Carmelina Sicari – Alessandro Manzoni e la storia-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Carmelina Sicari – Alessandro Manzoni e la storia
Ci sono importanti celebrazioni a Milano e in Lombardia per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, il grande scrittore che segnò un’epoca della nostra storia letteraria (Alessandro Manzoni è morto il 22 maggio 1873). Con I Promessi Sposi, è infatti colui che ha portato nelle nostre lettere il romanzo storico in auge in Europa nell’Ottocento e lo ha reso letteratura popolare e non solo destinata alle elite.
Articolo di Carmelina Sicari –Il rigore con cui Manzoni si preparò a questa impresa è noto, per una serie di saggi paralleli tra cui La storia della colonna infame, nota anche la cura linguistica che lo ha portato a redigere ben tre edizioni dei Promessi Sposi con la cosiddetta edizione ventisettana, del 27 appunto, che è fondamentale per comprendere il lento evolversi del testo finale.
Ma il piano della storia intesa alla maniera romantica come l’angelus novus secondo l’espressione di Benjamin che animava le lettere, è minacciato da ben tre insidie: Clio, la musa della storia cadeva nell’eccesso di erudizione, Talia, musa della satira, dettava talora un’ironia incontenibile e stridente ed Euterpe, musa della morale, un moralismo gravoso. Russo appunto ricorre lui, che è tra i lettori più autorevoli del Manzoni, alla metafora delle tre muse.
Ma c’ è un’altra insidia che germina all’interno dell’opera, la Provvidenza. Se l’erudizione dilata lo spazio delle grida in modo spropositato all’inizio del romanzo, elementi di profonda riflessione attraverso le cronache sui fatti di Milano e sulla peste si trovano nel cuore dell’opera e contribuiscono notevolmente all’intelligenza degli avvenimenti. Così la cronaca del Ripamonti (La peste di Milano del 1630), l’accenno alle relazioni del Settala. Ed è altrettanto vero che il moralismo deturpa talora la narrazione con interventi ingiustificati e così l’ironia. Ma da questi vizi lo scrittore trae alimento per pagine sublimi.
La descrizione della peste è tra le più alte pagine della letteratura mondiale con la figurazione dei monatti ma anche con l’intensità drammatica della narrazione e l’ironia suggerisce la figurazione immortale del sentimento del contrario in don Abbondio, eroe della paura. Il coraggio uno non se lo può dare, obietta al cardinale che gli parla da eroe del coraggio con una frase che resta immortale.
Ci sono pagine dettate dalla presenza della provvidenza che ispira pietà che è il fondamento dell’umanità. Le pagine del perdono che hanno come protagonista padre Cristoforo hanno una profonda epicità mentre quelle di Cecilia sono dominate da un intenso tono elegiaco.
L’uomo vecchio duella nella scena del perdono con il nuovo ma è destinato a soccombere. L’orgoglio, lo spirito dominante del tempo, viene vinto dal senso profondo di umiltà.
La solennità nel brano della madre di Cecilia (cap. XXXIV), dall’incipit Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci…. ci dice l’elemento di profonda pietà elemento virgiliano del pianto delle cose.
Il piano della storia dunque inficiato e corroso da moralismo, ironia e erudizione, tuttavia si apre ad effetti artistici altissimi. La provvidenza, ossia l’intervento dell’alto nelle vicende terrene sembra comprometterne l’autonomia ma anche qui si aprono sprazzi di grande potenza narrativa come il canto dell’anima che è l’addio ai monti (cap. VIII) o la notte dell’innominato (cap. XXI) con una profondità drammatica che giunge ad altezze tragiche. Lucia costretta ad abbandonare quanto le è caro, effonde in espressioni liriche altissime il suo pianto.
L’innominato, roso dal sentimento profondo di colpa, passa in rassegna la sua vita disperatamente e poi il popolo rivisitato in senso cristiano della storia non è quello romantico, ha subito una metamorfosi profonda
Nel rapporto umili-potenti, questi ultimi vengono giudicati a seconda di come si comportano con i primi.
Certo lo scrittore fu oggetto, come Napoleone, l’eroe del 5 Maggio, di immensa invidia e di pietà profonda, di sconfinato amore e di altrettanto astio. L’irrisione carducciana è pari all’accusa di paternalismo di Gramsci o a quella di aridità di Moravia. Carducci beffeggia il manzonismo degli stenterelli. Gramsci trancia implacabile un giudizio di moralismo ne I quaderni dal carcere e Moravia titola il romanzo I Promessi sposi: “Il romanzo d’amore senza amore”.
Ancor oggi ci sono ammiratori e detrattori ma il genio di Manzoni resta incontrastato. Niente può scalfire la gloria del romanziere se all’anniversario della sua morte, lo stesso Presidente della Repubblica interviene
La sua fu vera gloria.
Carmelina Sicari
Autrice dell’Articolo-Carmelina Sicari è stata Dirigente Scolastico del Liceo Classico di Melito Porto Salvo e dell’Istituto Magistrale di Reggio Calabria. Si occupa da tempo di letteratura contemporanea e di semiotica con opere su Pirandello e sull’Ariosto. Ha collaborato a molte riviste letterarie tra cui Studium, Persona, Dialoghi… Ha all’attivo numerose pubblicazioni su La canzone d’Aspromonte, Leopardi e il Novecento letterario. Continua a sostenere nel presente il Movimento culturale Nuovo Umanesimo di Reggio Calabria di cui è stata ideatrice.
Fonte-Altritaliani