Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
“Fa che il dio che dimora in te sia la guida di un vero uomo, maturo e rispettabile, di un cittadino, di un Romano, di un magistrato, fermo al suo posto, pronto a lasciare la vita come chi non aspetta che il segnale della ritirata, senza giuramento né testimoni, sereno nell’intimo e tale da non aver bisogno né d’aiuto esterno né della tranquillità che possono procurare gli altri.” ‒ Marco Aurelio, Pensieri III 5,2
Nel film “Il silenzio degli innocenti” il cannibale Hannibal Lecter, impersonato da uno strepitoso Anthony Hopkins, così si rivolge alla sua interlocutrice Sterling (Jodie Foster): “Leggi Marco Aurelio! Di ogni singola cosa chiedi cos’è in sé, qual è la sua natura!”.
L’imperatore filosofo indossa il “sagum” da viaggio e, pur vestendo abiti civili, pare nell’atto di celebrare una vittoria.
Dignitoso e regale, cavalca sul suo cavallo mentre col braccio destro teso trasmette grande serenità e consapevolezza del fatto suo. La calma serafica e la spiritualità del volto testimoniano che vanagloria ed alterigia furono sempre estranee alla sua persona.
La statua di Marco Aurelio, che nel 1538 Michelangelo decise di collocare nel bel mezzo della piazza del Campidoglio, a Roma, nel Medioevo era conosciuta come “Caballus Costantini”, perché a torto la si riteneva una raffigurazione del primo imperatore cristiano.
Soltanto grazie a questo provvidenziale scambio d’identità, il bronzo si salvò dalla fusione che invece fece altre vittime illustri fra le statue della classicità, tramandandoci così un capolavoro artistico d’ineguagliabile bellezza e grande valore storico che ora fa bella mostra di sé presso i Musei Capitolini.
Nato a Roma nel 121 e rimasto subito orfano di padre, Marco Aurelio fu cresciuto dal nonno paterno e dalla mamma, da cui ereditò il culto per la “pietas” religiosa, oltreché i modi frugali che avrebbero caratterizzato tutta la sua vita anche quando, diventato l’uomo più potente di quei tempi, ascoltava seduto come un normale discepolo le lezioni del sofista Aristide di Smirne, applaudendolo e chinando per rispetto il capo davanti a lui.
Fu il grande Adriano ad imporre al suo erede Antonino Pio di adottarlo come figlio, quando il ragazzo aveva diciassette anni. Questa scelta velocizzò la sua ascesa sociale e il conseguente “cursus honorum”, che in rapida successione gli guadagnò le cariche di “tribunus monetalis” e poi di “tribunus militum”.
Dopo la scomparsa di Adriano, Antonino Pio volle ulteriormente rinsaldare i vincoli parentali con lui dandogli in sposa sua figlia Faustina, dalla quale Marco Aurelio avrebbe avuto ben 13 figli, oltreché nominandolo console.
Diventato a sua volta imperatore nel 161, seppure in un primo tempo a fianco del fratello Lucio Vero, Marco Aurelio portò a compimento quella che fu definita “l’Età dell’oro” del II secolo,che vide l’Impero Romano toccare il suo apogeo non solo in termini di estensione territoriale, ma anche come centro di potenza, ricchezza e irradiazione culturale.
Certamente il suo principato non fu immune da guerre, carestie e rivolte ma, da monarca illuminato quale fu, Marco Aurelio si dimostrò in ogni circostanza rispettoso delle prerogative del Senato, che coinvolse in tutte le decisioni importanti.
Istituì l’anagrafe, riformò il processo penale ripulendolo da abusi e condanne non basate su prove certe, regolarizzò le vendite pubbliche punendo severamente malversazioni e ruberie, colpì l’usura e preferì spendere il denaro in opere di pubblica utilità, piuttosto che in feste e giochi gladiatori.
Il suo più grande lascito alla posterità è tuttavia costituito dai dodici libri di ricordi e meditazioni intime scritte in greco, in forma aforistica, e intitolate “Tà eis eautòn” (cioè: “A se stesso”), un’opera non destinata alla pubblicazione, ma all’uso personale, tutta improntata allo stoicismo classico di Epitetto e all’ammirazione per il pensiero di Seneca.
Ciò nonostante, i suoi “Pensieri” col passare dei secoli sono diventati un best seller amato da milioni di persone, lettura prediletta di presidenti e generali, fra i quali Napoleone che ne conservò sempre una copia sul suo comodino.
Il lettore, anche se nei panni di un curioso che va a ficcare il naso nel diario intimo di un’altra persona, afferra l’importanza attribuita da Marco Aurelio alla provvidenza divina, vista come forza ordinatrice dell’Universo.
E’ infatti con queste frasi che egli si rivolge al Cosmo: “Da te ogni cosa, in te ogni cosa, verso di te ogni cosa”, ma anche “Pensa continuamente che il Cosmo è come un unico essere vivente che racchiude in sé una sostanza e una sola anima”.
Dopo la morte, Marco Aurelio ammette dunque la possibilità che l’anima si ricongiunga con la ragione cosmica, concetto non poi così distante dal Dio dei Cristiani, da lui però perseguitati in ossequio alla fedeltà per la religione tradizionale dell’Impero.
Forse anche per questo motivo il pensiero di Marco Aurelio per tanti secoli cadde in un limbo fatto di oblio e ignoranza, dal quale sarebbe uscito nel 1559 con la prima edizione a stampa della sua opera, poi affermatasi in tutta la sua validità come metodo di ricerca interiore particolarmente adatta alla psiche dell’uomo contemporaneo.
Quando morì il 17 marzo del 180, certo non poteva immaginare che quei suoi pensieri tanto intimi e personali, a distanza di quasi due millenni dalla sua scomparsa, ancora tanta saggezza e consolazione avrebbero arrecato all’uomo contemporaneo.
Accompagna questo scritto la “Statua equestre di Marco Aurelio”, autore sconosciuto, 176 d.C., Musei Capitolini, Roma.
ROMA – Municipio XIII-Castel Di Guido – Villa Romana delle Colonnacce
Foto di Franco Leggeri -Anno 2005-per l’Associazione Cornelia Antiqua
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale.La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “. Ricordiamo il recente, superbo, lavoro della Dott.ssa Daniela Rossi nel quartiere Massimina sulla via Aurelia. La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela.Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA-
ROMA MUNICIPIO XIII-Associazione CORNELIA ANTIQUA-Castel di Guido-La Villa Romana Olivella
Roma Municipio XIII-All’interno della tenuta agricola di Castel di Guido, è da mettere in relazione con l’antico insediamento di Lorium
Il territorio di Castel di Guido non è certo privo di sorprese. Oltre alle 300 tombe che si trovano nell’area compresa tra il Castello, la scuola di via Sodini e la vecchia via Aurelia che dovranno essere, prima o poi, portate alla luce oltre alla Villa Romana localizzata alle spalle della Chiesa del Santo Spirito, la Villa delle Colonnacce affidata alle cure del Gruppo Archeologico Romano, nella zona denominata “Colle Cioccari- Quarto della Vipera”, si sta portando alla luce il complesso archeologico di Villa Olivella.
La Villa Olivella, sita all’interno della tenuta agricola di Castel di Guido, è da mettere in relazione con l’antico insediamento di Lorium, noto dagli antichi itinerari (Tabula Peutingeriana e Itinerarium Antonini), come prima stazione sull’antica via Aurelia al XII miglio da Roma, ”Casale della Bottaccia”.
Lorium è ricordato dagli scritti degli storici dell’antica Roma come sede del palazzo imperiale degli Antonini, in particolare di Antonino Pio (vi morì nel 161 d.C), e della presenza di Marco Aurelio che sposò Faustina “la giovane” figlia dell’Imperatore Antonino Pio. Una nota curiosa che emerge dagli antichi scritti (Frontone) è che Marco Aurelio si lamentava per la sconnessione dei basoli della via Aurelia i quali facevano “inciampare e scivolare il suo cavallo”.
Numerosi e preziosi i ritrovamenti segnalati da scavi (tra cui statue, capitelli, iscrizioni) nel il 1649. Il Saulnir segnala: ” essersi trovate medaglie ed una statua di Cibele assisa sopra un leone”. Nel 1815 vennero trovati, nei pressi del Castello, due frammenti d’iscrizione, in uno dei quali si leggeva:” FAUSTIN. AUGUSTUS “. Durante gli scavi del 1824, come scrive il Nibby: “Si trovarono varie statue tra cui una Giunone Velata, una Livia in forma di Pietà ed una Domizia in abito di Diana, conservate al Museo Clementino in Vaticano”, che consentono di confermare l’ipotesi che nell’area compresa tra Castel di Guido e la Tenuta della Bottaccia fosse localizzato un praetorium e il palazzo imperiale.
Le ripetute segnalazioni, anche da parte della Guardia di Finanza, di scavi clandestini e le numerose segnalazioni di presenze archeologiche hanno spinto la Soprintendenza ad un intervento di scavo in località Olivella. L’area è oggetto da alcuni anni (campagne 2007-2010) di un vasto progetto condotto in collaborazione tra la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (responsabile Dott.ssa Rossi), l’Università di Roma La Sapienza (Cattedra di Topografia Antica, Scuola di Specializzazione in Archeologia Prof. Sommella), l’Università di Foggia (Cattedra di Topografia Antica, Prof.ssa M.L. Marchi).
Il complesso finora evidenziato è costituito da una serie di ambienti pertinenti un edificio termale e si sono finora messi in luce alcuni ambienti riscaldati (calidaria e tepidaria) con relativi praefurnia, il frigidarium con pavimento musivo. Di particolare interesse e pregio la presenza di abbondanti quantità di marmi e paste vitree che fanno presupporre rivestimenti pregiati in opus sectile.
L’impianto termale è localizzato a fondovalle ed è possibile che si tratti di un corpo di fabbrica separato connesso ad una vicina fonte o corso d’acqua. La parte residenziale del complesso si localizza ad Ovest, sempre nella valle, come sembrano confermare anche i materiali ceramici e da costruzione e le strutture individuate, attraverso alcuni saggi effettuati a corona intorno all’area di scavo principale, nell’arco di alcune decine di metri.
I dati forniti dal rinvenimento di diversi bolli laterizi sembrano confermare l’orizzonte di II-III d.C., testimoniato anche dagli apparati decorativi rinvenuti: in uno compare Stertinia Bassula figlia di Stertinius Noricus, consul suffectus nel 113 d.C. e proprietaria di praedia suburbani, mentre in due bolli è menzionato un personaggio legato all’imperatore Antonino Pio, Marcus Pontius Sabinus, dominus figlinarum, consul suffectus nel 153 e poi amministratore nella Misia superiore nel 159-160, infine un bollo di Faustina, moglie di Antonino Pio.
I materiali e, soprattutto, gli apparati decorativi marmorei e vitrei e i pavimenti musivi, testimoniano un complesso di notevoli dimensioni e ricchezza, con un momento di particolare sviluppo inquadrabile tra la metà del II e il III secolo d.C. L’ambito cronologico e la presenza di paste vitree relative a rivestimenti parietali o pavimentali che sembrano avere uno stringente confronto con quelle provenienti dalla villa di Lucio Vero all’Acqua Traversa, permettono di ricollegare il complesso con il palazzo imperiale degli Antonini nel comprensorio di Lorium.
La scoperta che tutti si attendono è quella del ritrovamento della Villa Imperiale di Antonino Pio.
Roma- 18 febbraio 2018-Il Municipio XIII rende nota a tutta la cittadinanza la riapertura del Mausoleo di Castel Di Guido “detto di Antonino Pio”, dopo circa quindici anni di chiusura al pubblico. Un risultato di grande valore per il territorio e per i suoi cittadini. Si tratta di uno dei luoghi storici e archeologici più importanti del territorio e parco archeologico dell’Aurelia. Esso fa infatti parte di un più ampio sito di età romana, che comprende la villa e l’azienda agricola, forse attribuibile all’imperatore Antonino, anch’esso da riportare alla luce. Sul mausoleo fu poi edificata la chiesa dello Spirito Santo, tutt’oggi in funzione, che ne ricalca il perimetro e che fu anche chiesa templare. Così, dopo oltre un decennio di chiusura, che lo ha di fatto sottratto alla conoscenza degli utenti, possiamo restituire questo antico sepolcro alla pubblica fruizione e all’interezza della struttura di cui è parte integrante. Una fruizione gratuita per tutti i cittadini, che potranno ora avere un ulteriore sito di riferimento e di interesse in questo territorio, accanto all’oasi naturalistica Lipu, alla vicina villa romana delle Colonnacce e all’azienda agricola di Castel di Guido. Ciò è frutto dell’interessamento e dell’impegno della Commissione VI Commercio Sviluppo locale e turismo di questo municipio che ha trovato la disponibilità e la collaborazione della Sovrintendenza ai Beni di Roma, per la realizzazione di questa ambita e doverosa riapertura.
Le aperture sono previste ogni seconda domenica del mese, da marzo a giugno, dalle 10 alle 12. Questo il calendario completo: 11 marzo – 08 aprile – 13 maggio – 10 giugno
Per la riapertura del Mausoleo si ringrazia per il fattivo e concreto interessamento:
Dott.ssa Giuseppina Castagnetta -Presidente Municipio XIII di ROMA CAPITALE-
Angelica Ardovino-M5S-Presidente Commissione VI-Commercio-Sviluppo locale e Turismo del Municipio XIII-
RomaCapitale- Municipio XIII-Il complesso antico attualmente disposto su via di Casalotti all’angolo con via Borgo Ticino venne alla luce già nei primi anni 30 in modo del tutto occasionale, durante l’esecuzione di alcuni lavori agricoli in area.In un primo momento, nel 1930 in seguito agli scavi intrapresi dalla Soprintendenza, furono rinvenuti resti parziali di un mosaico a soggetto marino raffigurante Tritoni e Nereidi afferente ad un ambiente termale piuttosto esteso; un deposito di dolia – i grandi contenitori di derrate alimentari in terracotta – disposti irregolarmente in un ambiente sorretto da pilastri in laterizio; alcune strutture murarie anch’esse in opera laterizia; scorie di fusione di una fornace per il vetro Già due anni più tardi vennero poi rinvenuti nella stessa area una necropoli e una cisterna con alcuni cunicoli sotterranei ad essa collegati ed un pozzo, che facevano pensare sempre più ad un abitato stratificatosi nel corso del tempo ma comunque stabile e ben organizzato. Si giunse così ad interpretare l’intero sito come quello di una villa romana abitata in varie epoche, con una prima fase verosimilmente di epoca repubblicana su cui si appoggiò l’attuale villa sicuramente da attribuirsi alla piena età imperiale, costituita da una pars rustica con pavimenti in coccio pesto e laterizio e da una pars privata a carattere residenziale probabilmente a due piani, con mosaici ed intonaci dipinti con annesso un edificio termale. E’ ipotizzabile che essa restò in uso fino almeno al V sec. d.C.
In seguito, negli anni 80, grazie all’ausilio sempre più efficace della fotografia aerea, il sito venne più chiaramente a delinearsi nella sua estensione, diviso e tagliato dalla strada moderna.
Nel 2000, grazie ai fondi per il Giubileo, la Soprintendenza potè continuare gli scavi, durante i quali si rinvennero altri edifici termali e tutta una nuova parte della villa con un settore riutilizzato con funzione artigianale in età tardoantica. Il rinvenimento di alcune fistulae plumbee recanti l’iscrizione Calpurnia Cacia M(arcellina) hanno verosimilmente individuato in questo nome la proprietaria del fondo. Resti di strada basolata nei pressi della villa in direzione di P.zza Ormea fanno pensare ad un diverticolo della via Cornelia ad uso esclusivo degli abitanti della villa.
Riaperto al pubblico nel 2012, il sito – curato dal Gruppo Archeologico Romano – è fruibile alla popolazione attraverso visite guidate gratuite da richiedersi al GAR ; www.gruppoarcheologico.it.
Breve Storia-Ricerca Bibliografica-(Parziale e non esaustiva) e foto originali a cura di Franco Leggeri-
Intorno alla metà del 1600 ,per la grande opera di Carità dell’abate Ottavio Sacco da Reggio Calabria (morto nel 1660) e per la benevolenza del Principe Camillo Pamphilj, che aveva acquistato nel 1641 la tenuta dal Card. Alessandro Peretti detto anche Cardinal Montalto, fu edificata la cappella annessa al Casale della Bottaccia . La Cappella fu dedicata a Sant’ Antonio Abate, che , da subito, diventa anche un “piccolo ospedale” per il primo soccorso degli ammalati. Si racconta che nei pressi della Cappella di Sant’Antonio era sempre pronto un carro, con cavalli attaccati, per raccogliere gli ammalati nella Campagna Romana .Gli ammalati o infortunati più gravi venivano inviati nell’Ospedale Santo Spirito di Roma.Una Cappella simile a quella del Casale della Bottaccia fu edificata , ancora esistente e visibile, a fianco del Casale Panphilj sito nel Borgo di Testa di Lepre di Sotto in via dell’Arrone.
Ricerca Bibliografica-(Parziale e non esaustiva)
( T. Ashby, The Roman Campagna in the Classical Times, Ernest Benn ed., London 1970; I. Belli Barsali e M. G. Branchetti, Ville della Campagna Romana, ed SISAR, Milano 1975). Nell’acquerello del Catasto Alessandrino del 1660 sono chiaramente visibili due corpi di fabbrica: il nucleo centrale che probabilmente era la torre di cui oggi rimane ancora l’ingresso e il primo piano, successiva sarebbe invece la piccola costruzione che si affianca a sinistra di questo, ben visibile nell’acquerello del Catasto Alessandrino; la chiesa si intravede sulla destra della facciata. Sulla sinistra della facciata, sempre nell’acquerello del catasto Alessandrino si vede quello che ,probabilmente, è un giardino segreto oggi scomparso. In seguito, in un periodo non identificato si realizza un altro. L’ultimo corpo ad essere costruito è quello che oggi costituisce l’ingresso al piano nobile della parte posteriore sempre sulla sinistra arrivando dalla strada; ciò è testimoniato da una prima analisi materiali utilizzati: tale fabbricato è realizzato in laterizi, mentre tutti gli altri, almeno per quanto riguarda la parte basamentale sono costituiti di pietra calcarea.
Nei primi del ‘700 fu realizzato, probabilmente nel corpo a sud con un grandi saloni ai piani superiori, un piccolo ospedale per il primo soccorso: l’Eschinardi infatti scrive: “. . omissis . . e parte del Principe Panfilj di rub. 281 con la seguente detta della Bottaccia di rub. 333 dove si trova sempre pronta una sua carrozza per condurre a Roma gl’ammalati della campagna.” ed anche il Metalli: “Il Principe Panfili vi istituì un piccolo ospedale ed un’ambulanza pel trasporto dei malati poveri a Roma.” . Tale notizia da quanto riportato sul sito del X Dipartimento sarebbe desunta anche dai registri parrocchiali di Castel di Guido: “ . . .omissis . , l’oste assumeva un ruolo delicato: nel contratto di affitto dei locali aveva anche l’obbligo di accogliere i malati e portarli al vicino ospedale. Il casale della Bottaccia fungeva non solo per la zona di Castel di Guido ma per tutto l’Agro Romano da ospedale. E due volte alla settimana i malati più gravi si trasferivano all’Ospedale di Roma.”; questo riferimento del XVIII secolo conferma anche l’utilizzo di parte del casale come osteria, ribadito anche nella “Rubrica delle tenute e dei casali della carta Cingolana”. Quest’ultima destinazione d’uso probabilmente rimane fino al secolo scorso poiché se ne trovano ancora le tracce nel casale, e L’ipotesi è sostenuta anche da Luigi Cherubini:”Le vecchie osterie della Campagna si danno da fare: per non restare tristemente abbandonate e inutilizzate, anche se hanno una storia, com’è successo alla “Bottaccia” di Castel di Guido e al Casale dei Francesi di Ciampino…per non morire” (Catasto Alessandrino 433bis/19 19 Ottobre 1661 “Sviluppo della strada che da Porta S. Pancrazio passa per Pisana e arriva a Maccarese” agrimensore Legendre Domenico; Isa Belli Barsali e M. G. Branchetti, “Ville della Campagna Romana”, ed. SISAR, Milano 1975, pag. 249-250-
Principessa Donna Teresa Orsini Doria Pamphilj Landi –Proprietaria della tenuta e del Casale della Bottaccia fece eseguire gli scavi archeologici del 1748-furono trovate le statue di : Giunone velata,Domizia sotto le spoglie di Diana, varie tombe cristiane.
Biografia-Teresa Orsini Doria (1788-1829), gravinese e fondatrice delle Suore Ospedaliere della Misericordia -Nacque a Gravina in Puglia, ducato della sua famiglia, il 23 Marzo 1788, giorno di Pasqua, da Domenico Principe di Solofra e da Faustina Caracciolo dei Principi della Torella. Fu battezzata solennemente lo stesso 23 marzo nella cattedrale, vicino al palazzo Orsini, dove Vincenzo Maria Orsini, futuro papa Benedetto XIII (1649-1730) era stato battezzato, più di cento anni prima. Teresa rimase orfana di padre ad appena due anni. Lei era la primogenita e sua Madre Faustina era in attesa del secondo figlio. Allora il nonno Filippo, noto per la sua fede e buona condotta, si occupo della sua educazione, poi fu affidata alle cure delle Suore del monastero della Sapienza di Napoli, dove ricevette sotto la guida delle monache della Sapienza il sacramento della cresima il 15 maggio 1801, nella cappella dell’educandato. A dodici anni Teresa venne trasferita a Roma per terminare il corso dei suoi studi, prima dalle Orsoline, poi dalle Benedettine di Tor De’ Specchi. La sofferenza causata dalla morte del padre e la lontananza dalla madre non fece irrigidire il suo cuore, al contrario, fece maturare ancor più la sua comprensione della sofferenza altrui. Avendo terminato l’iter formativo, all’età di venti anni, scelse la vita matrimoniale, sposando il principe Luigi Andrea Doria Pamphili Landi (di Roma). Ebbe quattro figli che amò teneramente. La vita di Teresa è un esempio dell’amare e del servire cristianamente, è una dimostrazione di come deve essere il vero amore cristiano, gratuito e disinteressato. Dio le aveva donato tutte le virtù fisiche e morali: era una vera nobildonna, sposa felice, madre affettuosa, donna di carità impegnata nel sociale, al servizio dei malati, dei diseredati e degli emarginati della società del suo tempo. Nel suo umile servizio agli altri spesso dimenticava se stessa, per lei non esistevano difficoltà ed ostacoli quando si trattava di stare vicino a coloro che ne avevano bisogno: familiari, parenti, amici e persone sconosciute, tutti quelli che in quel momento particolare rappresentavano il Signore sofferente. Pur appartenendo ad una delle più illustri famiglie romane, non dimenticò la gente semplice, pertanto seppe armonizzare i suoi impegni sociali con la carità verso gli altri. Vide lo sfacelo morale e materiale che la rivoluzione francese aveva portato in Europa e a Roma soprattutto, dove ella viveva. Questo era per Teresa terreno fecondo per esercitare la grande carità di Cristo. Organizzò molte iniziative caritatevoli a favore dei più diseredati: malati pellegrini, carcerati abbandonati, donne in difficoltà, ecc.; sempre presente in ogni ambiente di dolore, pronta nel curare, con le sue stesse mani, le piaghe del corpo e i disagi dello spirito. Perché la fiaccola da lei accesa non si estinguesse, ma proseguisse nel tempo, pensò ed attuò un suo progetto di carità: radunò attorno a sé delle giovani donne che, senza motivo di lucro, donassero la vita a sollievo dei malati negli ospedali, dove essi giacevano abbandonati a loro stessi. Nacquero così, il 16 maggio 1821, all’interno dell’ospedale San Giovanni in Roma, con regole proprie, le Suore Ospedaliere della Misericordia, continuatrici dell’opera di Teresa Orsini Doria tra i malati. Perfetta nobildonna romana, corteggiata, stimata, ammirata, onorata per la sua ricchezza, per la sua straordinaria bellezza, per la sua intelligenza ….ma tutto ciò non le bastò. Da ricca che era…, Teresa Orsini si fece piccola: piccola per stare in mezzo ai bisognosi, ai diseredati, ai malati poveri, fra gli ultimi. Oltre a essere sposa e madre, Teresa andò in cerca della sofferenza per soccorrerla e per risolvere, alla radice, i problemi della malasanità romana con metodi moderni, con la congregazione religiosa delle Suore Ospedaliere della Misericordia, attivissime ancora oggi in tutto il mondo. Una laica, dunque, che pensava e agiva, impegnata nella famiglia e nel sociale con indicazioni che molti decenni dopo il Concilio Vaticano II recepirà. Gran parte della popolazione malata di Roma conosceva quella bellissima e ricchissima giovane signora; eppure la vedevano semplicissima nel prodigarsi a curare piaghe, dolori fisici e spirituali, ad addolcire i lamenti, portando con la sua carità Gesù Cristo a tutti. Il suo era un attivismo sereno, quasi dovesse presagire la sua precoce scomparsa avvenuta a 41 anni di età, consumata dall’amore per gli altri. Non a caso Teresa Orsini è conosciuta come “martire della carità”. Consumata dalle fatiche morì il 3 luglio 1829. E’ dedicata a Teresa Orsini una via cittadina.
Fonte:
Cristina Siccardi, Da ricca che era…., Vita e opere di Teresa Orsini Doria, Società San Paolo, Alba (Cuneo) 2006
Carlo Caputo, Teresa Orsini, Principessa di Gravina, Mamma esemplare, Nobildonna di carità – Matera 2005
BREVE STORIA CONGREGAZIONE DELLE SUORE OSPEDALIERE DELLA MISERICORDIA ( HOSPITALER SISTERS OF MERCY)
La Congregazione delle Suore Ospedaliere della Misericordia, Istituto di diritto Pontificio, nato nel 1821 dal grande cuore del1a Serva di Dio la Principessa Teresa Orsini Doria Pamphili Landi, sotto gli auspici del Papa Pio VII.
Teresa nacque nella piccola città di Gravina di Puglia, il 23 Marzo 1788, da Domenico Orsini, principe di Solofra e da Faustina Caracciolo dei principi della Torella. Era ancora fanciulla quando rimase orfana di padre mentre la mamma era in attesa del secondo figlio. Il nonno paterno Filippo conosciuto e noto per la sua fede e buona condotta, si occupò della sua educazione. Così Teresa condusse l’infanzia e l’adolescenza presso i vari Monasteri educativi: prima dalle Suore Domenicane della Sapienza in Napoli, poi presso le Orsoline e le Benedettine di via Tor de Specchi a Roma. La sofferenza causata dalla morte del padre e la lontananza dalla madre, non fece irrigidire il suo cuore, al contrario, fece maturare ancor più la sua comprensione per la sofferenza altrui. Avendo terminato l’iter formativo, a1l’età di vent’anni, scelse la vita matrimoniale, sposando il principe Luigi Andrea Doria Pamphili Landi di Roma. Dal felice matrimonio nacquero quattro figli, che Teresa desiderò educare personalmente, rompendo cosi, l’usanza dell’epoca di affidare la prole a Balie di campagna.
Tutta la vita di Teresa scorreva costantemente felice, nel vero termine cristiano della parola: amava e timorata di Dio, amava la sua Chiesa, amava i1 marito, amava i figli e congiunti, amava gli amici. La porta dei suoi Palazzi sia a Roma che ad Albano erano sempre aperte, a coloro che desideravano la sua accogliente carità, sia coi suoi saggi consigli e la sua amorevole comprensione e sia la sua compagnia intelligente, attenta ed affettuosa. Nessuno rimaneva disdegnato di lei, nessuno rimaneva senza il suo aiuto. Teresa pur appartenendo ad una delle più illustra famiglie romane, non dimenticò la gente semplice, pertanto seppe armonizzare i suoi impegni sociali, con la carità verso gli altri ed aveva la giusta temperanza di costumi. Era una vera nobildonna di sangue e di spirito, curava l’arte e gli oggetti di antichità: commetteva scavi archeologici sia ne1la villa Pamphili sia in Lorio sulla via Aurelia. In quest’attività tipica ad una nobildonna, ella unì quella della carità e di servizio.
La vita di Teresa, è un esempio dell’amare e de1 servire cristianamente, è una dimostrazione di come deve essere il vero amore cristiano, gratuito e disinteressato. Dio le aveva donato tutte le virtù fisiche e morali: era una vera nobildonna romana, sposa felice, madre affettuosa, educando il figli al santo timor di Dio, al servizio della Chiesa e dell’umanità sofferente, donna impegnata nel sociale al servizio dei malati, diseredati ed emarginati della società del suo tempo.
Nel suo umile servizio agli altri, spesso dimenticava se stessa, sia nel dormire che nel mangiare; per lei non esistevano difficoltà ed ostacoli quando si trattava di stare vicino a coloro che ne avessero bisogno: famigliari, parenti; amici, persone sconosciute, tutti quelli che in quel momento particolare rappresentavano il Cristo sofferente, in altre parole, sapeva essere vicina a chi piangeva, a chi soffriva, a chi moriva, ma non solo; sapeva condividere anche le gioie e le felicità umane. Teresa, tante virtù umane e spirituali, dove le aveva appreso? Ella apparteneva a molte confraternite religiose, ma amava di più quella dell’Addolorata alla quale si sentiva più vicina nella sofferenza della Croce e vedendo il volto di Cristo in tutte le miserie umane: Teresa è vissuta durante la rivoluzione Francese e subendola con la sua famiglia tutte le loro angherie fino a quella della rinnegazione alla Fede Cattolica. Con il ritorno a Roma dall’esilio di Francia il Papa Pio VII, trovò miseria, fame e distruzione ovunque. Egli si rimboccò le maniche, come si vuol dire e chiedendo aiuto a tutte le persone di buona volontà per alleviare la sofferenze umane. Teresa unita alla sue Consorella di confraternite si è messa a capo fitto organizzando e lavorando con Esse.
Nel 1820, la vita di Teresa ebbe una svolta, costretta per quattro mesi a letto da una grave forma di malattia reumatica, rimessasi in salute, ricominciò il suo volontariato, con le visite negli ospedali, di S. Giacomo detto dagli Incurabili, della Consolazione, dalla Trinità dei pellegrini e di San Giovanni. Quasi ogni giorno con qualche consorella si recava all’Ospedale degli Incurabili (ora San Giacomo) dove si prodigava con le sue mani a servire e medicare le piaghe spirituali, avvolte anche materiali dei poveri infermi e lasciava loro ogni volta una generosa offerta per farle sopravvive. Non tutte le consorelle si comportavano decentemente come lei, presentandosi vestite con troppa ricercatezze. Teresa dovette, modestamente ed affettuosamente fargliele notare come era solita, invitandole a condividere la sua carità ed umiltà. Il suo modo amabile di ammonire con l’esempio e con le parole, faceva si che esse si emendassero, esprimendo esplicitamente la gratitudine. Il Papa Pio VII, per questi meriti la nominò Dama della pubblica beneficenza . La carità di Teresa era una delle virtù principali che originariamente, insieme alle consorelle
delle varie confraternite serviva con tale carità ed umiltà, che sorprendeva tutti coloro, cha conoscendo la sua posiziona sociale, non dimostrava mai ribrezzo verso alcuna malattia. Con il suo esempio sollecitava anche le consorelle a servire i malati con analogo spirito di carità evangelica; dall’ospedale dagli incurabili spesso passava ad esercitare la sua carità nell’ospizio dalla Trinità dei Pellegrini, dove dal Papa era stata eletta priora. Alcune volte tornando da qualche ricevimento (per la sua posizione aristocratica che non
poteva mancare) anzi che andare a casa passava nell’Ospizio, dove deponeva le vestimenta da cerimonia e indossava quelli per l’assistenza ai numerosi convalescenti e pellegrini che si recavano a Roma per visitare le sacre reliquie degli Apostoli e dei Martiri ivi depostevi. Nel 1820, cominciò a pensare, ispirandosi dell’esempio di vita dei Fondatori ospedalieri come San Francesco di Sales e San Vincenzo Dé Paoli, alla fondazione di un opera femminile che si dedicasse senza scopo di lucro all’assistenza dei malati negli ospedali. Teresa affrontava le situazioni con la assidua preghiera e Lume dall’alto. La prima fondazione avvenne nel 1820 presso la Parrocchia dalla Madonna dei Monte a Roma. Teresa con alcune consorelle si dedicavano con speciale servizio a domicilio per le malate che non trovando posto negli ospedali esse rimanevano abbandonate nelle proprie case; quest’associazione di volontarie era chiamata Suore della carità .
Un Deputato Ospedaliero di San Giovanni responsabile dell’andamento assistenziale dello stesso ospedale, vedendo il proficuo lavoro che queste suore cosi chiamate facevano tanto del bene nella Parrocchia della Madonna dei Monti; invitò la Principessa Teresa Orsini Doria a trasportare tale istituzione nell’ospedale di San Giovanni (detto allora “Sancta Sanctorum”). Teresa pensò, perché defraudare l’assistenza a domicilio alle povere inferme? Quindi, pensò ed attuò di fondare un altro gruppo di volontarie che si dedicassero a tempo pieno e senza scopo di lucro al servizio delle inferma ricoverate nella struttura di Sancta Sanctorum. Teresa, tra le sua amiche trovò quattro giovani che il giorno 16 Maggio dal 1821, le suddette, dopo aver partecipato alla Santa Messa nella Chiesa di San Marcello al Corso , furono dalla stessa principessa Teresa accompagnate all’ospedale di San Giovanni con previo avviso ai responsabili presentandole agli Amministratori e Sanitari. Poiché queste giovani non erano pratiche di fare assistenza diretta, Teresa le mise sotto la sorveglianza di Professori, affinché gli dessero nozioni di medicina e chirurgia; infatti le nostre consorelle furono adibite oltre all’assistenza diretta anche alla bassa chirurgia consistente nel fare medicazione e piccoli interventi, quindi la prima scuola per Infermiere sorta a Roma, è stata quella che Teresa ha voluto per l’assistenza ai malati. Teresa Orsini; accompagnando le quattro giovani nell’ospedale di San Giovanni, disse ai Deputati e Sanitari presenti, “il mio compito è finito”, ma essi risposero che non era il caso di lasciar sola la comunità nascente che aveva bisogno di guida, sostegno morale, materiale e di contattare tra l’Amministrazione e la comunità religiosa. Così la Principessa è vissuta e ha avviata la congregazione SOM dirigendola e difendendola, fino alla sua morte avvenuta il 3 Luglio 1829.
Teresa per questa famiglia religiosa ha molto sofferto, sia da personale laico dirigente e non, e persone ecclesiastiche il quale non vedevano di buon occhio perché in quanto a Roma esisteva tale istituto religioso che si dedicasse all’assistenza diretta ai malati (mentre le suore di carità di San Vincenzo de Paoli e le Brignoline di Genova erano ospedaliere si, ma solo per la direzione dei servizi infermieristici e domestici). La nostra Fondatrice, dopo tanto pregare e soffrire chiese aiuto al Monsignor Giuseppe Antonio Sala il quale con regole proprie e interessamento diretto dal Papa Leone XII il quale approvò le Costituzioni con Motu Proprio il 3 Gennaio 1826 e riapprovato con decreto di lode da Gregorio XVI nel 1831. Quattro sorelle possono sembrare un piccolo numero, ma alla Principessa non interessava il numero ma l’ideale, poiché nel tempo il numero si sarebbe sviluppato, sotto la spinta ed il fuoco dell’ideale.
Le nostre prime Costituzioni approvate come tutte le altre con i tre voti di Castità, Povertà e Obbedienza, vi è aggiunto quello dell’Ospitalità cioè per l’assistenza diretta ai malati ricoverati nelle strutture. Nell’anno santo del 1825 Teresa con l’auspicio del Papa Leone XII fondò, il gruppo delle Lauretane,
per l’assistenza alle donne traviate che volevano ravvedersi da una vita scandalosa e volessero costruirsi o ricostruirsi una famiglia. Teresa è stata la Superiora perpetua di questa opera benefica, infatti queste donne lavoravano tele grosse e filavano il lino, altre venivano impiegate come domestiche presso persone oneste che le accoglievano. Teresa molte volte per affrontare la situazione di mantenimento per questa benefica istituzione si è più volte tassata con i propri beni. Purtroppo alla sua morte, la fondazione, perse la guida e il necessario sostentamento per cui l’istituto dopo qualche decennio fu assorbito dalla Congregazione delle Suore del Buon Pastore.
Questa vita di Teresa, senza tregua, queste sacrificarsi senza limiti per il prossimo, questo rifiutare gli agi dalla vita, non potavano non turbare la sua salute. Infatti all’età di quarantun’anni morì, lasciando nel profondo dolore la famiglia, le sue istituzioni benefiche e tutti i poveri della città di Roma che piangendo la acclamavano con il titolo di Santa. Era il 3 Luglio 1829.
L’amore e benedizione di Dio fece sviluppare il seme gettato e la Chiesa presse atto di questa ricchezza. Le suore ospedaliere di San Giovanni attirarono l’attenzione del Papa Leone XII quando egli visitò nel 1825 l ‘Ospedale di San Giovanni. L’Amore attualizzato nel servizio disinteressato, costituirono un binomio che ha portato questa nobile dama di carità a consumare la sua vita come sposa, come madre,
come benefattrice, come fondatrice e organizzatrice indefessa del volontariato del suo tempo; ella espletò la sua carità con un’infinità di modi, soprattutto con la sua instancabile presenza là dove giacevano miserie umane, ella per prima cercava di lenire con sue stesse mani. Molte pagine d’oro vi sono nella lunga storia dell’Istituto.In tempi calamitosi le suore hanno compiuto eroici sacrifici, offrendo la loro vita nel coscienzioso adempimento del loro apostolato. Nel 1837, Roma fu colpita dal Colera, le suore nei loro ardui sforzi per tutte le necessità dei malati erano chiuse insieme ad essi nell’
isolamento, sei di esse contagiate dal “morbo”, morirono con gli stessi ammalati nello spazio di circa un mese. Nel 1854 l ‘epidemia colerica scoppiò nuovamente a Roma, durante i periodi bellici molte giovani suore sono morte contagiate dalle malattie (tifo nero, TBC, spagnola ecc.) specialmente nella seconda guerra mondiale, i feriti provenivano da ogni parte d’Italia, affollarono i reparti ospedalieri. Le suore, svolgendo anche servizi di pronto soccorso e sale
operatorie, offrirono il loro servizio non solo con competenza professionale, ma di carità e conforto a tutti i feriti, moribondi e congiunti colpiti dal grave disastro della guerra. Durante quelli anni le suore oltre il contagio soffrirono la denutrizione, e la TBC ebbe il sopravento che mieto una trentina di consorelle tutte sotto i trent’anni; realizzando in pieno il Vangelo di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri fratelli”(GV. 15,1-3).
Il Concilio Vaticano II, con il suo spirito di rinnovamento, ha ridato alla Chiesa una nuova vitalità che ha anche influito sul nostro Istituto. Infatti un alba nuova è sorta all’orizzonte. L’Istituto che per volere pontificio “dalla sua fondazione era ristretto ai soli bisogni dello stato Pontificio” e successivamente dell’Italia apre nuovi orizzonti per estendere il suo apostolato ospedaliero in varie parti del mondo.
Oggi, la famiglia religiosa delle Suore Ospedaliere della Misericordia come il buon Samaritano del Terzo millennio forte dell’ eredità spirituale della loro Madre Fondatrice, continua la sua opera di carità attraverso l’opera di Misericordia professata con uno speciale voto di Ospitalità. Le suore sono presenti non solo in Italia ma anche nei diversi paesi del mondo: Svizzera, Stati Uniti, Polonia, India, Filippine, Madagascar e Nigeria, per testimoniare la Misericordia negli Ospedali, nelle Case di cura, nei dispensari, nelle Case di Riposo per gli anziani, nelle scuole, nei lebbrosari, nei centri sociali, nelle parrocchie e nelle missioni. La Congregazione è sotto la speciale protezione di Maria Santissima Madre della Misericordia.
Faustina Minore Imperatrice, sposa di Marco Aurelio, visse a Lorium
Faustina Minore (lat. Anna Galeria Faustina, talvolta detta iunior). Figlia (n. 130 circa – m. 176 d. C.) di Antonino Pio e Faustina Maggiore ; il padre la dette in sposa (145) a Marco Aurelio, suo cugino, e le conferì (146?) il titolo di Augusta. È lodata per il suo sollecito amore verso i numerosi figli (almeno 13) e verso il marito, che accompagnò anche in guerra: fu la prima delle imperatrici romane ad essere insignita del titolo di mater castrorum. Morì a Halala (per questo successivamente chiamata Faustinopoli) in Cappadocia, dove aveva seguito il marito là recatosi per reprimere la ribellione di Avidio Cassio. Fu divinizzata, e in suo onore furono istituite sacerdotesse e furono create le nuove puellae Faustinianae che rinnovarono l’istituzione benefica sorta in memoria della madre. Le fonti antiche, in contrasto coi Ricordi di Marco Aurelio, accusarono calunniosamente F. di dissolutezza. Il suo ritratto ci è noto da molte monete, e da una serie di teste marmoree, nelle quali prevale un’acconciatura con capelli bipartiti in molli ondulazioni discendenti, con bassa crocchia di trecce.
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