Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
Roma- La via Appia antica vista da due illustri viaggiatori del 1700.
Montesquieu:“ Avvicinandoci a Roma s’incontrano tratti della Via Appia, ancora integri. Si vede un bordo o margo che resiste ancora, e credo che abbia più di tutto contribuito a conservare questa strada per duemila anni: ha sostenuto le lastre dai due lati ed ha impedito che cedessero lì, come fanno le nostre lastre in Francia, che non hanno alcun sostegno ai bordi. Si aggiunga che queste lastre sono grandissime, molto lunghe, molto larghe, e molto bene incastrate le une nelle altre; inoltre questo lastricato, poggia su un altro lastricato, che serve da base. Le strade dell’imperatore sono fatte di ghiaia messa su una base lastricata, ben stretta e compressa. Dopo, vi hanno messo un piede o due di ghiaia. Questo renderà la strada eterna. C’è da stupirsi che in Francia non si sia pensato a costruire strade più resistenti? Gli imprenditori sono felici di avere un affare del genere ogni cinque anni”.
Montesquieu, Viaggio in Italia, 1728-1729.
Charles de Brosses:“E’ questo, o mai più, il momento di parlarvi della Via Appia, cioè il più grande,il più bello e il più degno monumento che ci resti dell’antichità; poiché, oltre alla stupefacente grandezza dell’opera, essa non aveva altro scopo che la pubblica utilità, credo che non si debba esitare a collocarla al di sopra di tutto quanto hanno mai fatto i Romani o altre nazioni antiche, fatta eccezione per alcune opere intraprese in Egitto, in Caldea e soprattutto in Cina per la sistemazione delle acque. La strada, che comincia a Porta Capena, prosegue trecentocinquanta miglia da Roma a Capua e a Brindisi, ed era questa la strada principale per andare in Grecia e in Oriente. Per costruirla hanno scavato un fossato largo quando la strada fino a trovare uno strato solido di terra……Codesto fossato o fondamento è stato riempito da una massicciata di pietrame e di calce viva, che costituisce la base della strada, la quale è stata poi ricoperta interamente di pietre da taglio che hanno una rotaia. E tanto ben connesse che, nei posti dove non hanno ancora incominciato a romperle dai bordi, sarebbe molto difficile sradicare una pietra al centro della strada con strumenti di ferro. Da ambedue i lati correva un marciapiede di pietra. Sono ben quindici o sedici secoli che non soltanto non riparano questa strada, ma anzi la distruggono quanto possono. I miserabili contadini dei villaggi circostanti l’hanno squamata come una carpa, e ne hanno strappato in moltissimi luoghi le grandi pietre di taglio, tanto dei marciapiedi che del selciato. E’ questa la ragione degli amari lamenti che fanno sempre i viaggiatori contro la durezza della povera Via Appia , che non ne ha nessuna colpa; infatti, nei posti che non sono stati sbrecciati, la via è liscia, piana come un tavolato, e persino sdrucciolevole per i cavalli i quali, a forza di battere quelle larghe pietre, le hanno quasi levigate ma senza bucarle. E’ vero che, nei luoghi dove manca il selciato, è assolutamente impossibile che le chiappe possano guadagnarsi il paradiso, a tal punto vanno in collera per essere costrette a sobbalzare sulla massicciata di pietre porose e collocate di taglio, e in tutti i sensi nel modo ineguale. Tuttavia, nonostante vi si passi sopra da tanto tempo, senza riparare né aggiustare nulla, la massicciata non ha smentito le sue origini. Non ha che poche o punte rotaie ma solo, di tanto in tanto, buche piuttosto brutte”.
Spazio COMEL di Latina: Atlante, la personale di Luca Giannini
L’appuntamento di aprile allo Spazio COMEL di Latina è con “Atlante” la personale dell’artista bolognese Luca Giannini.
Il titolo della mostra, a cura di Dafne Crocella, si riferisce al mitologico re titano che reggeva il peso del cielo sulle spalle e allo stesso tempo alla raccolta di carte geografiche che raffigurano la superficie terrestre, in un’affascinante commistione di mito e viaggio.
Attraverso le sue opere, Giannini accompagna l’osservatore in un percorso che è sia fisico nello spazio, sia metaforico nel tempo, attraverso suggestivi riferimenti alla mitologia e alla storia: dalle migrazioni dei popoli del Mediterraneo alle vite avventurose di mercanti ed esploratori di un tempo che usavano gli astri per orientarsi di notte. Il viaggio diventa dunque una metafora: la ricerca di conoscenza.
Giannini riflette su temi di fondo e cerca risposte nel passato, nel mito, ma anche nel presente, osservando i luoghi e le destinazioni attraverso una cifra stilistica che “è legata a un dialogo tra forma e linea – come afferma Dafne Crocella – Là dove la forma rappresenta un primordio, il magma ancestrale, la materia indefinita, il caos; la linea risponde mostrando l’incedere umano tra passi e pensieri, il tentativo di definire, di dare risposta, il desiderio di un cosmos che è terra emersa, ordine, conoscenza”.
La mostra sarà inaugurata sabato 13 aprile e sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 17 alle 20 fino al 28 aprile.
L’evento è iscritto allo Slow Art Day, che si tiene proprio sabato 13 aprile: l’invito è quello di soffermarsi e osservare ciascuna opera senza fretta, esplorando lentamente ogni linea, ogni forma e colore.
Cenni biografici: Luca Giannini (Bologna, 1972) ha seguito i corsi d’arte all’Accademia RUFA di Roma. Vincitore dell’XI Premio Internazionale Massenzio, ha partecipato a diverse edizioni di RAW Rome Art Week e ha esposto presso varie sedi istituzionali (ISA, Roma; Palazzo Chigi, Formello; Fortezza Spagnola, Porto S. Stefano; Centro Culturale Elsa Morante, Roma; GNAM Galleria d’Arte Moderna, Roma; Museo MACRO Testaccio, Roma), gallerie private e spazi d’architettura in Italia e all’estero (Galleria Massenzio, Roma; FYR gallery, Firenze; Studio Tiepolo 38, Roma; Summerour Architects, Atlanta USA). La sua ricerca, caratterizzata dall’impiego di molteplici materie e simbologie, si esprime attraverso la pittura, la scultura, il disegno, l’incisione e la fotografia. Vive e lavora nella sua casa atelier di Roma.
Atlante
Personale di Luca Giannini
A cura di Dafne Crocella
Spazio COMEL Arte Contemporanea – Via Neghelli, 68 Latina
Inaugurazione sabato 13 aprile ore 18.00
Atlante
Personale di Luca Giannini
Evento promosso da Maria Gabriella e Adriano Mazzola
A cura di Dafne Crocella
Dal 9 13 al 28 aprile 2024
Tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.00
Spazio COMEL Arte Contemporanea, Via Neghelli 68 – Latina
Campagna Romana. Comune di Fiumicino-Torre di Maccarese nota come Torre Primavera
foto originali(2019) di Franco Leggeri per REDREPORT.
La torre “Primavera” si trova nel Comune di Fiumicino nei pressi di Fregene in fondo a viale Clementino nord-ovest. Fu fatta edificare sui resti di un’antica villa di Ciriaco Mattei in località “Primavera” alla foce dell’Arrone. Il nome “Primavera”, che riguarda l’intera area circostante la torre, deriva dal microclima particolarmente favorevole a cui la zona è soggetta. E’ qui che viveva la mandria di bufale degli antichi proprietari della zona, i Rospigliosi.
Oltrepassato il caseggiato ci appare la massiccia mole della torre Primavera, alta 15 metri e a pianta quadrata. La torre possiede 4 piani e ogni piano ha un salone e due stanzette e per salire in cima c’è una scala. All’interno della torre c’è una botola che conduce ad un passaggio sotterraneo, che passa sotto l’Arrone. E’ molto profondo e lungo circa un kilometro e porta fino al Castello di Maccarese. La torre subì nel’ 500 un restauro che modificò la parte inferiore rendendola a sperone e rinforzò gli angoli con l’inserimento di blocchi di travertino. Fu voluta come molte altre torri di avvistamento, da Pio IV per sventare il pericolo delle incursioni Saracene che affliggevano frequentemente le popolazioni costiere.
L’ambiente naturale è purtroppo oggi deturpato dalla presenza del depuratore di Fregene. Fu comunque in occasione dei lavori di installazione di questo impianto, che fu ritrovata una barca romana che localizzerebbe in quest’area l’antico porto di Fregene. L’architetto Maurizio Silenzi nel suo libro “Il Porto di Roma” sostiene una suggestiva tesi che afferma la localizzazione di un porto sul fiume Arrone e la presenza di un faro allineato con quello più noto del porto di Claudio di Fiumicino. La torre Primavera sarebbe stata ubicata e costruita proprio sopra i resti del faro di Claudio. Silenzi porta a prova di ciò anche alcuni rilievi topografici e un’analisi approfondita del materiale esistente sotto l’intonaco più recente della torre che presenta l’inserimento di numerose pezzature marmoree bianche reperibili solo in siti dove sono presenti manufatti del periodo romano. L’Architetto afferma che la torre è stata costruita ristrutturando, in parte, murature esistenti con mattoni di fornace più recenti e mescolando materiali marmorei recuperati che facevano parte di un’antica costruzione riferibile al faro sull’Arrone.
Sulla torre Primavera c’è anche un’altra curiosità da riferire: forse le torri erano due! Infatti alcuni archeologi hanno individuato i resti di una costruzione antica anche sulla sponda di ponente dell’ Arrone. C’era un tempo dunque in cui le costruzioni erano due, ipotesi suggestiva ma probabilmente i resti sono di una villa della famiglia dei Cesi da cui prende il nome la zona Cesolina.
FIUMICINO-Torre di Maccarese nota come Torre Primavera
PAOLO GENOVESI- Fotoreportage TORRE DI BACCELLI-Fara in Sabina-
La Storia-Uno dei Castelli medievali abbandonati della Sabina.
Torre di Baccelli, unico e affascinante resto del Castello di Postmontem, è adagiata su di una piccola collina boscosa, raggiungibile facilmente per mezzo di una stradina e per un breve sentiero.Il Castello di Postmontem appare per la prima volta in documenti del 994 che lo indicano come possedimento dell’Abbazia di Farfa, su cui impulso fu probabilmente fondato. Il Castello , che domina le principali vie di accesso all’Abbazia di Farfa nel 1100 fu concesso in locazione a Rustico di Crescenzo in cambio del Castello di Corese, oggi Corese Terra. La permuta non ebbe per altro lunga durata, dato che nel 1118 Postmontem apparteneva di nuovo a l’Abbazia di Farfa. Nel XIV sec. L’insediamento fu gradualmente abbandonato ed il suo territorio unito a quello di Fara in Sabina. Oggi del Castello resta la Torre, squarciata lungo uno spigolo; la visita diretta delle strutture non è agevole per la foltissima vegetazione e per il pericolo di crolli; ma , anche ad una certa distanza , resta la suggestione della Torre che domina la Valle del Farfa e gli uliveti che caratterizzano il paesaggio della Sabina.
foto di Paolo Genovesi- ricerca storica a cura di Franco Leggeri-
Di fronte al Colle di Fara sorge l’altura di Monte San Martino, abitata in epoca protostorica da un esteso ed articolato insediamento risalente all’età del Bronzo finale (la maggior parte del materiale è venuto alla luce presso le pendici orientali del monte, in località Quattro Venti). Le ricerche hanno evidenziato la presenza di alcune opere di terrazzamento con recinti di mura realizzati in pietrame a secco, di cui si ipotizzò in alcuni casi una datazione ad epoca protostorica. È stato possibile ricostruire l’andamento di almeno tre cinte murarie, irregolarmente ellissoidali, che seguivano le curve di livello[4]. Oggi questo abitato protostorico è stato identificato con Mefula,[5] antica città degli Aborigeni (mitologia), che secondo Dionigi di Alicarnasso sorgeva ad appena 5 km di distanza da Suna (Toffia)[6]. Dionigi riferisce inoltre della presenza di mura, unico caso a riguardo del popolo aborigeno, un dato che trova conferma dall’effettiva presenza sul monte di murature a secco attribuibili ad epoca protostorica (peraltro rare in questo periodo).
L’insediamento aborigeno di Mefula scompare già durante la prima età del Ferro (forse in relazione alla contemporanea nascita dei centri sabini in pianura, come la vicina Cures).
Tra il IX secolo a.C. e il VI secolo a.C. nella località di Santa Maria in Arci si era stabilito un insediamento sabino, identificato con la città di Cures, che continuò a vivere in età romana (resti di terme e di un piccolo teatro e necropoli). Il territorio era sfruttato dal punto di vista agricolo con una fitta rete di ville, costruite su terrazzamenti in opera poligonale nel II secolo a.C. e in opera quasi reticolata nel I secolo a.C. (“villa di Grotte di Torri” e ancora di Fonteluna, di Mirteto, di Cagnani e di San Lorenzo a Canneto, di Sant’Andrea e di San Pietro presso Borgo Salario, di Grottaglie, di Piano San Giovanni, di Grotta Scura, di Monte San Martino, di Fonte Vecchia).
Le origini dell’attuale abitato sembrano risalire ad epoca longobarda, alla fine del VI secolo, come sembra indicare il toponimo, derivante dal termine longobardo fara, con il significato di “clan familiare”; oppure alla devozione sempre longobarda a Santa Fara. Il castello è attestato dal 1006 e dal 1050 fu sotto il controllo dell’abbazia di Farfa. Fu quindi feudo degli Orsini. Dal 1400 è divenuto sede dell’abate commendatario di Farfa e si sono succedute le varie famiglie proprio a partire dagli Orsini fino alla famiglia Barberini, con il cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII, che nel 1678 ha fondato, con sede nell’antico castello, il monastero delle Clarisse Eremite.
Nel 1867 fu toccata con la frazione di Coltodino dalla Campagna garibaldina dell’Agro Romano per la liberazione di Roma. Giuseppe Garibaldi dopo la sconfitta di Mentana raggiunse con i suoi Volontari la stazione ferroviaria di Passo Corese in comune di Fara dove partì in direzione del nord. Sempre da Fara sulla riva del Tevere partì con alcune barche la sfortunata spedizione dei Fratelli Cairoli conclusa tragicamente a Villa Glori. Testimonianze della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma (1867) sono conservate nel Museo nazionale di Mentana.
Il 10 dicembre 1920 la frazione di Canneto Sabino fu teatro di un eccidio, il più cruento, quanto a numero di morti del cosiddetto Biennio rosso. Durante una manifestazione organizzata dai braccianti nel tentativo di ottenere migliori condizioni di lavoro un gruppo di Carabinieri ne uccise 11 in località Colle San Lorenzo.
Roma la nuova sede della galleria z2o Sara Zanin Gallery a Testaccio-
ROMA Quartiere Testaccio-La z2o Sara Zanin Gallery è lieta di annunciare l’apertura della sua nuova sede. Ad inaugurare il nuovo spazio è la mostra Contrappunti, un ‘group show’ che coinvolge tutti gli artisti della galleria, che si estenderà anche nello spazio z2o Project di via Baccio Pontelli 16, con l’intento di creare uno stretto dialogo tra i due luoghi.
Contrappunti riflette l’idea di armonia e diversità e si riferisce all’interazione tra melodie indipendenti che si intrecciano per creare una composizione armoniosa.
Il termine Contrappunto – puntum contra punctum – ha come proprietà quella di rappresentare il principio dualistico discusso nella Metafisica di Aristotele nel “vedere nei contrari il principio delle cose” e raggiungere l’equilibrio attraverso la contrapposizione di due elementi opposti.
La mostra
La mostra espone un’opera per ogni artista, in cui le diverse espressioni artistiche convergono e si sovrappongono, come armonie intrecciate in una sinfonia, tessendo un complesso ma elegante spartito visivo. Narrazioni introspettive e apparentemente silenti prendono forma attraverso l’uso dei libri e del ricamo, immagini sottili e fluttuanti indagano sull’adattabilità della natura e dell’umanità animando le sale della galleria e trasformando storie intime e personali in esperienze universali.
Le sale espositive, così, diventano luogo in cui il tempo si placa in un eterno movimento generato dalle diverse armonie dei lavori dei singoli artisti.
Le individuali concezioni estetico-artistiche, imponendosi con la loro materialità nel tempo presente, si propongono di sottolineare l’importanza del passato e della storia della galleria, e allo stesso tempo di far intravedere all’orizzonte direzioni future.
Contrappunti riflette l’idea di armonia e diversità e si riferisce all’interazione tra melodie indipendenti che si intrecciano per creare una composizione armoniosa. Il termine Contrappunto – puntum contra punctum – ha come proprietà quella di rappresentare il principio dualistico discusso nella Metafisica di Aristotele nel “vedere nei contrari il principio delle cose” e raggiungere l’equilibrio attraverso la contrapposizione di due elementi opposti.
La mostra espone un’opera per ogni artista, vista come summa del suo lavoro e in questo confronto le diverse espressioni artistiche convergono e si sovrappongono, come armonie intrecciate in una sinfonia, tessendo un complesso ma elegante spartito visivo. Le opere esposte – alcune delle quali realizzate per l’occasione – coniugano le molteplici esperienze estetiche individuali in un racconto policromo e trasversale, dove differenti approcci formali si fondono per formare un tutto armonioso, contribuendo alla struttura complessiva della mostra.
Narrazioni introspettive e apparentemente silenti prendono forma attraverso l’uso dei libri e del ricamo, immagini sottili e fluttuanti indagano sull’adattabilità della natura e dell’umanità animando le sale della galleria e trasformando storie intime e personali in esperienze universali.
Sguardi che rivendicano la soggettività femminile attraverso un linguaggio innovativo e personale o che cercano e scovano mirabilie nascoste creano una tensione emotiva e collocano lo spettatore in una dimensione sospesa.
Le sale espositive, così, diventano luogo in cui il tempo si placa in un eterno movimento generato dalle diverse armonie dei lavori dei singoli artisti. Le individuali concezioni estetico-artistiche, imponendosi con la loro materialità nel tempo presente, si propongono di sottolineare l’importanza del passato e della storia della galleria, e allo stesso tempo di far intravedere all’orizzonte direzioni future.
La mostra continua negli spazi di z2o Project, Via Baccio Pontelli 16, 00153 Roma Orari : martedì – sabato (o su appuntamento) | 12–19
z2o Project | solo su appuntamento Info: info@z2ogalleria.it | www.z2ogalleria.it Press office: Sara Zolla | press@sarazolla.com | T. + 39 346 8457982
La z2o Sara Zaninis pleased to announce the opening of its new venue in Rome, in via Alessandro Volta 34, on Saturday March 16th, 2024. The opening event is the exhibition Contrappunti, a group show involving all the artists of the gallery. The exhibition will continue in the spaces of z2o Project, in via Baccio Pontelli 16, aiming to create a close dialogue between the two locations.
The new gallery, characterized by an industrial atmosphere, is located in Testaccio, a lively neighbourhood with a rich cultural heritage and a long history linked to art. The space has been chosen after careful analysis, as z2o had long been searching for a larger and more functional venue capable of accommodating the research projects and site-specific installations that have always defined the gallery’s identity. The interior spaces, redesigned by the studio Bevilacqua Architects, have been renovated to enhance and preserve the artworks to the fullest.
Furthermore, the proximity of the main location to the z2o Project space, which will continue to host exhibitions and special projects, encourages creative synergy and ongoing dialogue between the two venues.
Contrappunti includes the works of all the represented artists and those with whom z2o has collaborated, and who have helped to define their identity since its inception: Evgeny Antufiev (1986), Mariella Bettineschi (1948), Silvia Camporesi (1973), Pier Paolo Calzolari (1943), Michele Guido (1976), Tomoe Hikita (1985), Anna Hulačová (1984), Kaarina Kaikkonen (1952), Krištof Kintera (1973), Giovanni Kronenberg (1974), Guglielmo Maggini (1992), Alexi Marshall (1995), Beatrice Meoni (1960), Hidetoshi Nagasawa (1940-2018), Ekaterina Panikanova (1975), Beatrice Pediconi (1972), Alfredo Pirri (1957), Nazzarena Poli Maramotti (1987), Fabrizio Prevedello (1972), Marta Roberti (1977), Cesare Tacchi (1940-2014), Michele Tocca (1983).
Contrappunti reflects the idea of harmony and diversity and refers to the interaction between independent melodies that intertwine to create a harmonious composition. The term Contrappunto – puntum contra punctum – has the property of representing the dualistic principle discussed in Aristotle’s Metaphysics in “seeing in the contrary the principle of things” and achieve balance through the juxtaposition of two opposing elements.
The exhibition displays one work for each artist, seen as the sum of their work, and in this comparison, the different artistic expressions converge and overlap, like intertwined harmonies in a symphony, weaving a complex yet elegant visual score. The exhibited works – some of which were created specifically for the occasion – combine the diverse individual aesthetic experiences into a polychromatic and transversal narrative, where different formal approaches merge to form a harmonious whole, contributing to the overall structure of the exhibition.
Introspective and seemingly silent narrative take shape using books and embroidery, subtle and fluctuating images explore the adaptability of nature and humanity, animating the gallery rooms and transforming intimate and personal stories into universal experiences. Gazes that assert female subjectivity through innovative and personal language or that seek and uncover hidden wonders create an emotional tension and place the viewer in a suspended dimension.The exhibition halls become a place where time settles into an eternal movement generated by the diverse harmonies of the works of individual artists. The individual aesthetic-artistic conceptions, asserting themselves with their materiality in the present time, aim to underline the importance of the past and the history of the gallery, and at the same time they offer glimpses of future directions on the horizon.
Dove : z2o Sara Zanin, Via Alessandro Volta 34, 00153 Roma
La mostra continua negli spazi di z2o Project, Via Baccio Pontelli 16, 00153 Roma Orari : martedì – sabato (o su appuntamento) | 12–19
z2o Project | solo su appuntamento Info: info@z2ogalleria.it | www.z2ogalleria.it Press office: Sara Zolla | press@sarazolla.com | T. + 39 346 8457982
ROMA-Galleria GARD e l’Associazione culturale Soqquadro
presentano la III edizione della mostra denominata
“LUCE OMBRA SEGNO & MATERIA” –
Roma-La Galleria GARD e l’Associazione culturale Soqquadro presentano la III edizione della mostra denominata “LUCE OMBRA SEGNO & MATERIA”, esposizione collettiva di Arte Contemporanea, che ospiterà le opere di tredici artisti: Alessandra Degni e Simona Sarti – Frida Di Luia – Marco Gerani – Ligustro – Sonia Mazzoli – Francesca Mollicone – Alessandra Morricone – Marisa Muzi – Piero Rogai – Roberto Saglietto Mariana Pinte – Raffaella Tommasi – Rodolfo Violo, molto diversi tra loro per genere , stile e tecniche utilizzate nell’esecuzione delle opere , uniti dal tema trattato. Saranno presentate opere pittoriche, interattive e sculture mobili, che rispecchiano il concetto di luce, ombra segno e materia, non solo riscontrato al momento della visione dell’opera stessa, in alcuni casi quasi impercettibile, ma ampliato dal gioco di luci radenti che con, tecniche particolari di rilievi, sottolineano il concetto di luce ed ombra, che, con il segno e la materia, anche alternativa a quella tradizionale, saranno le protagoniste. La luce e l’ombra nella realizzazione delle opere d’arte sottolineano con forza la narrazione artistica, così come la scelta del segno e della materia utilizzate. Una luce radente o un’ombra sottolineata, così come una luce diffusa e un’ombra accennata, cambiano profondamente non solo l’estetica dell’opera ma il significato profondo. Allo stesso modo la scelta di un colore o di una precisa materia rendono, e possono modificare, con forza la narrazione che l’artista vuole imprimere al suo lavoro.
Anche in questa esposizione ci sarà la filosofia/ formula, ideata da Sonia Mazzoli direttore Artistico della Gard denominata ” SI – No – FORSE” che dà la facoltà al cliente di fare un’offerta economica di contrattazione rivolta ad una o più opere, offerte che potranno ricevere tre risposte: Si – No oppure Forse.
Artisti selezionati – brevi biografie:
DESART2 Alessandra Degni: Agù è il suo pseudonimo, in questo caso, nome d’arte scelto con cura rievocativa di un NOI condiviso intimamente. La sua formazione artistica inizia all’Istituto d’Arte Silvio D’Amico di Roma specializzandosi successivamente in Storia dell’Arte, Comunicazione, Marketing e Grafica Pubblicitaria. Attenta osservatrice, da sempre ha applicato questa sua qualità in campi diversi: progettazione e formazione, coordinamento, grafica, ma soprattutto comunicazione e scrittura creativa. Dal 2017 si interessa anche di tematiche riguardanti le Pari Opportunità collaborando a vari progetti dedicati a individuare la violenza, riconoscerla e sostenere chi la subisce: NonÈnormale, Facciamocisentire, CpoNazionale RFI. La sintesi, da sempre è un punto fondamentale di partenza per centrare gli argomenti per poi farli sviluppare nel corso dei suoi interventi con metodologie formative che privilegiano la creatività e la sperimentazione, così come la parola a cui bisogna attribuire sempre il giusto valore per trasmetterne l’esatta sfumatura e intensità.
Questa peculiarità, insieme alla fluidità e velocità nell’approcciarsi e nello sviluppare molteplici argomenti l’ha portata a impegnarsi in esperienze lavorative anche riguardanti la pubblicità, quindi il valore dell’immagine, ma soprattutto della parola che, ancora una volta, nella relazione con l’arte visiva trova nuovi approcci e interpretazioni dell’esperienza estetica. La sua ispirazione creativa trae spunto dalle opere d’arte per “mostrare e raccontare”. Ha partecipato a mostre presso spazi pubblici e privati. Le sue opere fanno parte di collezioni. Scrive testi espografici di complemento alle mostre favorendo l’interazione tra linguaggio e immagini, solleticando la curiosità e l’immaginario del visitatore.
Frida Di Luia pseudonimo FridArt) nasce a Malaga in Spagna il 24 Agosto 1971. Il suo percorso creativo nasce nei primi anni ’90 creando abiti di scena per l’animazione delle discoteche. Conosce molti artisti nelle mostre d’arte che si svolgevano presso” Libreria Romana” in Via dei Prefetti, di proprietà dei genitori. Frequenta un corso di rilegatura e tecniche di restauro di libri antichi. Si diletta ad acquerellare stampe antiche. Si appassiona all’arte moderna attraverso i volumi d’arte che sfoglia presso la propria libreria. Crea oggetti con vari materiali, quali c’era d’api, cernit, fimo, pasta di sale, gioielli, candele e soprammobili utilizzando anche materiali di riciclo. Da una decina di anni ad oggi usa varie tecniche pittoriche e si specializza nella Fluid Art che la soddisfano pienamente e si definisce outsider artist. Collabora spesso con la GARD Galleria Arte Roma Design data la grande amicizia con la socia fondatrice Sonia Mazzoli.
Marco Gerani: Nato a Roma nel 1965, comincia a dipingere nel 1985. Ha frequentato corsi privati tenuti da maestri d’arte figurativa e approfondisce la tecnica di base, acquisendo pratica ed esperienza con il colore. Sviluppa un segno pulito e deciso che inizialmente lo porta ad esprimersi con uno stile figurativo, successivamente i suoi riferimenti subiscono una connotazione sempre più distaccata dalla figurazione, divenendo astratti. Pur non tralasciando il filo discorsivo del segno netto come confine dello spazio riflessivo, il colore domina il campo visivo dando forma e sostanza all’emozione. Ha esposto in diverse mostre collettive e personali a Roma e in Umbria, espone in permanenza in una galleria del centro di Umbertide.
Sonia Mazzoli: Nasce a Roma il 30 dicembre del 67, inizia il suo percorso creativo giovanissima manipolando argilla in un ambiente familiare molto creativo che assieme al gusto del creare dal nulla le dà la spinta iniziale. Comincia realizzando gioielli per poi proseguire le sue sperimentazioni con disparati materiali come pietre dure, cartapesta, con una spiccata predilezione per il riciclo. Le sue principali fonti di approvvigionamento sono le discariche e la mania di conservare sempre tutto! Consegue il Diploma di Maestro d’Arte al Silvio D’Amico di Roma e frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma sez. Scenografia. Nel 95 è socia fondatrice di GARD Galleria Arte Roma Design.
Pier Luigi Rogai: detto Piero: nasce a Roma il 20 02 1948. Alle elementari incontra una maestra fantastica che con tutta la classe sia maschi che femmine gli fa provare la manipolazione di tanti materiali come stoffa cucito ma anche traforo sul legno pirografia su pelle ecc. (la straordinarietà è che siamo nella seconda metà degli anni 50). Negli anni 70 si dedica ai piccoli falsi in scatole di svedesi. Nel 1975 in una mostra a Torino scopre Calder e da allora sperimenta la catartica esperienza degli equilibri fluttuanti.
Ligustro: Giovanni Berio: in arte Ligustro, noto in Giappone come l’ultimo incisore del Periodo Edo “Un Geniale stampatore di Ukiyo-e di Genova è la reincarnazione di Hokusai.” (Imperia 1924 – 2015 ). Dal 1986 si era dedicato esclusivamente allo studio della xilografia policroma giapponese e delle sue tecniche Nishiki-E in uso nel Periodo Edo realizzandone la stampa a mano sulle preziose carte prodotte in Giappone ancora con antichi metodi artigianali e utilizzando molteplici colori che possono raggiungere il numero di 800. Questi ultimi si ottengono mediante la composizione di diverse polveri e foglie di argento e di oro, polveri di perle di fiume, frammenti micacei, conchiglie di ostriche macinate (in giapponese gofun), terre colorate ed altri procedimenti da lui inventati.
La tecnica nishiki-e riscoperta ed utilizzata da Ligustro è una tecnica molto complicata che richiede centinaia e centinaia di passaggi per la stampa; infatti, per ogni stampa possono essere necessari anche oltre 100 legni incisi specifici per ogni particolare e per ogni colore e ogni opera viene incisa su carta pregiata giapponese, come detto prima. Ogni opera è una copia unica e normalmente Ligustro ha prodotto 4 copie per ogni stampa con colori e su carte diverse. È conosciuto e stimato in tutto il mondo, in particolare da studiosi giapponesi, inglesi, francesi ed italiani. In data 9 maggio 2015 si è svolta, presso la sala convegni della Biblioteca Civica Leonardo Lagorio di Imperia, con il patrocinio della Fondazione Italia Giappone e della Fondazione Mario Novaro, l’apertura della sala dedicata al Maestro Giovanni Berio in arte LIGUSTRO quale traguardo successivo dopo l’importante donazione (5000 legni incisi, corrispondenza, calligrafie giapponesi, libri ed opere d’arte personali e di altri autori, l’archivio completo di una vita artistica) del Maestro alla Città di Imperia. La sala è fruibile pubblicamente, come punto di riferimento di eccellenza, per consultare tutto il materiale donato per approfondimenti personali ed eventi divulgativi.
Molte sue opere sono anche esposte al Museo Chiossone di Genova ed in altri importanti Musei, Istituzioni e Fondazioni. Ligustro dal suo amato Giappone, racchiuso nel piccolo studio di Imperia Oneglia, ha lasciato straordinarie idee da intuire e fantastiche opere da ammirare. In diverse occasioni Ligustro, con le sue stampe, i surimono, gli e-goyomi, i mitate, gli ex libris, gli haiku e con il kaimei (cambio di nome) ha contribuito a rafforzare i legami tra Italia e Giappone. In tutte le preziose opere, si possono notare i principali temi della produzione artistica del Maestro Ligustro quali la profondità, la luce, la bellezza femminile, la vita, la felicità, l’amicizia, la famiglia e la sua armonia, l’educazione, la cultura, la natura ed un mondo migliore.
Francesca Mollicone: Pittrice e performer, nasce a Roma il 29 novembre 1982. Ha vissuto sin dalla più giovane età a stretto contatto con l’arte, affondando le proprie radici nell’attività artigianale di ebanisteria della propria famiglia. Il suo percorso di formazione artistica inizia all’ Istituto d’Arte ISA Roma 1 e si esplica con le prime esposizioni del 1999/2000. Negli anni successivi prosegue con profitto l’attività di studio nel campo della pittura, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove si diploma con il massimo dei voti nel 2005.
Molte sono le partecipazioni ad esposizioni ed eventi nazionali ed internazionali, alcuni dei quali organizzati personalmente, dove non mancano collaborazioni con singoli artisti ed associazioni. La crescita in una città come Roma, in cui l’arte diffusa ha ricoperto una parte fondamentale della sua formazione, traspare ancora integra anche in opere che apparentemente sembrano allontanarsi dal concetto figurativo. Una crescita che trova il fulcro dell’attività artistica, nel concetto di una trasmissione della creatività che sia stimolante allo stesso modo sia per l’artista che per il fruitore dell’opera. Colori speciali, luci, performance di body painting… Ogni mezzo è ammesso ed ammissibile per creare un filo d’unione tra l’opera e l’osservatore: questa è la filosofia dell’artista che ci regala il suo punto di vista.
Alessandra Morricone: Nata a Roma il 14/06/1961, figlia d’arte, in età giovanissima esegue un dipinto olio su tela, dal titolo “Colori” che viene scelto dal padre come copertina e titolo di un disco da lui composto, 1978 LP Colori ( E.M.). Frequenta un corso di decorazione su ceramica e porcellana in età adolescenziale per 6 anni, riprende la ceramica in età adulta specializzandosi nella lavorazione della ceramica a colombine e al tornio. Approfondisce gli studi in arte e spettacolo nel Triennio DAMS dell’Università Roma Tre, conseguendo il diploma nel luglio 2016. Nel 2015 inizia a frequentare le lezioni di pittura nella scuola di Kristien de Neve e partecipa nel 2016 alla mostra con titolo Vanitas vanitatum nella Case Romane del Celio, organizzato da Kristien de Neve, dove presenta un remake di un quadro di George de la Tour, dando un buon contributo all ‘evento. Medico Specializzato in Dermatologia, Nefrologia e in Estetica.
Marisa Muzi: Nasce a Roma dove vive e lavora alternando esposizioni tra Lucca – Sulmona e Pettorano sul Gizio (AQ). Fino ai 30 anni vive tra gli artisti di Villa Strohl Fern, frequenta gli studi d’Arte dei suoi insegnanti Marina Haas Palloni e Kristen De Neve. Per Marisa Muzi dipingere è l’essenza della vita, affronta dei temi che sono anche il suo percorso di vita , ed ecco tartarughe, bicchieri, volatili, elefanti ed orme, bambù, scimmie e cammelli non per altro donne, fiori e paesaggi, questi temi la portano ad usare diversi materiali, la carta smeriglio e il cemento negli elefanti, stoffe e carte per i bicchieri, garze scaiola per arrivare a materiali di estremo recupero, come avvolgere un quadro con del cellofan nelle ” Donne scienziato” e usare cristalli di bicchieri rotti per i suoi ” Bambù”. Le sue passioni sono la Pittura, lo Yoga e la Poesia. Le sue opere sono in collezioni private in Italia e all’estero.
Roberto Saglietto¬: Maturità classica; laurea in economia politica; master in International management; laurea in conservazione dei beni culturali. Per undici anni occupato nel mondo della finanza internazionale come broker nel campo del mercato azionario e degli strumenti derivati, con base a Parigi, Copenaghen e Amsterdam. L’avvicinamento alla pittura avviene all’inizio degli anni 2000, con la contestuale presa di distanze dal settore finanziario, oramai ritenuto incompatibile con il percorso di vita e la maturazione di una diversa sensibilità. La produzione artistica, da subito, tende all’astrazione, senza però abbandonare, almeno inizialmente, i riferimenti figurativi: è il periodo dei ‘paesaggi urbani’. Successivamente la pittura si distacca dai riferimenti visuali oggettivi e fluisce in composizioni aniconiche, la cui esecuzione spesso si struttura di sovrapposizioni pittoriche, ove gli strati e i motivi di sfondo ritornano o riecheggiano attraverso aperture o trasparenze. Sono anni di esclusiva produzione artistica, che non lascia spazio ad esposizioni, se non in forma strettamente privata. La produzione degli ultimi anni ha privilegiato la dialettica fra linee e strati pittorici che si alternano nel ruolo di sfondo e di copertura, dove l’astrazione, viene a toccare, a livello inconscio, la figurazione. Questa pittura vede, poi, nell’ultimo anno, una ulteriore evoluzione verso composizioni che stimolano le ricostruzioni di immagini secondo i modelli percettivi di ciascun osservatore.
Mariana Pinte: Nasce in Romania nel 62, da sempre amante dell’Arte e degli animali, frequenta dopo gli studi primari e secondari il Liceo Artistico e in seguito si iscrive all’Accademia di Belle Arti, che non termina, perché indirizzata per cultura familiare al matrimonio e al lavoro. Questa sfrenata passione per il disegno e l’arte del bello in genere, le resta radicata nel profondo. In tutti questi anni, di tanto in tanto dipinge per il solo gusto di farlo. Dopo anni di matrimonio e due figlioli, si separa e approda a Roma come badante, qui in seguito conosce un italiano e si sposa, diventando cittadina italiana e rumena. Durante la pandemia si trova in Romania per una visita ai familiari, suo marito a Roma viene colpito da un infarto fulminante. Al rientro in Italia dal lockdown si trova in una situazione di disagio e attraversa un anno estremamente burrascoso. A maggio 2023 avviene un incontro fatale al Parco della Resistenza, Mariana conosce Sonia, Direttore Artistico della Gard, anche lei ha una passione sfrenata per gli animali e per l’Arte, ha due Alani Athena e Birillo, Mariana se ne innamora e comincia un’amicizia di reciproco aiuto. Mariana frequentando la Galleria ricomincia a disegnare e appena le nascono dei lavori li gira a Sonia che ne vede subito il potenziale e decide di inserirla nell’esposizione Artemisia presentando, per la prima volta in assoluto le opere di Mariana al pubblico.
DESART2 Simona Sarti: Artista, Direttrice Artistica e performer, ha ideato centinaia tra mostre installazioni e rassegne creando una sincronia tra le diverse discipline. Ha riqualificato luoghi, partecipa a Biennali in Italia ed all’estero. Segue una ricerca sulla espressione artistica con l’utilizzo di molteplici materiali e tecniche. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. È presente su pubblicazioni, riviste, e testi sull’arte contemporanea. Ha scritto commenti critici di presentazione di artisti e di esposizioni e rubriche sull’arte. Nell’anno 2007 le viene insignito dall’Istituto per le relazioni Diplomatiche il titolo Honoris Causa in “Bachelor of Arts”. Nel 2015 è stata premiata con la Nike di Samotracia. Nel 2017 riceve la targa per la cittadinanza artistica onoraria da parte del Comune di Tolfa. Il 7 febbraio 2020, presso il Consiglio Regionale del Lazio, il Comitato del Gran Premio Internazionale di Venezia del Leone d’Oro che dal 1947 premia le arti e l’imprenditoria, gli ha consegnato la prestigiosa pergamena – RICONOSCIMENTO SPECIALE PER MERITI ARTISTICI. Rilascia interviste televisive, radiofoniche e per giornali. Parla della sua arte come qualcosa che porta oltre lo spazio, in quanto sostiene che il tempo e lo spazio sono dimensionalità che l’artista può dilatare.
Raffaella Tommasi: Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1990. Inizia a lavorare all’Arte Visiva, dal 1995 realizza i suoi primi mosaici utilizzando materiali di scarto, un po’ perché affascinata dal recupero di materiali diversi e dalla filosofia di rendere nuova vita a tutto ciò che non viene più utilizzato, trasformando una tecnica antica e tradizionale come il mosaico, in un’applicazione artistica decisamente attuale. Dal 1999 collabora inoltre all’insegnamento del mosaico nella Casa di Reclusione di Rebibbia e in diversi centri diurni per ragazzi speciali.
Rodolfo Violo: Architetto ed urbanista, nato a Roma il 23 luglio 1946.
Dopo aver compiuto gli studi nel liceo classico M. Massimo, si è laureato, con lode, nel 1970 nella facoltà di architettura di Roma avendo come insegnanti Bruno Zevi, Paolo Portoghesi, Carlo Chiarini, Saul Greco, Ludovico Quaroni, Giuseppe Perugini, Ciro Cicconcelli, Salvatore Dierna, Enzo Bacigalupi, Giulio Risecco, Piergiorgio Badaloni. Nel 1976 vinse il concorso di assegnista presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Dal 1984 è stato ricercatore confermato nella disciplina della progettazione architettonica nel dipartimento di progettazione architettonica e urbana.
Ha svolto attività tutoriale nella facoltà di architettura di Roma ove ha avuto affidati negli ultimi anni i seguenti insegnamenti: “Composizione Architettonica” – “Progettazione Architettonica” – “Caratteri distributivi e costruttivi degli edifici” – “Teorie e tecniche della progettazione architettonica” – “Laboratorio II di Progettazione Architettonica” – “Architettura del Paesaggio e dei Giardini” – “Progettazione Architettonica e Ambientale” – “Progettazione del paesaggio”. Oltre all’attività di ricerca didattico–scientifica, ha svolto una intensa attività professionale di progettazione e pianificazione e di consulenza per conto delle pubbliche Amministrazioni: Regione – Provincia – Comuni – Enti Privati.
Si segnalano in particolare la redazione dei Piani Territoriali Paesistici di Roma e del Sistema Ambientale del Quadro di riferimento Territoriale per la Regione Lazio. È stato consulente della Soprintendenza per i Beni e le attività culturali ed il Paesaggio di Roma.
Cenni Storici
GARD Galleria Arte Roma Design: Nasce nel 1995, con la funzione di editore, promotore, produttore e distributore di Arte e Design Autoprodotto. Nel tempo le sono stati riconosciuti contenuti di particolare creatività e fantasia sia da Istituzioni Pubbliche sia dai media che hanno seguito sempre con grande interesse l’evoluzione della Galleria diventata un importante punto nevralgico per gli artisti emergenti, un punto di raccordo e sperimentazione. Negli anni, numerosi personaggi del mondo della pittura, del design, della poesia, del teatro e del cinema, si sono avvicinati alla Galleria collaborando con il suo staff in numerose iniziative.
Dal 1997 GARD sceglie come ubicazione uno spazio di 600 mq. tra il Gazometro e la Piramide Cestia, ex zona industriale del vecchio porto fluviale di Roma; spazio multifunzionale che si presta periodicamente per esposizioni ed eventi di arte, design e cultura, affiancando attività di promozione a laboratori creativi dedicati alla manualità, dedicando una specifica attenzione alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici e all’utilizzo di materiali di recupero e riciclo. Il 20 ottobre 2011 la Galleria viene coinvolta nell’alluvione di Roma ed è costretta a chiudere. Ci vogliono tre anni per poter bonificare e riqualificare i locali, tamponare e far fronte ai molti danni, viene fatto un progetto e un intervento di riduzione spazi e nuova destinazione d’uso di alcune aree. GARD, ha saputo tuttavia far fronte, specie in questi ultimi anni, agli innumerevoli problemi insorti con la solita volontà e grinta che l’hanno sempre contraddistinta. Oggi GARD collabora assiduamente con l’Associazione Culturale Soqquadro, ha uno spazio espositivo di 250 mq, continua ad organizzare esposizioni e sinergie con diverse realtà artistiche, in Italia e all’estero.
Soqquadro è un’associazione culturale che nasce nell’ottobre del 2000 e da allora ad oggi ha realizzato più di 150 mostre in spazi pubblici e privati, in Italia e all’Estero, collaborando con circa 500 artisti, pittori, scultori, fotografi, video artisti, performer, designer.
Ufficio Stampa – Marina Zatta
Robert Capa e Gerda Taro:la fotografia, l’amore, la guerra
in mostra fino al 2 giugno 2024 a CAMERA-
– Centro Italiano per la Fotografia di Torino –
TORINO-A CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino continua la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, con 120 immagini che raccontano una delle stagioni più intense della storia della fotografia del XX secolo: il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro. Dai cafè della Parigi degli anni Trenta ai campi di battaglia della Guerra civile spagnola, il percorso espositivo segue le vicende di Endre – poi francesizzato André – Friedmann e Gerta Pohorylle (questi i loro veri nomi). Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, si incontrano nella capitale francese nel 1934. In un momento in cui trovare committenze è sempre più difficile, i due inventano il personaggio di Robert Capa, un famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche Gerta cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
La svolta decisiva però arriva nel 1936, con l’inizio del conflitto civile spagnolo. Proprio nello scenario della prima guerra ‘fotografica’ della storia, Capa e Taro realizzano i loro scatti più noti – immagini realizzate seguendo da vicino le battaglie ma anche i momenti di vita quotidiana dei miliziani – trovando in questo impiego terreno fertile per esprimere le proprie idee antifasciste. Un impegno che costerà la vita di Gerda nel luglio del 1937, nel mezzo di una ritirata a Brunete, rendendola la prima reporter a morire sul campo. La mostra è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie e la riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, scomparsa dal 1939 e ritrovata a fine anni Novanta, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due fotoreporter e dal loro amico David Seymour, detto “Chim”.
Informazioni 14 febbraio – 2 giugno 2024 camera.to
Orari di apertura (Ultimo ingresso, 30 minuti prima della chiusura)
Lunedì 11.00 – 19.00
Martedì 11.00 – 19.00
Mercoledì 11.00 – 19.00
Giovedì 11.00 – 21.00
Venerdì 11.00 – 19.00
Sabato 11.00 – 19.00
Domenica 11.00 – 19.00
Sede espositiva
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino
Fred Stein, Gerda Taro e Robert Capa, Cafe de Dome, Parigi, 1936
Estate Fred Stein. Courtesy International Center of Photography
Robert Capa, Morte di un miliziano lealista, nei pressi di Espejo Fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre, 1936
The Robert Capa and Cornell Capa Archive, Gift of Cornell and Edith Capa, 2010. Courtesy International Center of Photography
Gerda Taro, Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia. Fuori Barcellona, 1936
Gift of Cornell and Edith Capa, 1986. Courtesy International Center of Photography
Nota per i suoi reportage di guerra, è anche conosciuta per essere stata la compagna di Robert Capa[1] e per aver stabilito con il fotoreporterungherese un forte sodalizio professionale. È considerata insieme a Capa una dei più importanti fotografi di guerra. La sua morte violenta a 26 anni (fu travolta da un carro armato durante la Guerra civile spagnola [2]) contribuì a mitizzarla come donna rivoluzionaria e coraggiosa caduta per le proprie idee e per il suo lavoro[3].
Biografia di Gerda Taro
Gerda Taro, il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce da una famiglia di ebrei polacchi. È portata per lo studio, è una buona giocatrice di tennis, ama vestirsi bene e fin da bambina dimostra di avere un carattere forte. Nonostante le sue origini borghesi, giovanissima entra a far parte di movimenti socialisti e di lavoratori. Per questo motivo e per la sua origine ebraica, l’avvento del nazismo in Germania le crea molti problemi. Finisce in carcere in quanto attiva nel Partito Comunista Tedesco, interrogata non parla e, grazie al suo passaporto polacco, viene liberata. Con un amico lascia la Germania alla volta di Parigi, mentre i suoi genitori decidono di rifugiarsi in Palestina ed i fratelli in Inghilterra[4].
Nel 1935 a Parigi grazie alla sua intelligenza e adattabilità, la poliglotta Gerta trova lavori come dattilografa e segretaria. Tramite l’amica e coinquilina Ruth conosce l’ungherese Endre Friedman. Come lei è ebreo, comunista, antifascista e ha conosciuto il carcere e sbarca il lunario facendo il fotografo. Endre e Gerta si fidanzano e sarà proprio lui ad iniziarla alla fotografia. Insieme, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, inventano il personaggio “Robert Capa”, un fantomatico celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Grazie a questo curioso espediente la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi.
Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, guerra che inciderà parecchio sulla vita dei due. Giunti in Spagna diventano immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage pubblicati in periodici come “Regards” o “Vu.”
Nota fra le milizie antifasciste per la sua freschezza, coraggio ed eccezionale bellezza, rischiò sempre la vita per realizzare i propri servizi fotografici. All’inizio il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente, i due divisero la ‘ragione sociale’ – CAPA – e Endre Friedman adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé[6].
Gerda realizzò, in un periodo in cui Capa era per alcuni giorni a Parigi per rapporti con le agenzie, il suo più importante reportage durante la battaglia di Brunete. All’inizio parve una grande vittoria repubblicana. Il contrattacco franchista ribaltò presto la situazione e Gerda fu allora testimone dei selvaggi bombardamenti dell’aviazione nazionalista, scattando numerose fotografie sempre con estremo rischio per la propria vita.
Testimoni raccontano che spesso incitava lei stessa i combattenti “all’attacco”; la sua fede rivoluzionaria e antifascista era puro slancio. L’articolo che venne pubblicato sulla rivista Regards, diede un grande lustro alla reporter tedesca.
La morte
Al ritorno dal fronte di Brunete, Gerda Taro perse la vita a causa di un terribile incidente. Gerda viaggiava aggrappata al predellino esterno della vettura del generale polacco “Walter” (Karol Świerczewsky), colma di feriti; Walter era un noto comandante delle Brigate Internazionali. Quando aeroplani tedeschi volarono a bassa quota sul convoglio repubblicano mitragliandolo, nel trambusto generale un carro armato urtò l’auto alla quale era aggrappata Gerda, che cadde sotto i cingoli del carro armato restando schiacciata dallo stomaco in giù.
Gerda non perse conoscenza e durante il penoso trasferimento, che durò ore, all’ospedale di Madrid ‘El Goloso’ (zona dell’Escorial) si mantenne le viscere in sede con la pressione delle proprie mani; i testimoni ricordano un’incredibile freddezza e coraggio nella ragazza. Alcuni tra i migliori medici delle Brigate Internazionali le trasfusero plasma e tentarono di operarla senza anestetici e senza antibiotici (di cui non vi era disponibilità), di suturare la devastante ferita ma si resero subito conto che ogni tentativo non l’avrebbe mai salvata; il suo organismo non poteva più svolgere alcuna funzione vitale che si protraesse oltre le poche ore.
All’infermiera che dovette vegliarla fu indicato di somministrarle tutta la morfina possibile per non farla soffrire, in quanto il decesso era inevitabile. La ragazza si preoccupava comunque delle proprie macchine fotografiche chiedendo “se si erano rotte”. Restò in vita e vigile sino all’alba del 26 luglio 1937; morì intorno alle ore 5 semplicemente “chiudendo gli occhi”. Gerda aveva 26 anni.
Il suo corpo fu traslato a Parigi e, accompagnato da 200.000 persone, fu tumulato al Père-Lachaise con tutti gli onori dovuti ad un’eroina repubblicana. Allo scultore Alberto Giacometti venne chiesto di realizzare il monumento funebre. Pablo Neruda e Louis Aragon lessero un elogio ‘in memoriam’. Il suo compagno Capa non si riprese mai più dalla morte della dolce e vivacissima Gerda, prima donna reporter a morire sul lavoro. Da allora anch’egli rischierà sempre la morte sul lavoro, incontrandola poi nel 1954 nella guerra d’Indocina.
Un anno dopo la morte di Gerda, nel 1938, Robert Capa pubblicherà in sua memoria Death in the Making, riunendo molte foto scattate insieme. La sua tomba a Parigi giace dimenticata nella zona del Père-Lachaise dedicata ai rivoluzionari e alla Resistenza, vicino al noto “Mur des Federés”.
Nel 1942 il regime collaborazionista fascista francese censurò l’epitaffio inciso sulla tomba di Gerda, epitaffio mai più restaurato. La tomba, dopo le modifiche occorse nel 1953, è accessibile da un viottolo posteriore, quindi posta “alla rovescia” rispetto a quando fu costruita. La tomba di Gerda Taro fu l’unica ad essere violata dalla mano nazi-fascista, forse per l’influenza che la giovane rivoluzionaria, caduta nella guerra contro il fascismo, ancora esercitava sulla crescente Resistenza francese.
Rimasta a lungo nell’ombra del più noto fidanzato Robert Capa e relegata al ruolo di sua compagna (e in qualche cronaca anche di moglie), dalla metà degli anni 1990 Gerda Taro è oggetto di interesse storico per il suo ruolo di giovanissima donna contro-corrente, rivoluzionaria militante sino al sacrificio massimo e protagonista della storia della fotografia e della resistenza al fascismo[6][7][8].
Robert Capa- Nasce in Ungheria da una famiglia ebrea proprietaria di una avviata casa di moda. Capa è un bambino vitale e rissoso che in famiglia viene soprannominato “Cápa”, squalo in ungherese. Ha appena diciassette anni quando viene arrestato per le sue simpatie comuniste; appena liberato abbandona la terra natale alla volta di Berlino. Là s’iscrive all’università alla facoltà di scienze politiche, sognando di diventare giornalista. Per mantenersi trova un impiego presso uno studio fotografico, cosa che lo avvicina al mondo della fotografia. Inizia a collaborare con l’agenzia fotogiornalistica Dephot sotto l’influenza di Simon Guttmann[3]. Autodidatta, nel 1932 è a Copenaghen, dove Lev Trockij tiene una conferenza. Nonostante il divieto di fare fotografie, elude la sorveglianza e realizza alcuni scatti. È il suo primo servizio pubblicato[4].
A causa dell’avvento del nazismo, Capa nel 1933 lascia Berlino per Vienna, per poi, l’anno successivo, partire alla volta di Parigi. Ma in Francia incontra difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance. Al caffè A Capoulade, nel Quartiere Latino, nel settembre 1934 fa la conoscenza di Gerda Taro, una studentessa tedesca di origine galiziana, anch’essa fotografa autodidatta. Robert e Gerda stabiliscono un solido rapporto sentimentale e professionale[4].
A Parigi Capa conosce anche David Seymour (nato Szymin), che a sua volta lo presenterà ad Henri Cartier-Bresson, tutti giovani fotografi di origini sociali e geografiche diverse, ma legati dal linguaggio dell’immagine. Il suo primo servizio importante è quello del maggio 1936 che documenta le manifestazioni per l’ascesa al potere del Fronte Popolare; una sua foto diventa la copertina della rivista «Vu» (“Visto” in italiano).
Nell’agosto del 1936 Gerda Taro riesce a procurargli un accredito stampa per documentare la guerra civile spagnola ed assieme prendono un aereo per Barcellona.[5] Qui, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, i due inventano il personaggio di “Robert Capa”, un fantomatico fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Lo pseudonimo Robert Capa viene scelto per il suono più familiare all’estero e per l’assonanza con il nome del popolare regista italo-statunitense Frank Capra. Grazie a questo curioso espediente, la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi. All’inizio, in effetti, il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente i due divisero la “ragione sociale” CAPA e Endre Friedmann adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé.
Il 26 luglio 1937 Gerda muore tragicamente a Brunete, nei pressi di Madrid (rimane schiacciata durante un errore di manovra di un carro armato “amico”). L’anno dopo Robert pubblica un libro in omaggio alla sua amata, Death in making, che contiene anche le fotografie, scattate da entrambi, della guerra in Spagna.
Mezzo secolo fa si suicidava Diane Arbus, la fotografa ribelle che “catturò” il lato oscuro dell’America- Articolo di Roberto Zadik
Personaggio estremamente tormentato e stimolante, la fotografa ebrea newyorchese di origini russe Diane Arbus oltrepassò i confini della fotografia. Le sue immagini ancora oggi colpiscono per la dolente espressività che le caratterizza, per lo sguardo lucido e poetico e il realismo del ritratto etico e sociale della “sua” America con cui questa artista vissuta solo 48 anni e suicidatasi il 26 luglio 1971, ha saputo rappresentare gli emarginati, i deboli, così come il mondo ebraico cui apparteneva e con il quale ebbe un rapporto profondo e conflittuale. Diane Nemerov, questo il suo vero nome prima di sposare il collega e correligionario Allan Arbus che le darà due figlie – prima di separarsi nel 1958 e divorziare nel 1969 -, nacque da una famiglia estremamente benestante, proprietaria di una catena di grandi magazzini. Ma come i cantautori Bob Dylan e Lou Reed, Arbus fu la figlia ribelle di un contesto estremamente “borghese”, attratta dal lato oscuro dell’America.
Icona della sua New York,di origine ebraico-askenazita, estremamente vitale e anticonformista, si consumò fra entusiasmi e depressioni per dedicarsi alla sua passione per la fotografia e l’indagine etica e psicologica compiuta attraverso il suo obbiettivo. Appartenente alla vasta schiera dei fotografi ebrei del Novecento, da Richard Avedon, all’ungherese Robert Capa, al tedesco Helmut Newton, questa artista si differenzia da tutti, con quella ricerca del diverso, dell’eccentrico e dell’anomalo che sembra essere una sua costante.
Nata il 14 marzo 1923, sposatasi a soli 18 anni, il sito theartstory.org descrive la sua infanzia estremamente solitaria, accudita da governanti e baby sitter mentre suo padre era impegnato negli affari e la madre soffriva di gravi depressioni. La sua carriera cominciò negli anni ’40 mentre l’ebraismo europeo veniva devastato dalla Shoah, lavorando assieme al marito, fotografando le modelle procurate dal padre David e dedicandosi con tale dedizione alle sue passioni artistiche da abbandonare anche l’università. Sempre più intenzionata a diventare una grande fotografa, cercò di affinare la sua tecnica al fianco di una professionista come Lisette Model, trascurando la famiglia e il maritò con il quale resterà in buoni rapporti anche dopo la separazione, per gettarsi nel lavoro e nella carriera.
Curiosa della vita e del mondo, dagli anni ’60 la sua personalità di artista indipendente e eccentrica emerse in tutto il suo talento stimolato dalla vivace atmosfera creativa e contestataria dell’era hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la Guerra del Vietnam che la videro sempre in prima fila. Costantemente a caccia di stranezze e tortuosità, la Arbus frequentava gli ambienti più disparati. Dalle sfilate di moda, ai circhi, dalle gang giovanili delle strade, alle competizioni di body building e il suo occhio era costantemente puntato sull’essere umano in tutte le sue sfaccettature.
Come evidenzia il sito jewishvirtuallibrary.org, nella sua luminosa carriera la talentuosa fotografa collaborò e strinse amicizia con vari colleghi e collaboratori ebrei. Sempre in cerca di stimoli e di nuove avventure, collaborò con l’artista Marvin Israel direttore artistico della rivista Harper’s Bazaar; fu un rapporto molto stretto ed egli divenne il suo mentore, come era stata già Lisette Model; incontrò il regista e fotografo Stanley Kubrick, i grandi scrittori Norman Mailer e Tom Wolfe, scattando immagini a vari soggetti appartenenti al mondo ebraico delle sue origini. Istantanee estremamente espressive come Coppia di ebrei danzanti che ritrae due anziani felici mentre ballano assieme, la foto alle due gemelle ebree identiche fra loro e soprattutto Il gigante ebreo in cui fotografò l’intrattenitore israeliano naturalizzato americano Eddie Carmel. Un’immagine inquietante in cui Carmel, affetto da gigantismo e figlio di una famiglia ebraica ortodossa polacca, viene rappresentato in tutta la sua figura altissima e massiccia, nipote di uno dei rabbini più alti d’Europa, mentre sovrasta i due genitori, parlando con loro. Morto a soli 36 anni per infarto, Oded Ha Carmeli, questo il suo nome di nascita, divenne un vero fenomeno collaborando per vari film e spettacoli, attirando la curiosità della Arbus sempre pronta a ritrarre personaggi stravaganti e fuori dagli schemi. Carmel e la Arbus morirono a un anno di distanza uno dall’altra e, come sottolinea un articolo del 2014 sul sito del New York Times, questa foto, scattata nel 1970, fu una delle sue ultime immagini. Dilaniata dal suo “male di vivere”, dal super lavoro, in crisi esistenziale nonostante il successo e i prestigiosi riconoscimenti, ricevette due volte il Premio Guggenheim, la Arbus si tolse la vita, ingerendo sonniferi per poi tagliarsi le vene, finì i suoi giorni improvvisamente, in quel luglio 1971 in cui tre settimane prima morì la rockstar Jim Morrison. Stando allo stesso articolo pubblicato dal New York Times il 13 aprile 2014, Carmel “il gigante” invitato al talk show presentato da Richard Lamparski le dedicò una struggente poesia pochi mesi dopo la sua morte.
Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana-
Il 5 marzo 1935 nasce Letizia Battaglia, la più celebre fotografa italiana. Celebre più all’estero che nei nostri confini, e questo è un grande classico nostrano: non saper riconoscere e premiare il talento. Figuriamoci se poi fa un mestiere difficile, il fotografo, e se per di più è donna. Quindi fotografa.
Letizia Battaglia è nata a Palermo. La Sicilia sembra andarle stretta, e invece sarà il destino di una vita. Si sposa giovanissima, scappa a Milano, collabora con giornali e riviste scandalose per l’epoca, come “Le Ore”. Impara a scrivere reportage, ma soprattutto impara e perfeziona la sua tecnica fotografica.
Ma Palermo è nel suo destino. Il direttore de “L’Ora” la reclama e dai primi anni ’70 diventa la testimone di una lunga stagione: stagione di morti ammazzati, di bambini che giocano allo Zen o in qualche altra periferia, di donne che faticano in casa, di boom edilizio.
Letizia è sempre lì, in prima fila a raccontare per immagini ciò che nemmeno le parole possono più fare. Una società schiacciata dal fenomeno mafioso, tarpata nel suo volo da una cappa viscosa e invisibile. E i suoi scatti prediligono le figure femminili, le donne di Sicilia nelle loro strade, nei mercati, nei loro lutti continui a causa della mattanza che in quegli anni causerà più di mille vittime di mafia. Nel 1979 è cofondatrice del centro di documentazione Giuseppe Impastato. Nel 1985 è la prima donna europea a ricevere il premio Eugene Smith a New York, primo di una lunga serie di riconoscimenti.
Racconta la mafia in tutta la sua cruda violenza, la porta nella casa dei siciliani prima, del resto d’Italia poi. Suo è lo splendido scatto in bianco e nero di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di Falcone, saltato in aria a Capaci. In una intervista ha descritto le battaglie della sua vita: «Mio padre non capiva cosa fosse un essere umano donna. Mi trovavo all’interno di una società dove una donna non veniva considerata, ho attraversato tutto questo mentre ancora si doveva lottare. Queste lotte le ho fatte prettamente da sola, senza percepire che fosse una lotta giusta, è stato molto complicato uscirne indenne».
-Fotoreportage di Franco Leggeri-Associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA- Gianicolo- LA CASA DI MICHELANGELO-
ROMA- Gianicolo- LA CASA DI MICHELANGELO-Come si legge dall’epigrafe :Questa è la facciata della casa detta di Michelangelo già in via delle Tre Pile –demolita nell’anno MCMXXX (1930) fu ricostruita ad ornamento della passeggiata pubblica – XXI aprile MCMXLI-XIX E.F.
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