ROMA-CASTEL DI GUIDO-IL PRIMO SCIOPERO DEI BRACCIANTI AGRICOLI NELLO STATO PONTIFICIO -Roma maggio 1832
Biblioteca DEA SABINA
“IL PRIMO SCIOPERO DEI BRACCIANTI AGRICOLI NELLO STATO PONTIFICIO “-Roma maggio 1832
LE CONDIZIONI DEI LAVORATORI AGRICOLI NELLE TENUTE DELL’AGRO ROMANO
All’inizio dell’Ottocento l’Agro romano, cioè la zona intorno a Roma compresa tra il Mare Tirreno ad Ovest, l’Appennino ad Est, l’Agro Pontino al Sud e l’Agro di Tarquinia a Nord, ha una estensione di oltre 200.000 ettari. Vi abitano stabilmente poche migliaia di persone per le difficili condizioni di vita e per la presenza della malaria, che è endemica e provoca molte vittime. Secondo il censimento del 1871 ci sono 2 residenti per Kmq mentre i “presenti” (che vi lavorano) sono 7 per Kmq. Mezzo secolo prima, la situazione demografica era certamente peggiore.
Ci sono pochi borghi abitati, che rappresentano il “centro” delle molte Tenute agricole, di proprietà di Enti religiosi o di Nobili, date in affitto ai cosiddetti Mercanti di Campagna, che, per massimizzare il profitto, sfruttano al massimo i lavoratori agricoli (pochi sono assunti stabilmente mentre la maggior parte sono braccianti stagionali, provenienti dalle altre Regioni dello Stato Pontificio (soprattutto le Marche e l’Umbria) ed anche dal Regno delle Due Sicilie (soprattutto l’Abruzzo), che sono assunti in occasione dei lavori più impegnativi, quali la raccolta dei cereali e la fienagione) e conducono una vita di stenti, con la misera paga che ricevono, in moneta o in natura (in beni alimentari), e spesso sono addirittura indebitati con i loro datori di lavoro. La vita di questi lavoratori è raccontata dai Viaggiatori del Gran Tour del 700 e del 800.
Le attività agricole principali sono l’agricoltura, che è molto arcaica e poco produttiva, e l’allevamento del bestiame allo stato brado.
I lavoratori agricoli delle Tenute sono strutturati secondo una rigida gerarchia sociale, che comprende il Fattore, il Sotto Fattore, il Capoccia, il Capoccetta, il Guardiano, il Dispensiere (che consegna i beni alimentari previsti dalla “paga in natura” oppure li vende – a caro prezzo- ai dipendenti), i Salariati fissi, che ricevono un salario mensile e possono essere licenziati con un preavviso di tre mesi), gli Avventizi (detti anche Bifolchi), che sono reclutati per un periodo di tempo limitato, quasi sempre attraverso i Caporali, nei paesi di origine oppure in alcune “piazze di Roma “ (tra le quali Campo de’ Fiori e Piazza Navona) e che ricevono un “compenso a giornata” e possono essere licenziati senza preavviso, nei giorni di mercoledì e di sabato. In fondo alla scala sociale dei lavoratori ci sono le donne ed i ragazzi, reclutati dal Caporale, che svolgono le mansioni più semplici ed umili.
I lavoratori sono aggregati in Compagnie di 25-30 persone, che si chiamano “scelte”, se sono formate per almeno la metà da lavoratori specializzati (addetti a mansioni specifiche, come i mietitori dei cereali ed i falciatori del fieno) oppure “bastarde”, se sono formate per più della metà da donne e da ragazzi.
Il lavoro è molto duro: dura da un’ora prima dell’alba al tramonto, con due pause di un’ora, per la colazione ed il pranzo.
IL PRIMO SCIOPERO DEL 16 MAGGIO 1832
Lo sciopero dei lavoratori Avventizi inizia mercoledì 16 maggio 1832 (il mercoledì era il giorno in cui potevano essere licenziati senza preavviso), come risulta dall’esposto presentato al Governatore di Roma, Mons. Capelletti, dal Mercante di Campagna Luigi Gentili, affittuario della Tenuta di Ponte Galeria. Aderiscono alla protesta anche i Bifolchi della vicina Tenuta del Pisciarello, gestita in affitto dalla vedova Regis.
In un rapporto della Polizia pontificia è scritto che alcuni lavoratori in agitazione vanno nella Tenuta di Castel di Guido, gestita direttamente dall’Istituto di Santo Spirito, per “sollevare” (convincere a partecipare alla protesta) i Bifolchi locali e consegnano al Capoccia un foglio scritto a mano contenente le “rivendicazioni” avanzate per far cessare lo sciopero. In seguito si sparge la voce di un raduno di lavoratori a Campo de’ Fiori ed a Piazza Farnese per domenica 20 maggio.
All’alba di giovedì 17 maggio, il Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, evidentemente informato di quanto è accaduto il giorno prima, arriva con sette poliziotti a cavallo nella Tenuta di Boccea (di proprietà del Capitolo di San Pietro), dove trova 51 Bifolchi (lavoratori di varie Tenute, che si sono lì riuniti), 23 dei quali dipendenti della Tenuta di Torre in Pietra (gestita dai 4 Fratelli Merolli), 8 della Tenuta di Tragliata, 6 della Tenuta di Ponte Galeria, 5 della Tenuta della Bottaccia, 3 delle Tenute di Boccea, Castel di Guido e Pisciarello. Solo 2 Bifolchi sono di Roma. Gli altri sono originari dei paesi della Provincia romana e del Viterbese. Tutti i 51 Bifolchi sono arrestati e condotti nel carcere romano. 41 però sono liberati il giorno seguente, venerdì 18 maggio, tranne 10 che sono considerati i “caporioni” della protesta.
Dalle indagini fatte da Galanti, interrogando il sig. Cesare Sinibaldi, affittuario della Tenuta di Boccea, risulta che i Bifolchi sono arrivati nella Tenuta con un foglio scritto a mano contenente le loro richieste. In particolare lamentano il cattivo trattamento ricevuto dai Mercanti di Campagna, affittuari delle varie Tenute, soprattutto dai Fratelli Merolli, affittuari della Tenuta di Torre in Pietra, che danno loro del pane cattivo, anche con i vermi. Al riguardo avevano mandato “suppliche” al Cardinale Segretario di Stato e perfino al Papa, senza avere alcun riscontro. Pertanto erano stati costretti a fare la “protesta”.
Sinibaldi riferisce anche che i lavoratori hanno tenuto un comportamento pacifico ed hanno chiesto, per sfamarsi, di avere del pane, che hanno ricevuto.
Il 18 maggio il Delegato apostolico di Civitavecchia informa il Segretario di Stato che il giorno prima c’è stato un “ammutinamento” di Campagnoli a Cerveteri e nelle zone vicine, dove una quarantina di persone, armate di bastoni, hanno obbligato i Bifolchi delle Tenute locali a lasciare il lavoro sulla base di un documento scritto a mano intitolato “rivoluzione campagnola”. Lo stesso giorno il Delegato invia al Segretario di Stato un’altra lettera per informarlo che ha inviato a Cerveteri, Santa Severa e Santa Marinella “mezza Compagnia” di soldati e vari Carabinieri e Finanzieri a cavallo, per convincere i Campagnoli a tornare al lavoro nelle loro Tenute.
Anche il Capitano Giorgi, comandante della “forza di sicurezza” inviata per reprimere la “rivoluzione campagnola”, riferisce nel suo Rapporto che più di 40 persone hanno obbligato i Bifolchi delle Tenute a lasciare i lavoro e che il motivo della protesta era il “pane pessimo” fornito dai Mercanti di Campagna.
Anche in altri rapporti di Polizia si riferisce che la protesta non ha una motivazione politica, contro il Governo pontificio, ma è diretta contro i Mercanti di Campagna. Al riguardo nel Rapporto dell’Aggiunto giudiziario L. Silvagni del 20 maggio 1832 è specificato chiaramente che la protesta è diretta non contro il Governo pontificio, ma contro gli imprenditori agricoli che gestiscono le Tenute lungo la Via Aurelia, da Civitavecchia a Palidoro, che sono state tutte “investigate” (controllate). In particolare la protesta dei Campagnoli è stata causata dalla “paga bassa” e dallo “scarso e cattivo alimento” (pane), che comporta “frequenti malattie e mortalità assai maggiore degli anni decorsi”. Nel Rapporto si scrive che i Mercanti “più avidi e crudeli” sono i quattro Fratelli Merolli, che gestiscono la Tenuta di Torre in Pietra, e Marco Liberti, che gestisce la Tenuta di Castel di Guido, tanto che, “dalle indagini fatte sembra che i bifolchi di costoro siano stati i primi a sollevarsi ed abbiano eccitati gli altri alla rivolta”, come ha dichiarato il Capoccia della Tenuta di Castel di Guido, Benedetto Monti. L’Aggiunto giudiziario Silvagni inoltre dichiara nel Rapporto che ha “personalmente verificato che il pane è effettivamente scarso, poco salubre, come “troppo tenue sembra la paga mensile”. Infine, in merito al foglio scritto a mano ed in forma sgrammaticata, contenente le richieste dei Campagnoli, di cui sono state trovate quattro copie, tutte intestate “ad esitto della rivolsione deli campagnioli”, l’Aggiunto ritiene, anche se è scritto in modo sgrammaticato, che è “opera di persona più istruita” rispetto ai Campagnoli. In conclusione, le richieste dei lavoratori sono economiche e non politiche, nonostante sia stata usata la parola “rivolsione” (rivoluzione). Inoltre, nella loro protesta non hanno usato violenza e si sono rivolti ai Padroni delle Tenute, negli scritti, in modo rispettoso, chiamandoli “Signori” (“Noi pregiattissimi Signori padroni non ricerchiamo altro che loro Signori ci aricrescino la mesata…per che co sì tenua mesata non ci possiamo campare”). Alla fine i lavoratori confidano nell’intervento del Governatore di Roma.
I VERBALI DEGLI INTERROGATORI
Altre notizie sulla causa della protesta e sul contenuto delle richieste dei lavoratori si ricavano dai verbali degli interrogatori, fatti in carcere il 17 maggio. Al riguardo nel suo verbale, Gregorio Chiodi, originario di un paese del Viterbese, di anni 40, scapolo, in servizio come Bifolco nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, dichiara che da due settimane ricevevano “pane cattivo e paga poca, in modo da non poter vivere avendo tutti dei debiti” (con i Mercanti di Campagna), per cui si erano “passati parola fra loro, onde tutti in un tempo abbandonare i lavori, e costringere così i padroni delle Tenute a dare loro miglior pane, e crescere le mesate di qualche cosa, onde poter vivere competentemente”. Afferma inoltre che la vedova Regis “tratta meglio degli altri” i suoi dipendenti e che nella loro protesta “non eravi alcun fine cattivo per il Governo”. Riferisce infine che la sera di mercoledì, finito il lavoro, si sono riniti nella Tenuta di Boccea, dove sono stati trovati da Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, che li ha arrestati e portati nel carcere romano.
Nel suo verbale, Luigi Papetti, originario di un paese del Viterbese, di anni 26, scapolo, in servizio come Buttero nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, afferma: che il pane dato dai Mercanti “è spesso cattivo in modo da non potersi mangiare”; che i dipendenti “vengono anche strapazzati dai caporali”; che la loro paga è “meschina” e quindi sono carichi di debiti coi padroni i quali approfittando di ciò li tengono come legati nei loro terreni”. Pertanto, poiché i padroni “non hanno voluto e vogliono più sentirli”, si sono accordati per riunirsi mercoledì sera, 16 maggio, nella Tenuta di Boccea.
Nel suo verbale, Lorenzo Zamparelli, originario di Nepi, di anni 23, scapolo, in servizio come Bifolco nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, ribadisce che hanno protestato per la paga “meschina” e che si sono accordati per riunirsi mercoledì sera nella Tenuta di Boccea.
Il 18 maggio la Direzione di Polizia dispone la liberazione di 41 dei 51 Campagnoli arrestati e portati in carcere a Roma.
Il 19 maggio è interrogata anche la vedova Regis, affittuaria della Tenuta di Pisciarello, nella sua abitazione romana, la quale dichiara di essere stata avvertita dal Capoccia della protesta e di essere quindi andata nella Tenuta per convincere i lavoratori a riprendere il lavoro e che loro le avevano comunicato che chiedevano un aumento della paga, altrimenti “sarebbero ritornati alle proprie case”. Dichiara poi che da alcuni anni frequenta la Tenuta un “sedicente sacerdote”, che si fa chiamare “Don Luca”, che si intrattiene a parlare con i lavoratori. Infine riconosce: che alcuni Mercanti somministrano ai lavoratori un “pane pessimo” e che questa cosa “merita una seria sorveglianza”; che la paga data ai lavoratori è “meschina e merita un amento” ; che non c’è nella protesta un “fine politico”.
La Direzione di Polizia individua “Don Luca” in Don Luca Riccelli, un sacerdote impiegato presso la Segreteria dei Brevi (un ufficio della Curia Romana), che è interrogato il 19 maggio e riconosce che negli ultimi 5 anni era andato spesso nella Tenuta Pisciarello, l’ultima volta il 10 maggio, e che ha parlato con i lavoratori delle loro condizioni di lavoro e di vita. Conferma che alcuni lavoratori gli hanno chiesto consiglio su come fare per migliorare la loro “condizione” e lui li aveva consigliati di rivolgersi al Tribunale dell’Agricoltura.
LA MEDIAZIONE DELLE AUTORITA’ PONTIFICIE TRA I MERCANTI ED I LAVORATORI
Pertanto, in base ai Rapporti di Polizia ed agli interrogatori, le Autorità pontificie hanno subito un quadro preciso in merito alle cause ed alle modalità della “protesta contadina”. Quindi in una riunione tra il Papa Gregorio XVI, il Governatore di Roma, Mons. Benedetto Capelletti, ed il Segretario di Stato, Cardinale Tommaso Bernetti, considerato che i motivi della protesta sono solo di carattere economico e non politici, cioè di opposizione al Governo pontificio, si decide di non ricorrere all’azione repressiva, ma di svolgere una attività di mediazione tra i Mercanti di Campagna ed i Bifolchi, i quali sono “ammoniti” a ritornare alle “loro occupazioni” e a non fare altre proteste, ma eventualmente una “petizione”. In cambio il Governo pontifico si impegna a difendere i loro diritti ad un vitto “sano e di buona qualità” ed a un “salario giusto”. Al riguardo, i Mercanti di Campagna sono richiamati a dare un “equo trattamento“ economico ai Campagnoli per migliorare le loro condizioni. Sono anche avvisati che il “problema” è seguito personalmente sia dal Pontefice che dal Segretario di Stato.
Il 19 maggio è convocato dalla Polizia Carlo Merolli (che ha in affitto la Tenuta di Torre in Pietra, insieme con i tre fratelli Antonio, Francesco e Tommaso), il quale è ammonito che “i viveri, ed in specie il pane, che si somministra ai campagnoli addetti alle loro terre, siano di buona e sana qualità”, sia per prevenire “nuovi reclami”, sia per evitare le sanzioni previste dalle leggi sanitarie.
Sempre il 19 maggio il Governatore di Roma chiede al Cavaliere Valentini, Presidente della Camera di Commercio (istituita l’8 luglio 1831 come organo consultivo del Governo pontificio e composta da 15 membri, tutti “negozianti distinti per probità e per relazioni commerciali”), di convocare per il giorno seguente la Camera. Allega alla richiesta uno dei pani sequestrati ai Merolli, che erano di solito dati ai Campagnoli, affinché i componenti della Camera possano controllarne la “natura”.
Lo stesso 19 maggio il Direttore Generale della Polizia invia una lettera al Presidente della Camera di Commercio, nella quale afferma che i Campagnoli “mal soddisfatti del cattivo trattamento e della scarsa mercede, che ricevevano dai Mercanti di Campagna a cui erano addetti, si sono ammutinati ed hanno unanimemente sospeso il lavoro”. Pertanto, la responsabilità della agitazione è attribuita dal Direttore della Polizia ai Mercanti di Campagna, la maggior parte dei quali trattano i propri lavoratori “in un modo assai duro, sia nello stipendio, sia nelle cibarie, e specialmente nel pane” e sono quindi richiamati perché si temono conseguenze sia politiche (nuovi moti popolari come quelli avvenuti l’anno precedente) che sanitarie, dato che la somministrazione di alimenti di “cattiva qualità” potrebbe provocare un’epidemia di colera. Al riguardo, il 19 maggio la Segreteria della Sacra Consulta invita il Cardinale Camerlengo a disporre gli opportuni controlli per garantire “la qualità sana dei generi commestibili che si smerciano per il consumo”, allo scopo di evitare “malattie contagiose”.
LE DECISIONI DELLA CAMERA DI COMMERCIO
Il pomeriggio del 20 maggio si riunisce la Camera di Commercio, allargata ai principali Mercanti di Campagna che “seminano le Tenute dell’Agro Romano”, 16 dei quali partecipano (compresi due dei 4 Fratelli Merolli).
Il giorno seguente, 21 maggio, il Cavaliere Valentini, Presidente della Camera, invia una relazione al Governatore di Roma, nella quale cerca di condurre la causa dell’agitazione contadina alla “cattiva qualità” del vitto distribuito ai lavoratori dai Fratelli Merolli, in particolare il pane che è definito “orrido” e che ha “commosso a sdegno” tutti i presenti. Al riguardo Tommaso Merolli riconosce che il pane è stato distribuito ai lavoratori, ma “una volta sola… per equivoco” e promette che non sarebbe più avvenuto.
Però, poiché il pane era stato cotto in un forno di Roma, Valentini chiede al Governatore di Roma di far controllare meglio la salubrità dei cibi da parte della Prefettura dell’Annona, attraverso i tanti Agenti incaricati. In questo modo, secondo Valentini i Mercanti di Campagna da “imputati” diventano “critici” verso la Prefettura dell’Annona, ritenuta responsabile per il mancato controllo della produzione del pane avariato nel forno di via dei Chiavari.
Inoltre il Presidente della Camera di Commercio Valentini accusa i Campagnoli di essere “infingardi” ed “insubordinati” dato che tutti i Mercanti di Campagna affermano che “nelle loro Tenute i lavoratori non avevano di che lagnarsi…tanto per ragione delle cibarie quanto per ragione delle mercedi”.
In merito all’invito del Governatore di Roma, a nome del Papa, di migliorare il salario dei lavoratori agricoli, il Cavaliere Valentini, molto diplomaticamente, afferma che la questione merita un esame approfondito, ma fa presente che i vantaggi salariati acquisiti dai Campagnoli sarebbero stati poi richiesti anche da altre categorie di lavoratori, mettendo in difficoltà l’economia dello Stato.
La Camera di Commercio incarica uno dei suoi membri più autorevoli, il Mercante di Campagna Gaetano Giorgi, di preparare una “memoria” sul problema dell’aumento del salario, che viene discusso ed approvato il 30 maggio. Al riguardo, Valentini toglie dal testo l’introduzione nella quale Giorgi, pur essendo un Mercante di Campagna, denuncia le difficili condizioni di vita dei Campagnoli, affermando in particolare che la loro condizione è “più che dura”, dato che lavorano “dalla mattina alla sera, sottoposti alle intemperie delle stagioni ed alle stravaganze dei tempi” e che hanno diritto ad “un cibo proporzionato la bisogno, a un sufficiente vestito e a un sicuro ricovero”. Riconosce inoltre che la mercede in denaro è “scarsa”.
Nel documento della Camera di Commercio si afferma la netta opposizione a stabilire per legge il salario minimo, che deve essere lasciato alla “libera contrattazione delle parti”. Si propone inoltre l’abolizione delle Tariffa per le mercedi dei lavoratori agricoli dell’Agro Romano, prevista nello Statuto dell’Arte Agraria approvato nel 1718, che avvantaggia i “Caporali” (intermediari) che speculano sull’offerta di lavoro (da parte dei Campagnoli), che è sempre maggiore rispetto alla domanda di lavoro (da parte dei Mercanti di Campagna). Inoltre, rispetto alla parte del salario corrisposto in natura (come alimenti) si afferma l’opportunità che fosse determinato in termini quantitativi e non monetari per garantire ai lavoratori agricoli una razione alimentare costante, considerato l’aumento dei prezzi, in conseguenza dell’inflazione, che comportava una diminuzione continua della quantità della razione alimentare.
Si propone una Bozza di Regolamento di Polizia Rurale per regolare i rapporti tra i Mercanti di Campagna ed i lavoratori, come ad esempio la determinazione precisa dei vari lavori, la loro esecuzione ottimale e la loro durata…e la puntualità del pagamento del salario. Si propone anche di istituire un Libretto di Lavoro, come è stato fatto nel Lombardo-Veneto (possedimento austriaco) ed in Toscana, e di far costruire dai proprietari terrieri delle Tenute, e non dai Mercanti di Campagna che le hanno in gestione, un numero adeguato di casali (abitazioni rurali) per ospitare, la notte ed in caso di maltempo, i lavoratori agricoli che altrimenti sono costretti a “dormire sulla nuda terra e a cielo scoperto”, con la conseguenza che si ammalano e poi riempiono gli ospedali di Roma.
Con questa Relazione la Camera di Commercio va molto oltre la richiesta fatta dal Governatore di Roma. In particolare si chiede al Governo un intervento repressivo, che invece era stato escluso, considerata la legittimità dei motivi economici della protesta per evitare nuove agitazioni che avrebbero danneggiato l’imminente raccolto dei cereali.
IL NUOVO SCIOPERO DEL 29 MAGGIO 1832
Il 29 maggio 1832 protestano i lavoratori delle Tenute ubicate lungo la Via Tuscolana e Tiburtina. Infatti nel pomeriggio di mercoledì 29 maggio il Governatore di Frascati informa la Segreteria di Stato che la mattina una “quantità di bifolchi”, provenienti dalla Tenuta di Lunghezza, sono arrivati nella Tenuta di Pantano, dove hanno persuaso “altri simili operaj” ad abbandonare il lavoro, reclamando “l’aumento del salario”, e poi sono andati, tutti insieme, alla Tenuta Pallavicina, per convincere anche i lavoratori di quella azienda a lasciare il lavoro.
Il fatto è confermato dalla denuncia, presentata nella stessa giornata alla Direzione di Polizia, dal Capoccia della Tenuta di Lunghezza, Franco Caldari, il quale dichiara che la mattina 16 Bifolchi “di comune accordo” avevano rifiutato di obbedire all’ordine di attaccare gli aratri ai buoi, per fare l’aratura dei campi, ed avevano addirittura impedito di farlo al Capoccetto. In seguito i Bifolchi erano andati verso al Tenuta di Pantano. Caldari dichiara inoltre che il motivo addotto dai Bifolchi per la protesta è stato quello “di non poter vivere colla meschina mesata che hanno”, e che non si sono lamentati del vitto fornito, che è considerato “eccellente”.
Nei giorni seguenti, 30 e 31 maggio, arrivano alla Direzione di Polizia, al Governatore di Roma ed alla Segreteria di Stato vari rapporti da parte di Carabinieri, di poliziotti e di autorità locali. In particolare il Governatore di Gennazzano riferisce il 30 maggio che il giorno precedente circa 200 Bifolchi, anche armati di falce, di zappe e di altri attrezzi, giravano per le Tenute, convincendo “a viva forza” i lavoratori a lasciare il lavoro.
Sempre il 30 maggio il Comandante del distaccamento dei Carabinieri di Zagarolo invia un rapporto al Comandante la Tenenza di Palestrina, sulla base delle informazioni fornite dal fattore della Tenuta San Cesareo, il quale aveva dichiarato che “circa 80 bifolchi” erano arrivati nella Tenuta ed avevano convinto con la forza 16 lavoratori a lasciare il lavoro. Quindi, tutti insieme, erano andati alla Tenuta di Corcollo e poi alla Tenuta di Pantano, dove hanno bivaccato, dopo aver abbondantemente bevuto. La mattina seguente dovevano andare nelle Tenute Pallavicina e Torre Nova, per poi andare a manifestare a Roma, ma durante la notte molti Bifolchi se ne sono andati e gli altri sono ritornati nelle loro Tenute la mattina del 30 maggio.
La sera del 30 maggio è inviato alla Segreteria di Stato ed al Governatore di Roma un rapporto dettagliato dal Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, il quale riferisce che un drappello di guardie a cavallo aveva trovato vicino alle Tenute Pantano e Pallavicina “un’orda di 20 campagnoli”, che erano stati fermati, interrogati e poi condotti alle loro Tenute. Dagli interrogatori era emersa la situazione di “disagio” dei lavoratori agricoli, che li aveva indotti a fare la protesta. Galanti chiede inoltre al Governatore di Roma l’adozione di misure repressive, che però non sono accolte dal Governo, dato che era stata accertata l’inesistenza di motivazioni politiche per la protesta, che era causata solo dalle difficili condizioni di vita dei Campagnoli.
Anche il Priore di Zagarolo, nella lettera inviata il 30 maggio al Governatore di Palestrina, afferma che lo scopo dei Bifolchi era quello “di avere il pane e il salario come lo avevano prima”.
Il motivo economico della protesta emerge anche dal rapporto inviato il 31 maggio dai Carabinieri, nel quale si afferma che i Campagnoli “erano mal governati dai Proprietari delle Tenute”, che facevano loro mangiare “pane assai cattivo” ed inoltre erano “tenuamente pagati”. Pertanto, emerge chiaramente che il motivo della protesta era la qualità del vitto (il salario corrisposto in natura) e la insufficienza del salario. Però non emerge dalle indagini fatte dalla Polizia un collegamento con la precedente protesta del 16 maggio, che aveva riguardato le Tenute lungo la via Aurelia, molto lontane da quelle interessate dalla protesta del 29 maggio. Certamente la notizia della protesta del 16 maggio, che non era stata repressa, si era diffusa in tutto l’Agro Romano. Sicuramente era anche nota la disponibilità del Governo pontificio ad ascoltare le rivendicazioni dei lavoratori (addirittura considerate giuste e legittime). Pertanto, tutto questo aveva indotto anche i Bifolchi dell’altra parte dell’Agro Romano a protestare.
La nuova protesta, anche se non c’erano fogli scritti a mano con le richieste dei lavoratori, suscita un notevole allarme sia nel Governo pontificio che negli ambienti dei Proprietari terrieri e dei Mercanti di Campagna.
I PROVVEDIMENTI ADOTTATI
Il 12 giugno il Governatore di Roma, Mons. Capelletti, scrive al Cavaliere Valentini, Presidente della Camera di Commercio, chiedendo di aggiornare la Tariffa salariale prevista negli Statuti dell’Agricoltura del 1718.
Inoltre ordina alle Guardie ed ai Carabinieri di perlustrare l’Agro Romano sia per prevenire nuove proteste, sia per verificare che nelle varie Tenute si somministrasse ai lavoratori un vitto adeguato sia per qualità che per quantità. Al riguardo, infatti, continuano ad arrivare “rimostranze” di Campagnoli per il vitto di pessima qualità somministrato dai Mercanti di Campagna. In particolare, l’11 giugno si presenta alla Direzione Generale di Polizia il sig. Carlo Lucchetti, Caporaletto della Tenuta di Ponte Galera, affittata dal Mercante Giuseppe Gentili, il quale lamenta che da sette giorni è somministrato un “pessimo pane ”, per cui “si sentono tutti gli omini malati con pene di stommaco e dolori”. Hanno reclamato più volte, ma inutilmente. La Direzione di Polizia assicura Lucchetti che il Governo avrebbe provveduto onde il pane fosse somministrato di “bona qualità”.
Nel mese di giugno c’è una fitta corrispondenza del Governatore di Roma con il Presidente dell’Annona, Mons. Luzi, al quale chiede in particolare di aumentare i controlli nei forni e di reprimere le frodi attraverso l’uso nella panificazione di farine malsane.
Lo stesso Pontefice aveva chiesto al Governatore di Roma di tenerlo informato ed in particolare aveva chiesto che ai Fratelli Merolli, affittuari della Tenuta di Torre in Pietra, fosse applicata una forte multa, che sarebbe stata usata per scopi caritativi. Al riguardo, il 27 luglio Mons. Luzi annuncia al Governatore di Roma che la multa è stata fissata in 350 scudi in seguito ad una perizia che ha accertato che nella panificazione del pane somministrato dai Fratelli Merolli ai propri lavoratori erano state usate farine “pregiudizievoli alla pubblica salute”, dato che contenevano “sostanze straniere…cioè terra, sassolini stritolati e carbone”.
Tra il giugno e la metà di luglio, il Capo delle Guardie Giovanni Galanti invia cinque importanti rapporti al Segretario di Stato Cardinale Bernetti. In uno riferisce sul salario mensile in moneta corrisposto ai Bifolchi nei vari mesi dell’anno, che è risultato crescente: a gennaio-marzo era di scudi 1,50 (1 scudo equivale a 100 bajocchi); ad aprile di scudi 2; a maggio di scudi 2,50; a giugno di scudi 3,50; a luglio di scudi 5,50; ad agosto di scudi 4,50; a settembre- ottobre-novembre di scudi 3; a dicembre di scudi 2. Questo dimostra il maggior potere contrattuale dei Bifolchi nei periodi dell’anno (luglio ed agosto) nei quali si devono svolgere i lavori non rinviabili (ad esempio la mietitura dei cereali). Però il livello del salario monetario mensile, dopo l’impennata che c’era stata negli ultimi anni del Settecento, in particolare durante la Repubblica Romana del 1799, quando era raddoppiato rispetto al 1718, era tornato, con la Restaurazione, al livello degli anni 1775-1777, per cui le condizioni economiche dei Bifolchi erano notevolmente peggiorate.
In un altro rapporto Galanti riferisce sulla situazione della quantità e della qualità del salario in natura, costituito dai “viveri” (generi alimentari) corrisposti dai Mercanti di Campagna ai propri dipendenti, che per circa i 4/5 era costituito dal pane, che in molti casi continuava ad essere di pessima qualità, in particolare a Castel di Guido, dove è “mescolato con grossumi…malcotto e di cattiva masticazione per la terra che contiene”. Galanti riferisce anche che il peso della pagnotta che costa 1 bajocco era costantemente diminuito, passando da otto once del Settecento a sei once del 1832, con una perdita di peso di circa il 25% .Galanti riferisce inoltre che è molto diffusa la “frode sul peso” del pane somministrato. In questo modo i Bifolchi erano penalizzati due volte. Pertanto, Galanti suggerisce al Governatore di Roma, anche per evitare nuove proteste, nel suo rapporto del 17 giugno, di “intimare” ai Mercanti di Campagna, che egli chiama “delinquenti”, “l’osservanza esatta” dei loro doveri, minacciando altrimenti la surrogazione del Governo pontificio nella corresponsione di un “equo salario”, che naturalmente sarebbe stato rimborsato dai Mercanti.
Nel rapporto del 29 giugno Galanti afferma che pur essendo ora “in generale il pane ed il companatico pei campagnoli di buona qualità”, ci sono ancora dei Mercanti che “continuano a distribuire un pane di qualità scadente” ed il “peggiore di tutti” è ancora quello dei Fratelli Merolli, i quali per questo motivo sono sanzionati con una multa di ben 350 scudi.
Nello stesso rapporto del 29 giugno Galanti afferma che i Campagnoli “sono rimasti oltremodo soddisfatti delle premure a loro vantaggio” prese dal Governo pontificio.
Nel rapporto del 15 luglio Galanti ribadisce che “gli ammutinamenti dei villici hanno tratta origine dal cattivo trattamento dei Mercanti ed in particolare dei Fratelli Merolli”.
Purtroppo la Tariffa degli Statuti di Agricoltura del 1718 non è modificata per le resistenze frapposte dalla Camera di Commercio, che approfitta anche del fatto che era passato il periodo della trebbiatura e quindi i Bifolchi avevano perso il loro potere contrattuale. In verità avrebbero potuto riattivare la protesta l’anno seguente, ma purtroppo questo non è avvenuto. Si dovrà aspettare 30 anni per un nuovo “sciopero”, fatto nel giugno 1863 dai mietitori.
BIBLIOGRAFIA
Carlo Maria Travaglini, Analisi di un’agitazione contadina nella campagna romana all’epoca della Restaurazione, Pubblicazione dell’Istituto di Storia Economica, Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Roma 1984.