
AMEDEO MODIGLIANI

Antonio Pagliuso- Anna Achmatova-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Antonio Pagliuso- Anna Achmatova
In Italia, Anna Achmatova è conosciuta, da quei pochi che la conoscono, più che altro per via dei bellissimi ritratti realizzati da Kuzma Petrov-Vodkin, Amedeo Modigliani, Jurij Annenkov, Nathan Al’tman – forse il dipinto più celebre, esposto al Museo di Stato di San Pietroburgo –, Olga Kardovskaja, opere che godono di un nuovo rinascimento grazie alla forza capillare dei mezzi di comunicazione sociale della nostra epoca.
Assai meno conosciuti sono i versi della Achmatova – il materiale per il quale dovrebbe essere principalmente famosa – a causa delle scarse pubblicazioni attualmente in commercio nel nostro Paese. Digitando il nome del poeta – come preferiva farsi chiamare –, infatti, si trovano appena due sillogi Einaudi abbastanza datate e una manciata di raccolte pubblicate negli ultimi anni da qualche illuminato medio editore.
A coprire, in parte, questo vuoto ci ha pensato Paolo Nori, saggista e studioso di letteratura russa, che in Vi avverto che vivo per l’ultima volta (Mondadori) racconta la vita inquieta e infelice e incantevole di Anna Achmatova, intrecciando le sorprendenti vicende della poeta russa con il suo vissuto personale.
Sorprendenti fin dalla più tenera età. Nata a Bol’šoj Fontan, nei pressi di Odessa, nel 1889 da Andrej Gorenko, Anna Achmatova fu “costretta” a cambiare il cognome perché il padre non voleva che lo disonorasse con un’attività equivoca come la poesia; secondo Iosif Brodskij, suo discepolo, Anna realizzò con la scelta dello pseudonimo Achmatova – preso da un’ava, una principessa tartara discendente di Gengis Khān – “il suo primo verso di successo”.
Tra i più grandi poeti di tutti i tempi, la Achmatova era amante della lirica italiana – da Dante, autentico poeta del cuore, a Leopardi – e di quella pittoresca lingua che l’amico e collega Osip Mandel’štam definiva “la più dadaista delle lingue romanze”.
Donna fragile di salute – soffrì di tisi per buona parte della sua esistenza – ma di grande temperamento e carisma, Anna Achmatova ha rivestito perfettamente il ruolo tragico del poeta. Moglie dello sventurato poeta Nikolaj Gumilëv, fucilato nel 1921 come nemico del popolo per le sue idee controrivoluzionarie, la vita della Achmatova è stata distinta da continui scontri e repressioni da parte del regime di Stalin, dalla critica e dagli altri scrittori e intellettuali del suo tempo perché “rappresentante di una poesia priva di idee e estranea al popolo”.
Scomunicata dal Piccolo Padre georgiano, la Achmatova vide i suoi componimenti proibiti circolare clandestinamente per il territorio dell’URSS, copiati a mano (il famoso fenomeno dei samizdat), battuti a macchina o imparati a memoria e tramandati per via orale. Su tutti Requiem, nato tra il ’35 e il ’40, nel periodo segnato dal terrore delle Grandi Purghe in cui la Achmatova si trasformò in icona di resistenza, trascorrendo intere giornate, per lunghissimi mesi, in fila, assieme a tantissime altre madri, le donne dalle “labbra bluastre”, fuori dal famigerato carcere delle Croci di Leningrado, in attesa di avere notizie del figlio Lev – il delfino dato alla luce algida di Pietroburgo nell’autunno del ’12, pochi mesi dopo la pubblicazione della prima raccolta di poesie dal titolo Sera – arrestato in quanto erede di una sì scomoda madre.
Citando ancora Brodskij, parlare della vita di una persona è sempre un’attività delicata, difficoltosa quanto “per un gatto cercare di prendersi la coda”. E così Paolo Nori alterna gli episodi della vita della grande poeta della cosiddetta Età d’argento della letteratura russa ai suoi: dai ricordi della nonna agli studi alla biblioteca Lenin di Mosca nella Russia post perestrojka, glasnost e disfacimento del sogno sovietico, passando per la cronaca e la febbre antirussa dei nostri giorni, per le crociate volte ad appendere testa in giù tutto quello che può essere ricondotto alla Russia di oggi e di ieri.
I temi legati alla stretta attualità aleggiano per tutto il volume e Nori li affronta con sguardo lucido e profonda afflizione, ma con la certezza che se la letteratura russa ha resistito alla Rivoluzione, al terrore sovietico, alla guerra e ai gulag, non si piegherà certamente dinanzi all’arroganza dei burocrati e benpensanti d’Occidente: “La letteratura è più forte di qualsiasi censura e di qualsiasi dittatura”.
Ovviamente, poi, impossibile da immaginare per chi è solito leggere l’autore emiliano, non manca un pensiero per l’amato Velimir Chlebnikov, poeta di punta del futurismo russo – quello della “crosta di pane”, del “ditale di latte”, del cielo e delle nuvole, per intenderci – e per tal ragione, se vogliamo, anche rivale della Achmatova, in gioventù di tendenza acmeista, movimento dalla incerta foggia di cui era leader il marito Gumilëv.
Aggiungendo ai suoi versi una espressività e un aspetto abbaglianti – slanciata, col celebre naso aquilino e la frangia scura, simboli della sua bellezza classica, d’altre epoche – e financo la sua spiritualità, la Achmatova emerse presto su tutti.
“Era una di quelle donne che, quando sono presenti in una sala, sembra che non ci sia altro, solo lei.”
Un’altra icona della poesia russa del primo Novecento, Aleksandr Blok, scrisse che l’autrice era in possesso di “una bellezza terrificante”.
In Vi avverto che vivo per l’ultima volta Paolo Nori ci accompagna in ogni angolo e in ogni piega della parabola artistica ed esistenziale di Anna di tutte le Russie – soprannome imperiale costruitole dalla collega, poeta anche lei, Marina Cvetaeva.
Dalla giovinezza a Carskoe Selo alle amicizie con i più grandi scrittori del suo tempo – Majakovskij, Pasternak, Bulgakov –, dalla casa leningradese sul lungofiume Fontanka, la Fontannyi dom – oggi Museo Achmatova –, al ricetto di Taškent durante la Guerra patriottica, raggiungendo anche l’Italia con quel viaggio del 1964, due anni prima di morire, in Sicilia per ricevere il premio Etna-Taormina.
Un ritorno agrodolce in quell’Italia baciata dal boom economico che agli occhi grigi di Anna Achmatova pareva però oramai irrimediabilmente compromessa, corrotta culturalmente. In quell’ultimo soggiorno italiano la poeta non avvertì quella avidità di cultura ancora presente in Russia, ma percepì con dispiacere che per gli italiani – i discendenti diretti di Dante, Petrarca e Boccaccio – la poesia era soltanto un aspetto di secondo piano, ben lungi da quanto poteva essere ancora centrale nella vita dei sovietici del tempo.
Qui si potrebbe aprire un altro capitolo, ma si andrebbe, forse, drammaticamente fuori tema. Dopo essersi immerso nel passaggio in terra e nel mito di Fëdor Dostoevskij con Sanguina ancora – entrato nella cinquina del Campiello 2021 –, Paolo Nori fonde la sua vita con quella della grande autrice russa, riportandoci il ritratto di una donna irrequieta, talvolta altera in certe fasi della vita, attitudine da interpretare più come umano strumento di autodifesa dinanzi alle tante offese ricevute.
Oltre alla fucilazione del primo marito e all’incarcerazione del figlio, nella vita di Anna Achmatova si annoverano altre dolorose tappe: la morte di tre fratelli in circa quindici anni, quella degli amici Modigliani e Mandel’štam, le angosce e le fughe del periodo del cosiddetto “comunismo di guerra” post-rivoluzione e della Seconda guerra mondiale, l’esclusione dall’Unione degli scrittori per la sua intollerabile poesia da “mezza suora e mezza prostituta”, il susseguente ostracismo e bavaglio, i matrimoni sbagliati, il rapporto disastroso col figlio negli ultimi anni di vita. Snodi di una esistenza meravigliosamente infelice; la vita intensa di un poeta, una persona buona e cattiva, come un po’ tutti noi.
Attraverso il vissuto di Anna Achmatova, Paolo Nori, con la sua prosa semplice e divertente e coinvolgente, ci fa riflettere su una civiltà e un modo di pensare e interpretare la vita che a noi, per quanto vogliamo sforzarci, restano comunque conosciuti per metà. Vi avverto che vivo per l’ultima volta è un libro sul rapporto tra gli achmatoviani e la loro poeta favorita e per tutti gli appassionati di letteratura russa e del popolo russo, quella “gente con delle teste che non le mangiano neanche i maiali”.
Breve Biografia diAnna Andreevna Achmatova pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966) è stata una poetessa russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
«Lascio la casa bianca e il muto giardino. / Deserta e luminosa mi sarà la vita»
Figlia di Andreij Antonovich Gorenko, funzionario pubblico, e di Inna Erazmovna Stogova, entrambi di nobile famiglia, fu moglie dal 1910 al 1918 di Nikolaj Gumilëv, dal quale ebbe il figlio Lev. Fece parte della Corporazione dei poeti, un gruppo acmeista fondato e guidato dal marito. Compose la prima opera, “La sera”, nel 1912, alla quale seguì “Il rosario” nel 1914, caratterizzate entrambe da un’intima delicatezza. “Lo stormo bianco” (1917), “Piantaggine” (1921), “Anno Domini MCMXXI”(1922) sono raccolte di versi ispirate dal nostalgico ricordo dell’esperienza biografica, che spesso assumono quasi la cadenza di una preghiera.
Dopo la fucilazione del primo marito, Nikolaj, nel 1921, seguì una lunga pausa indotta dalla censura, che la poetessa ruppe nel 1940 con “Il salice” e “Da sei libri”, raccolte dalle quali emerge un dolore derivato dalla costante ricerca della bontà degli uomini. Il figlio Lev fu imprigionato fra il 1935 e il 1940 nel periodo delle grandi purghe staliniane.
Espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici nel 1946 con l’accusa di estetismo e di disimpegno politico, riuscì tuttavia ad essere riabilitata nel 1955, pubblicando nel 1962 un’opera alla quale lavorava già dal 1942, il “Poema senza eroe”, un nostalgico ricordo del passato russo, rielaborato attraverso la drammaticità che la nuova visione della Storia comporta, e attraverso una trasfigurazione dello Spazio e del Tempo in una concezione di puro fine.
Sulla sua poetica ebbe molta influenza la conoscenza delle opere di Dante Alighieri, come anche testimonia il filosofo Vladimir Kantor: «Quando chiesero ad Anna Achmatova, la matriarca della poesia russa, “Lei ha letto Dante?”, con il suo tono da grande regina della poesia rispose: “Non faccio altro che leggere Dante”».
Poesie di Achmatova Andreevna Anna- Poeta russa-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Achmatova Andreevna Anna- Poetessa russa
Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), è stata una poeta russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
È flebile la mia voce
È flebile la mia voce, ma non s’affievolisce la volontà.
Sono perfino alleggerita senza amore.
È alto il cielo, spira un vento montano,
e sono casti i miei pensieri.
L’insonnia-infermiera è andata da altri, non languisco sulla grigia cenere,
e la lancetta curva sull’ orologio della torre non mi pare una stele mortale.
Così il passato perde potere sul cuore.
La liberazione è vicina. Io perdono tutto,
seguendo il raggio che di corsa sale e scende sull’umida edera di primavera.
note: (1912) traduzione di Paolo Galvagni
A molti
Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato,
il riflesso del vostro volto,
i vani palpiti di vane ali…
fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi.
Ecco perché amate così cúpidi
me, nel mio peccato e nel mio male,
perché affidaste a me ciecamente
il migliore dei vostri figli;
perché nemmeno chiedeste di lui,
mai, e la mia casa vuota per sempre
velaste di fumose lodi.
E dicono: non ci si può fondere più strettamente,
non si può amare più perdutamente…
Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo,
come vuole la carne separarsi dall’anima,
così io adesso voglio essere scordata.
da “Anno Domini” (1922)
C’è nell’intimità degli uomini un confine-
C’è nell’intimità degli uomini un confine
che né l’amore, né la passione possono osare:
le labbra si fondono nel terribile silenzio
e il cuore si spezza per amore.
Anche l’amicizia qui è impotente, e gli anni
pieni di felicità alta infiammata,
quando l’anima è libera e distratta
dal lento languore della voluttà.
Pazzo è colui che vi si appresta,
raggiungerlo è morire d’angoscia…
Ora puoi capire perché non batte
il mio cuore sotto la tua mano.
San Pietroburgo, maggio 1915, tratta da ” Stormo Bianco”
Ultimo brindisi
Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.
traduzione di Michele Colucci tratta da “Il giunco” (1934)
La musa
Quando la notte attendo il suo arrivo,
la vita sembra sia appesa a un filo.
Che cosa sono onori, libertà, giovinezza
di fronte all’ospite dolce
col flauto nella mano? Ed ecco è entrata.
Levato il velo, mi guarda attentamente.
Le chiedo: “Dettasti a Dante tu
le pagine dell’Inferno?” Risponde: “Io”.
Il salice
Io crebbi in un silenzio arabescato,
in un’ariosa stanza del nuovo secolo.
Non mi era cara la voce dell’uomo
ma comprendevo quella del vento.
Amavo la lappola e l’ortica,
e più di ogni altro un salice d’argento.
Riconoscente, lui visse con me
la vita intera, alitando di sogni
con i rami piangenti la mia insonnia.
Strana cosa, ora gli sopravvivo.
Lì sporge il ceppo, e con voci estranee
parlano di qualcosa gli altri salici
sotto quel cielo, sotto il nostro cielo.
Io taccio….come se fosse morto un fratello.
Tratta da “Il salice” (1940)
Notte del ventuno. Lunedì.
Notte del ventuno. Lunedì.
La città è immersa nel buio.
Un qualche burlone ha scritto
che c’è amore sulla terra.
E per pigrizia o per tristezza
tutti ci hanno creduto. E così vivono:
anelano incontri, temono i distacchi,
cantano amorose canzoni.
Ma diverso si rivela il mistero
e il silenzio calerà su ognuno…
Anch’io mi ci sono imbattuta per caso
e d’allora sono sempre come ammalata.
tratta da “Requiem”
Non ho chiuso le tendine
Non ho chiuso le tendine,
guarda dritto nella stanza.
Perché non puoi fuggire
oggi sono così allegra.
Dimmi pure svergognata,
scagliami i tuoi sarcasmi:
sono stata la tua insonnia,
la tua angoscia sono stata.
(1916)
Ogni giorno
Ogni giorno reca con sé
un’ora torbida e tesa.
Parlo con la mia pena a voce alta,
senza aprire gli occhi assonnati.
Ed essa batte come il sangue,
riscalda come il respiro,
come l’amore felice
è giudiziosa e cattiva.
da “La corsa del tempo”, (1917)
Nè mistero nè dolore
Né mistero né dolore
né volontà sapiente del destino:
sempre quell’incontrarci ci lasciava
l’impressione di una lotta.
Ed io, indovinato dal mattino
l’attimo del tuo arrivo,
percepivo nei palmi socchiusi
il morso leggero di un tremito.
Con dita arse sgualcivo
la variopinta tovaglia del tavolo…
Capivo fin da allora
quanto è angusta questa terra.
C’è in me un ricordo
C’è in me un ricordo come un sasso
che biancheggia nel fondo del pozzo.
Né più voglio e non posso lottare:
quel sasso è il dolore,
quel sasso è l’amore.
Se guardi da vicino i miei occhi
subito lo scorgi: ti fai grave e pensoso
come per un triste racconto.
Sento che gli dei han mutato
gli uomini in cose, senza uccidere
la loro imprevidenza, affinché vivano
eterni stupendi dolori. Tu sei diventato
il mio ricordo.
Strinsi le mani sotto il velo oscuro
Strinsi le mani sotto il velo oscuro…
“Perché oggi sei pallida?”
Perché d’agra tristezza
l’ho abbeverato sino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore…
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui sino al portone.
Soffocando, gridai: “E’ stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: “Non startene al vento”.
da “Sera” (1911)
La corsa del tempo
Ogni giorno reca con sé
un’ora torbida e tesa.
Parlo con la mia pena a voce alta,
senza aprire gli occhi assonnati.
Ed essa batte come il sangue,
riscalda come il respiro,
come l’amore felice
è giudiziosa e cattiva.
“La corsa del tempo” (1917)
Ah, tu pensavi che anch’io fossi una
Ah, tu pensavi che anch’io fossi una
che si possa dimenticare
e che si butti, pregando e piangendo,
sotto gli zoccoli di un baio.
O prenda a chiedere alle maghe
radichette nell’acqua incantata,
e ti invii il regalo terribile
di un fazzoletto odoroso e fatale.
Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti
o sguardi l’anima dannata,
ma ti giuro sul paradiso,
sull’icona miracolosa
e sull’ebbrezza delle nostre notti ardenti:
mai più tornerò da te.
“Anno domini” (1921)
Non è il tuo amore
Non è il tuo amore che domando.
Si trova adesso in un luogo conveniente.
Stanne pur certo, lettere gelose
non scriverò alla tua fidanzata.
Però accetta dei saggi consigli:
dalle da leggere i miei versi,
dalle da custodire i miei ritratti,
sono così cortesi i fidanzati!
E conta più per queste scioccherelle
assaporare a fondo una vittoria
che luminose parole di amicizia,
e il ricordo dei primi, dolci giorni…
Ma allorché con la diletta amica
avrai vissuto spiccioli di gioia
e all’anima già sazia d’improvviso
tutto parrà un peso,
non accostarti alla mia notte trionfale.
Non ti conosco.
E in cosa potrei esserti d’aiuto?
Dalla felicità io non guarisco.
traduzione di Michele Colucci
Le rose di Modigliani
Non berremo dallo stesso bicchiere
l’acqua o il dolce vino,
al mattino non ci daremo baci,
e a sera non guarderemo dalla finestra.
Tu il sole respiri,
io la luna,
ma siamo vivi dello stesso amore.
Con te è sempre la tua gaia compagna,
con me il fedele,
mio tenero amico,
ma vedo lo sgomento di grigi occhi,
e del mio male sei colpevole tu.
Lasciamo radi i nostri brevi incontri.
Così ci è serbata la pace dalla sorte.
La tua voce soltanto canta nei miei versi,
in quelli tuoi spira il mio respiro.
Oh, esiste un fuoco che non osa
toccare né oblio né paura…
e se sapessi come mi son care
ora le tue rosse, aride labbra.
Le rose di Modigliani / Anna Achmatova ; a cura di Eridano Bazzarelli. – Milano : Il saggiatore, 1982.
Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), è stata una poeta russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.