Tra le bellezze poco conosciute del nostro territorio, lungo il percorso immediatamente suburbano della Antica Via Aurelia che usciva dalla città nei pressi dell’odierna Porta San Pancrazio al Gianicolo, si collocano i resti di una splendida necropoli risalente all’età augustea ed in uso almeno fino al II sec. d.C.
Essa fa parte di un sistema complesso di siti sepolcrali, in buona parte anche ipogei, disposti nel tratto extracittadino dell’Aurelia Antica in cui si inseriscono anche le necropoli di San Pancrazio (sotto la basilica omonima) risalente addirittura all’epoca repubblicana nei suoi resti più antichi e di Calepodio (presso via del Casale di San Pio V), sito più tardo afferibile al II-III sec. d.C. La persistenza di queste necropoli lungo la via testimonia l’intensa vitalità della regio XIV Transtiberim, l’ultima delle grandi sezioni in cui fu divisa Roma da Augusto nel I sec.d.C., densamente popolata da piccoli commercianti e artigiani, conciatori di pelli, falegnami, mugnai, vasai ed operai delle fornaci di cui rimangono tracce nelle iscrizioni sepolcrali rinvenute in queste aree, purtroppo in buona parte oggi non visitabili.
La Necropoli all’altezza del civ. 111 dell’Aurelia Antica si inserisce nella suggestiva cornice di Villa Doria Pamphilj e sorge poco distante dalla pars publica della Villa, costituita dallo splendida palazzina dell’Algardi (detta anche Casino del Bel Respiro) attualmente in uso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e divenuta sede di rappresentanza per le visite di Capi di Stato e di Governo.
Essa e’costituita principalmente di edifici del tipo a colombario (prevalenti anche nelle necropoli vicine) ossia di ambienti nelle cui pareti venivano alloggiate in apposite nicchie ricavate, le urne contenenti le ceneri dei defunti secondo l’uso della cremazione nettamente prevalente nel I sec.d.C.. Il colombario risultava essere la soluzione più pratica per ottimizzare gli spazi includendo il maggior numero di sepolture, soprattutto considerando che i cimiteri antichi erano costruiti su proprietà private.
Il complesso di Villa Pamphilj venne individuato già nel XVII sec. con la sistemazione della Villa da parte dell’Algardi, ma fu oggetto di indagini più accurate negli anni fra il 1821 ed il 1830 in seguito ad ulteriori lavori di modifica ed ampliamento della proprietà. I resti antichi conservati appartengono ad una serie di edifici il cui principale è il cosiddetto “Colombario maggiore” per numero delle sepolture/loculi ivi rintracciabili in buona parte ipogee, all’incirca 500, disposte su 7-8 file sovrapposte ognuna contraddistinta da una piccola tabella dipinta o da una piccola lastra marmorea inscritta col nome del defunto. Questo colombario era costituito da un’unica sala sotterranea in opera reticolata di tufo e da un’altra sala sovrastante a livello stradale dove si svolgevano i riti funebri. La sala ipogea aveva le pareti completamente affrescate con soggetti assai vari: paesaggi con architetture fantastiche, nature morte, paesaggi di campagna con uccelli e personaggi vari che alludono a scene mitologiche. La bellezza di questi affreschi era tale che intorno al 195 si decise di staccarli e conservarli nel Museo Nazionale delle Terme (Palazzo Massimo).
Adiacente al Grande Colombario è il monumento dalle forme più immediatamente rintracciabili per l’epoca antica, detto “Colombario Minore” di epoca adrianea. Esso si presenta interamente sopraterra, realizzato in opus latericium e recante due ingressi gemelli con architravi in travertino sormontati da rilievi con i busti dei defunti e cornice modellata in laterizio che doveva contenere l’iscrizione con il nome del capostipite della famiglia ivi sepolta. Il Colombario Minore mostra al suo interno l’uso contemporaneo dei riti di incinerazione e di inumazione, essendo presenti sia le nicchie ospitanti le urne con le ceneri, sia gli arcosoli per la deposizione degli inumati.
Nell’area si conservano alcune interessanti epigrafi sepolcrali appartenenti a liberti impegnati nelle varie attività artigianali del quartiere trasteverino, ma anche di soldati del I sec.d.C.
Il sito è ancor oggi oggetto di scavi e studi e l’ultima delle scoperte di un ulteriore colombario ipogeo adiacente agli altri due è avvenuta nel 1984: si tratta di una vasta camera funeraria rettangolare interamente sotto terra cui erano uniti altri ambienti più piccoli coperti con volte a botte tutte decorate con affreschi raffiguranti paesaggi naturalistici ed architetture fantastiche. Anche esso conteneva oltre 500 nicchie sigillate con lastre marmoree o muretti in argilla recanti l’iscrizione funebre, disposte su 7 file e probabilmente risalenti al I-II sec. d.C. Il pavimento delle sale è decorato interamente con mosaici, in particolare quello della sala centrale è in opus scutulatum, ossia ottenuto con tessere di materiale di scarto. Su un lato di esso si trova l’iscrizione C. Scribonius C. f. Menophilus che si riferisce verosimilmente a colui che pagò la messa in opera del pavimento, dunque il colombario oggi è conosciuto dagli studiosi come il Colombario di Scribonio Menofilo.
Completano l’intero complesso i resti monumentali di un recinto funerario costruito in opera quadrata di tufo e peperino, risalente alla fine del II sec. d.C. recante al centro del lato frontale una falsa porta in peperino decorata con ovuli e dentelli: al centro dei due battenti si trovano una coppia di maniglie proto leonine ricavate in bassorilievo con battenti ad anelli e due gorgoni; ai lati della porta sono anche riportate le misure dell’intera area sepolcrale (avente forma quadrata di circa 7, 2 m per lato). Un’ulteriore monumento funerario che testimonia il carattere dell’area si trova a ovest della Via Olimpica, il cosiddetto Casale di Giovio, probabilmente eretto su un edificio romano di età imperiale (I-II sec.d.C.). Sono ancora visibili i resti di una cortina laterizia che corre lungo tutto il perimetro della costruzione, in alcune parti conservate per un’altezza di circa 4 m.
L’intera area fin qui descritta è visitabile unicamente con un permesso speciale rilasciato dalla Questura, data la natura ufficiale che Villa Algardi riveste nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (MaG)
Alla scoperta del Bivio di Fregene confine di Roma
Con la stagione balneare iniziata migliaia di Romani transitano, con velocità, per il Bivio di Fregene,ma per chi non ha fretta ha la possibilità di vedere e scoprire delle piccole realtà nascoste .
Si può visitare un autosalone che, tra le auto, espone delle statue enormi e una Topolino A del 1936, sotto un baldacchino, verniciata interamente di grigio, vetri compresi. Se si chiede al titolare, Signor Fabbri, si può vedere il vecchio ponte dell’Arrone , ormai in disuso , il quale conserva il suo selciato originale con, incorporato nel parapetto, un blasone nobiliare medievale in marmo e le vecchie paratie, vera archeologia industriale, le quali servivano per regolare il flusso dell’acqua destinata all’irrigazione della campagna circostante. Le prime notizie del ponte si hanno già in un documento dell’XI secolo dove viene citato un “Pons de Arrone” mentre in una bolla papale del 1019 è citato un “pons marmoreus qui est super Arronem”; si ha notizia del rinvenimento, nelle vicinanze, di una lapide la quale testimoniava che un certo “Dorus Latro” aveva restaurato le sponde del fiume, come si legge nella scheda 35 del Quilici .
Più avanti vi è il meccanico Franco che restaura le mitiche Fiat 500, ce n’è per tutti i gusti e di tutti i modelli e si possono chiedere notizie e informazioni sui raduni d’auto d’epoca. Su via dell’Arrone, vi è il vivaio “Natura Viva” , dove si svolgono le gare, il sabato e la domenica, del gioco della “Peteca”. Questo gioco era praticato, come passatempo, dai popoli nativi del Brasile ancor prima dell’arrivo dei Portoghesi. Da questi popoli il gioco della Peteca si diffuse a tutti gli abitanti del Sud America sino a diventare uno dei giochi più popolari . Sempre per chi non ha fretta potrebbe visitare, in via Torralba, uno dei più importanti vivai di rose d’Italia il “Rose & Rose Emporium”. Lungo la strada che conduce a Fregene , sulla sinistra ,si vede il laghetto di “Mezzaluna” ed è proprio qui che Guido, Duca di Spoleto, condusse alla vittoria, contro i Saraceni nell’856 d.C., le “milizie di Campagna” come le definì lo storico Prudenzio da Troyes. Franco Leggeri
Roma- 22 marzo 2016-Recuperati dai carabinieri del Tap reperti etruschi per 9 milioni di euro. Erano stati trafugati oltre 30 anni fa da vari siti italiani. Il materiale, rinvenuto nei caveau del Porto Franco di Ginevra, torneranno nelle loro “dimore”. Tornano dalla Svizzera. Dove erano racchiusi da tempo nei caveau del Porto Franco di Ginevra. Sono Sarcofagi etruschi e romani, statue, vasi, busti in marmo. E soprattutto un gruppo di lastre dipinte assolutamente eccezionali, frutto della grande spoliazione di un tempio etrusco di Cerveteri, il cui ritrovamento e restauro getterà “nuova luce sulla pittura etrusca” e permetterà il ritorno nei musei etruschi di una testimonianza senza eguali sulle decorazioni dei templi di quel periodo.
Stipato in oltre 45 casse di legno, torna in Italia un tesoro di reperti archeologici proveniente dalle razzie degli anni ’70 e ’80 nei siti dell’Etruria, ma anche di Sicilia, Puglia, Campania e Calabria e valutato intorno ai 9 milioni di euro. Esportati illecitamente e acquistati dal mercante inglese Robin Symes, nonché destinati alla vendita in Inghilterra, Giappone e Usa, i reperti sono stati recuperati, anche grazie alla collaborazione delle autorità svizzere, dai carabinieri del gruppo Tutela patrimonio culturale, nel Porto Franco della città lacustre elvetica.
“Il loro destino sarà di tornare nei loro territori”, dice il ministro Franceschini.”Ancora una volta la collaborazione tra Paesi porta a ottimi risultati”.
“I frammenti delle lastre dipinte – spiega la soprintendente dell’Etruria meridionale Alfonsina Russo – sono distinti in due fasi, una della metà e l’altra della fine del VI secolo avanti Cristo, e provengono dalla spoliazione di un edificio templare di Cerveteri, forse dalla zona della Vigna Marini Vitalini. Sono eccezionali, tanto da far parlare la soprintendente di “uno dei recuperi più importanti degli ultimi decenni”, perché uniche: “Prima avevamo solo frammenti sparsi nel museo etrusco di Villa Giulia e le lastre dipinte Boccanera e Campana, conservate rispettivamente al British Museum e al Louvre, che provengono però da due sale mortuarie – spiega -: si tratta quindi di un recupero straordinario che consentirà di fare nuova luce sulle botteghe che fiorirono in quell’epoca in Etruria con artigiani provenienti dalla Grecia. Sarebbe opportuno fare subito un restauro e farlo magari davanti al pubblico”
La struttura costituisce il più rilevante complesso di edifici quattrocenteschi romani ed occupa l’isolato adiacente al Vaticano tra via di Borgo Santo Spirito, via dei Penitenzieri, via di Porta Santo Spirito e il Lungotevere Vaticano. Fa parte del quattordicesimo rione di Roma, Borgo, divenuto un quartiere della città tra il 1585 e il 1590 e zona cimiteriale in età romana. L’ampia zona comprende anche Castel Sant’Angelo, l’antico Mausoleo di Adriano, divenuto archivio dei Tesori Vaticani, museo e storico rifugio dei Papi raggiungibile attraverso il camminamento coperto del Passetto. Fino al 1929 anche il vicinissimo Stato della Città del Vaticano apparteneva a Borgo ma, con la stipula dei Patti Lateranensi, il governo di Mussolini lo donò alla Chiesa di Roma di Papa Pio XI.
Borgo deve il suo nome al termine sassone Burg, cioè villaggio fuori dalla città di Roma. Era così anticamente chiamato dai pellegrini a maggioranza Sassoni del Wessex, a sud della Gran Bretagna, che qui arrivavano per venerare la tomba dell’apostolo Pietro. Il seguace di Cristo morì da martire sul colle Vaticano nel 64 o 67 d.C. a seguito delle persecuzioni dei cristiani da parte degli imperatori Claudio e Nerone e divenne il primo Papa della Chiesa Cattolica. L’imperatore Costantino edificò una basilica sulla tomba di San Pietro dopo aver emanato l’editto di Milano nel 313 d.C. con cui sanciva la libertà del culto cristiano e di tutte le altre religioni nell’Impero Romano.
La sede del Complesso sorge sulle rovine della villa di Agrippina Major, nobildonna romana e madre di Caligola. Ancora oggi sono visibili i numerosi resti dell’antica dimora nel sottosuolo delle antiche corsie ospedaliere. Il primo nucleo di Santo Spirito venne fatto erigere dal Papa Simmaco nel V secolo e consisteva in un Hospitium, un luogo di ospitalità con facoltà di dimora, per i pellegrini stranieri. Nel 726, il re del Wessex, Ine, anch’esso pellegrino a Roma per pregare sulla tomba di S.Pietro, fece costruire sopra questo antico luogo di accoglienza, una Schola Saxorum, cioè una corporazione per la comunità dei suoi conterranei inglesi che vivevano accanto alla sacra tomba di S. Pietro. La Schola era formata da un complesso di edifici comprendenti uno xenodochio (dal gr. Xenodochêion: xénos ‘straniero’ e déchesthai ‘accogliere’) o ospizio gratuito per forestieri, pellegrini e malati, oltre ad una chiesa titolata a S. Maria con un cimitero.
Nei secoli successivi la struttura venne abbandonata per limitazione dei flussi di pellegrini e conseguente calo delle donazioni e fu danneggiata da diversi incendi.
Nel 1198, Papa Innocenzo III, ristrutturò il complesso e lo cedette all’ fondato dal frate provenzale e cavaliere templare Guido da Montpellier. L’Ordine lo trasformò in un importante nosocomio con gli interventi dell’architetto Marchionne d’Arezzo e prese il nome di Arcispedale di Santo Spirito in Sassia o Saxia a ricordo della comunità sassone che dimorava in loco. Il più antico regolamento ospedaliero che si conosca, il Liber Regulae ne fissava le regole. Operò per tantissimi anni sia come ospedaletto per l’assistenza agli infermi e la cura delle malattie infettive come la malaria, sia come baliatico per la nutrizione dei trovatelli poveri e malati
con le balie, ma anche come brefotrofio per l’accoglienza degli esposti o proietti, cioè i neonati illegittimi e abbandonati. Papa Innocenzo III volle far qui costruire la rota proiecti (dal lat. proiectare ‘esporre’) o ruota degli esposti su esempio della prima istituita a Marsiglia in Francia nel 1188 che permetteva all’Ordine Religioso di accogliere i numerosi neonati indesiderati che
venivano lasciati, anonimamente, sulla parete esterna dell’ospizio, in un cilindro girevole dotato di una fessura coperta da una grata. È probabile che questa fosse la ruota più antica d’Italia e l’uso è stato abolito per legge solo nel 1923. I bambini venivano qui accolti dalle suore dell’ordine di S. Tecla e marchiati sul piede sinistro col simbolo dell’Ordine di S. Spirito, la croce lorenese a doppia traversa, e registrati in latino come filius m. ignotae ‘figlio di madre ignota’ da cui deriva l’espressione romanesca “fijo de na mignotta”.
Considerato l’ospedale Apostolico e il più antico di Roma godette sempre di sostegno, privilegi, esenzioni e indulgenze tanto che, nel periodo di massima prosperità, poté ospitare fino a 300 infermi e 1000 malati.
Nel XIV s. la struttura conobbe un breve declino sia per il trasferimento del papato ad Avignone (1309-1377) che per la peste del 1348 e il terremoto del
1349 e quasi cadde in rovina totale per mancanza di donazioni e supporti economici dal Vaticano. Verso la fine del 1400, la benefica Istituzione ebbe una rinascita architettonica, artistica e patrimoniale grazie a Papa Sisto IV della Rovere (1471-84) dell’ordine Francescano dei frati minori conventuali, artefice della costruzione della Cappella Sistina. Con lui il Complesso divenne tanto ricco da rivelarsi l’Istituzione con maggiori proprietà terriere in tutta Europa.
Dopo l’incendio del 1471, Sisto IV fece ristrutturare il complesso tra il 1474 e il 1477 dall’arch. fiorentino Baccio Pontelli (famoso per il progetto della Cappella Sistina e lì ritratto dal Perugino nell’affresco La consegna delle chiavi a S. Pietro) dandogli la forma attuale.
Ovunque si nota ancora il blasone del Papa col casato dei Della Rovere, a memoria del suo intervento, insieme al sigillo dell’Ordine Ospedaliero che gestiva la struttura, la croce lorenese a doppia traversa sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo.
Nei secoli XVII e XVIII seguirono altre due ristrutturazioni e l’ultima si annovera al 1926 in cui venne ricostruita la facciata quattrocentesca con le bifore marmoree.
Dal 2000 il complesso monumentale è sede di un importante centro congressi mentre l’ospedale di S. Spirito in Sassia continua la sua secolare tradizione di assistenza ai malati nella nuova struttura in via Lungotevere in Sassia 1, adiacente all’antico nosocomio. Disegnato dagli architetti Gaspare e Luigi Lenzi negli anni 1920-33, oggi fa parte dell’ ASL E di Roma. Offre le prestazioni di pronto soccorso, ricovero ospedaliero con 200 letti e varie attività specialistiche ambulatoriali.
LA CORSIA SISTINA
È la parte più antica del Pio istituto ed oggi adibita a polo congressuale ma adibita ancora ad ospedale sino ai recenti anni 80. E’ lunga 120 m, larga 12 m e alta 13 m, suddivisa in un maestoso tiburio e due sezioni dette Braccio di Sopra e Braccio di Sotto ribattezzate sala
Lancisi e sala Baglivi nella seconda metà dell’800 in onore di due famosi medici ed anatomisti qui operanti e vissuti tra il XVII e XVIII secolo. Nella corsia venivano allora alloggiate le file dei letti a baldacchino dei degenti allietati dal suono di un organo in fondo alla sala. Quando il numero dei ricoverati aumentava per le epidemie venivano aggiunti letti al centro delle corsie chiamati carriole e da qui deriva il detto dialettale romano “li mortacci tua e de tu nonno in cariola”, con cui si enfatizza l’ingiuria anche con la morte dell’avo in cariola, cioè in soprannumero.
Le pareti appaiono finemente decorate con un ciclo di quasi cinquanta affreschi del XV secolo che rievocano la storia dell’antico ospedale, le benemerenze del fondatore Papa Innocenzo III e episodi della vita di Papa Sisto IV della Rovere, artefice del rinascimento dell’Ospedale.
Il tiburio a forma di torre ottagonale era l’originale ingresso dell’ospedale la cui cupola venne decorata con nicchie contenenti statue degli apostoli e con due ordini di finestre bifore e trifore con l’onnipresente stemma del Papa Sisto IV della Rovere. Il soffitto è costituito da eleganti pannelli lignei dipinti. Al centro conserva l’unica opera romana dell’architetto veneto Andrea Palladio, un altare in marmo con un dipinto seicentesco di Carlo Maratta. Gli ingressi laterali sono arricchiti da due portali di marmo quattrocenteschi, opere dell’architetto e scultore lombardo Andrea Bregno. Quello sotto il portico della facciata orientale è di modeste dimensioni mentre l’altro è ben conosciuto col nome di Portale del Paradiso, alto 10 m, largo 5 m e recentemente restaurato.
Nella lunetta conchigliata superiore è decorato l’emblema di Sisto IV tra due putti alati e nelle colonne laterali compaiono numerosi simboli associati alla religione cristiana, alla medicina e alle arti curative.
IL MUSEO STORICO DI ARTE SANITARIA
È ospitato nella Sala Alessandrina e venne inaugurato nel 1933 grazie al prezioso contributo di un generale e 2 professori di medicina: il Generale Mariano Borgatti, il Prof.
Giovanni Carbonelli e il Prof. Pietro Capparoni che raccolsero in questa sede del precedente Museo Anatomico, l’immenso materiale storico medico prima depositato in Castel Sant’Angelo. È un mausoleo della medicina con la biblioteca ed un archivio storico e nacque con lo scopo di promuovere e disciplinare gli studi storici dell’Arte Sanitaria in Italia. È alloggiato in nove stanze e conserva preziosi cimeli tra cui mortai, modelli anatomici, cere, antichi strumenti di ostetricia, la macina della China per macinare la corteccia dell’albero di China e produrre il chinino per curare la malaria. Inoltre conserva ferri chirurgici, microscopi, apparecchi per l’anestesia, la prima lettiga della Croce Rossa per il trasporto dei malati e moltissima documentazione su malattie e preparazioni farmaceutiche del passato. È altresì presente la ricostruzione di una farmacia del passato e di un laboratorio alchemico.
L’ANTICA SPEZIERIA
Si trova adiacente alla sala Lancisi e qui i frati un tempo preparavano i farmaci. Numerose ricerche farmaceutiche vennero qui condotte come quella sull’impiego della polvere della corteccia di China per la cura della malaria, allora molto diffusa e senza rimedio. Conserva inoltre una rara collezione di preziosi vasi per le spezie.
LA BIBLIOTECA LANCISIANA
Fu fondata nel 1711 dal medico Giovanni Maria Lancisi, docente di anatomia e medico personale del Papa e venne dotata di una rendita. Nacque all’interno dell’ospedale per favorire la formazione e l’aggiornamento dei medici e chirurghi e con l’intento di promuovere il confronto tra medici e lo svolgimento di sperimentazioni. È considerata la più importante biblioteca medica d’Italia e conserva 20.000 volumi e 375 manoscritti. Tra questi vi sono antichi libri di grammatica, retorica, politica, filosofia, teologia, matematica, storia naturale, chimica, farmacia, anatomia, chirurgia, medicina legale e alcuni strumenti scientifici originari come i globi del monaco cartografo Vincenzo Coronelli, due sfere armillari e una diottra.
IL PALAZZO DEL COMMENDATORE
Vi abitava l’amministratore capo del Complesso. Il palazzo venne edificato durante il papato di Pio V tra il 1566 e il 1572 ad opera degli architetti Nanni
di Baccio Bigio e Ottaviano Nonni detto Mascarino e per volere del Commendatore Bernardino Cirillo e per questo chiamato anche Palazzo di Cirillo. È arricchito con un sontuoso cortile decorato con arcate e colonne di marmo e un orologio barocco diviso in sei ore alla romana, tipica misurazione del tempo durante il periodo medievale. In questo modo la giornata veniva scandita dal ripetersi quattro volte del ciclo di sei ore l’una. Ha la forma di copricapo cardinalizio ed è incorniciato da un serpente che si morde la coda simbolo di eternità. Come lancetta ha un ramarro in bronzo e a lato l’antico emblema dell’ospedale con la croce a doppia traversa e la colomba dello Spirito Santo.
LA CHIESA DI SANTO SPIRITO IN SAXIA
Originalmente la chiesa del dodicesimo secolo era dedicata a Maria Vergine di cui rimane ancora il campanile romanico di Baccio Pontelli. Fu ricostruita varie volte e, dopo il Sacco di Roma nel 1527, Papa Leone IV chiamò l’architetto fiorentino Antonio da Sangallo il Giovane per la ristrutturazione eseguita tra il 1538 e 1545.
Il completamento della facciata tardo rinascimentale su due ordini e della grandiosa scalinata vennero terminati nel 1590 da Ottaviano Mascherino su commissione del Papa verso la fine del Papa Sisto V.
Al suo interno si conserva ancora un’icona mariana donata da re Ina, una serie di opere d’arte tardo-manieriste, numerosi pregiati affreschi e stucchi e un soffitto ligneo policromo ad opera di Antonio da Sangallo con gli stemmi di Papa Paolo III.
La Chiesa è oggi il Centro di Spiritualità della Divina Misericordia ufficialmente istituito dal Cardinale Camillo Ruini con decreto del 1994. Conserva le reliquie del Santo Papa Giovanni Paolo II in un ostensorio in argento a copia di quello rappresentato da Raffaello nell’affresco La disputa del Sacramento nella stanza della Segnatura al Vaticano.
Due tenute di questo nome esistono nell’Agro romano , ambedue fuori di Porta Cavalleggeri , ambedue pertinenti ai Doria Pamphilj e fra loro confinanti, e distanti da roma 13 miglia. Distinguendosi co’ i nomi Testa di lepre di Sopra e Testa di Lepre di Sotto.
Testa di lepre di Sopra comprende 400 rubbia divise ne’ quarti del Casale, dell’arrone, della Colonnaccia e Rieo Maggiore, e delle Grottelle: confina colle tenute di Testa di Lepre di Sotto, Tragliata, Malvicino, Buccea e Torrimpietra.
Testa di Lepre di sotto comprende rubbia 460, è in parte mecchiosa ed in parte sodiva: essa è tutta destinata a pascipascolo del procoio del Principe proprietario, e confina colla precedente , colla strada di Civitavecchia (Aurelia), coll’Arrone, e colla tenuta di Torrimpietra.
FONTE-Antonio Nibby – ANALISI –STORICO-TOPOGRAFICO – ANTIQUARIA della Carta de’ dintorni di Roma -1849
Biblioteca Nazionale Centrale
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