Pillole di Storia-Circa 3.500 anni fa gli antenati degli armeni, le tribù Hayasa-Azzi, abitavano le alture dell’Anatolia, ma la lingua armena (e il popolo che la parlava), secondo alcuni studiosi, si sarebbe infatti differenziata dall’indoeuropeo oltre 8.000 anni fa. Il primo grande regno degli antichi armeni (che chiamavano loro stessi Hay) fu quello di Urartu, fondato intorno all’835 a.C. dal re Sarduri I. Fino al 585 a.C. dominò la regione del monte Ararat e del lago Van, nel cuore dell’attuale Turchia asiatica. I re della dinastia degli Orontidi, nel V secolo a.C., si allearono con i persiani, di cui diventarono potenti satrapi (governatori delle province, chiamate satrapie). Passata la dominazione romana, l’Armenia fu tra i primi regni a convertirsi al cristianesimo e il primo in assoluto ad adottare il nuovo credo come religione di Stato, nel 301. – Oggi nel mondo gli armeni sono tra i 9 e i 10 milioni. Solo 3,5 milioni di loro vivono nella Repubblica Armena (nel Caucaso), nata dal crollo dell’Urss e indipendente dal 1991. Gli altri si trovano in Russia (oltre 1 milione e mezzo), in Francia, Stati Uniti, Grecia, Libano e altri Paesi, Italia compresa. Tra le comunità nate nel nostro Paese in seguito alla persecuzione turca, la più importante fu quella di Nor Arax (Nuova Armenia), alla periferia di Bari, dove negli Anni ’20 approdarono centinaia di profughi. Oggi la più numerosa è invece quella di Milano (oltre un migliaio di persone), dove nel 1958 fu costituita l’unica parrocchia italiana della Chiesa Armena. Gli armeni in Italia c’erano però anche prima del 1915: in Calabria furono deportati dai Bizantini fra il V e il X secolo; nel 1717, invece, la Serenissima donò l’isola di San Lazzaro, nella laguna di Venezia, all’abate cattolico armeno Pietro Mechitar, in fuga dal Peloponneso.
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“ C’è un legame coi morti e coi vivi che è la comune origine armena, quel legame di nostalgia e di affetti che connette il sangue a quello degli avi perseguitati e uccisi dalla terribile estate del 1915 in poi e, chiede giustizia per loro, per quella distesa di ossa ignote finite a diventare polvere nei deserti dell’Anatolia : affinché il riconoscimento di ciò che è avvenuto, risani l’oscura, infetta ferita che per il silenzio colpevole in cui la tragedia armena è avvolta continua a sanguinare nei padri,nei figli, nei nipoti…” Così scrive Margaret Ajemian Ahnert, scrittrice americana di origine armena nel suo romanzo “Le rose di Ester”.
Chi visita Yerevan non può non recarsi al Memoriale dell’Olocausto Armeno: su una collina che domina la città un blocco di vetro e cemento ed una fiamma sempre accesa racconta la storia di un genocidio. Il 24 Aprile del 1915 ad Istanbul vennero arrestati duecento leader della comunità armena. Nei giorni successivi, centinaia di intellettuali e religiosi furono arrestati, torturati e poi giustiziati. Tra il 1915 ed il 1917 due milioni di Armeni che vivevano nell’attuale Turchia, furono deportati nei territori ad est ( oggi Siria ed Iraq) ed un milione e mezzo morì per fame, violenze e stupri. La popolazione civile veniva deportata in decine di campi di concentramento che poi diventavano fosse comuni; venivano giustiziati in camere a gas o iniettando loro dosi letali di morfina. I membri della milizia turca addetti a questo scempio furono definiti “macellai della specie umana”. Il mondo sapeva ciò che stava avvenendo in Turchia, infatti sia la Russia che la Francia e la Gran Bretagna intimarono ai “Giovani Turchi” di desistere da questi orrori perché rischiavano il processo per crimini contro l’umanità. L’appello non sortì alcun effetto e le violenze contro gli Armeni continuarono fino al 1923. Ancora oggi, questo eccidio non è da tutti conosciuto e la stessa Turchia lo nega, affermando che si trattò solo dell’uccisione di cinquantamila ribelli nazionalisti armeni che si opponevano al governo turco. Ma i documenti e le fotografie ci raccontano la vera tragica storia: un popolo che ha subito una terribile persecuzione e che ha visto tutto questo orrore avvolto dalla nebbia dell’oblio e della negazione. Antonia Arslan è un’altra scrittrice che ci tramanda questa tragedia. Con “La masseria delle allodole” e “la strada di Smirne” ribadisce la sua volontà di ricordare e di testimoniare. Ci ricorda come “ i Giovani Turchi” avevano progettato di eliminare tutte le minoranze, armeni, greci, assiri e curdi. Perseguivano una teoria nazionalista contraria allo spirito cosmopolita che da sempre aveva caratterizzato l’Impero Ottomano. In un’intervista la scrittrice ha dichiarato:” Gli uomini furono sterminati subito, le donne deportate. Gli uomini furono eliminati fisicamente nei modi peggiori, legati su barche e poi fatti affondare, radunati in chiese poi successivamente incendiate…le donne si trovarono sole con i vecchi e i bambini al seguito, a decidere in poche ore cosa portare con sè. Da Karput (città dell’Anatolia) partirono in 18000 ed arrivarono ad Aleppo in 150”. Furono proprio le donne armene che non si arresero al genocidio che, con caparbia volontà, senza alcun aiuto esterno, permisero che “la razza armena” non si estinguesse. Raccolsero i fili di questo popolo e li intrecciarono con i ricordi, le tradizioni scritte ed orali, gli usi, i costumi, la cultura.
Le donne armene e il genocidio
Ondine Khayat, di padre armeno e madre francese, nel suo romanzo “Le stanze di lavanda”racconta il genocidio armeno attraverso i ricordi della nonna. E anche da questa storia emerge l’astuzia, l’intelligenza, la determinazione delle donne armene, ma anche il loro grande amore verso il proprio popolo. Quando, più di vent’anni dopo, Hitler decise di eliminare gli ebrei, reclutò nelle SS alcuni ufficiali che erano stati protagonisti del genocidio armeno, rispondendo così ad alcune obiezioni che gli erano state poste : “Chi si ricorda più dello sterminio degli Armeni ?” C’è una differenza fra il genocidio nazista e quello armeno, quest’ultimo rappresenta l’uccisione da parte di un popolo di una parte di se stesso, gli Armeni erano infatti cittadini dello stesso impero, quello Ottomano. E c’è un’altra differenza: sono troppo pochi quelli che al mondo conoscono questo orrore. Così una sopravvissuta ricorda l’angoscia di una marcia di deportazione: “Di notte, ci fermavamo sul ciglio della strada e dormivamo ammassati gli uni sugli altri…mentre il buio avvolgeva tutto, le lucciole tessevano una rete intorno a noi e la luna illuminava il nostro misero accampamento con i suoi raggi di tiepida luce… Sembravamo così piccoli e soli, gli ultimi rimasti al mondo…” Parlare oggi di genocidio armeno forse potrà essere un atto di giustizia postuma per colmare quella terribile solitudine.
Dott.ssa Ester Rizzo-Giornalista
Ester Rizzo-Giornalista
Nata a Licata il 08.06.1963 ed ivi residente. Laurea in Giurisprudenza. Diploma di specializzazione Istituto Superiore di Giornalismo . Responsabile Commissione Donne Pari Opportunità Distretto Sicilia Fidapa . Referente per la provincia di Agrigento del Gruppo Toponomastica Femminile Docente del corso di “Letteratura al Femminile” al CUSCA (Centro Universitario Socio-Culturale Adulti) di Licata Collaboratrice di testate giornalistiche regionali e nazionali on line Autrice di “Camicette Bianche”
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