Arsenij Tarkovskij è senza alcun dubbio uno dei più grandi poeti russi, con una potente intonazione lirica, una grande carica spirituale, per così dire, un poeta in forma pura, per il quale la cosa più importante è la propria concezione interiore della vita. E’ modesto. Non ha mai scritto nulla per diventare famoso. Non ha mai fatto nulla per mettersi in primo piano, per far carriera con la poesia.
Nota dalla recensione di Anna Achmatova a Prima della neve-1962- “Il libro di Arsenij Tarkovskij è un dono inaspettato e prezioso al lettore contemporaneo. Questi versi, che hanno atteso a lungo per venire alla luce, colpiscono per rare qualità, la più sorprendente delle quali è che da noi quotidianamente pronunciate si rivestono chissà come di mistero e suscitano echi inaspettati nel cuore. Se qualcuno non ha ancora questo libro, gli consiglio di procurarselo, in qualche modo, per giudicarlo nel modo più severo. Questo libro non teme nulla.”
Arsenij Tarkovskij
E lo sognavo e lo sogno
E lo sognavo, e lo sogno, e lo sognerò ancora, una volta o l’altra, e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà, e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo un’onda dietro l’altra si frange sulla riva, e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello, e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono, e sarò. La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia solo, come orfano, pongo me stesso,
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.
Primi Incontri
Ogni istante dei nostri incontri lo festeggiavamo come un’epifania, soli a questo mondo. Tu eri più ardita e lieve di un’ala di uccello, scendevi come una vertigine saltando gli scalini, e mi conducevi oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti al di là dello specchio. Quando giunse la notte mi fu fatta la grazia, le porte dell’iconostasi furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva e lenta si chinava la nudità nel destarmi: “Tu sia benedetta”, dissi, conscio di quanto irriverente fosse la mia benedizione: tu dormivi, e il lillà si tendeva dal tavolo a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre, e sfiorate dall’azzurro le palpebre stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi, fumigavano i monti, rilucevano i mari, mentre assopita sul trono tenevi in mano la sfera di cristallo, e ” Dio mio! ” tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti il vocabolario quotidiano degli umani, e i discorsi s’empirono veramente di senso, e la parola tua svelò il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando, come a guardia, stava tra noi l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove. Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi, città sorte per incantesimo, la menta si stendeva da sé sotto i piedi, e gli uccelli c’erano compagni di strada, e i pesci risalivano il fiume, e il cielo si schiudeva al nostro sguardo”
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
Arsenij Tarkovskij
Il bosco di Ignatij
L’ardere delle foglie in autocombustione totale si leva al cielo, e sul tuo cammino il bosco intero vive di un’eccitazione pari a quella che viviamo in quest’ultimo anno.
Negli occhi colmi di pianto si riflette la via come nella golena oscura si riflettono gli arbusti. Non fare i capricci, non minacciare, non toccare, non turbare la quiete del bosco sul Volga.
Puoi udire il respiro della vecchia vita: funghi viscidi crescono nell’erba bagnata, i lumaconi li hanno rosi fino al cuore ma una smania umidiccia ne vellica la pelle.
Il nostro passato è tutto simile a una minaccia: bada, ora torno, bada, ora ti uccido! Il cielo rabbrividisce e tiene l’acero come una rosa: che bruci di più, quasi sugli occhi. Riflessione
Sentivo amaramente di non aver fatto molto, la mia vita trascorreva senza concretezza, e in me il bene si ergeva contro il male, e la verità moriva dinanzi all’iniquità.
Non m’apparteneva l’infanzia, ma ero dove la vita era latenza, nel sangue degli avi, sotto erbe in luoghi inoperosi, e divenni il bersaglio dove iniziava la lotta e per miracolo oggetto della loro disputa.
Quando la sega penetra nel tronco, quando l’occhio divino dell’animale braccato è come acqua torbida imbevuta di caligine, quando un bambino soffre e nei medici non ha più fede, quando la prima gelata copre il grano, la taiga sconfinata arde dinanzi ai miei occhi, non posso dire: “questo è il destino”, e amaramente credo d’averne colpa.
La mia anima in tempo di guerra come le tenebre era nera. Ma è la vittima di tutte le lotte che genera come la bestia, anima mia, – mio genio protettore senza difesa – inghiottendo la morte si avvia ad aiutare il bene. Tutto si tiene a questo mondo e tutto è solidale, e se da sempre han combattuto per me le fronde del bosco – fronda io stesso devo diventare e ad ogni chicco devo prestare la mia voce.
Tutto si tiene a questo mondo e tutto è solidale: le costellazioni e la terra, l’uomo e l’uccello. E chi fa il bene si getta a capofitto in un vortice maestoso e non teme la morte, emerge ancora e subito, come un nuotatore, solidale per sempre all’onda e infine non potrà dire lui stesso cos’è, se stella, o terra, o uomo,
o uccello.
La lettera
Se oggi m’avessi scritto una lettera mi sarebbe giunta da sola, anche senza i francobolli, cassata o timbrata, anche senza poscritto o profumo di rose sui margini, anche senza l’indirizzo o le tue parole d’amore, oltre tutti i postini e i fermo posta militari, nel rifugio, sottoterra, fino a qui: da sola mi sarebbe giunta lo stesso!
Mandami almeno una riga, almeno una cinguettante riga di vocali, qui, al fronte. Ma cos’è una lettera! D’accordo, che non ce ne siano. Mi facevi impazzire anche senza di esse. Volgi il tuo viso ad occidente, oltre i monti, oltre i mari turchini.
Almeno un istante senza tempo né spazio, solo ali guizzanti nel sogno ingarbugliato, trattieni un attimo il respiro mentre spicchi il volo
oltre i mari ed i monti
Arsenij Tarkovskij
Ieri ti ho attesa fin dal mattino
Ieri ti ho attesa fin dal mattino, ma loro sapevano che non saresti venuta. Ricordi che bella giornata era? Una festa. Ed io uscivo senza il cappotto… Oggi sei venuta, e ci hanno preparato una giornata particolarmente grigia. La pioggia, l’ora così tarda, le gocce scorrono per i rami freddi… La parola non serve a placarle, né le asciuga il fazzoletto.
Marina Cvetaeva-Mosca 1892 – Elabuga (Tataria) 1941«Nei miei sentimenti, come in quelli dei bambini, non esistono gradi».In Crimea, sulle rive del Mar Nero, a Koktebel’ Marina s’innamora di Sergej Efron. Lei ha 19 anni, lui 18. Sergej trova sulla spiaggia una corniola che Marina tanto desiderava. Marina vede il segno del destino. Si sposano.
Marina Cvetaeva
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.
Riconosco l’amore dal boato
– dal trillo beato –
lungo tutto il corpo!
La mia strada non passa accanto alla casa – la tua.
La mia strada non passa accanto alla casa – di nessuno.
E tuttavia smarrisco il cammino,
(soprattutto – in primavera!)
e tuttavia mi struggo in mezzo alla gente
come un cane sotto la luna.
.
Ospite ovunque gradita!
Non faccio dormire nessuno!
Gioco col nonno ai dadi
e col nipote – canto.
.
Le mogli non sono gelose di me:
io – voce e sguardo.
E per me nessun innamorato
ha costruito un palazzo.
.
Mi fanno ridere le vostre
grazie non richieste, mercanti!
Innalzo da sola in una notte
ponti e regge.
Marina Cvetaeva poetessa russa
.
(Ma quello che dico – non lo ascoltare!
Tutte chiacchiere – di donne!)
Io stessa al mattino distruggerò
la mia creazione.
Insinuarsi
E, forse, la vittoria vera
su tempo e gravità: passare
senza lasciare tracce, senza
proiettare ombra
sui muri…
Forse – con la rinuncia
prendere? Cancellarsi da ogni specchio?
Come Lermontov al Caucaso, insinuarsi
senza turbare le montagne.
E, forse, unico diletto: con le dita
di Bach sfiorare l’organo
senza turbare l’eco.
Disfarsi senza lasciare cenere
per l’urna.
Forse – con il raggiro
prendere? Da tutti gli orizzonti
uscire? Nel tempo come nell’oceano
insinuarsi – senza allarmare le onde…
(da Dopo la Russia, 1928, traduz. di Serena Vitale)
E guardò come le prime volte
Non si guarda.
Neri occhi sorseggiarono lo sguardo.
Ho alzato le ciglia e sto ferma.
— Che c’è, — fa giorno? —
E’ che sono bevuta fino in fondo.
Tutto, fino all’ultima goccia, trangugiò la pupilla.
Io sto ferma.
E scorre in me la tua anima.
7 agosto 1916
Da dove tutta questa tenerezza?
Non è la prima volta che accarezzo
Riccioli come questi, e ho conosciuto
Labbra più tenebrose delle tue.
Le stelle sono sorte e tramontate,
— Da dove, tutta questa tenerezza?
Due occhi sono sorti e tramontati
Proprio vicino ai miei.
Io non avevo mai udito ancora
Inni del genere, nella notte oscura,
Incoronata — o tenerezza! —
Sul petto stesso del cantore.
Da dove, tutta questa tenerezza,
E cosa devo farne, adolescente
Malizioso, cantore forestiero,
Dalle ciglia — c’è nulla di più lungo?
Marina Cvetaeva – a O.E. Mandel’shtam
Indizi terrestri
Così, nella vita, tra fatiche quotidiane
e amori di una notte, scorderai l’amica
coraggiosa, il suono
dei suoi fraterni versi.
L’amaro dono della sua durezza,
la timidezza, maschera del fuoco,
e quello spasmo, scossa senza fili,
che ha il nome di: lontano!
Tutto l’antico tranne – «dammi!», «mio!»,
tutte le gelosie – non la terrena,
tutte le fedeltà – ma anche all’estremo
scontro – sempre incredula Tommaso…
Sii prudente, mio tenero, ti imploro:
non dare asilo alla fuggiasca –
l’anima! Viva la virile intesa
delle amazzoni, limpida congiura!
Ma forse, tra cinguettii e conteggi,
sfinito dal fatale eterno
femminino, ti tornerà alla mente
la mano mia senza diritti.
Le labbra – senza preventivi.
Le braccia – senza pretese.
Gli occhi – senza palpebre,
protesi – nel vivo!
15 giugno 1922 – traduzione di Serena Vitale
Marina Cvetaeva
Tentativo di gelosia
Come state con quell’altra –
più semplice, vero? – Un colpo di remo!
Lungo la linea della costa
se n’è andato presto il ricordo
di me, isola flottante?
(nel cielo – non sulle acque!)
Anime, anime! – sorelle dovete essere,
non amanti – voi!
Come state con una donna
‘semplice’! ‘Senza’ divinità?
Deposta dal trono la sovrana
(e da esso disceso),
come state – vi date da fare –
vi raggrinzite? Vi alzate – come?
Con il dazio dell’immortale mediocrità
come ve la cavate, poveretto?
Spasimi e intermittenze,
basta! Mi prenderò una casa. »
Come state con una qualsiasi-
voi, eletto mio?
V’è più connaturato e commestibile
il cibo? – Non nascondere il successo!
Come state con un simulacro –
Voi che avete calpestato il Sinai?
Come state con un estranea,
una «terrestre»? Per la costola (1) – v’é cara?
La vergogna con le briglie di Zeus
non vi frusta la fronte?
Come state – come vi sentite –
cosa potete? Cantate – come?
Con la piaga dell’immortale coscienza
come ve la cavate, poveretto?
Come state con un articolo
da mercato? La servitù è dura?
Dopo i marmi di Carrara
come state con la polvere
di gesso?. (Dio scolpito,
in una gleba – e frantumato!)
Come state con una centomillesima –
voi, che avete conosciuto Lilith?!
Dell’ultima novità di mercato
siete sazio? Stanco delle maghe,
come state con una donna
terrestre, ‘senza’ i sesti sensi?
Via, per la testa : siete felice?
No? Nella frana senza profondità –
come state, mio caro? È più pesante?
È forse così – come per me con un altro?
19 novembre 1924 – Traduzione di Pietro A. Zveteremich
Marina Cvetaeva
Preghiera
……..
Io voglio tutto, con anima di zingaro
tra i canti andarmene brigante
per tutti soffrire al suono di un organo,
amazzone, lanciarmi alle battaglie;
in nere torri divinare le stelle,
nell’ombra spingere un bambino…
Perchè il giorno di ieri sia leggenda,
perchè ogni giorno sia – follia!
Il poeta
Il poeta – da lontano conduce il discorso.
Il poeta – lontano conduce il discorso.
Per pianeti, per segni…per borri
di indirette parabole…Fra il sì e il no
lui – persino volando giù dal campanile –
rimedia un appiglio…Poiché il cammino delle comete
è il cammino dei poeti. I dispersi anelli
della casualità, ecco il suo legame! Con la fronte in alto
disperatevi! Le eclissi dei poeti
non sono previste dal calendario.
Lui è quello che imbroglia le carte,
che inganna sul peso e sul conto;
lui è quello che domanda dal banco
chi demolisce Kant,
chi c’è nella bara di pietra della Pastiglia –
com’è l’albero nella sua bellezza…
quello le cui tracce si dileguano sempre,
quel treno a cui tutti
arrivano tardi…
Poiché il cammino delle comete
è il cammino dei poeti: bruciando e non scaldando,
strappando e non coltivando – esplosione e scasso –
il tuo sentiero crinieruto, storto,
non è previsto dal calendario!
Trad. di P. A. Zveteremich
Marina Cvetaeva
Da … a te fra cento anni
Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecar parole.
Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.
Io so che il più tenero maggio
all’occhio dell’Eternità è nulla.
Ma io sono un uccello e non incolparmi
se una facile legge m’è imposta.
Ciao! Né freccia né pietra:
io! – La più viva delle donne:
vita. Tutte le mie carezze –
al sonno incompiuto.
Vieni qui! (vale a dire:
Tienimi! – è questione di senso)
Afferrami tutta così felice
e semplice come mi vedi!
Stringimi! – che oggi lontano navighiamo,
stringimi! – che sciamo! – con un filo di seta!
Oggi porto una pelle nuova:
quella dorata, la settima!
– Mio! – altro che ricompense
in cielo, se tra le braccia, sulla bocca
c’è la Vita: la felicità sfacciata
di dirti ciao ogni mattina!
Da Scusate l’Amore. Poesie, 1915-1925
a cura di Marilena Rea (Passigli, 2013)
Ho sempre voluto
e addirittura preteso
che mi si ami come sono
– per ciò che sono –
perché sono.
Non per ciò che,
secondo voi,
potrei, dovrei,
avrei dovuto essere.
Marina Cvetaeva
fot. da Max Voloshin nel 1911
Versi a Blok
Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.
Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.
Il tuo nome – ah, non si può! –
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo.
La mia strada non passa vicino alla tua casa.
La mia strada non passa vicino alla casa di nessuno.
E tuttavia io smarrisco il cammino
(specialmente di primavera!)
e tuttavia mi struggo per la gente
come il cane fa sotto la luna.
Ospite dappertutto gradita,
non lascio dormire nessuno!
E con il nonno gioco agli ossi,
e con il nipote – canto.
Di me non s’ingelosiscono le mogli:
io sono una voce e uno sguardo.
E a me nessun innamorato
ha mai costruito un palazzo.
Le vostre generosità non richieste
mi fanno ridere, mercanti!
Da me stessa mi erigo per la notte
e ponti e palazzi.
(Ma ciò che dico – non ascoltarlo!
È tutto un inganno di donna!)
Da sola al mattino demolisco
la mia creazione.
Le magioni – come covoni di paglia – niente!
La mia strada non passa vicino alla tua casa.
27 aprile 1920
da “Poesie” – Ed. Feltrinelli 2009 (traduzione a cura di Pietro Zveteremich)
Marina Cvetaeva
Breve biografia di Era già stato pubblicato il primo libro di poesie di Marina, Album serale. Marina Ivanovna Cvetaeva nasce a Mosca il 26 settembre 1892. Il padre, Ivan Vladimirovič Cvetaev, figlio di un povero pope di campagna, non ebbe un paio di scarpe proprie fino ai tredici anni; ma sarebbe diventato filologo e professore di storia dell’arte all’università di Mosca, e fondatore del Museo Puškin. La madre, Marija Alexandrovna Mejn, fu obbligata dalla propria famiglia a rinunciare all’amore per un uomo già sposato e alla carriera di pianista, pur essendo stata allieva di Rubinstein. Fu la seconda moglie del professor Cvetaev.
La prima moglie Varvara Dmitrievna Ilovaiskij, aveva dato alla luce Valerija e Andrej; morì prematuramente ed era un’amica di Marija.
Marija avrebbe voluto figli maschi: ne aveva già scelto i nomi. Dopo Marina, nacque Anastasija. Sperò almeno che diventassero musiciste. L’ambiente familiare è ricco di sollecitazioni coltissime. Marina studia musica; scrive le prime poesie in russo a sei anni; si fa incantare dalle passioni letterarie della madre, Puškin e i grandi classici tedeschi e francesi. Cresce a Mosca, al n. 8 del Trёchprudnyj Pereulok, il vicolo dei Tre Stagni. La casa moscovita, assieme alla residenza estiva in campagna a Tarusa, resteranno decisivi, per la Marina adulta e in esilio, in ricordo dell’infanzia e di tutto ciò che viene perduto in modo irrimediabile. La madre si ammala di tubercolosi. in cerca di un clima più mite, la famiglia viaggia – soggiornando anche in Italia, a Nervi. Marina e Anastasija frequenteranno collegi in Svizzera e in Germania, perfezionando il francese e il tedesco.
Marija muore nel 1906 rimpiangendo la musica, il sole, e di non poter vedere adulte le figlie, che saranno viste crescere da «cretini qualsiasi». La sua fame di vita e la sua rivolta diventeranno, in Marina, vocazione: «Dopo una madre così non mi restava che divenire poeta». A 16 anni, da sola, segue i corsi di letteratura francese antica alla Sorbona di Parigi. Iscritta al ginnasio a Mosca non riuscirà a concludere studi regolari a causa del suo carattere indocile. L’anticonformismo si unisce al devoto amore per il marito, che seguirà sempre «come un cagnolino», e che non le impedirà di avere altre relazioni, fra cui Osip Mandel’stam, la poetessa Sofija Parnok e l’attrice Sonja Halliday. Sergej comprende e soffre il dinamismo della passione creatrice della moglie: Marina “inventa” le persone, le investe con l’uragano della propria passione, per poi scoprirne l’umana mediocrità; ne consegue la disillusione, derisa in modo crudele, incarnata in una formula razionale che genera, ogni volta, un libro, un progetto di scrittura. Questo meccanismo ha un bisogno di alimentarsi per vivere e per creare, «come una grandissima stufa che per funzionare ha bisogno di legna, legna, legna»; ma mai pensa di lasciare Sergej. Il destino di Marina è nella fedeltà ai propri sentimenti e soprattutto alla poesia.
Per l’Armata Bianca, alla quale si era unito Sergej dopo la Rivoluzione, Marina osa leggere in pubblico, alcune poesie scritte da lei, senza la parola amore né il pronome tu. Non viene denunciata per il tema scelto: doveva ancora arrivare il grande terrore staliniano. Resta bloccata a Mosca in condizioni disumane, descritte nella prosa Indizi Terrestri, senza notizie di Sergej, sola con le due figlie: Ariadna (Alja) e Irina,ma non riesce a mantenere entrambe e Irina viene affidata ad un orfanotrofio dove muore per fame.
Marina Cvetaeva
Marina Cvetaeva
Marina Cvetaeva
Il sentimento per Marina richiede forza. La sua poesia arriva al grido, raggiunge l’oratoria poetica. Nelle prime raccolte di poesia prevalevano il quotidiano, la famiglia e la maternità, o l’odore della nursery – come scrissero i più critici; nel tempo la poesia si fortifica in una potente energia espressiva in cui tutte le possibilità del linguaggio sono utilizzate: ritmo, assonanze, rime, il particolare utilizzo della negazione, giochi fonetici in poesie che andrebbero lette ad alta voce.
Ogni genere e argomento entra nella sua produzione: poesia e nel dramma storico (Sten’ka Razin), favola (Il Pifferaio di Hamelin ovvero l’Accalappiatopi), e leggende popolari (Lo Zar-fanciulla), storie bibliche, classiche (Ariadna e Fedra). E prosa critica, L’Arte alla luce della coscienza e Il Poeta e il Tempo.
Scrisse che si potevano ricavare da lei sette poeti, senza tralasciare i prosatori…La poesia di Marina non è romantica – nonostante circolino di lei oggi sillogi più facili e canzoni – , è analogica, razionale e intellettuale. È impegnativa: la sua lettura è un atto di con-creazione, un’esperienza conoscitiva. Bisogna arrivare all’essenza della cosa o della persona, non descrivere visivamente, piuttosto dare dall’interno: se si trattasse di un albero, restituirne il midollo.
«Io mi sono sempre fatta in pezzi, e tutti i miei versi sono, letteralmente, frammenti argentei di cuore.» In questa smisuratezza, tanti critici hanno prediletto un approccio istintivo e passionale piuttosto che analitico e conoscitivo.
Alja e Marina raggiungono Sergej, che sanno finalmente vivo, all’estero, nel 1922.
Nasce a Praga Georgj, detto Mur: capriccioso, maleducato, insopportabile, viziato dalla madre. Alja si legherà sempre di più al padre. A Berlino, Praga e Parigi vi sono case editrici russe. L’ambiente dell’emigrazione è vivace. Marina pubblica interi cicli di poesia, anche se per motivi economici prevale la prosa. Scrive molto di più di quanto riesca a pubblicare e legge anche in serate letterarie. A Parigi frequenta il famoso salotto di Natalie Clifford Barney. Conosce la pittrice Natal’ja Gončarova, nasce una collaborazione, ma l’amicizia non regge nel tempo: «non ho lasciato in lei un segno abbastanza profondo, non le sono diventata necessaria. Sentiero subito invaso dall’erba».
Marina non frequenta solo i salotti. Spazza, cucina, si procura soldi, cibo, legna e carbone: «e poi un uomo non può fare lavori femminili, è bruttissimo da vedere (per le donne)». Marina vive pesantemente il byt, il quotidiano, fino in fondo, senza delegare alcuno, ma nella sua poesia emerge possente il Byt’e, l’Esistenza, la forza che non sottostà ad alcuna legge. Sergej, quasi sempre a carico della moglie, ne è consapevole: Marina è poeta che pur passando la maggior parte del tempo in cucina, non ha perso né il talento né la capacità di lavorare. Ostinata, fedele alla poesia, scrive appena può. Si reca al mare per un breve soggiorno: non il mare, ma nel poter scrivere è la sua vacanza. Nel 1928 esce l’ultimo libro di poesie che vedrà pubblicato, Dopo la Russia. Molte case editrici dell’emigrazione russa chiudono per mancanza di fondi. Le condizioni economiche peggiorano. Marina viene poco a poco emarginata, per la sua intransigenza e anche perchè non si dichiara antisovietica; senza soldi non può muoversi da casa; vive una grande solitudine. Da questo isolamento nasce la corrispondenza straordinaria con Boris Pasternak e con Rainer Maria Rilke: i loro rapporti si muovono in un ambito parallelo, spostato. I tre poeti non s’incontreranno mai, per un eterno mancarsi. L’assenza diventa un vantaggio perché l’altro, amato, interiorizzato, diventa più intero nell’anima.
Marina è un’eterna straniera, non solo perché vive fuori dalla Russia per molti anni, senza riconoscere alcun paese come patria: è un’estranea al proprio tempo, condannata a guardarlo dall’esterno. Quando rientra in Russia è conosciuta solo per le sue prime raccolte poetiche e sarà riscoperta a partire dal 1956; all’estero non verrà più letta da una emigrazione russa sempre più ostile.
Nel 1937 Alja decide di rimpatriare, così poco dopo anche Sergej, ora filosovietico e implicato in un assassinio politico. Marina è convinta della sua innocenza. L’ostracismo della colonia russa raggiunge l’apice. Rimpatriare? In una lettera chiede ironicamente a un’amica di procurarle un consulto da un’indovina, tanto soffre l’indecisione.
Nessuno la informa di quello che stava accadendo in Russia, nessuno la ferma. Come se presentisse la sciagura: la partenza le appare sotto una nube nera. Nel giugno 1939 parte per l’Unione Sovietica con Mur. Trova tutte le porte chiuse, ed è stupita e furiosa. Come si permette la città di Mosca a darsi così tante arie? La sua famiglia l’aveva colmata di doni, su tutti il Museo Puškin. La famiglia resta riunita per pochi mesi. Nell’agosto del 1939 Alja è arrestata e condannata, prima alla prigione, poi al confino. In ottobre tocca anche a Sergej: sarà fucilato due anni dopo. Nel 1941 Marina incontra Anna Achmatova. Le due donne, pur stimandosi, sono troppo diverse, solo unite dal dolore per la sorte dei propri cari.
In agosto Marina e suo figlio sono evacuati a Elabuga, in Tataria. Nella più profonda indigenza. Marina chiede di lavorare come lavapiatti nella mensa dell’Associazione degli Scrittori. Non ottiene il posto. La scrittrice Lidija Čukovskaja: «Se si mette la Cvetaeva a lavare i piatti, perché non far lavare i pavimenti ad Anna Achmatova e assumere come fuochista Blok, se fosse ancora vivo? Allora sì che sarebbe una vera mensa per scrittori».
Marina si impicca il 31 agosto 1941. Avrebbe desiderato giacere a Tarusa, sotto un cespuglio di sambuco, «dove crescono le fragole più rosse e più grosse», ma viene sepolta in una fossa comune.
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Marina Cvetaeva, Poesie (a cura di Pietro Zveteremich), Feltrinelli 1979
Marina Cvetaeva, Indizi terrestri (a cura di Serena Vitale), trad. Luciana Montagnani, Milano, Guanda 1980
Marina Cvetaeva, Dopo la Russia e altri versi (a cura di Serena Vitale), Milano Mondadori, 1988
Marina Cvetaeva, Il paese dell’anima: lettere 1909-1925 (a cura di Serena Vitale), Milano Mondadori,1988
Marina Cvetaeva, Deserti luoghi: lettere 1925-1941 (a cura di Serena Vitale), Adelphi 1989
Arsenij Tarkovskij-Poeta russo (Elizavetgrad 1907 – Mosca 1989). Nelle sue liriche (Pered snegom “Dinanzi alla neve”, 1962; Vestnik “Il messaggero”, 1969; Stichotvorenija “Versi”, 1974; Volšebnye gory “Montagne magiche”, 1978; Zimnij den´ “Un giorno d’inverno”, 1980) unì nobiltà e modernità di ispirazione a classicità di forme. Fu anche apprezzato traduttore da varie letterature orientali.
Tre poesie di Arsenij TARKOVSKIJ, Poeta russo.
Le poesie di Arsenij TARKOVSKIJ sono un dono inaspettato e prezioso al lettore contemporaneo. Questi versi, che hanno atteso a lungo per venire alla luce , colpiscono per rare qualità, la più sorprendente delle quali è che da noi quotidianamente pronunciate si rivestono chissà come di un mistero e suscitano echi inaspettati nel cuore .
Arsenij TARKOVSKIJ Poeta russo
Anna Achmatova , dalla recensione a “Prima della neve” 1962- La prima edizione italiana fu del 1992 con la traduzione di Paola Pedicone- EdizioniTracce di Pescara- Testo cirillico digitato da Novojilov Dmitrij- pubblicazione con il contributo del Ministero Università e Ricerca Scientifica e Tecnologica-Università G.D’Annunzio-Chieti-Edizione curata da Tatjana Tarkovskaja-
Arsenij TarkovskijArsenij TARKOVSKIJ Poeta russoArsenij TARKOVSKIJ Poeta russo
Arsenij Tarkovskij-Poeta russo (Elizavetgrad 1907 – Mosca 1989). Nelle sue liriche (Pered snegom “Dinanzi alla neve”, 1962; Vestnik “Il messaggero”, 1969; Stichotvorenija “Versi”, 1974; Volšebnye gory “Montagne magiche”, 1978; Zimnij den´ “Un giorno d’inverno”, 1980) unì nobiltà e modernità di ispirazione a classicità di forme. Fu anche apprezzato traduttore da varie letterature orientali.
Arsenij Tarkovskij
Primi Incontri
Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e ” Dio mio! ” tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo”
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
(Pervye svidanija, in A. A. Tarkovskij, Poesie scelte , Milano 1989)
First meetings
We celebrated every moment
Of our meetings as epiphanies,
Just we two in all the world.
Bolder, lighter than a bird’s wing,
You hurtled like vertigo
Down the stairs, leading
Through moist lilac to your realm
Beyond the mirror.
When night fell, grace was given me,
The sanctuary gates were opened,
Shining in the darkness
Nakedness bowed slowly;
Waking up, I said:
‘God bless you!’, knowing it
To be daring: you slept,
The lilac leaned towards you from the table
To touch your eyelids with its universal blue,
Those eyelids brushed with blue
Were peaceful, and your hand was warm.
And in the crystal I saw pulsing rivers,
Smoke-wreathed hills, and glimmering seas;
Holding in your palm that crystal sphere,
You slumbered on the throne,
And – God be praised! – you belonged to me.
Awaking, you transformed
The humdrum dictionary of humans
Till speech was full and running over
With resounding strength, and the word you
Revealed its new meaning: it meant king.
Everything in the world was different,
Even the simplest things – the jug, the basin –
When stratified and solid water
Stood between us, like a guard.
We were led to who knows where.
Before us opened up, in mirage,
Towns constructed out of wonder,
Mint leaves spread themselves beneath our feet,
Birds came on the journey with us,
Fish leapt in greeting from the river,
And the sky unfurled above…
While behind us all the time went fate,
A madman brandishing a razor.
Arsenij Tarkovskij
E’ fuggita l’estate…
E’ fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.
Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.
Nè il bene nè il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.
La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.
Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.
Now summer has passed
Now summer has passed,
As if it had never been.
It is warm in the sun.
But this isn’t enough.
All that might have been,
Like a five-cornered leaf
Fell right into my hands,
But this isn’t enough.
Neither evil nor good
Had vanished in vain,
It all burnt with white light,
But this isn’t enough.
Life took me under its wing,
Preserved and protected,
Indeed I have been lucky.
But this isn’t enough.
Not a leaf had been scorched,
Not a branch broken off…
The day wiped clean as clear glass,
But this isn’t enough.
E lo sognavo, e lo sogno
E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie,
e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia
I dreamed this dream and I still dream of it
I dreamed this dream and I still dream of it
and I will dream of it sometime again.
Everything repeats itself and everything will be reincarnated,
and my dreams will be your dreams.
There, to one side of us, to one side of the world
wave after wave breaks on the shore:
there’s a star on the wave, and a man, and a bird,
reality and dreams and death – wave after wave.
Dates are irrelevant. I was, I am, I will be.
Life is a miracle of miracles, and I kneel
before the miracle alone like an orphan,
alone in the mirrors, enclosed in reflections,
seas and towns, shining brightly through the smoke.
A mother cries and takes her baby on her knee.
Arsenij Tarkovskij
Arsenij Tarkovskij nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue – il padre è poliglotta e autore di racconti e saggi – come anche la conoscenza del pensiero di Grigorij Skovoroda. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsivi su «Il fischio», rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Nello stesso anno nasce il figlio Andrej. Inizia a tradurre poesie dal turkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Nel dicembre ’43, dopo essere stato insignito dell’Ordine della Stella Rossa per il suo eroismo in guerra, è ferito gravemente e gli viene amputata una gamba. Nel ’46 viene rifiutata l’edizione del suo primo libro in quanto i suoi versi vengono ritenuti ‘nocivi e pericolosi’. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie:Neve imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte. Poesie. Poemi. Traduzioni. (1929-1979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1986 muore in Francia il figlio Andrej. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca il 27 maggio ’89.
Le sue opere pubblicate finora in Italia in volume sono: Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, ’89. Poesie e racconti, Pescara, Edizioni Tracce, ’91. Poesie scelte, Roma, Edizioni Scettro del Re, ’92. Costantinopoli. Prose varie. Lettere, Milano, Scheiwiller, ’93.
La storia e le voci di poetesse,da Anna Achmatova a Maria Wisława Anna Szymborska, che hanno lasciato il segno nella cultura mondiale con il loro immaginario potente. Sono autrici che dal Medio Oriente all’Est Europa rappresentano mondi poetici caratterizzati da mille culture e da uno sguardo aperto e profondo sulla contemporaneità.La poesia delle donne, una storia da raccontare -Articolo di Lorenzo Pompeo– Con il loro immaginario potente, le voci delle poetesse hanno lasciato il segno nella letteratura mondiale, con una sensibilità aperta a mille culture e uno sguardo sempre attento alla realtà storica e sociale. Pubblichiamo un estratto del libro di Left “La poesia delle donne” di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo che il 20 ottobre 2022 è stato presentato a Roma presso la Biblioteca comunale “Goffredo Mameli” via del Pigneto n. 22-
La poesia femminile rappresenta una questione aperta, un quesito al quale la presente antologia vorrebbe offrire solo un modesto contributo. Non vogliamo offrire risposte definitive, semmai porre domande, a partire dalla definizione stessa della categoria: esiste una poesia femminile? Esiste una differenza significativa che la contraddistingue? È utile o necessario creare una categoria a parte?
Partiamo da alcune considerazioni introduttive: se da un lato a partire da Saffo, vissuta presumibilmente tra il 630 e il 570 a. C., la poesia femminile è una realtà testimoniata nella storia da molte altre figure, è pur vero che fino al XIX secolo si è trattato di presenze marginali, casi eccezionali e rari. Le cose cambiano in modo sostanziale con la Rivoluzione industriale e il lento processo di emancipazione femminile. Attraverso l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, si andò affermando nelle società occidentali prima, e poi in tutto il mondo, seppure in modo graduale e parziale, il principio della parità di diritti. Mano a mano che questo processo avanzava nel corso del XIX e del XX secolo, anche nel mondo dell’arte e della poesia la presenza femminile è diventata sempre più importante, in numeri e peso specifico. Ciò malgrado, si tratta pur sempre di una presenza ancora largamente minoritaria. E se consideriamo la questione in una ottica mondiale, anche oggi esistono Paesi e vaste aree geografiche in cui l’accesso all’istruzione è ancora precluso alle donne, oppure ostacolato da circostanze materiali che di fatto impediscono tale accesso. Ciò malgrado, non è raro il caso di bambine nate in seno a famiglie prive di mezzi che grazie alla loro forza di volontà sono riuscite a far sentire la propria voce attraverso i loro versi malgrado mille difficoltà e ostacoli, facendosi spesso portatrici di una visione del mondo nuova e inedita, ribellandosi cioè a quell’atavico silenzio in cui le loro madri, le sorelle e le nonne erano e sono ancora confinate da una tradizione secolare.
Ma questo è solo uno degli aspetti del mondo della poesia femminile del ’900, a cui senza dubbio occorre prestare la massima attenzione (anche perché si tratta di figure spesso marginali o emarginate anche nel mercato editoriale italiano, che solitamente alla poesia presta già ben poca attenzione). Ma la poesia femminile del ’900 non fu solo uno strumento per rivendicare il diritto alla parola delle donne. O meglio, in alcuni casi lo è stato, ma se la prendiamo in esame esclusivamente da questo punto di vista, si finirebbe per attribuirle uno statuto puramente finalistico e, in quanto tale, presumibilmente inferiore, se consideriamo la poesia una forma d’arte. Eccoci quindi di fronte allo scoglio principale: a questo punto forse qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe meglio ignorare completamente la questione di genere (posizione condivisa anche da alcune poetesse, come ad esempio il premio Nobel Wisława Szymborska). Poesia engagé o “arte pura”? – Un antico dilemma, che però può assumere un significato inedito se declinato al maschile e al femminile. Sorgono però a questo punto nuove domande che inevitabilmente chiamano in causa la dimensione pubblica e quella privata della poesia, dei poeti e delle poetesse.
È indubbio che il movimento femminista ha giocato un ruolo importante nello sviluppo della poesia femminile, creando le condizioni necessarie affinché la presenza delle donne nel mondo delle lettere non si limitasse a casi sporadici e isolati. Ma sarebbe limitante ricomprendere tale fenomeno esclusivamente nell’alveo del femminismo. L’arte del ’900 fu prima di tutto sperimentazione e ricerca, rottura di schemi e di immagini preordinate. In questo processo la presenza delle donne è stato un elemento capitale, aspetto forse ancora non del tutto recepito nel canone del secolo appena trascorso….
Il testo è un estratto dal libro di LeftLa poesia delle donne di Rosalba De Cesare e Lorenzo Pompeo.
Premiata con il Nobel per la letteratura nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti, è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni e una delle poetesse più amate dal pubblico di tutto il mondo. In Polonia i suoi libri hanno raggiunto cifre di vendita (500 000 copie vendute, come un bestseller) che rivaleggiano con quelle dei più notevoli autori di prosa, nonostante abbia ironicamente osservato, nella poesia intitolata Ad alcuni piace la poesia (Niektórzy lubią poezję), che la poesia piace a più di due persone su mille.
Francesco RICCI-Lessico essenziale. Introduzione a Pasolini in 33 voci-
Primamedia editore-Siena
Descrizione del libro di Frqncesco Ricci-Un libro che consente di acquisire le conoscenze indispensabili al lettore che per la prima volta decide di accostarsi alla produzione e alla figura di Pier Paolo Pasolini. Nel centenario della nascita esce in libreria “Lessico essenziale. Introduzione a Pasolini in 33 voci” (primamedia editore), il nuovo volume del docente e saggista Francesco Ricci. Un saggio che consente, in relazione alla biografia e all’opera di Pasolini, di potersi muovere in maniera consapevole tra le pagine dei suoi libri e dinanzi alle immagini dei suoi film. Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è stato un artista proteiforme: poeta, narratore, regista cinematografico, sceneggiatore, drammaturgo, saggista, giornalista, pittore. Sono molteplici e diversi gli ambiti nei quali il suo incessante sperimentalismo ha trovato espressione. Francesco Ricci ha così pensato di offrire un aiuto al lettore che per la prima volta si accosti alla figura dell’artista bolognese.
Il volume –
“Lessico Essenziale”, come già chiarisce il titolo, non possiede altra ambizione se non quella di aiutare il lettore ad entrare nel mondo pasoliniano e lo fa attraverso un’organizzazione della materia (i singoli capitoli) per voci disposte in ordine alfabetico, dalla A di “Accattone” alla Z di “Zigaina Giuseppe”. Il corpus dell’opera pasoliniana è, infatti, vastissimo, consta di più di trentamila pagine; la memoria del suo autore, a poco meno di cinquant’anni dalla morte appare indelebile tanto nel panorama culturale italiano quanto nell’opinione pubblica; la fortuna internazionale di Pasolini cresce di giorno in giorno, mentre la sua ricezione critica, anche all’estero, appare ormai profonda e duratura.
Francesco RICCI-Lessico essenziale
Breve biografia di Francesco Ricci – nato a Firenze nel 1965. Critico letterario e docente, ha pubblicato “Il Nulla e la luce. Profili letterari di poeti italiani del Novecento” (Siena 2002), “Amori novecenteschi. Saggi su Cardarelli, Sbarbaro, Pavese, Bertolucci” (Civitella in Val di Chiana 2011), “Anime nude. Finzioni e interpretazioni intorno a 10 poeti del Novecento”, scritto con lo psicologo Silvio Ciappi (Firenze 2011), “Un inverno in versi” (Siena 2012), “Da ogni dove e in nessun luogo” (Siena 2014), “Occhi belli di luce” (Siena 2014), “Tre donne. Anna Achmatova, Alda Merini, Antonia Pozzi” (Siena 2015), “Pier Paolo, un figlio, un fratello” (Siena 2016, Premio Rive Gauche di Firenze 2018), “Laggiù nel profondo. Mondo letterario e mondo psicoanalitico in Lehane, McCarthy, Schnitzler, Serrano, Tobino”, scritto con lo psicoanalista Andrea Marzi (Siena 2017), “La bella giovinezza. Sillabari per millennials” (Siena 2017), “Prossimi e distanti. Gli adolescenti del terzo millennio” (Siena 2019), “Elsa. Le prigioni delle donne” (Siena 2019, Premio della Critica al Premio letterario nazionale Città di Grosseto 2020), “Storie d’amicizia e di scrittura” (Siena 2020), “Radici” (atto unico liberamente ispirato a Pier Paolo, un figlio, un fratello, Siena 2022). Inoltre, ha scritto il capitolo dedicato alla letteratura per il volume collettaneo interdisciplinare “Il Postmoderno” (Siena 2015).
Primamedia editore
Primamedia editore è una delle attività della società primamedia di Siena, che si occupa di comunicazione pubblica, politica, aziendale, sociale e pubblicitaria. Dal 2002 ha dato alle stampe libri dedicati al territorio, alla storia e alle storie di personaggi, ma anche guide utili e di viaggi. Nel suo catalogo sono attive la collana Historica, Lisistrata, Atlantide e Le Trame.
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