima esecuzione, aveva anche fatto preparare un avviso che imponeva di eseguire il Boléro in modo tale che durasse esattamente diciassette minuti), e Toscanini gli rispose: “Se non la suono a modo mio, sarà senza effetto”, risposta che Ravel commentò dicendo: “i virtuosi sono incorreggibili, sprofondati nelle loro chimere come se i compositori non esistessero”.[56]
Francobollo emesso nel 2007 nel 50º anniversario della morte Francobollo della Repubblica di San Marino che celebra Arturo Toscanini, sempre per il 50° dalla morte
Toscanini registrò 191 dischi, specialmente verso la fine della carriera, molti dei quali sono ancora ristampati. Inoltre sono conservate molte registrazioni di esibizioni televisive e radiofoniche. Particolarmente apprezzate sono quelle dedicate a Beethoven, Brahms, Wagner, Richard Strauss, Debussy tra gli stranieri, Rossini, Verdi, Boito e Puccini tra gli italiani.
I beni che documentano la vita di Toscanini sono stati dati dai suoi eredi a istituzioni pubbliche italiane e statunitensi. A New York presso la New York Public Library si conservano molte delle partiture annotate e la rassegna stampa degli eventi che videro protagonista il Maestro; alcuni documenti sono invece conservati presso la Fondazione Arturo Toscanini di Parma; a Milano si trovano documenti presso l’archivio del Museo Teatrale alla Scala, l’Archivio di Stato e il Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi”; il 19 dicembre 2012 vi fu un’asta su lotti di lettere e spartiti del Maestro: tutto ciò rischiava di andare disperso, ma 60 lotti su 73 andarono all’Archivio di Stato[61].
^ D’Annunzio gli aveva scritto: “Venga a Fiume d’Italia, se può. È qui oggi la più risonante aria del mondo e l’anima del popolo è sinfonia come la sua orchestra”.
^ Comune di Milano, App di ricerca defunti Not 2 4get (i suoi resti attualmente riposano al Cimitero Maggiore di Milano nella celletta 729 del Riparto 211).
^ Enzo Restagno, Ravel e l’anima delle cose, Il Saggiatore, Milano, 2009, pag.34
^ Da un’intervista di Dimitri Calvocoressi a Ravel per il Daily Telegraph dell’11 luglio 1931, in Maurice Ravel. Lettres, écrits, entretiens Ed. Flammarion, Parigi, 1989
^ Un singolare aneddoto è legato alla prima di quest’opera, che esordì incompleta e postuma alla morte di Puccini. Toscanini interruppe infatti l’esecuzione a metà del terzo atto, all’ultima pagina completata dall’autore; alcuni testimoni riportano che, voltatosi verso il pubblico, il direttore affermò: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto». Toscanini non diresse mai più la Turandot, tanto meno nella versione completata da Franco Alfano (di cui egli fu, peraltro, promotore, nonché recensore avendone bocciata una prima versione, presso l’editore Ricordi di Milano). Vd. Julian Budden, Puccini, traduzione di Gabriella Biagi Ravenni, Roma, Carocci Editore, 2005, ISBN 88-430-3522-3, pp. 458s.
Marco Capra (a cura di), Toscanini. la vita e il mito di un Maestro immortale, Milano, Rizzoli, 2017
Piero Melograni, Toscanini. La vita, le passioni, la musica, Milano, Mondadori, 2007.
Adriano Bassi, Arturo Toscanini, Collana I Signori della Musica, Milano, Targa Italiana, 1991
(EN) B.H. Haggin, Contemporary Recollections of the Maestro, Boston, Da Capo Press, 1989 (ristampa di Conversations with Toscanini e di The Toscanini Musicians Knew)
Harvey Sachs, Toscanini, Boston, Da Capo Press, 1978 (edizione italiana EDT/Musica, 1981). – Nuova ed. ampliata in pubblicazione nel giugno 2017.
(EN) Harvey Sachs, Reflections on Toscanini, Prima Publishing, 1993.
Arturo Toscanini, Lettere (The Letters of Arturo Toscanini. Compiled, edited and selected by Harvey Sachs, Knopf, 2002), traduzione di Maria Cristina Reinhart, a cura di Harvey Sachs, Milano, Il Saggiatore, 2017 [col titolo Nel mio cuore troppo d’assoluto: le lettere di Arturo Toscanini, Saggi Garzanti, 2003], ISBN978-88-428-2344-5.
Howard Taubman, The Maestro. The Life of Arturo Toscanini, Westport, Greenwood Press, 1977.
(EN) Joseph Horowitz, Understanding Toscanini. A Social History of American Concert Life, Berkeley, University of California Press, 1994.
(EN) Tina Piasio, “Arturo Toscanini”, in Italian Americans of the Twentieth Century, ed. George Carpetto and Diane M. Evanac, Tampa, FL, Loggia Press, 1999, pp. 376-377.
(EN) William E. Studwell, “Arturo Toscanini.” In The Italian American Experience: An Encyclopedia, ed. S.J. LaGumina, et al., New York, Garland, 2000, pp. 637-638.
Le sue prime composizioni erano radicate nella tradizione dell’opera italiana del tardo XIX secolo. Tuttavia, successivamente Puccini sviluppò con successo il suo lavoro in una direzione personale, includendo alcuni temi propri del Verismo musicale, un certo gusto per l’esotismo e studiando l’opera di Richard Wagner sia sotto il profilo armonico sia orchestrale e per l’uso della tecnica del leitmotiv. Ricevette la formazione musicale presso il conservatorio di Milano, sotto la guida di maestri come Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli. Al Conservatorio fece inoltre amicizia con Pietro Mascagni.
Le opere più famose di Puccini, considerate di repertorio per i maggiori teatri del mondo, sono La bohème (1896), Tosca (1900), Madama Butterfly (1904) e Turandot (1926). Quest’ultima non fu completata perché il compositore si spense, stroncato da un tumore alla gola (Puccini era un fumatore accanito), prima di poter terminare le ultime pagine. All’opera furono poi aggiunti finali diversi: quello di Franco Alfano (il primo, coevo alla prima assoluta ed ancor oggi più eseguito); successivamente nel XXI secolo quello a opera di Luciano Berio, abbastanza rappresentato. Non mancano altre proposte e studi di nuovi completamenti.
Nacque a Lucca il 22 dicembre 1858, sestogenito dei nove figli[1] di Michele Puccini (Lucca, 27 novembre 1813 – ivi, 23 gennaio 1864) e di Albina Magi (Lucca, 2 novembre 1830 – ivi, 17 luglio 1884).[2] Da quattro generazioni i Puccini erano maestri di cappella del Duomo di Lucca[3] e fino al 1799 i loro antenati avevano lavorato per la prestigiosa Cappella Palatina della Repubblica di Lucca. Il padre di Giacomo era, già dai tempi del Duca di Lucca Carlo Lodovico di Borbone, uno stimato professore di composizione presso l’Istituto Musicale Pacini.[4] La morte del padre, avvenuta quando Giacomo aveva cinque anni, mise in condizioni di ristrettezze la famiglia. Il giovane musicista fu mandato a studiare presso lo zio materno, Fortunato Magi, che lo considerava un allievo non particolarmente dotato e soprattutto poco disciplinato (un «falento», come giunse a definirlo, ossia un fannullone senza talento). In ogni caso, Magi introdusse Giacomo allo studio della tastiera e al canto corale.[5] Alemanno Cortopassi discepolo del celebre maestro Michele Puccini, al cui figlio Giacomo impartì le prime nozioni musicali, lo iniziò, ancora adolescente, ai primi studi, facendolo poi proseguire a Lucca e a Milano.
Giacomo inizialmente frequentò il seminario di San Michele e successivamente quello della Cattedrale dove iniziò lo studio dell’organo. I risultati scolastici non furono certo eccellenti; in particolare dimostrava una profonda insofferenza per lo studio della matematica. Del Puccini studente è stato detto: “entra in classe solo per consumare i pantaloni sulla sedia; non presta la minima attenzione a nessun argomento, e continua a tamburellare sul suo banco come fosse un pianoforte; non legge mai”.[6][7] Terminati in cinque anni, uno in più di quelli necessari, gli studi di base, si iscrisse all’Istituto Musicale di Lucca dove il padre era stato, come detto, insegnante.[5] Ottenne ottimi risultati con il professor Carlo Angeloni, già allievo di Michele Puccini, mostrando un talento concesso a pochi. A quattordici anni Giacomo poté già cominciare a contribuire all’economia familiare suonando l’organo in varie chiese di Lucca e in particolare alla parrocchia di Mutigliano. Inoltre intratteneva al pianoforte gli avventori del “Caffè Caselli”, situato in Via Fillungo, strada principale della Città.[6]
Nel 1874 prese in carico un allievo, Carlo della Nina, tuttavia non si dimostrò mai un buon insegnante. A questo periodo risale la prima composizione conosciuta attribuibile a Puccini, una lirica per mezzosoprano e pianoforte denominata “A te“. Nel 1876 assistette al Teatro Nuovo di Pisa all’allestimento di Aida di Giuseppe Verdi, un avvenimento che si dimostrò decisivo per la sua futura carriera, facendo convogliare i suoi interessi verso l’opera.[8]
A questo periodo risalgono le prime composizioni note e datate, tra cui spiccano una cantata (I figli d’Italia bella, 1877) e un mottetto (Mottetto per San Paolino, 1877). Nel 1879 scrisse un valzer, oggi perduto, per la banda cittadina. L’anno successivo, all’ottenimento del diploma presso l’Istituto Pacini, compose come saggio finale la Messa di gloria a quattro voci con orchestra, che, eseguita al Teatro Goldoni di Lucca, suscitò l’entusiasmo della critica lucchese.[9]
Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte“Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Guido Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte”Biblioteca DEA SABINA-Guido M. Gatti -“GIACOMO PUCCINI dieci anni dopo la morte. Rivista PAN n°11 del 1934Biblioteca DEA SABINA-Rivista PAN n°11 del 1934
La Società Dante Alighieri di Mosca e la Società dell’Amicizia Italia-Russia sono liete di presentare all’attenzione dell’edizione italiana RussiaPrivet un articolo di Laman Baghirova sul celebre poeta, politico, personaggio pubblico, personaggio unico italiano Gabriele d’Annunzio (1863-1938) , che è stato recentemente pubblicato nell’edizione russa “Klausura”. Siamo lieti di promuovere la collaborazione tra queste due grandi edizioni. Da parte nostra voremmo dire che abbiamo incontrato per la prima volta il nome Gabriele d’Annunzio durante la nostra traduzione del romanzo di Felice Trojani (1897-1971) “La Coda di Minosse”, in cui l’autore del libro, contemporaneo di d’Annunzio, che prese parte alla famosa spedizione al Polo Nord sul dirigibile “Italia” sotto la guida di Umberto Nobile, descrisse sia la spedizione stessa che presentò anche un quadro realistico del mondo dell’aviazione italiana del primo Novecento. In quest’opera storica il nome Gabriele d’Annunzio è citato molto spesso.
Così Felice Trojani descrive quel momento difficile nello sviluppo dell’aviazione dopo la prima guerra mondiale nel suo romanzo, e in quale contesto cita D’Annunzio: «Fra i piloti e il personale tecnico smobilitato erano grandi la disoccupazione e il disagio material e morale; di aviazione civile non esisteva che qualche misero embrione dovuto alla loro iniziatva.
Luigi Garrone, il pilota ‘del mio bel SIA 9 B sparvierato” aveva fondato la Cooperativa Nazionale Aeronautica fra piloti, osservatori, tecnici, motoristi e montatori d’aviazione, ala quale d’Annunzio aveva aderito dando cinquemila lire e il motto “Col Nostro Ardore”.
Ma Garrone era morto cadendo “in vista di quell’Isonzo che piu’ non trascina al mare corpi d’uccisi ma speranze disfatte” mentre portava in Russia un bombardiere monomotore FIAT.” (pp.120 “La Coda di Minosse”)
Il motto “Col nostro ardore” è stato inventato da Gabriele d’Annunzio – il miglior inventore di marchi commerciali e motti dell’epoca. D’Annunzio ha ideato questo motto per un gruppo di giovani pieni di sentimento, determinati a superare tutti i divieti e gli ostacoli nei mesi più difficili dopo la tregua. E il verso riportato nel romanzo ” in vista di quell’Isonzo che piu’ non trascina al mare corpi d’uccisi ma speranze disfatte” è tratto dalla raccolta di Gabriele d’Annunzio “Noturno” , una raccolta di appunti sulla Prima Guerra Mondiale (https://it.wikisource.org/wiki/Notturno_(D’Annunzio)).
Senza dubbio, l’articolo su Gabriele d’Annunzio interesserà sia i lettori russi che quelli italiani. Era una persona davvero unica e insolita che rimarrà per sempre nella nostra memoria.
La poesia di Gabriele d’Annunzio e’ unica, bella, filosofica attirerà sempre l’attenzione dei traduttori di poesie di diversi paesi, e la sua stessa vita è un esempio della vita di una persona che l’ha amata follemente e ha amato il paese in cui è nato, l’Italia!
Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio “O Pisa, o Pisa, per la fluviale melodia”
O Pisa, o Pisa, per la fluviale
melodìa che fa sì dolce il tuo riposo
ti loderò come colui che vide
immemore del suo male
fluirti in cuore
il sangue dell’aurore
e la fiamma dei vespri
e il pianto delle stelle adamantino
e il filtro della luna oblivioso.
Quale una donna presso il davanzale,
socchiusa i cigli, tiepida nella sua vesta
di biondo lino,
che non è desta ed il suo sogno muore;
tale su le bell’acque pallido sorride
il tuo sopore.
E i santi marmi ascendono leggeri,
quasi lungi da te, come se gli echi
li animassero d’anime canore.
Ma il tuo segreto è forse tra i due neri
cipressi nati dal seno
de la morte, incontro alla foresta trionfale
di giovinezze e d’arbori che in festa
l’artefice creò su i sordi e ciechi
muri come su un ciel sereno.
Forse avverrà che quivi un giorno io rechi
il mio spirito, fuor della tempesta,
a mutar d’ale.
Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio (1863-1938)
Nataliya Nikishkina -Presidente della Società Dante Alighieri a Mosca.
Ekaterina Spirova -Presidente della Società dell’Amicizia Italia-Russia.
Un articolo su CLAUSURE su Gabriel d’Annunzio. La firma dell’autore e la sua nota sono alla fine dell’articolo. Il link alla pubblicazione in “Klauzura” è: klauzura.ru
È un poeta, è un aviatore, è…
21.07.2021 / Edizione
Il calore aleggia sulla città… Domina su tutto. Non si scioglie solo l’asfalto, ma anche il cervello. Sembra che si stia trasformando in una sostanza pigra, che ricorda le proteine mal montate. Questo è veramente – “tu, rovinando tutte le capacità mentali, tormentaci; come i campi soffriamo la siccità”. Pushkin, è Pushkin per tutte le stagioni!
Ma il pensiero è una cosa strana. Nella sostanza pigra, in cui il cervello umano si trasforma in estate, sorgono connessioni associative a volte incomprensibili. Posso garantire che pochi lo ricorderanno ora, e molti, forse, non sanno che esattamente 35 anni fa, nel 1986, uscì su un grande schermo l’ultimo film di Alexander Zarkhi “Chicherin”. Tuttavia, ora poche persone ricordano chi fosse. E per qualche ragione mi sono ricordato di questo film proprio ora. E niente affatto perché ho un interesse speciale per la biografia del primo Commissario del popolo per gli affari esteri dell’URSS. E nemmeno perché il suo ruolo nel film è stato interpretato dal meraviglioso Leonid Filatov. Ricordo questo film con una sola osservazione. Nella seconda puntata Filatov cita dei versi in italiano: “Non amarmi e io non amo te, ma c’è ancora una particella di tenerezza tra noi”.
Un verso di una poesia del poeta finora sconosciuto Gabriele d’Annunzio. Mi ha colpito con la sua assillante sincerità. La tenerezza, come una tranquilla luce del tramonto, rimane quando l’amore se ne va. O anche quando non c’era proprio amore. Bastava questa piccola riga per ricordare sia il film che il nome del poeta stesso. E saperne di più su di lui.
Gabriele D’Annunzio
Allora, Gabriele d’Annunzio. 1863-1938. Poeta, e non solo… Parigi non vedeva una cosa del genere dai tempi della Comune! Persone di diversa età e condizione sociale si sono riversate per le strade! La gioia genuina brillava nei loro occhi! Sventolavano bandiere, cantavano, ballavano, si abbracciavano. L’11 novembre 1918 iniziò a operare una tregua che fermò la prima guerra mondiale. La capitale della Francia, che fino a poco tempo fa era bombardata dall’artiglieria tedesca, celebrava l’avvento della pace. Rappresentanti di diversi paesi sono venuti a Parigi per concordare finalmente un nuovo ordine mondiale. Negli uffici di Versailles, le mappe raffiguravano i nuovi confini di vecchi e nuovi stati. Il mondo è stato rimodellato (per l’ennesima volta!). L’Italia faceva parte dei cosiddetti Big Four, insieme a Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Era la più debole di tutte, ma aveva un’ambizione tremenda. Bene, bene… Come si dice, un soldato che non sogna di diventare un generale è cattivo.
Le controversie sulla redistribuzione del Vecchio Continente si diffusero in Italia. Alcuni paesi volevano ampliare i propri possedimenti a scapito di terre che un tempo appartenevano alla Repubblica di Venezia. Le migliori sono la costa adriatica orientale. Ma sono sorte polemiche. Inoltre, i membri della delegazione italiana hanno litigato tra loro. Hanno lasciato le trattative, poi sono tornati di nuovo. Nella stessa Italia questa situazione ha suscitato un’ondata di indignazione. La società raccolse facilmente il termine “vittoria mutilata”. Il suo autore fu il poeta, soldato e romantico Gabriele d’Annunzio.
È stata una delle figure più importanti in Italia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Ha fatto parte di quei venti di cambiamento che hanno creato l’arte della decadenza. Inoltre uno stile di vita incredibilmente brillante, persino scioccante. E per favore, una persona che ha avuto un enorme impatto sull’Italia in quel momento.
La sua vocazione era l’arte. Soprattutto per come l’ha visto lui. La vita ruotava attorno alla ricerca del piacere, che cercò di trovare anche durante la guerra. Gabriele d’Annunzio nacque il 12 marzo 1863 nella città italiana di Pescara. Il padre portava il doppio cognome Rapanetta d’Annunzio, ma, fortunatamente per il figlio, abbandonò la prima parte. “Rapanetta” nella traduzione dall’italiano significa “rapa”. “Annunzio” – “messaggio”. La seconda parte del cognome era più adatta al poeta e al politico.
Gabriele d’Annunzio ha ereditato dalla madre la reattività e i tratti delicati del viso in gioventù, dal padre – un carattere irascibile e un amore indomito per le donne. Ha iniziato a scrivere a scuola. Il processo con la penna non ha avuto molto successo. Il collegio dei gesuiti disapprovava i sospiri del giovane poeta sugli “eteri persiani” e il “calore barbarico dei baci”.
All’età di 16 anni Gabriele pubblica la sua prima raccolta di poesie “La Primavera” con i soldi del padre. Un anno dopo, il libro è stato ristampato. Per attirare l’interesse su di lei, il giovane inviò un telegramma al giornale informandolo che l’autore era morto dopo essere caduto da cavallo. Ha trovato la sua strada. La collezione vendette molto bene e anche i critici letterari se ne accorsero. Ben presto, anche a Roma, iniziarono a parlare del giovane poeta. Si trasferì lì in cerca di lavoro, entrò nella facoltà di filologia dell’università e trovò lavoro come corrispondente per un giornale.
Aveva una fantastica capacità di lavoro e ha scritto centinaia di articoli sotto vari pseudonimi. La nuova raccolta di poesie “Intermezzo di rime” ha scioccato il pubblico con rivelazioni erotiche. L’erotismo è presente nella maggior parte delle opere di D’Annunzio, a cominciare da quelle scritte a 16 anni delle prime poesie. E i libri nella sua biblioteca di casa erano contrassegnati da un ex libris erotico. Ho provato la mia mano con la prosa – è andata altrettanto bene. Pubblicato nel 1889, il romanzo “Piacere” rese celebre d’Annunzio. Hanno iniziato a parlare del personaggio principale del romanzo come di un eroe del loro tempo. Il prototipo del protagonista era l’autore, e il nome era una delle parole principali della visione del mondo di D’Annunzio. La vita per lui era un placare la sete di lusso e piacere, in primo luogo l’amore. La passione e la tenerezza nel romanzo di d’Annunzio hanno conquistato la routine, ed è proprio questo che sognavano segretamente abitanti abbastanza perbene. (A proposito, se parliamo dei romanzi dello scrittore, sarà utile notare che anche il film sensazionale di Luchino Visconti “Innocenzo” è stato girato sulla base delle opere di D’Annunzio).
Il talento letterario del giovane d’Annunzio è molto brillante. Spende quasi tutti i suoi soldi in scarpe alla moda e cravatte lussuose e cerca di essere come quelli di cui scrive: salvavita. Il lavoro crea condizioni eccellenti per la divulgazione di un altro talento di Gabriele: la capacità di compiacere le donne. Il suo primo matrimonio fu con la duchessa Maria Harduin di Gallese. Si potrebbe definire un matrimonio di convenienza: la duchessa era già incinta. La loro vicinanza a Gabriele si immortalerà nelle poesie “IL PECCATO DI MAGGIO”. Grazie a questo matrimonio, Gabriele riceverà un altro scandalo che gli darà fama.
Alla ricerca della fama e delle donne, Gabriele lascerà la moglie. Cominciarono a circolare leggende sulle innumerevoli amanti del poeta. Tra i suoi prescelti c’era la grande attrice italiana di fama mondiale Eleanor Duse. Era l’incarnazione delle donne, simile alle eroine delle opere di d’Annunzio – una natura nevrotica emancipata. Ha cercato di esporre le bugie di una vita coniugale misurata, lottando per la libera scelta e il diritto alla passione.
Eleonora lo trascinò a Firenze e lo aiutò a pagare grossi prestiti. E scrisse per lei le sue migliori commedie. Ma il romanzo è andato in pezzi dopo che l’attrice ha scoperto che il poeta lo tradiva. Gabriele ha flirtato con ogni donna lungo la strada. Ha sedotto i più ricchi. Così è stato con la moglie del conte Mancini, la figlia dell’ex presidente del Consiglio italiano Alessandro de Rudini, la scioccante socialiste marchesa Luisa Casatti, così come con una delle prime interpreti di danze erotiche sul grande palcoscenico – Ida Rubinstein. La descrizione di d’Annunzio sta in due parole: genio e sconvolgente.
Le storie d’amore vivide si intrecciavano con i duelli. Il poeta ribelle si lasciava facilmente coinvolgere nei conflitti. Una delle scaramucce si è conclusa con un fallimento. Il poeta fu ferito e le droghe che avrebbero dovuto mettere in piedi il duellante provocarono la calvizie. Ma questo non ha intaccato l’arte della seduzione di Gabriele. Un uomo calvo, basso e poco appariscente, è rimasto il sex symbol dell’Italia. Dava alle donne ciò che più desideravano: in sua compagnia, si sentivano al centro dell’universo. Sapeva convincere chiunque di qualunque cosa, tanto era grande il suo fascino.
Dalle liriche erotiche, d’Annunzio è passato ai poemi patriottici, la rinascita dell’antica gloria dell’antica Roma nell’Italia moderna. Alla vigilia della prima guerra mondiale, glorifica le imprese degli italiani nella guerra contro gli ottomani per la Libia, chiede l’uso della guerra come un’opportunità per espandere i confini. Quando il Regno d’Italia entrò in guerra nel 1915, il poeta si offrì volontario senza esitazione. Ha anche usato la guerra per le sue pubbliche relazioni. Si arruolò nell’élite – solo le forze aeree create. Durante la prima guerra mondiale, era difficile trovare qualcosa di più onorevole dell’essere un cavaliere celeste. Dopo un breve corso, il poeta nel 52 ° anno divenne il pilota più adulto dell’aviazione italiana. E poi è nato il suo aforisma: “Mai dire:” È troppo tardi per me per iniziare … “”
Tutta l’Italia lo seguì. Nella parte anteriore, è stato molto sentito. Ha ispirato i soldati solo con il suo coraggio, glorificando la grandezza di Roma e l’eroismo di Giuseppe Garibaldi. Durante una delle battaglie, il suo aereo è stato messo fuori combattimento. L’atterraggio è stato duro. Gabriele si è battuto violentemente al viso e si è ferito all’occhio. Tutta l’Italia applaudì quando, pochi mesi dopo, tornò in servizio. L’applauso è stato assordante quando il poeta-soldato ha organizzato il primo bombardamento ibrido. Lo squadrone di D’Annunzio percorse mille chilometri e lanciò 4.000 proclami su Vienna. Hanno predetto la sconfitta dell’Austria-Ungheria nello scontro con gli italiani e si sono conclusi pateticamente, dicono, potremmo sganciarvi bombe sulla testa, ma finora solo volantini!
D’Annunzio pose fine alla guerra con grande autorità alle spalle. E… si è buttato a capofitto nella vita pubblica! L’obiettivo principale del suo scherno erano i politici responsabili del fallimento dei negoziati sui nuovi confini del paese. La città portuale di Rijeka sul territorio dell’attuale Croazia (tra l’altro, Rijeka è chiamata così perché sorge sul fiume) era un pomo della contesa tra il regno d’Italia e il nuovo stato di serbi e croati. La città era abitata principalmente da italiani, che la chiamarono Fiume. Ma nelle terre circostanti vivevano per lo più croati, e non intendevano dare nulla agli italiani.
I negoziati a Parigi per Rijeka dovevano recidere. Tutti erano scioccati dal fatto che l’Italia non potesse fare nulla con la sua gente, che ha issato le bandiere italiane a Fiume. Fiume sembrava cercare qualcuno che avesse il coraggio di prendersi le proprie responsabilità e fosse il primo a proclamare la città italiana. Uno dei ricorsi è stato accolto da d’Annunzio. Ha accettato felicemente di guidare i temerari che hanno rifiutato l’accordo internazionale. Vedeva il ritorno di Fiume come una rinascita dell’antica potenza italiana.
A Fiume iniziò una sorta di rivoluzione, che avrebbe dovuto cambiare nella sostanza il potere in Italia. È emerso un movimento di camicie nere, combattenti per la giustizia per l’Italia. Il loro slogan era l’antico grido di battaglia greco: “Ay-ya, ah-ya, a-la-la-la!” Né la polizia né i militari potevano fermarli. Impossibile fermare D’Annunzio, che guidava il movimento delle camicie nere. Fu un eroe di guerra e un famoso poeta.
Fiume era controllata dal mare dalla flotta austro-ungarica. Era una posizione strategica. Fino a quando il destino di Fiume non fu deciso a Parigi, gli austro-ungarici cercarono di mantenere lo status quo. Nel febbraio 1918 d’Annunzio iniziò la sua campagna. Tre velieri italiani sfondarono le difese austro-ungariche nei pressi di Capo Bokar, ritenuto inespugnabile. Quando si avvicinarono alle navi nemiche, il sito del siluro inviò agli austro-ungarici delle bottiglie, nelle quali c’erano messaggi con scherno. D’Annunzio amava infastidire i nemici e scioccare il pubblico. Sapeva che la propaganda a volte sembra una bomba.
Per evitare inutili spargimenti di sangue, le truppe dell’Intesa lasciarono Fiume. La popolazione italiana salutò d’Annunzio con gioia, e il poeta si dilettava al potere. Uscito sul balcone tra una standing ovation, baciò teatralmente la bandiera italiana, la gettò a terra e proclamò solennemente Fiume una città italiana. La folla in basso ruggì di gioia! La Conferenza di pace di Parigi è in stallo. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra sono rimasti scioccati. Hanno invitato l’Italia a fermare la cattura di Fiume.
D’Annunzio era molto arrabbiato con la risposta di Roma. Già non gli piacevano né il re né i suoi rappresentanti alla conferenza, e dopo l’ordine di lasciare Fiume perse le staffe e definì tale decisione antipopolare. Roma rifiutò di accettare Fiume. D’Annunzio ha perso tutto. Nel 1920, scioccò gli italiani locali, che stavano semplicemente cercando di unirsi alla maggior parte del paese, e proclamò una Repubblica popolare di Fiume separata. I piani dei suoi governanti erano di aspettare il nuovo potere a Roma, che non avrebbe avuto paura di prendere Fiume in loro possesso.
Fiume fu riconosciuta solo dalla Catalogna e dalla Russia sovietica. E Fiume fu la prima a riconoscere la Russia sovietica. Gabriele d’Annunzio si proclama dittatore. Ha redatto in versi la costituzione dello stato autoproclamato! C’erano molte cose interessanti in esso. Ad esempio – educazione musicale obbligatoria per tutti i cittadini di Fiume. C’erano molte persone strane nel suo governo. Ad esempio, il ministro delle finanze è un uomo con più condanne per frode! Ha nominato il suo caro amico, direttore d’orchestra Arturo Toscanini, ministro della cultura.
La gioia generale è stata rafforzata da innumerevoli sfilate, celebrazioni festive, lunghi discorsi patetici dal palazzo. C’era nell’aria uno strano miscuglio di decadenza, anarchia e dittatura. C’erano droghe in libera circolazione. Il divieto è stato revocato da molti argomenti precedentemente tabù. Ciò riguardava la libertà delle relazioni intime, la legalizzazione della prostituzione, i problemi dell’emancipazione delle donne: tutto ciò risvegliava febbrilmente l’immaginazione.
La cocaina era ufficialmente legale a Fiume. Divenne un’abitudine per d’Annunzio. Gli era stato troppo affezionato sin dalla guerra. Questo spiega in parte la sua incessante storia d’amore e l’ossessione per il lato sensuale della vita. (Interessante! Sherlock Holmes di Conan Doyle era anche un cocainomane, ma non aveva romanzi e non era interessato al lato sensuale della vita. Fatta eccezione per la fugace passione di Irene Adler. Anche se… forse suonare il violino era una sublimazione di sensualità per lui?! – LB) Nel dicembre 1920, l’Intesa e gli Stati Uniti ordinarono all’Italia di porre fine all’autoproclamata Fiume. In cambio, all’Italia è stato promesso sostegno e generosi investimenti. Cominciarono a bloccare la città da terra e mare. In risposta alle azioni di Roma, d’Annunzio dichiarò guerra all’Italia e inviò diverse navi semplicemente pirata. (di V. Zhabotinsky)
Gabriele D’Annunzio
Laman Bagirova. Durante la stesura del saggio, sono stati utilizzati materiali dall’articolo di Ilya Kormiltsev “Le tre vite di Gabriel D. Annunzio e estratti dal libro di E. Schwartz” Il ciclope alato “, nonché da altre fonti. Ulteriori informazioni su questo testo di origine. Per avere ulteriori informazioni sulla traduzione è necessario il testo di origine dato la città e la residenza del poeta-soldato. D’Annunzio era a pezzi. Si sentiva tradito. Un altro suo aforisma, triste in sostanza, appartiene a questo periodo: “Controlla attentamente tutti quelli che ti lodano e ti chiamano maestro. Tra loro potrebbe esserci non solo il tuo Giuda, ma anche il tuo Mussolini».
La città-stato di Fiume cessò di esistere dopo 15 mesi. I legionari in camicia nera hanno lasciato la città sotto tutela. Insieme a loro, D’Annunzio ha portato nella sua patria i sogni dell’Italia. Ma non è mai tornato alla politica seria. Il leader del nuovo partito, Benito Mussolini, lo mise in una gabbia d’oro. Era desideroso di potere e non aveva bisogno di un vecchio leader carismatico. Il governo ha assegnato un terreno a d’Annunzio, un’antica fattoria. Lo ha trasformato in un complesso artistico. Ben presto Villa Vittoriale divenne un monumento d’arte.
Ulteriori informazioni su questo testo di origine Per avere ulteriori informazioni sulla traduzione è necessario il testo di origine il campeggio divenne una nave da guerra nel parco vicino all’edificio. Uscendo sul ponte, il poeta amava scrivere le sue memorie.
In questa villa terminarono le giornate terrene del poeta. Morì nella primavera del 1938. L’eredità della vita colorata di un poeta, amante, aviatore, soldato e politico ha avuto un enorme impatto sull’Italia. Il simbolo principale, sua idea, la città-stato di Fiume, emigrò al partito di Mussolini. Inoltre i soldati di d’Annunzio insegnarono ai nazisti a salutare. Mussolini, e poi Hitler, raccolsero di buon grado il gesto dei legionari romani, che sollevò dall’oblio proprio Gabriele d’Annunzio – poeta, critico d’arte, soldato, politico… Un uomo di oltraggio. Teatrale in tutto e per tutto e allo stesso tempo estremamente sincero. Credeva davvero in quello che stava facendo. È bene anche se la sincerità è diretta al bene.
Sono come un pescatore stanco di pescare. Si sdraiò all’ombra sotto un melo. La giornata è vissuta: non disturberà i cervi sensibili e non tirerà più la corda dell’arco. – I frutti invitano attraverso il fogliame luminoso – è pigro per loro di cadere, non aiuterà: solleverà solo quello (e potrebbe essere), che il ramo cadrà liberamente sull’erba. – Ma anche per immergersi profondamente nella dolcezza non lo darà ai denti: quello che c’è in fondo è veleno. Bevendo il profumo, beve le gocce di rugiada del succo senza fretta, non triste e non felice, alimentato dal mondo della luce morente. – La sua canzone era breve e cantata.
Laman Bagirova
Durante la stesura del saggio, sono stati utilizzati materiali dall’articolo di Ilya Kormiltsev “Le tre vite di Gabriel D. Annunzio e estratti dal libro di E. Schwartz” Il ciclope alato “, nonché da altre fonti.
fonte ‘www.russiaprivet.org’.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.